Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
NEL 2001 IL CELEBRE CAPPOTTO, ORA IL SIMBOLO SARA’ PRESENTE SOLO A GELA E MILAZZO
Fino a pochi anni fa era la capitale del berlusconismo, la prima regione azzurra, il granaio sempre colmo di voti per i candidati di Forza Italia.
L’ultimo flash risale alle politiche del 2013, con il Pdl che riesce a portare a casa il premio di maggioranza al Senato: immagini che sono già in bianco e nero, dato che oggi in Sicilia Forza Italia semplicemente non esiste più.
Lontanissimi i tempi in cui il partito fondato da Marcello Dell’Utri faceva man bassa di preferenze a qualsiasi tornata elettorale.
Finito in archivio è anche il “cappotto” del 2001, quando il Polo delle Libertà conquistò tutti i 61 seggi siciliani alle politiche: oggi, invece, Forza Italia non riesce neanche a presentare le liste per le elezioni amministrative.
Nei 53 comuni siciliani che andranno al voto il 31 maggio, soltanto in due casi il partito azzurro è riuscito ad inserire nelle schede elettorali il proprio simbolo: a Gela, in provincia di Caltanissetta, e a Milazzo, nel messinese.
“Siamo l’unica grande città siciliana a presentare il simbolo di Forza Italia”, gongola il vice coordinatore siciliano del partito azzurro Michele Mancuso, tradendo un entusiasmo eccessivo: come dire che oggi per i forzisti è già un successo riuscire a presentare la propria lista per le comunali.
Nella città per anni amministrata dal governatore Rosario Crocetta, i berlusconiani sostengono la candidatura di Gioacchino Pellitteri, e sfidano il sindaco uscente, il democratico Angelo Fasulo.
A Milazzo i forzisti sono riusciti a raccogliere le firme per sostenere la candidatura di Lorenzo Italiano: nel resto dei casi, invece, il simbolo degli azzurri non comparirà in nessuno degli altri 51 comuni chiamati alle urne.
Nei soli due capoluoghi di provincia che andranno al voto in Sicilia, Forza Italia è perfino scomparsa dal radar delle alleanze politiche.
A Enna, feudo elettorale di Mirello Crisafulli che si candida sindaco senza il simbolo del Pd (ma con quello identico di Enna Democratica), il partito di Berlusconi non è mai esistito, mentre ad Agrigento il simbolo di Forza Italia è scomparso per la prima volta dalle schede elettorali.
In compenso è spuntata una lista civetta, battezzata “Forza Silvio”: ammiccamento voluto che però non si riferisce all’ex premier, ma a Silvio Alessi, il candidato sindaco del movimento Patto per il Territorio, fondato dal deputato forzista Riccardo Gallo. Altre liste “camuffate” ma senza il simbolo ufficiale si possono trovare a Barcellona Pozzo di Gotto (con Forza Barcellona che sostiene il candidato Roberto Matera), ad Augusta (con Lista Azzurra in sostegno dell’aspirante sindaco Domenico Morello) e a Licata (dove il candidato Angelo Cambiano ha presentato la lista Forza Azzurri). Esultano a metà , invece, i berlusconiani di Tremestieri Etneo, in provincia di Catania: il candidato Sebastiano Caruso non potrà fregiarsi del simbolo di Forza Italia, accontentandosi della lista Azzurri per Tremestieri, in compenso però anche il Pd non ha presentato il proprio simbolo a causa di una svista burocratica.
“Forza Italia eleggerà almeno 100 nuovi amministratori in questa tornata elettorale”, annunciava il coordinatore degli azzurri in Sicilia, Vincenzo Gibiino: una promessa che a tre settimane dal voto sembra difficile da mantenere.
E se Forza Italia scompare, in Sicilia per la prima volta si moltiplicano i candidati di Matteo Salvini (anche se il segretario della Lega è stato accolto in Sicilia da una sfilza di contestazioni, l’ultima la sera del 12 maggio a Marsala).
Nei mesi scorsi il deputato della Lega Nord Angelo Attaguile aveva lanciato la lista Noi con Salvini, stampella meridionale del Carroccio, che oggi è riuscita a presentare un candidato sindaco nei principali centri della Sicilia.
Da Milazzo, a Marsala, passando per Villabate, Gela, Bronte Pedara sono parecchi i siciliani che si sono scoperti seguaci di Alberto da Giussano: perfino ad Agrigento sono spuntati come funghi i supporter di Marco Marcolin, deputato veneto del Carroccio, desideroso di fare il sindaco nella città dove ha trascorso le vacanze negli anni scorsi.
Dopo la quasi estinzione di Forza Italia, i bookmaker scommettono su una crescita esponenziale dei Leghisti di Sicilia: una situazione paradossale, come nella migliore tradizione dell’isola laboratorio politico permanente.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
CHE LASCIA DEBITI E INFRASTRUTTURE ABBANDONATE
“Un folle collage di tende ondulate, di pareti verdi e di massi contorti”.
Non potrebbe essere più duro il commento del quotidiano inglese The Guardian sull’Esposizione Universale di Milano inaugurata il 1 maggio scorso.
Secondo Oliver Wainwright, critico di architettura e design, Expo 2015 non fa che confermare dubbi consolidati sul senso e sul destino di una manifestazione tanto mediatica quanto imperfetta.
Più di 100 ettari di terreno nell’interland milanese e 145 Paesi chiamati a interpretare il tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.
Eppure Expo divide più che unire.
Questo si sostiene, prima di tutto, nell’articolo del Guardian: mentre partecipanti e sponsor erano impegnati a farsi notare nel giorno dell’inaugurazione, “migliaia di manifestanti occupavano le strade e alcuni gruppi violenti distruggevano le vetrine e bruciavano macchine parcheggiate”.
Wainwright mostra, poi, forti perplessità sotto il profilo finanziario.
Expo 2015, scrive, “è afflitta, appestata dal problema dei budget in continuo aumento”.
Solo per i costi di costruzione delle nuove reti di trasporto (che collegano la città all’area dell’Esposizione, collocata a 10 chilometri di distanza), si tocca oggi quota 13 miliardi di euro.
E sui costi, afferma Wainwright, un ruolo determinante giocano i continui ritardi nei lavori: “Un milione di euro è stato speso per costruire strutture destinate a nascondere i padiglioni ancora incompleti”.
Qualche parola tagliente anche sulla corruzione e il malaffare, sugli scandali paralleli all’evento. “Anche se è stata sponsorizzata come il modello di un’Italia ripulita, post-berlusconiana, Expo è in realtà segnata dalle accuse di corruzione “.
La critica prosegue soffermandosi sugli spazi visitabili.
“È ben difficile non vedere il sito come una gestione errata delle risorse. I contenuti sono tanto insulsi quanto è stravagante l’architettura”.
Una stroncatura pesante, non c’è che dire: secondo Wainwright, “molti padiglioni appaiono un ibrido tra tipiche pubblicità di supermercato e certe fiere per agenti di viaggio”.
A sostegno della tesi viene portata una voce autorevole, quella di Stefano Boeri. L’architetto e urbanista, inizialmente incaricato per il coordinamento del piano, fu rimosso nel 2011 a seguito di ampie polemiche sul progetto.
Ora dichiara al quotidiano britannico di aver confidato a lungo nell’opportunità di “fare qualcosa di radicalmente diverso”, qualcosa di buono per la città . Ma di non aver potuto arrivare fino in fondo.
Eppure lo staff, racconta ancora l’architetto al Guardian, era stato selezionato accuratamente per non fallire.
Nomi eccellenti, dagli svizzeri Herzog & de Meuron all’inglese Ricky Burdett, dall’americano William McDonough fino allo spagnolo Joan Busquets.
“Sarebbe stato ben difficile immaginare un gruppo di esperti migliore di questo, così orientato all’eredità futura di Expo”.
L’eredità dell’Esposizione Universale è, in effetti, il punto decisivo, il nodo della questione cui Oliver Wainwright vuole arrivare.
Nelle intenzioni di Stefano Boeri e dello staff originariamente incaricato, Expo avrebbe dovuto puntare al contenuto, non perdersi nella seduzione delle forme.
“Fui molto colpito quando visitai l’Expo di Shangai (del 2010, ndr)”, spiega a questo proposito al Guardian Jacques Herzog, uno degli architetti al lavoro con Boeri.
“Lì, si veniva a tal punto accecati dall’enorme quantità di design che, una volta finita la visita, si dimenticava l’intera esibizione. A Milano, invece, volevamo focalizzarci sul contenuto, fare del sito un laboratorio utile alla città , che non lasciasse sulla strada il solito deserto di rovine”.
Un progetto ambizioso, quello del team di Stefano Boeri, ma anche innovativo.
Forse troppo. Questo sostiene Wainwright.
E non si riferisce soltanto alle idee alla base del progetto, ma anche alla scelta di ricostruire una Milano di epoca romana. Partire da un Cardo e un Decumano e da lì proiettare gli spazi verso l’esterno, con tante strade laterali ma nessuna gerarchia, significava, spiega il Guardian, assegnare la stessa importanza ai Paesi ricchi e a quelli poveri.
Significava anche offrire a Milano qualcosa da tenersi stretto al termine dell’Esposizione. “Le tende se ne sarebbero andate, ma le infrastrutture sottostanti sarebbero rimaste”, spiega ancora l’inglese Burdett.
Queste, per il Guardian, le intenzioni iniziali. Ma la realtà si sarebbe rivelata ben diversa.
Colpa, si afferma, anche del Bureau of International Expositions (Bie), l’agenzia che dal 1928 è responsabile del coordinamento delle Esposizioni Universali e che presterebbe da sempre scarsa attenzione al futuro delle città assegnatarie dell’evento.
Nessuno nega il fascino intrinseco di Expo che, tra il palazzo-fortezza del Qatar, il soffitto ricoperto di specchi dell’Iran e infiniti altri progetti accattivanti, lascia a bocca aperta.
Ma è davvero sufficiente, si chiede Wainwright, stupirsi di fronte alla stravaganza delle architetture?
La risposta del Guardian è negativa. “A un certo punto si viene bruscamente svegliati, si esce dal proprio sogno kitsch e ci si ricorda che cosa resterà e a che prezzo è stato realizzato”.
I terreni agricoli hanno lasciato il posto al progetto di una “garden city” permanente, ma quel progetto è fallito e a rimanere è solo una lastra di calcestruzzo.
Naufragato anche il piano di riapertura delle vie d’acqua di Milano.
A lavori avviati, spiega ancora Wainwright, ci si è resi conto che la pressione dell’acqua non sarebbe mai stata tanto intensa da poter raggiungere i campi coltivati.
E, come se non bastasse, secondo il Guardian sarà davvero complicato trovare un acquirente dell’area al termine dell’Esposizione.
Il tentativo tocca alla società proprietaria del terreno, Arexpo, partecipata, tra gli altri, dal Comune di Milano e dalla Regione Lombardia.
Ma c’è un dettaglio a complicare l’operazione: Arexpo sconta lo svantaggio di partenza di aver acquistato quei terreni a un prezzo fuori mercato. Precisamente a 160 euro per metro quadro, a fronte degli 8-12 euro di mercato.
Al netto delle anomalie tutte italiane, il problema di fondo delle Esposizioni è uno e uno solo, conclude il Guardian: i benefici, quando ci sono, non valgono gli sforzi. Perchè Expo, per come è concepita, non può che esaurirsi in uno spreco di risorse, in una fonte inesauribile di debiti e, spesso, in una fabbrica di rovine permanenti.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
PARLA DI “ITALIA IN CREDITO SUGLI SBARCHI FUTURI”: UNA BALLA, SE NE ARRIVANO 170.000 GLI ALTRI 150.000 RESTANO A NOSTRO CARICO
Gianni Pittella, presidente del Pse al Parlamento di Strasburgo, rivendica il risultato raggiunto oggi a Bruxelles, l’approvazione dell’agenda europea sull’immigrazione che obbliga gli stati membri ad accogliere 20mila profughi (stima dell’Unhcr) presenti nei campi di Libano e Turchia secondo uno schema ben preciso di quote di redistribuzione. “E’ stata una delle nostre priorità fin dall’inizio — ci dice Pittella – ed il fatto che la commissione abbia recepito è un grandissimo risultato”.
Chiaro. Ma come si regolerà l’Europa sui futuri sbarchi? Ventimila migranti da accogliere sono una stima irrisoria rispetto all’emergenza che ogni giorno si manifesta sulle coste libiche, in prevalenza, e poi su quelle europee del Mediterraneo, a cominciare dalla Sicilia.
E’ chiaro che le misure previste devono far riferimento all’emergenza perchè questo è l’unico modo per attivare l’articolo 78.3 del trattato che consente al Consiglio europeo di approvare queste misure non all’unanimità . Se non attivi quell’articolo, in Consiglio europeo per decidere serve l’unanimità e non ci sarebbe mai, visto che Ungheria, Regno Unito e altri sicuramente metterebbero il veto. L’unica strada che la commissione aveva, era far riferimento all’emergenza: non si poteva aprire una breccia parlando del dopo, degli sbarchi futuri.
E quindi che succederà se con l’estate sulle coste siciliane arriveranno migliaia di profughi in fuga da situazioni di fame e guerra come quella della Libia e l’Africa subsahariana ?
Una volta approvate queste misure, con il consiglio europeo di giugno, ci sarà la base per il futuro. Ma oggi per la prima volta si assume il principio della dislocazione dei richiedenti asilo, dopo aver accertato la loro identità , in tutti i paesi europei secondo un principio di equilibrio che finora non c’era.
Nel documento approvato oggi si specifica che verrà tenuto conto della posizione di Irlanda, Danimarca e Gran Bretagna. Ma questi non sono gli unici paesi contrari, ci sono anche quelli dell’est Europa.
Il motivo sta nel fatto che Irlanda, Danimarca e Gran Bretagna possono usare la cosiddetta clausola dell’opting out, cioè potrebbero chiamarsi fuori dall’accordo di oggi. Ma torno a ribadire: oggi è stato varato un pacchetto di misure mai varato prima in termini così innovativi, superando di fatto il regolamento di Dublino e per giunta per quote obbligatorie e non volontaristiche di accoglienza. Si è scelto l’articolo 78.3 perchè il Consiglio europeo a giugno possa approvare queste misure al 90 per cento.
Dunque gli Stati contrari non hanno ‘armi’ per controbattere
Devono superare il 35 per cento del Consiglio per poter impedire l’approvazione di queste misure. Se non ci sono imprevisti, il numero di paesi che saranno favorevoli a questa agenda saranno superiori al 65 per cento del Consiglio.
L’Italia è in credito verso gli altri paesi, in quanto a numero di profughi effettivamente accolti. Significa che siamo esonerati dall’accoglienza in caso di futuri sbarchi?
Se ci saranno nuovi sbarchi, non possiamo respingere, dobbiamo accogliere ma non possiamo tenerli qui perchè siamo in credito verso gli altri Stati (e questo è falso, visto che la Ue risponde solo per i primi 20.000 profughi, non per gli altri …n.d.r.)
Quanto alle operazioni anti-scafisti, aspettiamo l’Onu ?
Sì, ma vorrei fosse chiaro che la Mogherini non è andata all’Onu a chiedere l’apertura di una guerra, bensì l’autorizzazione di una missione di polizia e di contrasto agli scafisti e schiavisti con mezzi che non necessariamente devono essere militari. Poi ci vuole l’accordo on le autorità locali in Libia per sgominare le bande di trafficanti.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
MEDIASET LICENZIA IL GIORNALISTA… CASO STRANO A COMMENTARE A QUINTA COLONNA IL SERVIZIO C’ERA SALVINI
Un uomo si è spacciato per “rom truffatore” ed “estremista musulmano” in due servizi andati in onda su Rete 4.
A scoprire il testimone impostore è stato il programma “Striscia la notizia” e oggi Mediaset ha annunciato il licenziamento del giornalista Fulvio Benelli che ha registrato le due interviste andate in onda rispettivamente a Quinta colonna il 27 aprile 2015 e a Dalla vostra parte il 3 aprile.
Nei giorni scorsi invece il programma di Antonio Ricci aveva deciso di sospendere gli ex inviati Fabio e Mingo ora indagati dalla Procura di Bari per simulazione di reato.
“Da oggi abbiamo interrotto ogni rapporto professionale con Benelli”, hanno annunciato Claudio Brachino, direttore Videonews, e Mario Giordano, direttore Tg4, responsabili dei due programmi.
“Valuteremo le opportune iniziative legali nei confronti del giornalista Fulvio Benelli — spiegano Brachino, direttore di Videonews e responsabile di Quinta colonna, e Giordano, direttore del Tg4 e responsabile di Dalla vostra parte — responsabile dei due servizi ‘Truffatore rom: così rubo le macchine agli italiani’ e ‘Sono d’accordo se fanno lo sterminio’.
Come denunciato da Striscia la notizia il soggetto intervistato è la stessa persona che ha ‘interpretato’ il ruolo di truffatore rom e di estremista musulmano senza essere nè l’uno nè l’altro”.
“Con questi servizi — sottolineano Brachino e Giordano — Benelli ha ingannato la buona fede delle nostre testate, rischiando di recare un grave danno al lavoro sempre corretto e professionale della redazione e dei colleghi. La nostra credibilità nell’approfondire fatti e notizie è nota al pubblico, che non a caso sta attribuendo grande successo a entrambi i programmi. E per fortuna esistono gli anticorpi per individuare ed espellere chi, a questa credibilità , attenta in qualsiasi modo”.
Peccato che nella nota non si faccia cenno che non si trattava di un semplice tarocco su un fatto privo di valenza politica, ma di due servizi con riflessi sociali e razziali che avevano lo scopo di indurre a forme di intolleranza.
Non a caso, a commentare in studio il servizio, era stato invitato guarda caso il beneficiario del clima di intolleranza creato dall’intevista taroccata, ovvero l’onnipresente Matteo Salvini.
Sicuramente una casualità .
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
IERI SERA TRECENTO CITTADINI CONTESTANO IL LEGHISTA CHE RESTA BLINDATO IN AUTO E POI RINUNCIA AL COMIZIO
Duramente contestato da circa trecento persone, nella tarda serata di ieri, a Marsala, il leader della Lega Nord Matteo Salvini non è neppure potuto scendere dall’auto.
In largo Zerilli, avrebbe dovuto tenere un comizio per sponsorizzare la candidatura a sindaco della città di Vito Armato (“Noi con Salvini”), ma le forze dell’ordine, in assetto antisommossa, hanno ritenuto che non c’erano le condizioni di sicurezza per far passare tra il pubblico presente in strada il segretario della Lega.
Contestatori e curiosi si erano già radunati intorno alle 20 (il comizio era previsto alle 21.30, ma Salvini è arrivato con due ore di ritardo).
I contestatori si sono presentati con striscioni, fischietti e orecchie d’asino fatte di carte.
La manifestazione è cominciata in maniera pacifica, con cori contro Salvini e la Lega. La piazzetta si è poi riempita verso le 22.30 e la polizia ha formato un cordone di sicurezza.
All’arrivo di Salvini una ragazza è riuscita sfuggire ai controlli e ha sferrato un calcio contro l’auto del leghista.
Allora il corteo di auto blu e polizia si è allontanato, spostandosi verso il porto, in attesa di disposizioni.
Alla fine si è deciso di non tenere il comizio.
Anche ieri Salvini è costato migliaia di euro ai contribuenti per l’imponente scorta operata dalla polizia italiana. in difesa del clandestino padagno.
argomento: LegaNord | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
DAL TRENTINO ALLA SICILIA SONO GIA’ TRENTACINQUE I PARLAMENTARI SCHIERATI CON FITTO
Un’associazione politica, “Oltre” uno dei nomi ipotizzati, che verrà presentata a Roma nei prossimi giorni e alla quale per il momento aderiranno 30/35 parlamentari (20 a Montecitorio e i restanti a Palazzo Madama) di dichiarata fede fittiana.
Una crepa che si apre all’interno di Forza Italia per mano dell’ex governatore della Puglia e che potrebbe allargarsi in caso di disfatta alle Regionali di fine maggio. “Almeno per ora sarà qualcosa più di una corrente ma meno di un partito”, spiega a ilfattoquotidiano.it uno dei fedelissimi di Raffaele Fitto.
Il quale, alla luce dei disastrosi risultati raccolti dal partito lo scorso fine settimana a Trento (4,2%) e Bolzano (3,6%), è pronto a lanciare l’offensiva definitiva per la costruzione di un centrodestra alternativo a quello di Silvio Berlusconi.
Una creatura ispirata non al partito repubblicano americano, come ipotizzato dall’ex Cavaliere, ma a quello conservatore di David Cameron, fresco vincitore delle elezioni in Regno Unito.
CIAO SILVIO
Un modello, quello pensato dall’uomo di Arcore, che non piace per niente a Maurizio Bianconi. Uno che dal partito se ne sarebbe già andato da un pezzo. “Berlusconi ha parlato di un comitato elettorale aperto, cioè ‘decido io, faccio come mi pare e se non sei d’accordo vai fuori’”, spiega il deputato toscano.
Di fatto “si cambia il nome della confezione ma il contenuto rimane uguale, uno scenario che piace tanto a Renzi”.
Il numero uno di Forza Italia, aggiunge ancora l’ex tesoriere del Popolo della Libertà (Pdl), “ha dilapidato undici milioni di voti prima affidando la gestione dell’economia a Giulio Tremonti, poi appoggiando il devastante governo di Mario Monti ed entrando in quello guidato da Enrico Letta e infine stringendo il Patto del Nazareno con Matteo Renzi. Credo abbia battuto ogni record storico: gli sarei grato se si facesse da parte”. Bianconi è soltanto uno di quelli che sostengono Fitto.
Nella lista ci sono altri nomi di spicco di Forza Italia, come l’ex ministro Francesco Saverio Romano. Secondo il quale Forza Italia “o il partito del centrodestra che andremo a costruire” dovrà diventare un soggetto “scalabile” con le primarie. Insomma Romano, che ha dalla sua un gruppetto di parlamentari siciliani utili alla causa (Giuseppe Ruvolo, Antonio Scavone e Giuseppe Compagnone) non esclude, almeno a parole, la nascita di un nuovo partito.
Anche se per adesso la parola d’ordine è “cautela”.
TEST PUGLIA
Se ne riparlerà , stando a quanto fatto filtrare dal “cerchio magico” di Fitto, dopo le Regionali fissate per la fine del mese.
Decisivo, in particolar modo, sarà il test in Puglia, dove per sfidare Michele Emiliano (Pd) la componente che fa capo all’europarlamentare ha lanciato una propria lista (“Oltre con Fitto”) e un candidato alternativo ad Adriana Poli Bortone, appoggiata da Forza Italia e Lega Nord. Cioè Francesco Schittulli.
Il tutto dopo il commissariamento della costola pugliese del partito voluto a febbraio dallo stesso Berlusconi.
Non è un caso, dunque, che buona parte della pattuglia fittiana venga proprio da qui. Dalla sua parte ci sono infatti i senatori Luigi D’Ambrosio Lettieri, Luigi Perrone, Francesco Bruni, Vittorio Zizza, Pietro Liuzzi e Lucio Tarquinio, ma anche i deputati Nuccio Altieri, considerato uno degli uomini più vicini a Fitto, Gianfranco Chiarelli, Benedetto Fucci, Antonio Distaso, Nicola Ciriacì (che alla Camera ha preso proprio il posto di Fitto dopo la nomina di quest’ultimo al Parlamento europeo), Roberto Marti e Rocco Palese, che nel 2010 fu il candidato del Pdl alle elezioni pugliesi ma venne sconfitto da Nichi Vendola (Sel).
Dalla Toscana viene invece il deputato Guglielmo Picchi, già tre legislature alle spalle, forzista della prima ora, che nel 1993 — a soli vent’anni — fu tra i fondatori del partito nella sua Regione.
Dalla Basilicata arriva Cosimo Latronico, componente della commissione Bilancio di Montecitorio guidata da Daniele Capezzone, ex pupillo del leader radicale Marco Pannella poi passato con Berlusconi e altro appartenente sicuro al gruppo dei “ricostruttori”.
FRATELLI COLTELLI
Parla umbro Pietro Laffranco, classe 1970, alla seconda legislatura.
“Oggi dentro Forza Italia chi ha la capacità di rappresentare qualcosa viene messo ai margini”, dice senza giri di parole. E non si tratta solo di un problema pugliese, almeno stando ai suoi racconti.
“In Umbria — dice il deputato forzista — al consigliere regionale uscente Rocco Valentino è stato detto: ‘Siccome tu sei amico di Laffranco, che è amico di Fitto, non puoi candidarti con Forza Italia’. Roba da matti. La verità è che col Pdl abbiamo iniziato a scavare la tomba del centrodestra mentre col Patto del Nazareno è arrivato il colpo di grazia”.
Ma allora perchè non uscire dal partito? “Ne stiamo discutendo”, risponde Laffranco, “vedremo se l’associazione che lanceremo nei prossimi giorni potrà diventare un partito vero e proprio o un pezzo di una nuova formazione di centrodestra. Nel frattempo — conclude — sarebbe bello se Berlusconi contribuisse a creare un nuovo movimento lasciandogli poi una sua libertà d’azione”.
DALLE ALPI ALLA SICILIA
Quattro sono invece i campani al fianco di Fitto: Ciro Falanga, Antonio Milo, Eva Longo e Giuseppina Castiello, nata e cresciuta in Alleanza Nazionale (An) prima di aderire al Pdl e poi a Forza Italia dopo la scissione del novembre 2013.
A rappresentare la componente fittiana in Trentino Alto-Adige c’è invece Cinzia Bonfrisco, ma del gruppo fanno parte pure il siciliano Salvatore Tito Di Maggio (eletto nel 2013 nelle liste di Scelta Civica prima di traslocare nel gruppo Grandi Autonomie e Libertà ), l’abruzzese Fabrizio Di Stefano, anche lui con un passato in An, il vicecoordinatore regionale in Calabria Giuseppe “Pino” Galati e il bergamasco Lionello Marco Pagnoncelli.
Insomma, per dirla con un parlamentare di fede fittiana che chiede l’anonimato, “la vittoria di Cameron in Inghilterra può aiutare la formazione di un’aggregazione politica che il Partito popolare europeo non è più in grado di rappresentare: qui da noi, intanto, abbiamo bisogno di una forza che raccolga l’eredità del Pdl e di Forza Italia che sia a livello locale che in Parlamento rappresenti un’alternativa al Pd di Renzi”. Meglio se con Berlusconi fuori dai giochi.
Giorgio Velardi
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
QUESTO IL NUMERO DI PROFUGHI CHE VERRANNO PRELEVATI PREVALENTEMENTE DAI CAMPI IN LIBANO E TURCHIA… ACCORDO UE: A GERMANIA E FRANCIA LE MAGGIORI QUOTE, ALL’ITALIA IL 9,94%… MA SU QUELLI CHE GIA’ SONO IN ITALIA E SU QUELLI CHE ARRIVERANNO TUTTO TACE
Spetteranno a Germania, Francia e Italia le maggiori quote di migranti da accogliere secondo l’agenda europea approvata questa mattina dalla Commissione Ue.
Come si evince dalle tabelle stabilite a Bruxelles, la Germania dovrà accogliere il 15,43 per cento dei profughi, per un totale di 3.086 persone.
Alla Francia spetta l’11,87 per cento, 2.375 richiedenti asilo.
L’Italia è terza tra gli stati membri, con il 9,94 per cento: 1.989 profughi.
Sono quote calcolate in base ai criteri individuati dalla commissione: pil, popolazione, tasso di disoccupazione e media di richiedenti asilo e profughi effettivamente accolti per ogni milione di abitanti nel periodo dal 2010 al 2014.
Ma l’agenda approvata dalla commissione calcola un totale di 20 mila migranti da accogliere: un numero irrisorio, se si calcola che l’anno scorso gli arrivi in Ue hanno lambito quota 300mila.
Il documento approvato dalla Commissione, che si impegna ad emettere una “raccomandazione” per l’applicazione dello schema di accoglienza in ogni singolo Stato membro, tiene conto delle divergenze con Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, estremamente contrarie all’agenda.
Se ne tiene conto nella tabella sulle quote di accoglienza, dove i tre Stati in questione sono indicati in corsivo, per tenere conto delle loro ‘specificità ‘.
“L’Italia sarà esonerata” dal dover accogliere quote di nuovi profughi”. Lo afferma Federica Mogherini, intendendo che il nostro Paese ha già superato la quota prevista dagli schemi di redistribuzione presentati oggi dalla Commissione.
Mogherini si riferisce in teoria ai richiedenti asilo già presenti in Italia e non alle quote di profughi che saranno accolti dall’Europa direttamente dai campi su segnalazione dell’Unhcr.
Una dichiarazione che sembra più a uso interno perchè se la quota di 20.000 da ripartire si riferisce principalmente a profughi attualmente in Libano e Turchia (l’Italia dovrà accoglierne 2.000) nulla si dice su quelli già arrivati in Italia e soprattutto su quelli che arriveranno e che rimarranno a carico del nostro Paese.
Salvo che non ci illuda che non ne arrivino più.
Se il tetto è appena di 20.000. inutile dire che l’Italia dovrà accoglierne solo 2000: se ne arrivano 170.000 me restano 150.000 a nostro carico in ogni caso.
argomento: governo | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
PROCESSO DISCARICA BUSSI: “NON CONDANNIAMOLI, POSSONO PORTARCI VIA QUALSIASI COSA”… “NON ABBIAMO NEPPURE LETTO GLI ATTI”
“No non ero serena”. Gli occhi sono lucidi. “Non ero serena quando ho emesso la sentenza per la discarica di Bussi”.
La signora si tortura le mani. “Capivo l’importanza di questa sentenza, sono stata sorteggiata, ho preso tutto molto seriamente, certo con i miei limiti, con le mie conoscenze giuridiche, ma io in questa sentenza, soprattutto nelle sue motivazioni, proprio non mi riconosco”.
“Neanche io ero serena”, dice l’altra signora, “ma le dico di più: non abbiamo mai letto gli atti del processo”.
Quei 25 ettari inquinati dalla vecchia fabbrica
Sebbene il processo non riguardi imputazioni di omicidio — ed è bene sottolinearlo — è anche vero che molta gente continua a chiedersi se la morte dei propri cari abbia mai avuto un nesso con i 25 ettari inquinati dalla vecchia Montedison.
È il caso, per esempio, di Nadia Tronca che è rimasta vedova nel 2005, quando suo marito è morto per una nefropatia da piombo.
La signora Tronca ha pubblicamente chiesto, con delle dichiarazioni al quotidiano abruzzese Il Centro, di capire se vi sia stato un nesso tra la morte del marito, che per 18 anni ha lavorato alla Siac, nello stabilimento di Bussi, e l’inquinamento delle falde acquifere.
“Il posto di lavoro non era buono: questo mi diceva mio marito. E l’inquinamento in questa zona non è una scoperta e sì, la gente ha paura, perchè non sa che cos’è accaduto con certezza, non sa perchè alcune persone sono morte giovani”.
Anche per questo, rispetto all’immaginario che ruota intorno a un processo e a una sentenza, sebbene non vi fossero imputazioni per omicidio, l’idea che i giudici popolari non abbiano letto neanche gli atti, stride davvero parecchio.
“Sembrava potessimo vedere le carte ma poi non se n’è fatto più niente”
“Mai letti”, ribadisce la prima, “ci abbiamo provato, li abbiamo chiesti, in un’occasione sembrava potessimo vederli, ma poi non se n’è fatto più niente… Nessuno ce l’ha negato, ma alla fine, questi atti, non li abbiamo mai letti”.
Le due signore — che chiedono di mantenere l’anonimato — sono tra le sei giudici della corte d’Assise che, il 19 dicembre scorso, hanno emesso la sentenza sulla mega-discarica di Bussi e i veleni della Montedison.
Quel pomeriggio di dicembre, i 19 imputati furono assolti dal reato di avvelenamento delle acque mentre, per il disastro ambientale, la Corte derubricò il capo d’imputazione in disastro colposo.
Nessuna pena anche in questo caso: era sopraggiunta la prescrizione.
Dopo cinque ore di camera di consiglio, il presidente della corte d’Assise, Camillo Romandini, legge un dispositivo di sei righe.
I pm — Belleli e Mantini — avevano chiesto condanne, per gli ex dirigenti e tecnici di Montedison, che andavano dai 12 ai 4 anni.
Il Fatto Quotidiano è riuscito a ricostruire, parlando con i giudici popolari, quel che accadde il 19 dicembre e nei giorni precedenti.
“Siamo disposte a confermare tutto dinanzi ai giudici — rivelano le donne — se un magistrato ci chiama racconteremo la nostra verità ”.
Secondo la loro versione, innanzitutto, i giudici popolari non hanno letto un solo atto del processo. “Ci siamo rifatte alle slide viste in udienza e alle parole sentite in aula”.
Ma c’è di più.
La discussione tra vacanze e viaggi
La sentenza fu emessa alle 17 e le cronache raccontano di una seduta durata circa cinque ore. “In realtà — ci spiegano — appena ci siamo riuniti abbiamo ordinato il pranzo. Dopo aver pranzato abbiamo iniziato a discutere del più e del meno, di vacanze e viaggi, finchè, dopo un bel po’ di tempo, abbiamo iniziato ad affrontare la decisione”.
“Abbiamo aspettato che arrivassero le cinque, ma della sentenza non abbiamo discusso tutto il tempo”, conferma un’altra giudice.
Le cronache raccontano anche che la decisione è stata presa all’unanimità . “Nella sostanza è andata così — dicono entrambe — ma in realtà noi eravamo su un’altra posizione. Non avremmo voluto derubricare il dolo in colpa. Eravamo in linea con la posizione dell’avvocatura dello Stato: eravamo in quattro giudici popolari su quella posizione. E io sono tuttora convinta che vi sia stata la consapevolezza di inquinare”. Avete votato contro?
“No — ci rispondono — perchè non v’è stato alcun voto. Nessuno ci ha chiesto di votare individualmente. La seduta s’è conclusa con la domanda: ‘Siamo tutti d’accordo?’. Nessuna di noi ha più obiettato. Avevamo capito che la prescrizione sarebbe intervenuta. Ma non abbiamo più replicato. Ed è finita così”.
Il punto, però, è che le giudici sostengono di non essere state serene nel loro giudizio.
E che proprio quest’assenza di serenità è il motivo che le ha spinte a non opporsi più di tanto alla derubricazione da dolo in colpa.
Per capirlo — stando sempre alla loro versione — bisogna fare un salto indietro di tre giorni.
A tavola l’avvertimento del rischio grosso
Il 16 dicembre, alcune delle sei giudici popolari, cenano insieme con il presidente della Corte d’Assise, Camillo Romandini, e il giudice a latere, Paolo di Geronimo, in un locale pubblico di Pescara.
È un incontro conviviale, a poche ore dalla sentenza e, nell’occasione, tra una portata e l’altra, si discute del processo. “Durante la cena dico: per me il dolo c’è — racconta una delle giudici — e non ero l’unica”.
“A quella cena c’ero anche io — conferma un’altra giudice — e anche io sostenevo che, per me, il dolo c’era”.
“Noi la cena l’abbiamo organizzata proprio perchè volevamo discutere del dolo — aggiunge l’altra — anche perchè non eravamo riusciti a leggere nessun atto…”.
“In realtà ci era stato già spiegato che non potevamo condannare per dolo… — continua l’altra — volevamo però capire perchè il dolo non c’era…”. E qui arriva il punto più controverso della ricostruzione.
“Il giudice Romandini ci ha spiegato che, se avessimo condannato per dolo, se poi si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmente, chiedendoci i danni, e avremmo rischiato di perdere tutto quello che abbiamo…”.
La norma sulla “rivalsa” per i giudici popolari, in realtà , prevede una fattispecie ben precisa: “Rispondono soltanto in caso di dolo” oppure di “negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove”.
E sia l’accusa, sia l’avvocatura dello Stato, contemplavano il dolo di alcuni imputati nel processo.
Abbastanza difficile, insomma, che la resposnabilità ricadesse sui giudici popolari. Eppure così è andato — in base alle ricostruzioni raccolte da Il Fatto Quotidiano — il processo alla mega discarica di Bussi.
Il risultato è noto. In base alla sentenza, gli assolti, il disastro ambientale l’hanno causato, sì, ma senza averne intenzione. E nel frattempo è arrivata la prescrizione.
L’acqua sarà pure stata contaminata, come dimostrano le analisi dell’istituto superiore della Sanità , ma loro non l’hanno mai avvelenata.
L’accusa, sostenuta dai pm Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli, viene sconfitta.
Idem l’avvocatura dello Stato, rappresentato da Cristina Gerardis, che in aula, durante il processo, aveva pronunciato parole durissime.
I pm sostengono che alcuni imputati sapevano che l’acquedotto Giardino, a partire dal 1992, fosse stato inquinato. E l’acquedotto riforniva acqua a un bacino di 700mila persone in tutta la Val Pescara.
E ancora: nel processo vengono depositati documenti sul mercurio ritrovato nel 1972 nei pesci e nei capelli dei pescatori del porto di Pescara.
E le dichiarazioni di una dirigente dell’Arpa, messe a verbale dal comandante della Guardia forestale, Guido Conti: “… è stata accertata la presenza di sostanze potenzialmente a rischio per la salute umana… Sarebbe stato necessario vietare l’erogazione e la distribuzione delle stesse acque…”.
Il processo si chiude con l’assoluzione e la prescrizione. La difesa può esultare. Inclusa Paola Severino, che difende Mauro Molinari, geologo e consulente della Montedison. “Non è con i processi penali che si ottengono i risultati in tema di ambiente, non basta trovare il capro espiatorio”, aveva dichiarato Severino davanti ai giornalisti, aggiungendo che la responsabilità delle bonifiche deve essere estesa allo Stato.
Poche ore dopo, la linea Severino — e degli altri difensori — ha convinto la corte d’Assise presieduta dal giudice Camillo Romandini. Giudice subentrato a Geremia Spiniello, che fino a pochi mesi prima ha presieduto la corte, salvo essere ricusato.
Il motivo: aveva osato dichiarare, in un’intervista, che la Corte avrebbe “reso giustizia al territorio”. Un’affermazione che, secondo i difensori, preordinava un giudizio di colpevolezza.
Dopo questa dichiarazione — “renderemo giustizia al territorio” — Spiniello è costretto ad abbandonare il processo e a lasciare il suo posto a Romandini.
“Si assumano le responsabilità di ciò che affermano”
“Non posso commentare le dichiarazioni dei giudici popolari — commenta Romandini al Fatto — che si assumono la responsabilità di ciò che dicono. Non posso commentare perchè sono tenuto alla segretezza di quanto accaduto in camera di consiglio”. I giudici hanno potuto leggere gli atti? “Sono stati messi nelle condizioni di poter decidere. E nella massima correttezza e trasparenza”. E sulla cena, sulla possibilità che dovessero risarcire i danni, per una eventuale condanna con dolo ribaltata in appello?
“Non posso riferire nulla che riguardi le nostre discussioni in camera di consiglio”.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 13th, 2015 Riccardo Fucile
“SONO STATA ELETTA DAGLI ELETTORI, NON DAGLI APPARATI”
Barbara Spinelli, la sua decisione di lasciare la lista in cui era stata eletta all’europarlamento, “L’Altra Europa con Tsipras”, ha scatenato le polemiche. Il coordinatore di Sel, Fratoianni, la accusa di essere incoerente, rimproverandole di aver voluto tenere il seggio proprio per garantire la tenuta di quel progetto di cui oggi dichiara il fallimento. E sui social network c’è addirittura chi la accusa di tradimento. Come risponde?
«Io non trovo che ci siano nè incoerenza nè tradimento. Il motivo per cui, da tempo ormai, ho preso le distanze da “L’Altra Europa” è che secondo me è stata la lista ad abbandonare il progetto originario, che era quello di creare un insieme di forze della sinistra molto costruito dal basso, basato sull’associazionismo, sulla società civile. E soprattutto non dominato dai vecchi partiti della sinistra radicale. In questo anno e mezzo, piano piano ho avuto invece l’impressione di un predominio dei piccoli partiti che avevano promesso di sciogliersi ma non si sciolgono mai».
Cosa è successo? Siete in tre, a Strasburgo: non andavate più d’accordo?
«Gli altri deputati de “L’Altra Europa” sono al tempo stesso in un partito: Curzio Maltese, sia pure come indipendente, è entrato nel comitato direttivo di Sel, Eleonora Forenza è nella segreteria di Rifondazione. Io ero espressione solo della Lista, ma nel frattempo “L’Altra Europa” è stata monopolizzata da Sel e Rifondazione. Nell’assemblea del 18 aprile è stata resa nota una lettera aperta di buona parte dei militanti, firmata anche da me, che si sono dissociati e sono praticamente usciti da “L’Altra Europa”. Tra questi: Luciano Gallino e Guido Viale».
Provo a mettermi nella testa di un elettore di sinistra, che forse si starà chiedendo: ma come, in Grecia ha vinto Tsipras, in Spagna il consenso di Podemos cresce, e in Italia la sinistra frana?
«Non si può dire che sia solo colpa della nostra lista se in Italia non c’è Tsipras nè Podemos. Sicuramente c’è un difetto: “L’Altra Europa” si è rivelata un’aggregazione di mini-partiti, non è riuscita a rappresentare strati più ampi della società . Però in Italia c’è anche il Movimento 5 Stelle, che prende una gran parte dell’elettorato antigovernativo di sinistra».
Lei considera di sinistra il Movimento 5 Stelle?
«Nel Movimento 5 Stelle ci sono molte componenti. Una è senz’altro quella che fa importanti battaglie sociali che sono tradizionali della sinistra. La battaglia che stanno facendo i Cinquestelle sul reddito di cittadinanza è una battaglia che secondo me avrebbe dovuto fare “L’Altra Europa”. Ma non l’ha fatta. Quando al Parlamento europeo il M5S ha fatto un’iniziativa sul reddito minimo, ho aderito».
Lei crede che ormai la sinistra fuori dal Pd sia condannata alla frammentazione?
«Non necessariamente. Io sono favorevole all’idea di Landini di una “coalizione sociale”. È un progetto ancora timido, che deve strutturarsi, ma proprio la sua nascita segnala che l’esperienza della lista Tsipras è ormai superata. Sicuramente bisogna pensare a qualcosa che non sia un partito classico. Prima che Syriza diventasse un partito sono passati anni. Podemos non è un partito. Il M5S non è un partito. Il peso degli apparati deve ridursi al minimo, e lasciare spazio ai movimenti, alla società ».
Ha letto i commenti su Facebook? Molti le chiedono: ma se hai lasciato la lista, perchè non ti dimetti da europarlamentare?
«Perchè in Europa continuo a battermi per le idee che ho difeso in campagna elettorale, per il programma che ho in parte scritto. Sono stata eletta dagli elettori, non dagli apparati ».
Sotto quale bandiera? Ha detto che non intende fondare un altro partitino.
«L’Italia ha una nobile tradizione di indipendenti, soprattutto in Europa. Molti eurodeputati, tra cui mio padre, sono stati indipendenti di sinistra. O lo sono, come Sergio Cofferati. Lo sarò anch’io».
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica”)
argomento: elezioni | Commenta »