Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
AI LIBERALI 10 SEGGI, AGLI SCOZZESI 58
Cameron verso la riconferma.
I primi exit poll diffusi dalla BBC sulle elezioni britanniche danno i Conservatori in netto vantaggio, anche se lontani dalla maggioranza assoluta dei seggi: ne otterrebbero 316 seggi (ne aveva 303) contro i 239 dei laburisti di Ed Miliband che confermano il loro elettorato.
I due principali partiti, quello Conservatore dell’attuale premier Cameron e il Laburista di Ed Miliband per molti sondaggi erano staccati da appena un punto.
Un colpo di scena, dunque, per le elezioni generali, quelle che sceglieranno il nuovo governo e di conseguenza il primo ministro.
I conservatori passerebbero da 302 a 316.
Tracollo dei Libdem che ne avevano 53 e andrebbero a 10.
Boom dello scozzese Snp che ha conquistato 58 seggi su 59, gli indipendentisti ne avevano sei. Si sono svolte dalle 7 ora locale alle 22, quando in Italia erano le 23. Alle urne erano chiamati 45 milioni di britannici.
Gli scenari sono stati incerti fin dall’esordio della campagna elettorale.
Ancora stamattina gli ultimi sondaggi continuano a fotografare una situazione di quasi assoluta parità tra i due partiti maggiori in termini percentuali.
Il continuo testa a testa fra Tories e Labour nei sondaggi, assieme al fatto che i principali partiti hanno escluso l’ipotesi di alleanze, ha contributo all’incertezza. Anche i primi dati non riescono a dare indicazioni diverse dai sondaggi: nè il partito di Cameron nè quello di Miliband riuscirebbero a ottenere la maggioranza assoluta dei 326 seggi determinati dal sistema maggioritario uninominale che divide il territorio in 650 circoscrizioni elettorali, ognuna delle quali sceglie il proprio deputato da mandare alla Camera dei Comuni.
Questo significa che ogni partito deve ottenere 326 seggi per avere la maggioranza assoluta in Parlamento.
Come rileva il Guardian in un’analisi del voto, per il Laburisti di Ed Miliband, un buon risultato sarebbe un numero di seggi superiore ai 290.
In questo caso, il Labour potrebbe tentare di formare una coalizione con i Liberal democratici, i nazionalisti gallesi, i Verdi e l’Sdlp, il partito social democratico e laburista dell’Irlanda del Nord, escludendo così i nazionalisti scozzesi dell’Snp.
Tra i 260 e i 290 seggi verrebbe invece considerato un cattivo risultato, perchè i Laburisti dovrebbero a questo punto ricorrere ai voti dell’Snp, ipotesi finora scartata da Miliband.
Pessimo risultato sarebbe invece un numero di seggi inferiore ai 260, perchè il Labour non potrebbe formare un governo nemmeno con l’appoggio dell’Snp.
I Conservatori potrebbero invece considerarsi legittimamente vincitori con un risultato superiore ai 300 seggi, che consentirebbe a Cameron di riconfermarsi premier, probabilmente in una nuova coalizione con i Libdem.
Meno buono sarebbe un risultato tra i 280 e i 300 seggi, che costringerebbe Cameron a combinare insieme il sostegno dei Libdem e probabilmente del Partito unionista democratico dell’Irlanda del Nord.
Al di sotto dei 280 si tratterebbe invece di un risultato pessimo, perchè ai Tories mancherebbero i numeri per formare un governo stabile.
Se nessun partito otterrà la maggioranza dei seggi, come prevedono tutti i sondaggi finora effettuati, si tratterà allora di calcolare il numero di deputati ottenuto da Conservatori e Laburisti e quelli ottenuti dai loro potenziali partner di coalizione. Oltre che per il rinnovo del Parlamento, gli elettori sono chiamati ad eleggere oltre 9mila rappresentanti in 279 amministrazioni locali.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
IL PARERE LEGALE COMMISSIONATO DAI FITTIANI BOCCIA SENZA APPELLO LA SUA DELEGA A PRESENTARE LE LISTE
Nuovi guai in vista per Silvio Berlusconi.
Come se non bastassero già le faide interne al partito, con i fittiani in rivolta e i verdiniani pronti a traslocare nell’orbita renziana.
Adesso spunta anche un parere legale commissionato da un gruppo di dissidenti di Forza Italia, fedeli all’ex governatore della Puglia Raffaele Fitto, che mette in discussione le procedure seguite per la presentazione delle liste in vista delle elezioni regionali.
E nel quale si prospetta addirittura il rischio di annullamento.
TESORIERA NEL MIRINO
Forti del documento redatto dall’avvocato Gianluigi Pellegrino, ritenendo violate le regole dello Statuto del partito inerenti proprio la formazione e la presentazione delle liste elettorali, i dissidenti azzurri hanno distribuito in tutta Italia un modulo di raccolta firme che ha messo insieme migliaia di sottoscrizioni.
Lo scopo è quello di intraprendere azioni giudiziarie volte ad «assicurare il rispetto della legalità statutaria e costituzionale violata nel funzionamento di Forza Italia, inibendo ogni abusivo e usurpativo comportamento».
A cominciare da quello che avrebbe tenuto, secondo i fittiani, la tesoriera del partito Maria Rosaria Rossi.
Sentito da ilfattoquotidiano.it, è lo stesso legale a chiarire le ragioni dell’iniziativa: «Per quanto riguarda la presentazione delle liste elettorali, quale massima espressione delle funzioni di un partito politico — spiega l’avvocato Pellegrino — lo statuto di Forza Italia prevede che esse siano compilate dal Comitato di presidenza, composto da sei membri eletti dal Congresso ed altri sei nominati dal presidente, sentiti i coordinatori regionali, e possono essere presentate dall’amministratore nazionale, eletto dal Consiglio nazionale su proposta dello stesso Comitato di presidenza. Un ruolo affidato alla senatrice Rossi, ma in violazione delle regole statutarie. Per questo le liste elettorali per le prossime regionali sono da ritenersi presentate da un soggetto che non rappresenta legalmente il partito e sono dunque annullabili».
Anche perchè la fedelissima del Cavaliere, che su delega di Berlusconi presiede l’ufficio di presidenza del partito, ha diretto anche la riunione con i coordinatori regionali per dare il via libera ufficiale alle candidature.
EFFETTO DOMINO
Gli incarichi alla Rossi sarebbero stati dunque conferiti in violazione delle regole statutarie, argomenta il parere legale ripercorrendo i passaggi più significativi di una vicenda iniziata con la sospensione delle attività del Popolo della libertà e il rilancio di Forza Italia.
Una transizione per la quale l’ufficio di presidenza del Pdl aveva affidato, il 25 ottobre 2013, al presidente Silvio Berlusconi «pieno mandato politico e giuridico per attivare le necessarie procedure, anche attraverso le convocazioni degli organi statutari, per l’attuazione di questa deliberazione politica», conferendogli «le responsabilità connesse alla guida del Movimento per definire obiettivi, tempi e modi della nuova fase di attività secondo lo Statuto di Forza Italia».
E in base a quello Statuto, sottolineano i fittiani nel documento per la raccolta delle firme, «non vi può essere un legittimo amministratore di Forza Italia che non sia nominato dal Consiglio nazionale su proposta del Comitato di presidenza e senza che tali organi traggano a loro volta legittimazione dal Congresso».
Che, una volta esaurita l’esperienza del Pdl, avrebbe dovuto essere convocato «all’atto della riattivazione di Forza Italia».
Cosa che invece non è avvenuta.
Inficiando a cascata, secondo i dissidenti, oltre alla legittimazione della Rossi anche quella dei comitati e dei coordinatori regionali che, proprio insieme alla tesoriera azzurra, hanno dato il via libera alle liste elettorali per le regionali e all’uso del simbolo.
RICORSO CONGELATO
A quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, lo stesso Fitto ha deciso di soprassedere e di non intraprendere, almeno per ora, alcuna azione legale.
«Voglio vincere la sfida nel partito politicamente e non a colpi di carte bollate», ha confidato ai suoi fedelissimi.
Ciononostante, nulla impedirebbe ad un qualsiasi iscritto del partito come pure ad un qualunque cittadino, di adire le vie legali per chiedere l’accertamento delle possibili violazioni statutarie e l’annullamento delle liste.
Un’incognita che potrebbe scatenare l’ennesimo terremoto dentro Forza Italia.
Della vicenda, peraltro, era stato già investito anche il Tribunale civile di Roma con un ricorso d’urgenza presentato dal senatore Vincenzo D’Anna, parlamentare azzurro prestato al gruppo Gal a Palazzo Madama.
Ricorso che, però, era stato dichiarato inammissibile. «Ma solo ed esclusivamente sotto il profilo procedurale, non nel merito», aveva dichiarato il 29 aprile Arturo Meo, legale di d’Anna, commentando la pronuncia del giudice civile.
E precisando che «non c’è stata alcuna bocciatura» ma solo una decisione sugli «aspetti processuali del ricorso».
Insomma, per la Rossi e le liste elettorali di Forza Italia, il giorno del giudizio potrebbe non essere scampato ma solo rimandato.
Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
“CRISTIANI BISOGNA ESSERLO NON A PAROLE, MA NEI FATTI”… ORA TOCCA A SALVINI OSPITARE QUALCHE POVERO ITALIANO A CASA SUA
Commossa dalle immagini degli sbarchi e dalla notizia del naufragio di 800 persone nel Mediterraneo, una anziana novantenne di Rubano (Padova) ha deciso di lasciare la propria casa ai profughi che sbarcano in Italia, affittandola per metà prezzo a una cooperativa che si occuperà della gestione dei richiedenti asilo.
«Diciamo che ci sono persone che sono cristiane a parole e persone che lo sono nei fatti», ha commentato.
La storia è raccontata dal Corriere del Veneto:
Quando alla tv sono passate le scandalose immagini di quelle 800 vite perse in mare, i fotogrammi di una tragedia che ha fatto inorridire l’Italia intera, Mara Gambato non ha avuto grossi dubbi. Ha chiamato i nipoti, ha traslocato a Padova, in una casa di sua proprietà , e ha consegnato le chiavi della sua villetta di Sarmeola di Rubano ad una cooperativa che si occupa di accoglienza dei profughi.
Un regolare contratto di affitto (la 90enne si è accontentata di circa la metà del valore di mercato) che per dieci profughi provenienti da Gambia e Guinea Bissau rappresenta molto più di una nuova casa.
«Quando ha sentito alla tv di quelle 800 persone morte in mare — ha raccontato Sergio Ventura, il nipote che ha curato per conto dell’anziana l’affidamento dell’immobile alla cooperativa — e quando ha visto l’immobilismo dello Stato e delle istituzioni ha deciso di fare qualcosa».
A gestire l’accoglienza in quella casa di via Borromeo (così come in quella di corso Milano, a Padova, e in molte altre case della provincia di Padova) è «Percorso Vita onlus» di don Luca Favarin.
«Quando l’ho incontrata mi ha parlato anche della guerra e degli italiani all’estero — ha spiegato don Luca – e poi della difficoltà di assistere immobile a quei drammi. La mia impressione è che vedendo la tragedia quotidiana dei profughi abbia in parte rivissuto le difficoltà patite da lei, dai suoi amici e coetanei. È la dimostrazione di un’altra cultura veneta, che purtroppo spesso viene oscurata dall’intolleranza di certi»
argomento: radici e valori | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
ECCO COSA PREVEDE LA DELIBERA APPROVATA DA CAMERA E SENATO … A QUALI PARLAMENTARI SI APPLICA
Vitalizi aboliti per i parlamentari condannati in via definitiva, ma non per tutti.
Le identiche delibere approvate dagli uffici di Presidenza di Camera e Senato prevedono infatti alcune “eccezioni” che possono permettere a deputati e senatori che hanno avuto guai con la giustizia a non rinunciare, per forza, alla pensione a vita.
Il risultato viene comunque festeggiato come un “bel segnale” dai presidenti dei due rami del Parlamento, Pietro Grasso e Laura Boldrini.
Tuttavia non hanno votato le delibere Ap (alla Camera), Forza Italia e Movimento 5 Stelle.
I grillini hanno attaccato la “delibera farsa perchè salva la stragrande maggioranza dei politici condannati, tutti i loro amici di tangentopoli e colpisce solo una piccola cerchia”.
Con le nuove norme c’è lo stop al vitalizio per i parlamentari condannati in via definitiva per reati di mafia, terrorismo e contro la pubblica amministrazione, con pene superiori ai due anni. Nell’ultima fattispecie è però escluso l’abuso d’ufficio.
Inoltre, la cessazione del vitalizio viene meno nel caso il politico condannato in via definitiva si serva della riabilitazione, istituto dell’ordinamento penale che consente, decorsi almeno 3 anni, di ottenere l’estinzione degli effetti penali della condanna e delle pene accessorie.
È il caso, per esempio, di Marcello de Angelis, condannato a 5 anni per banda armata e associazione sovversiva come elemento di spicco del gruppo neofascista Terza Posizione, ma riabilitato.
Rientra invece nell’abolizione Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano, condannato in via definitiva per ricettazione e finanziamento illecito dei partiti nella vicenda Tangentopoli.
Pochi mesi fa disse che se avessero abolito il vitalizio “non arriverò alla fine del mese”.
Non solo: le norme si applicano in caso di condanne in via definitiva a più di due anni per reati comuni che prevedano un massimo edittale non superiore ai sei anni.
Ancora: lo stop al vitalizio non può essere applicato nel caso di assegni e pensioni di reversibilità , laddove il parlamentare sia deceduto prima dell’entrata in vigore della delibera.
Rientrano a pieno titolo nell’abolizione del vitalizio Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; Cesare Previti, condannato a 6 anni per corruzione in atti giudiziari; Totò Cuffaro, condannato a 7 anni per favoreggiamento alla mafia; Toni Negri, condannato a 12 anni per complicità con le Brigate Rosse; Massimo Abbatangelo, condannato a 6 anni per detenzione di esplosivo. Rientra anche Silvio Berlusconi che, comunque, dal 2018 potrà fare richiesta per la riabilitazione penale.
La delibera approvata dall’Ufficio di presidenza della Camera prevede all’articolo 1: “E’ disposta la cessazione dell’erogazione dei trattamenti previdenziali erogati a titolo di assegno vitalizio o pensione a favore dei deputati cessati dal mandato che abbiano riportato, anche attraverso” il patteggiamento a) condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale (mafia e terrorismo) e dagli articoli da 314 a 322-bis, 325 e 326 del codice penale (reati contro la P.A. come peculato e concussione); b) “condanne definitive con pene superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni, così determinata ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale”.
Il M5S attacca: “Ecco chi si salva”. Il grillino Riccardo Fraccaro attacca sulla sua pagina Facebook e fa un elenco dei parlamentari che invece la “fanno franca”.
“Paolo Cirino Pomicino – scrive Fraccaro – percepirà ogni mese 5.573 euro nonostante la condanna per corruzione finanziamento illecito (pena inferiore ai due anni e riabilitato, ndr). Idem Enzo Carra, ex deputato Pd condannato per false dichiarazioni sulle mazzette, ben 3.979 euro. Per gentile concessione del Pd, i cittadini pagheranno i vitalizi a vecchi e anche nuovi tangentisti: come Salvatore Sciascia, attuale parlamentare forzista già condannato per corruzione, che a fine legislatura potrà riscuotere l’assegno (anche lui riabilitato, riporta oggi il Fatto Quotidiano)”.
Un altro parlamentare che potrà contare sul vitalizio, scrive sempre Fq, sarà Giuseppe Ciarrapico.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: la casta | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
“LA LOTTA ALLA MAFIA NON E’ UNA PRIORITA’ DI RENZI”
Roberto Saviano, cinque anni fa fu De Luca ad accusare Caldoro di avere in casa i casalesi. Ora i termini si sono ribaltati?
Le liste di De Luca non sono affatto liste con nomi nuovi e in nessun caso trasformano il modo di fare politica in Campania. Direi che ricalcano le solite vecchie logiche di clientele. E non c’è niente da fare. E’ sempre stato questo e questo sarà : le liste si fanno su chi è in grado di portare pacchetti di voti.
Vedendo le liste elettorali a sostegno di De Luca, direi che il caso più imbarazzante è quello di Enrico Maria Natale. Che cosa rappresenta a Casal di Principe la sua famiglia?
È certamente quello di Natale il nome più eclatante perchè la sua famiglia è stata più volte accusata di essere in continuità con la famiglia Schiavone. Negli anni Novanta hanno avuto un ruolo nel mondo dell’imprenditoria grigia. Questa candidatura a dimostrazione che De Luca non sta affatto cambiando il modo di fare politica in Campania.
E poi ci sono gli uomini di Cosentino che puntano sul centro-sinistra.
Gli uomini di Cosentino che puntano al centro sinistra per vendetta contro Caldoro ci sono sempre stati. Cosentino ha sempre considerato Caldoro uno dei responsabili della sua messa in crisi nel partito e quindi c’è sempre stato questo flusso apparentemente contrario a ogni logica. Nicola Turco ad esempio è un fedelissimo di Cosentino, ora sua moglie è candidata e dichiara apertamente nelle interviste che “De Luca non è di sinistra, non ha nulla di sinistra…”. E quindi ci sta bene. Pure la Criscuolo era legata a Cosentino e Scajola. Insomma c’è di tutto.
Insomma c’è di tutto.
Sì, pure Aveta, uno che si è sempre dichiarato neo-fascista.
Te lo chiedo senza tanti giri di parole: nelle liste del Pd e della coalizione che sostiene De Luca c’è Gomorra?
Ti rispondo senza giri di parole: assolutamente sì. Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata. E cioè alla politica ci si rivolge per ottenere diritti: il lavoro, un posto in ospedale… Il diritto non esiste. Il diritto si ottiene mediando: io ti do il voto, in cambio ricevo un diritto. Il politico non dà visioni, prospettive, percorsi, ma dà opportunità in cambio di consenso. E De Luca, in questo, è uno che ci sa fare. La politica dovrebbe essere tutt’altro. Dovrebbe ottenere consenso in cambio di trasformazioni complesse e complessive della società . Invece dando il proprio voto l’elettore rinuncia a chiedere progetto e trasformazione in cambio di una e una sola cosa.
Tu hai fatto un elenco di nomi e hai detto che il sistema Gomorra è anche nel centrosinistra. Significa, facendo il passaggio successivo, che non serve aspettare i processi per dire che con certe persone non si può neanche prendere il caffè al bar.
Al di là delle condanne e delle manette che sono altra cosa e mi interessa meno, non avendo mai avuto l’ossessione manettara di tanta parte del giornalismo italiano, lì si tratta proprio di opportunità politica. De Luca ha capito che per vincere deve portare clientele, attraverso persone modeste, senza visione e deve togliere le clientele a Caldoro. Ecco: la guerra che si stanno facendo Caldoro e De Luca è tutta qui, sulle clientele, ed è per questo che De Luca ha avuto bisogno di De Mita. Non c’è bisogno di andare in questura per dire che le persone di cui abbiamo parlato, a Casal di Principe e non solo, sono incandidabili se appartieni a un partito che dice, o meglio millanta, di trasformare. Non scherziamo. Ora: De Luca sa benissimo che sono impresentabili e forse, dopo questi articoli, farà la mossa di toglierne qualcuno ma non può fare a meno del voto di scambio.
Potremmo proseguire con altri nomi, come gli ex responsabili del governo Berlusconi a sostegno di De Luca: Iannaccone, Cesario o Pisacane che ha candidato la moglie. O l’ex mastelliano Barbato. Ma vorrei fare con te un ragionamento di fondo. Si può dire che siamo oltre il trasformismo? Qui stiamo di fronte a un blocco di potere e interessi che si lega allo schieramento finora alternativo, determinandone la mutazione genetica.
Secondo me la triste verità è che non si sposta nulla, resta tutto identico dove è sempre stato. Cambiano gli orientamenti ma tutto resta sempre lì, fermo, immobile. Il trasformismo nasce come una opportunità per chi fa politica, per fare cassa, ma non è solo un fatto economico. La tradizione meridionale, in questo senso, è tipica: il primo figlio fa il medico, quindi ha un ruolo importante; il secondo, che deve difendere gli affari di famiglia, fa l’avvocato; il più incapace il politico. È sempre stato così, nella tradizione meridionale. Ma il riciclo del ceto politico nasce non semplicemente dalla volontà delle persone, ma anche dalla volontà degli elettori. Può sembrare paradossale ma è così. L’elettore meridionale medio non ne vuole sapere di un politico nuovo che magari ha progetti e idee. Vuole il vecchio che gli garantisca il posto di lavoro, il posto alla nonna all’ospedale, la mensa, l’asilo, quello che ti dà di volta in volta il favore, in cambio del voto. Quindi l’elettorato non si fida del nuovo e preferisce il vecchio che vede come garanzia. Da qui nascono i nomi che abbiamo detto. Un vecchio arnese della politica garantisce favori più di un nuovo politico con idee e progetti che spesso nessuno gli farà realizzare.
E da qui l’allarme che lanciasti alle primarie.
Lanciai l’allarme perchè sapevo che sarebbe successo questo. Dissi: non legittimate politici che hanno già in mente come vincere e come posizionarsi. E quindi l’invito a non votare era l’invito a non legittimare questo sistema. Le primarie non si sono svolte con una competizione su argomenti: tutti ci raccontavano la stessa storia, non era una questione di contenuti, erano solo una battaglia tra le fazioni e tra le clientele di uno e dell’altro.
Una volta il Pci era il partito della lotta alla mafia, il Pci di La Torre, il Pci che selezionava la propria classe dirigente prima che arrivasse la magistratura. Ora questo Pd cosa è?
Il Pd non sta facendo la battaglia promessa. Ha creduto che utilizzare le figure di Grasso o di Cantone fosse la garanzia di un’immagine diversa. Ed è questo che Renzi vuole: un’immagine diversa. Sicuramente c’è una parte di mondo del Pd in prima linea contro le mafie, ma questo governo ha fatto poco contro le mafie. In un certo senso si è trovato in una congiuntura anche positiva: non ci sono stragi o faide mafiose e quindi l’opinione pubblica non chiede a questo governo di rispondere con urgenza. Ma davvero non c’è stata una mossa vera per contrastare il riciclaggio, per contrastare la presenza endemica della mafia nelle banche o negli appalti. Questo Pd non ha un’anima che sente come una priorità l’antimafia. Ovviamente non mi sentirei di dire che stiamo parlando di collusioni come succedeva in Forza Italia, però da qui a considerarsi, appunto, un partito antimafia… ce ne passa. Anche la vicenda De Luca, lo dimostra.
Andiamo dritti alla narrazione renziana cui accennavi. Uno dei simboli è Cantone, magistrato di punta nelle inchieste sui casalesi, ora molto esposto col governo sulla terreno della lotta alla corruzione. Cantone da un lato e queste liste dall’altro. Come leggi questa fotografia?
Cantone aveva avuto un rapporto già con Enrico Letta poi con Renzi, quindi ha chiara la visione della situazione. La fotografia la spiego così: sembra esserci molta prudenza da parte del governo e da parte di Cantone, che è un amico, a prendere posizione. È come se tutti fossero in attesa di essere nel prossimo governo eletto dal popolo. Uso una metafora: oggi ci dobbiamo fare incudine e ci dobbiamo stare, domani quando saremo martello batteremo. Ho molto questa sensazione, si preferisce intervenire su De Gennaro, difendendolo, piuttosto che sulla vicenda Campania, che è un dramma incredibile. È come se ci fosse una specie di compromesso. In questo momento noi non possiamo agire perchè il rischio di perdere e di farci male sarebbe troppo, quindi glissiamo e aspettiamo quando ci si darà il potere vero, con un governo eletto. Credo che Renzi speri in cuor suo che vinca Caldoro così da risolvergli il problema De Luca. Il grande rimosso del governo è il Sud Italia.
In conclusione: chi votare in Campania? Alle primarie dicesti: non partecipate. Lo dici anche oggi sperando che l’indignazione civica si esprima con l’astensionismo?
Non votare alle primarie aveva senso per mostrare che le primarie erano una competizione farlocca. Alle elezioni bisogna andare e prendere parte. Mi sento di dire che ognuno scelga nel migliore dei modi tra Cinque Stelle, Sel, Pd, Caldoro. Ormai la Campania è in una situazione drammatica. Si sta anche spostando l’attenzione mediatica e la narrazione che sta vincendo è quella cui ha contribuito anche De Magistris: chi racconta le cose sta in qualche modo diffamando e si deve parlare solo di cose belle, come il Maschio Angioino, la musica, l’arte. Ma queste bellezze non sono merito del sindaco, non sono merito di coloro che mi spingono a celebrarle. Ecco, anche questa narrazione ha contribuito a costruire la classe dirigente che strozza Napoli e la città è affogata tra l’estremismo di una minoranza ricca che almanacca su impossibili rivoluzioni e palingenesi e una piccola borghesia spesso compromessa e corrotta. In mezzo la parte maggiore onesta e assediata che un po’ spera un po’ subisce, un po’ sta a guardare per capire se vince il toro o il torero. Penso che l’unico che potrebbe oggi descrivere la situazione se ne è andato qualche tempo fa e mi manca molto: Franco Rosi
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Napoli | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
IL CASO ESPLODE SULLE REGIONALI IN LIGURIA PER IL VOTO AD ARMA DI TAGGIA: IL CAPOLISTA IN PROVINCIA DI IMPERIA LEGATO ALLA FAMIGLIA MAFODDA
Sulla ‘ndrangheta la candidata governatrice in Liguria Alice Salvatore, per il M5S, risponde come gli altri, ovvero non risponde. Nulla di più, nulla di meno…
Dal 20 aprile, quando il caso Mafodda – M5S è stato illustrato e documentato alla virgola dalla Casa della Legalità , la Salvatore con il M5S è rimasta in assoluto silenzio.
Proprio la Salvatore affermava che non bisognava rispondere ed il solo chiedere di affrontare la questione era da considerarsi un attacco al M5S.
La Salvatore ed altri portavoce locali si sono, in parallelo, prodigati con difese ed apprezzamenti per l’esponente di quella storica famiglia di ‘ndrangheta che dai tempi di Teardo, oltre a sequestri di persona, omicidi, traffici di droga, armi pesanti, estorsioni, intimidazioni, è nota per essere la “porta voti” al candidato o candidati graditi al sodalizio.
Ora che la “bazzecola” è stata ripresa dalla stampa nazionale la Salvatore dice che è “infamante” accostare il M5S alla ‘ndrangheta, e non – si badi – il rapporto del M5S con l’esponente della famiglia ‘ndranghetista.
Sul merito della questione non risponde.
I fatti reali dicono che Mafodda Carmine (esponente della nota famiglia di ‘ndrangheta da cui mai si è dissociato e distaccato, figlio di quel Palmiro, esponente di spicco della cosca, che mai ha rinnegato) è stato accolto dal M5S, tra i fondatori e responsabili del M5S ad Arma di Taggia.
E’ stato accolto il suo sostegno elettorale.
I fatti reali dicono ancora che nel territorio controllato dalla famiglia Mafodda, agli Atti la «’ndrangheta di Arma di Taggia», il M5S alle elezioni politiche ed europee ha incassato percentuali di voti largamente superiori a quanto raccolto nel resto della Provincia e nelle altre province (anche rispetto a territori dove aveva operato da anni).
I fatti reali dicono che, nonostante anche la denuncia del portavoce del M5S di Imperia Antonio Russo, sull’amicizia fraterna con Mafodda, vantata ed esibita da Comandini Daniele, quest’ultimo sia stato confermato candidato alle regionali come capolista del M5S nell’imperiese.
La Salvatore Alice dovrebbe smettere di parlare della ‘ndrangheta “ectoplasma” e guardare ed affrontare quella in carne ed ossa.
Gli slogan ed i proclami non servono a nulla.
Dovrebbe evitare di citare quanto denunciato da altri come frutto di denunce (mai fatte) dal M5S (a proposito: quali denunce a Magistratura e Reparti Investigativi, Ministero dell’Interno e Prefetture liguri ha promosso in questi anni il M5S?
Quante iniziative contro la ‘ndrangheta ha fatto in Liguria, e nel caso di specie contro gli ‘ndranghetisti – con nomi e cognomi – del ponente ligure?
Allo stesso modo sarebbe anche utile che chiarissero come mai nessuna iniziativa del M5S è stata posta in essere sulla Discarica di Rocca Croaire che proprio ad Arma di Taggia e Castellaro è stata il “paradiso” di tutte le imprese di ‘ndrangheta del ponente ligure, dal savonese all’imperiese.
E’ interessante notare che la Salvatore non cita (più) le operazioni antimafia in Liguria.
Come quelle sugli Sgrò, Pellegrino, Marciano’ e Palamara, Fotia, Gullace, Fameli, Mamone, Nucera, Romeo… e Mafodda.
Sino a qualche tempo fa citava spesso le inchieste “Maglio 3” e “La Svolta”, ora non le cita più. Probabilmente si è accorta che è imbarazzante parlare di inchieste che indicano con chiarezza la «’ndrangheta di Arma di Taggia» ed il controllo di migliaia di voti che questa mantiene, visto che la ‘ndrangheta di Arma di Taggia ha un fulcro che si chiama “famiglia Mafodda” ed affini.
Il contrasto alla ‘ndrangheta passa dall’intransigenza, non dagli slogan.
Serve capire come la ‘ndrangheta si muove e non improvvisare, serve non dimenticarsi il dettaglio che la ‘ndrangheta si regge sul “vincolo di sangue”.
Serve sapere che la ‘ndrangheta non “usa” candidati pregiudicati, li vuole lindi; non punta su un cavallo solo, ma su più cavalli così da rendere ricattabili e condizionabili più soggetti; non ha un colore politico prediletto ma guarda al singolo o ai gruppi che sono disponibili al compromesso.
Servono quindi comportamenti coerenti, intransigenti ed il rifiuto dei voti che puzzano e che poi condizionano.
Serve eliminare ogni possibile punto di contiguità .
Questi sono gli anticorpi. Non le parole.
La Salvatore ed il M5S vogliono dare un segnale? Risolvano la questione Mafodda – M5S – Comandini, in modo netto, inequivocabile e concreto.
Ora – che è già tardi – perchè “infamante” è questa “bazzecola” e l’ostinarsi a non affrontarla e risolverla.
(da Ninin.Liguria.it)
argomento: Grillo | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
CAOS DI VOCI SUI RIMBORSI, GOVERNO DIVISO… CONSULTA: “PAGARE È OBBLIGATORIO”
La strategia del governo sulle pensioni dopo la sentenza della Consulta? Non c’è.
Renzi non si è ancora messo sul dossier e quindi non sappiamo esattamente cosa fare”. Questo il riassunto della situazione che fonti del Tesoro affidano al Fatto Quotidiano: i conti sugli effetti procedono, qualche scenario è stato disegnato, ma la partita si chiude la prossima settimana.
D’altra parte, va notata la bizzarria di un premier che non dice una parola da giorni su un buco di bilancio miliardario.
Non che l’esecutivo stia però con le mani in mano. In assenza dei fatti, si occupa del flusso di notizie: reagisce alla realtà con gli slogan.
Stavolta siamo a un dipresso al Robin Hood previdenziale: pagheranno i ricchi.
Chi siano, quanto e come pagheranno non si sa, ma tant’è.
Il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, per dire, ieri mattina s’è tolto la camicetta di membro del governo e a nome di Scelta Civica (i rimasugli dei “montiani”) ha messo a verbale quanto segue: “È impensabile che si restituiscano i soldi a pensionati da 3.500-4.000 euro, quando si è chiesto ai giovani di passare al sistema contributivo e ai quasi pensionati di spostare in avanti l’età per andare in pensione”.
Questa non è (solo) l’esternazione di un leaderino in cerca di passaggi tv, perchè Palazzo Chigi nel pomeriggio l’ha di fatto confermata: “Non rimborsare tutti è compatibile con la sentenza della Consulta”, è la tesi.
Ovviamente questa uscita ha spaventato milioni di pensionati, ma pure al Tesoro — diciamo — sono rimasti basiti.
Pier Carlo Padoan, infatti, ha dovuto ripetere quanto dice da giorni: “Pensiamo a misure che minimizzino l’impatto sui conti, ma nel pieno rispetto della Corte”.
Alla fine pure Chigi è costretto alla nota ufficiale: “Valgono solo le parole del ministro”.
Nella realtà le cose stanno così.
La Consulta ha bocciato la norma inserita dal governo Monti nel decreto “Salva Italia”, che bloccava il recupero dell’inflazione per le pensioni superiori a circa 1.400 euro lordi al mese nel 2012 e 2013: quella legge non esiste più e quindi il maltolto va restituito. Punto.
Se farlo a debito, magari a rate, cercando o meno l’accordo con l’Ue sul deficit, è una scelta tecnica del governo.
Non pagare o pagare solo chi si vuole no: il conto fa 8 miliardi e spiccioli e va saldato.
La stessa Consulta, tramite l’agenzia Ansa, ha voluto chiarire la situazione: “Per ottenere il rimborso delle somme non percepite in termini di indicizzazione si deve fare una domanda all’Inps, non serve un ricorso, perchè dopo la sentenza la restituzione è un obbligo da parte dello Stato”.
Certo se poi Inps non paga, allora la parola passerà agli avvocati.
Anche due ex ministri del Lavoro hanno tentato di spiegarlo all’esecutivo.
Cesare Damiano (Pd): “La sentenza della Consulta va applicata. Il governo trovi una soluzione unitaria”.
Maurizio Sacconi (Area Popolare): “Sconsiglio vivamente il governo dall’individuare modalità inappropriate e irragionevoli di copertura degli oneri conseguenti alla sentenza della Consulta. Se pensasse, infatti, di ricalcolare le prestazioni in essere con metodi diversi a seconda delle fasce di reddito realizzerebbe una soluzione iniqua e esposta a un’altra bocciatura della Consulta”.
Sacconi si riferisce a un’idea buttata lì — nei giorni scorsi — da un altro kamikaze della dichiarazione (Filippo Taddei, responsabile economico del Pd): ricalcolare col sistema contributivo tutte le pensioni in essere sopra una certa soglia (quale non si sa).
Intervento, gli ricordava Sacconi, di sicura incostituzionalità .
Insomma, a un certo punto l’ora dello slogan finirà e il governo dovrà pagare per il triennio 2012-2014.
Qualche spazio di manovra, invece, Renzi potrebbe averlo per il futuro.
È vero infatti che la rivalutazione retroattiva aumenta la spesa pensionistica per i prossimi anni, ma è vero pure che la Consulta ha riconosciuto la possibilità di un blocco dell’indicizzazione delle pensioni su quelle più alte: i giudici — in quest’ultima sentenza — citano un provvedimento del governo Prodi che agiva da 8 volte il minimo Inps (circa 4mila euro lordi).
Fino al 2016, peraltro, è in vigore il blocco progressivo voluto dal governo Letta: il 95% tra 1.500 e duemila euro lordi, il 75% fino a 2.500 euro e giù al 45% dai tremila euro lordi al mese in su.
Il problema è che se si volessero prendere di mira i “ricchi” di Zanetti da 3.500 euro lordi, bisognerebbe sapere che si tratta di una percentuale minima della platea: si parla, all’ingrosso, di 350mila persone su 16,5 milioni di pensionati, che valgono 24 miliardi .
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Pensioni | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
MA BERLUSCONI RILANCIA: “SI DOVRANNO ADEGUARE”… CRITICI FITTO E ANTONIO MARTINO
«A me delle loro critiche non importa nulla, cosa vi aspettavate? Siamo in campagna elettorale». Silvio Berlusconi non rinuncia al progetto del Partito repubblicano o come altro si chiamerà il «grande contenitore dei moderati» che ha deciso ormai di lanciare.
A giugno si parte.
Il capo di Forza Italia rientra a Roma dopo la lunga parentesi d’affari ad Arcore.
Riceve un gruppo di candidati pugliesi, parla con i dirigenti che vogliono sapere quanto faccia sul serio e soprattutto come reagire al fuoco di fila degli (ipotetici) alleati, da Salvini alla Meloni. L’ex Cavaliere non retrocede.
«Noi dobbiamo rivolgerci ai milioni che non vanno più a votare e poi tutti, perfino Salvini, dovranno fare i conti con questa legge elettorale. Vedrete che anche Matteo cambierà idea, il ragazzo metterà la testa a posto».
Si tratta solo di attendere il 31 maggio, è la convinzione.
Ai candidati che lo hanno inchiodato per ore a caccia di selfie da esibire poi in campagna elettorale, ripete che ormai non c’è alternativa: «Bisogna convincere gli elettori che devono votare per un unico grande partito. Prendete il mio caso, la rivoluzione liberale mi è stata impedita dagli alleati con cui sono stato costretto a convivere».
Listone unico, dunque. Ma con chi?
Matteo Salvini, come ha ripetuto ieri in un’intervista alla Stampa, non ne vuol sapere: «Mai, non mi sciolgo in Forza Italia».
Il progetto, di cui sono a conoscenza i leghisti a lui più vicini, è ormai altro: alzare sempre più il tiro, portare il 13 per cento a un mirabolante 20 e scalzare Beppe Grillo.
Insomma, puntare al ballottaggio col Pd, ma col vessillo della Lega sopra quel listone.
E a quel punto deciderà Berlusconi se starci o meno. Ma da gregario, appunto.
E sferzante lo è in queste ore anche Giorgia Meloni dei Fratelli d’Italia: «Lo diciamo subito, non siamo disponibili a nessuna ammucchiata. Ci abbiamo già provato, si chiamava Popolo della libertà ed è naufragato».
Chi resta? Alfano e i suoi?
«Non ci convince, l’Italicum è destinato a far competere due partiti di governo, non anti sistema come Lega e M5s», ragiona Gaetano Quagliariello.
Come dire, se del listone dovesse far parte il Carroccio, non ci sono margini di convivenza. Dentro Forza Italia alle dichiarazioni entusiastiche dei fedelissimi si affiancano riserve.
Del capo dei dissidenti Raffaele Fitto, soprattutto.
Al quale il partitone potrebbe anche andare bene, se non fosse che ci punta «da giorni il cerchio che inspiegabilmente viene definito magico: segnalo che nel Partito repubblicano americano ci sono le primarie e la leadership è contendibile e non sono due dettagli».
Ma anche un fondatore forzista della prima ora (e filo Usa) come Antonio Martino, coltiva i suoi dubbi: «Già sul partito repubblicano americano gravano pesanti contraddizioni, come la convivenza tra l’ala cattolica più radicale e quella fortemente laica. Qui vorrebbe dire tenere insieme dalla Binetti a Pannella, insostenibile. E poi il grande partito si regge quando c’è o si propone una leadership forte».
E il centrodestra, sottinteso, per adesso non ne dispone.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Maggio 7th, 2015 Riccardo Fucile
ESCLUSO L’ABUSO D’UFFICIO, INSERITI LA “RIABILITAZIONE” E IL TETTO DEI SEI ANNI: COSàŒ LA FARANNO ANCORA FRANCA
Gli assegni d’oro ai condannati diventano un caso politico.
Oggi, in Consiglio di presidenza del Senato e in Ufficio di presidenza della Camera, è previsto il voto sulla delibera che cancella i vitalizi agli ex parlamentari condannati. L’ultima versione prevede scappatoie per tangentisti e condannati della prima ora.
Una versione diversa da quella iniziale, che salva quasi tutti grazie all’insierimento della riabilitazione, all’esclusione dell’abuso d’ufficio e alla modifica in senso restrittivo per i delitti non colposi da quattro a sei anni.
In Italia, la dorata pensioncina, è sempre finita nelle tasche degli ex parlamentari anche se si sono macchiati di reati gravi contro la Pubblica amministrazione.
Un privilegio doppio, denunciato più volte dal Fatto.
Un caso finito all’attenzione dei palazzi della politica dopo i ripetuti appelli del presidente del Senato Pietro Grasso e una campagna della società civile con tanto di raccolta firme sul sito riparteilfuturo.it  .
La delibera che andrà in votazione prevede un salvacondotto, che trova fondamento e giustificazione come soluzione giuridica per evitare ricorsi, ma che trasforma, nei fatti, l’annunciata soppressione in una cancellazione revocabile in caso di riabilitazione.
È frutto di un compromesso rispetto alla previsione iniziale che vede il Partito democratico favorevole e il Movimento cinque stelle critico.
Alla richiesta di alcuni costituzionalisti di fissare un tempo alla cancellazione si è risposto scegliendo la strada di legare il vitalizio ad un istituto del nostro ordinamento penale: la riabilitazione.
La delibera è di certo un passo avanti rispetto all’indecenza delle dorate pensioncine ai condannati.
Il presidente del Senato Pietro Grasso di recente è tornato sul tema: “Bisogna dire ai giovani che noi adulti non riteniamo giustificabile la corruzione, i favoritismi, i vitalizi per chi è stato condannato per gravi reati”.
La scappatoia è al comma 3 del primo articolo. “Le disposizioni non si applicano qualora sia intervenuta la riabilitazione” e più avanti: “In caso di riabilitazione l’erogazione dei trattamenti previdenziali riprende con decorrenza dalla data dell’istanza che sia stata legittimamente presentata e accolta”.
Insomma se un ex parlamentare è stato condannato, ma ha ottenuto la riabilitazione, ha così salvato il vitalizio.
La riabilitazione cancella le pene accessorie e gli effetti penali della condanna.
Può essere richiesta a tre anni dall’estinzione della pena. La richiesta deve essere accolta dal Tribunale di Sorveglianza, valutata la condotta del condannato.
Per fare un esempio eccellente. Silvio Berlusconi è stato condannato per frode fiscale. Incassa un vitalizio di 8 mila euro.
Con le nuove disposizioni gli verrà revocato l’assegno mensile, ma nel 2018 potrebbe fare richiesta di riabilitazione.
In caso di accoglimento Berlusconi tornerebbe candidabile, ma soprattutto percepirebbe nuovamente il vitalizio.
Sono molti i politici che hanno comunicato alla pubblica opinione l’avvenuta riabilitazione, il loro vitalizio non avrà neanche un giorno di sospensione nonostante i reati commessi.
Paolo Cirino Pomicino non ha voluto rispondere alla Gabbia che, ieri su La7, si è occupata nuovamente del caso.
L’ex ministro del Tesoro è stato condannato per finanziamento illecito ai partiti e ha patteggiato una pena di due mesi per corruzione.
Non rientra tra i “cancellati” visto che la sua condanna è inferiore ai due anni, ma anche perchè nel 2011 ha annunciato l’avvenuta riabilitazione.
Salvatore Sciascia, invece, oggi è senatore di Forza Italia, in passato è stato condannato per aver corrotto alcuni finanziari. Ha spiegato di essere stato riabilitato.
Quando uscirà dal Senato incasserà il vitalizio.
In caso di approvazione della delibera i condannati potranno giocarsi la carta della richiesta di riabilitazione.
In caso di accoglimento l’assegno mensile sarà restituito fin dalla presentazione della domanda.
Sulla cancellazione dei vitalizi gli uffici di Camera e Senato hanno acquisito otto pareri per una spesa di centomila euro. I pareri, però, non erano sul testo che andrà in votazione, ma soprattutto quella versione sottoposta al giudizio dei giuristi non prevedeva la riabilitazione.
Un punto che avrebbe, di certo, diviso i costituzionalisti. Nella delibera c’è un elemento positivo visto che la cancellazione, anche se revocabile, è prevista per condanne definitive, con pene superiori a due anni di reclusione, anche in caso di patteggiamento. C’è qualcuno che, però, non dovrà neanche preoccuparsi di presentare una richiesta di riabilitazione.
Nella delibera, infatti, c’è anche l’esclusione di un reato: l’abuso d’ufficio.
Ai condannati per questo reato non sarà cancellato il vitalizio.
La cancellazione non è inoltre applicabile ai vitalizi spettanti ai familiari superstiti, ma solo se l’ex parlamentare è deceduto prima dell’entrata in vigore della delibera.
Alla fine, rispetto alla prima versione, il provvedimento è cambiato.
“È un risultato positivo, ma ora passiamo alla riforma anticorruzione” spiega Leonardo Ferrante della campagna Riparte il Futuro.
Critica la senatrice grillina Laura Bottici: “L’esclusione dell’abuso di ufficio e la riabilitazione prevista svuotano di senso la norma”.
Ora si attende il voto.
Il risultato è in bilico proprio al Senato, potrebbe risultare decisiva proprio la scelta del M5S.
Nello Trocchia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: la casta | Commenta »