Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
E’ TESTA A TESTA TRA LA PAITA E ALICE SALVATORE, TOTI NON SFONDA
La preoccupazione di Renzi in queste ore di vigilia elettorale non è la Campania dove in fondo De Luca può vincere (e allora Renzi si intesterà la vittoria) o anche perdere (in questo caso addosserà la responsabilità alla Bindi e al mancato passo indietro del sindaco di Salerno), ma la Liguria della renziana doc Raffaella Paita.
Un segnale? Renzi avrebbe dovuto concludere la campagna elettorale in Liguria, ma alla luce degli ultimi sondaggi riservati a sue mani, ha preferito non metterci la faccia e ha mandato le tre ministre Pinotti, Boschi e Madia.
Perchè, secondo varie fonti, negli ultimi giorni la tendenza è cambiata: se prima era una lotta Paita-Toti, ora le cose stanno mutando per l’avanzata di Alice Salvatore, a seguito della quale Toti è ormai fuori gioco e la grillina è a un soffio da Raffaella.
Considerate che Renzi scalò la segreteria del Pd proprio in quanto l’unico capace di frenare l’avanza dei Cinquestelle: perdere la Liguria a vantaggio di Grillo sarebbe ancor peggio che essere sconfitti dal centrodestra.
Ma i segnali che arrivano dalla Liguria destano nel Pd molta preoccupazione: è notorio che la Paita non sia amata dalla base Pd (in provincia di Genova perse le primarie contro Cofferati), è considerata un prestanome di Burlando priva di carisma e la lista del civatiano Pastorino non a caso le ha portato via un 10-12% di voti della sinistra storica.
Fino a 15 giorni fa i sondaggi la davano intorno al 30%, appena due punti sopra Toti, con la Cinquestelle Salvatore al 24%.
Ma se Toti oltre quella percentuale non può andare, la Alice sì: i grillini in Liguria sfondarono in passato il muro del 30% e per vincere stavolta potrebbe bastare anche un 28-29%. Se qualcuno fosse perplesso ricordiamo che il televoto di Sky dopo il primo confronto a quattro ha visto a sorpresa stravincere proprio la Salvatore con il 37% di gradimento (molto staccati Toti e la Paita). Un segnale che è indicativo del trend in atto. Come si spiega? Con il fatto che Grillo è rimasto dietro le quinte e ha dato spazio a questa ragazza 32enne che “buca” il video, sa comunicare come nessun altro e ha grinta da vendere.
Potrà bastare per vincere? Molto dipemderà dalla percentuale di astenuti e dal voto disgiunto, ma la Paita ha il suo fiato sul collo, mentre Toti sta preparando le valigie per tornare all’Europarlamento e chiudere la sua presenza in Liguria.
Il centrodestra non sfonda e la provvidenziale candidatura di Musso con Liguria Libera ha azzoppato ogni velleità .
La presenza di Pastorino da una parte e di Musso dall’altra dovrebbero far comprendere alle coalizioni maggiori che si deve cambiare registro.
Altrimenti non resta che meravigliarsi di Alice e di un boom che terremoterebbe l’impero fondato da Burlando e Scajola.
argomento: Genova | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
SEMBRA LA CARFAGNA L’UNICA IN GRADO DI GUIDARE IL PARTITO DEL FUTURO
Se chiedi in Forza Italia chi sia l’erede di Silvio Berlusconi la risposta di rito è: «Nessuno».
Negli ultimi giorni la risposta è cambiata: «C’è solo uno che aspira a diventarlo. Anzi, una». La deputata che alla vigilia del voto sta percorrendo la sua regione, la Campania, incontri, comizi, conferenze stampa a ritmo indiavolato, chilometri macinati, come se fosse lei in gara per la presidenza e non il suo amico Stefano Caldoro.
Stringe mani, bacia militanti, promuove candidati al consiglio regionale: qualche sera fa un ingresso da star, la scalinata, gli applausi, i jingles della bella stagione berlusconiana, quando toccava a lei aprire le convention nazionali con il Presidente.
E invece era solo l’inaugurazione del comitato elettorale a Sala Consilina del candidato locale.
Pazienza, lei si è prestata all’evento per così dire minore con il consueto professionismo.
Mara Carfagna compirà quarant’anni alla fine del 2015, è quasi coetanea del premier Matteo Renzi, più giovane di due anni di Matteo Salvini.
Con i due Matteo di governo e di opposizione ha in comune un esordio in televisione, un presente da politica pura e un futuro da leader, forse.
In queste settimane il suo nome è tornato in testa alla lista dei sorvegliati speciali all’interno di Forza Italia.
È bastato che l’ex Cavaliere dichiarasse di vedere bene una donna come prossimo leader dei moderati per scatenare nel partito azzurro le fazioni contrapposte: i conservatori, che vogliono blindare l’attuale equilibrio fondato sull’eternità di Berlusconi e chi invece è terrorizzato dell’ascesa di Salvini e vorrebbe trovare una figura da contrapporre al capo della Lega.
Qualcosa di più della solita discussione sul dopo-Berlusconi, tema di attualità da almeno dieci anni, che in genere parte con le migliori intenzioni e si conclude con un nulla di fatto.
Perchè questa volta il partito che ha dominato il centro-destra per più di un ventennio è davvero a un passo dall’implosione post-elettorale, soprattutto se le cose dovessero andare male in Campania (con una sconfitta di Caldoro) e in Liguria (dove contro il Pd si è candidato il coordinatore nazionale forzista Giovanni Toti).
C’è il panico che trascina una parte dei parlamentari in direzione Renzi e un’altra a gravitare intorno al nuovo padrone della destra, Salvini.
Una barca senza rotta che aspetta un segnale di vita dal suo anziano condottiero.
Eppure, nei ragionamenti di Berlusconi degli ultimi giorni di segnali ce ne sono stati. Primo, l’Italicum ormai è legge, la riforma elettorale è una realtà , bisogna fare i conti. Divisi i partiti del centrodestra perdono, va trovato il modo di riunirli, come fece il presidente della Fininvest nel 1994 quando con la nuova legge elettorale (il Mattarellum) costruì un cartello che andava dalla Lega di Umberto Bossi ad An di Gianfranco Fini.
Secondo, il federatore non c’è, non esiste un personaggio come Berlusconi in grado di tenere insieme le anime del centro-destra e di convincere Salvini ad annegare il simbolo vincente della Lega dentro un listone dei moderati.
Serve qualcosa di più: un Renzi, o almeno qualcuno che conquisti la leadership come ha fatto il premier nel centrosinistra. «Renzi è spuntato sotto un cavolo», spiega l’ex premier, ma sa che il cavolo da cui è uscito il leader sono le primarie.
L’ultima volta che nel Pdl hanno provato a organizzarle era la fine del 2012 ed è stato un disastro.
Doveva correre Angelino Alfano, ancora numero due del partito, all’ultimo momento Berlusconi annunciò che si sarebbe ricandidato, fine della ricreazione, tutti i concorrenti si ritirarono in silenzio.
Questa volta, però, la macchina delle primarie potrebbe partire da Arcore, per imbrigliare Salvini e intrappolarlo nel campo del listone moderato.
«Servono primarie regolate per legge», teorizza Berlusconi. Ma la strada è segnata, perchè l’alternativa è che ogni formazione vada per la sua strada e si candidi per i fatti suoi. Un suicidio.
La Carfagna si è sintonizzata su questa lunghezza d’onda.
Si propone come un anti-Salvini nel centrodestra: meridionale e donna. Mai una parola invece sulle beghe interne di Forza Italia, perchè non si corre per conquistare la guida di un partito in via di smantellamento.
L’ex ministro deve far dimenticare agli occhi dei berlusconiani duri e puri la recente stagione in cui aveva affiancato Raffaele Fitto nella corrente dei lealisti, quelli che si erano rifiutati di seguire Alfano nell’Ncd ma che reclamavano un repulisti al vertice in Forza Italia.
Oggi Fitto è fuori, sta organizzando i suoi gruppi parlamentari, in Puglia si è messo in proprio e combatte voto su voto per superare lo schieramento fedele a Berlusconi.
Mara invece si è smarcata dal compagno di strada, «mi dispiace per la guerra fratricida scatenata da Raffaele», dice, ha giurato fedeltà a Berlusconi, è rimasta in Forza Italia, la sua campagna elettorale è da donna di partito all’antica: territorio, candidati e simbolo ben esposto nelle manifestazioni.
In nome dell’unità del centrodestra ha perfino fatto pace con Alessandra Mussolini con cui in altri tempi erano volate parole molto colorite.
In Parlamento non partecipa alla conta di molti colleghi, quelli che meditano di seguire Fitto e quelli che si stringono attorno a Denis Verdini.
È intervenuta in Parlamento sull’Italicum. Sulle unioni civili ha presentato un progetto di legge e già si parla di un tandem con la renziana Maria Elena Boschi.
Il riconoscimento delle coppie gay è una sua vecchia battaglia, in Forza Italia era in totale solitudine, ma ora anche Berlusconi sostiene una svolta all’irlandese per l’Italia. «Mara è bravissima, l’unica che si batte per i diritti civili», l’ha battezzata la donna più influente del cerchio magico berlusconiano, campana come la Carfagna, la compagna di Silvio Francesca Pascale. Quasi un’investitura.
Quando entrò per la prima volta in Parlamento, nel 2006, l’ex soubrette sembrava vivere una favola, nel 2008 a 33 anni diventò ministro glamour, gratificata dalle copertine dei settimanali di mezzo mondo e da numerose maldicenze.
Da allora in poi la fiaba è finita, la Carfagna ha dovuto attrezzarsi alla durezza della battaglia politica, quella di cui parlava il socialista Rino Formica, sangue e altre nobili sostanze.
Trappole, cattiverie, fuori e soprattutto dentro il suo partito. Anche negli ultimi giorni il cerchio magico berlusconiano si è rinchiuso attorno al suo leader e ha cominciato a delegittimare l’ascesa dell’ex ministro.
Ma Salvini sembra prenderla sul serio: «Sono pronto a sfidare la Carfagna alle primarie». E un forzista di alto rango ritiene che per sfidare il leader della Lega il suo sia il solo nome spendibile.
E i nemici? «Se la sceglierà Berlusconi saranno tutti amici».
Marco Damilano
(da “L’Espresso”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
I “DOTTORI” GUADAGNANO 15.000 EURO L’ANNO IN PIU’…LE UNIVERSITA’ PRIVATE E QUELLE DEL NORD GARANTISCONO REDDITI MAGGIORI
Università , anno sabbatico o subito sul mercato del lavoro?
L’interrogativo se lo pongono tutti i maturandi del 2015, ma anche le loro famiglie. Studiare può costare molto, come per gli 11 mila euro annui della Bocconi di Milano, e le differenze tra corsi di studio e singoli atenei sono tante.
Per questo scegliere l’università giusta e con il miglior rapporto spesa-opportunità future diventa sempre più difficile.
Per aiutare a districarsi tra le incognite del futuro, report di JobPricing ha analizzato il mercato del lavoro italiano e quanto influisce sul reddito la scelta dell’università .
La laurea continua ad essere «conveniente»
Si guadagna davvero di più, grazie a un titolo di studio?
La risposta, nonostante la crisi, continua ad essere sì. La retribuzione globale annua media di un laureato è di 41.220 euro, mentre quella di chi non ha un attestato universitario è di 26.008 euro.
Il reddito, infatti, cresce esponenzialmente all’aumentare del livello di istruzione.
I neolaureati, però, non devono illudersi che il titolo tanto faticosamente ottenuto li ripaghi in tempi rapidi.
La differenza di retribuzione rispetto a chi ha scelto di abbandonare gli studi, infatti, diventerà significativa solo dopo i 35 anni.
I laureati degli atenei privati e quelli del Nord continuano a guadagnare di più Quando si punta ad un corso di laurea umanistico (economico, giuridico, letterario) una delle scelte determinanti è quella tra ateneo statale o privato.
Per chi, invece, punta a studi più tecnici, la scelta si allarga anche ai Politecnici. L’interrogativo, allora, è uno: vale la pena di investire nelle salate rette delle università private?
Dal punto di vista del ritorno economico successivo sì.
Aver frequentato un ateneo privato garantisce un ritorno economico del 21% più elevato rispetto ad uno statale.
Si difendono i Politecnici, i cui laureati continuano ad essere mediamente più appetibili per le aziende.
Attenzione, però, a non trascurare la variabile territoriale.
I laureati del Nord guadagnano sensibilmente di più, rispetto ai loro colleghi che hanno scelto atenei del sud Italia e hanno anche più probabilità di trovare lavoro nello stesso territorio in cui hanno frequentato l’università .
Il 92% degli studenti, infatti, trova lavoro in aziende del Nord, mentre il 63% laureati nel Meridione è costretto a emigrare al Centro (25%) e al Nord (38%).
Ecco gli atenei che fanno guadagnare di più i loro laureati
Pubblici o privati, non tutte le università sono uguali.
La media nazionale del reddito dei laureati tra i 25 e i 34 anni è di 28.869 euro, ma guadagnare di più o di meno nei primi 10 anni di lavoro varia da università a università .
Il top lo raggiunge la Bocconi di Milano: i suoi laureati guadagnano in media il 20% in più rispetto alla media nazionale (34.914€), mentre fanalino di coda è l’Università di Cagliari, con un -8% (26.562€).
Studiare costa e la spesa si ripaga in almeno 12 anni.
Il percorso universitario è un investimento significativo per le famiglie, soprattutto quando l’ateneo è privato.
Ovviamente, anche il tempo in cui il futuro laureato riuscirà a «ripagare» la spesa dipende dall’università frequentata.
L’indice realizzato da JobPricing tiene conto del costo totale sostenuto nell’arco dei cinque anni di studi (tasse universitarie, materiale didattico) e del mancato introito, ovvero quanto lo studente avrebbe guadagnato se, invece di studiare, fosse andato a lavorare.
Nel caso degli studenti fuori sede, si aggiunge il dato sulla spesa per l’alloggio.
Questi dati vengono messi in relazione con la retribuzione media di un laureato per ogni ateneo e di quanto questa sia più alta – a parità di età – rispetto a quella di un diplomato.
Il risultato varia in modo significativo da ateneo ad ateneo. Se un laureato al Politecnico di Milano «si ripaga» la laurea in meno di 11 anni di lavoro, un suo collega dell’Università Parthenope di Napoli ce ne mette quasi il doppio.
Per i fuori sede, il tempo lievita in maniera omogenea in tutti gli atenei di circa 1 anno e mezzo.
Giulia Merlo
(da “La Stampa”)
argomento: Università | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
“UN VESCOVO NON DEVE DARE INDICAZIONI DI VOTO”… “MI SCONFESSI?”… “NON SI PREOCCUPI, HO GIA’ DATO LE DIMISSIONI”
Strascico polemico con tanto di litigio in diretta tv tra il vescovo e il suo portavoce, nella vicenda delle mail inviate a Verona da monsignor Giuseppe Zenti a sostegno di una candidata leghista nella lista Zaia per le regionali, Monica Lavarini.
E’ successo ieri sera, durante una trasmissione Diretta Verona di TeleArena, diffusa in diretta streaming sul sito de L’Arena che oggi ne dà notizia.
Il portavoce dimissionario del vescovo, don Bruno Fasani, è stato chiamato ad esprimere un’opinione sull’operato dell’alto prelato.
Il sacerdote ha risposto di ritenere un errore l’invito a votare la candidata facendo, peraltro, un’operazione contraria, invitando cioè a non sostenerla.
Pochi istanti e mons. Zenti ha telefonato alla tv attaccando in diretta il suo ex portavoce, “Don Bruno che ti succede? Non dovresti essere tu a rappresentarmi?”, aggiungendo poi: “che in pubblico venga sconfessato quello che ho detto è gravissimo, che poi venga detto che i cattolici non devono votare una candidata è inaccettabile“.
Decisa la difesa di Fasani. “Parlo da cittadino, come tanti cattolici che non si sono trovati d’accordo con quanto accaduto”.
“Non ho parlato male di lei- ha aggiunto Fasani -, ma non possiamo fare finta che questo non sia accaduto”.
Le due posizioni, alla fine, non hanno trovato sintesi.
“Don Bruno stai dicendo delle sciocchezze, non mi rappresenti”, ha proseguito il vescovo Zenti.
“Tranquillo vescovo — è stata la replica di Fasani — tanto lo sa che ho già dato le dimissioni da portavoce”
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Chiesa | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
LA BINDI: “PROVO GRANDE SOFFERENZA PER COME SI COMPORTA IL PD”…IL PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE COSTITUZIONALE: “SONO FATTI VERI, ATTI GIUDIZIARI PUBBLICI, LA BINDI HA AGITO CORRETTAMENTE”
È il giorno più lungo, per Rosy Bindi. Senza enfasi, si potrebbe forse dire il più triste della sua vita politica.
Risponde a telefono. Cortese, come sempre: “Non le darò molte soddisfazioni. Quello che dovevo dire l’ho detto. Si è capito che la Commissione ha applicato scrupolosamente il regolamento che si è data, e approvato da tutti?”.
Più delle parole, il tono della voce dice tutto.
Da quando è finita la conferenza stampa, piovono strali violenti: “Impresentabile”, “Roba da processi di piazza”.
Prosegue la Bindi, tono amaro, quasi triste: “Cosa devo dire… Provo una grande sofferenza, vedere che non viene rispettato il lavoro di una istituzione come la commissione Antimafia. Dal mio partito non me lo sarei mai aspettato”.
Ripete che la Commissione ha agito correttamente, applicando il regolamento come ha spiegato in conferenza stampa.
Più tardi lo preciserà anche una nota della Commissione: “L’ufficio di presidenza, allargato ai capigruppo, ha sempre condiviso tutte le procedure nelle diverse fasi del percorso di verifica, dando pieno mandato alla presidente di concludere il lavoro. Nessuna iniziativa è stata presa in modo autonomo dalla presidente Bindi”.
Il telefono bolle.
Perchè le telefonate di solidarietà sono state anch’esse numerose. Nel partito e non solo.
Su internet sono parecchi i commenti a favore della Bindi. Ma non solo.
A metà pomeriggio interviene anche il presidente emerito della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri. Interpellato dall’Agi sulle accuse di “violazione della costituzione” da parte dei renziani, spiega che la Commissione e la Bindi hanno agito correttamente: “Si violerebbe la legge o la Costituzione se le indicazioni date fossero false, ma trattandosi di fatti veri e di carattere pubblico come sono gli atti giudiziari, non si fa che mettere i cittadini nelle condizioni di scegliere”.
Poche le voci del Pd che non attaccano Rosy Bindi.
Tra queste Davide Mattiello, che prima di diventare parlamentare stava con Don Ciotti a Libera: “Oggi la Commissione Antimafia crea un precedente dal quale non si potrà più prescindere. Lo fa applicando coerentemente la legge istitutiva e il codice di autoregolamentazione che abbiamo votato all’unanimità a settembre”.
Gli attacchi però bruciano. E Rosy Bindi saluta: “Io non mi sottraggo alle mie responsabilità e sono in pace con la mia coscienza. Che sofferenza a vedere non rispettato il lavoro della commissione. Dal mio partito”.
Un concetto che in serata, dopo la dura presa di posizione dei vicesegretari del Pd Guerini e Serracchiani, la Bindi affiderà anche ad una nota: “Ho taciuto per tutto il pomeriggio di fronte al tentativo di delegittimare la Commissione e la mia persona. Ed ora per il nome di un candidato, la cui condizione era conosciuta da tutti, ci si indigna contro il lavoro di Commissione e presidente. Giudicheranno gli italiani chi usa le istituzioni per fini politici, certamente non sono io”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
2 FORZA ITALIA, 2 FRATELLI D’ITALIA, 3 POPOLARI, 1 NCD, 1 PD, 1 PER CALDORO PRES., 1 CAMPANIA IN RETE, 1 SCELTA CIVICA, 1 UDC
Lista con sorpresa per il Partito Democratico.
Nell’elenco dei 17 nomi la lista dei candidati “impresentabili” alle elezioni regionali del 31 maggio, resa nota dalla Commissione parlamentare Antimafia presieduta da Rosy Bindi, c’è anche quello di Vincenzo De Luca, candidato del centrosinistra alla presidenza della Campania sul quale pende la spada di Damocle della legge Severino.
Una sorpresa per il Pd, e in primis per Matteo Renzi che nei giorni scorsi prevedeva all’unisono con il vicesegretario Lorenzo Guerini: “Nessuno del Pd tra gli impresentabili”.
Secondo la Commissione, che ha presentato i risultati del proprio lavoro in una conferenza stampa poco dopo le 14,30 al termine dell’Ufficio di presidenza e della seduta plenaria della Commissione, sono 13 e tutti campani i candidati impresentabili alle Regionali, oltre ai 4 pugliesi i cui nomi sono trapelati nei giorni scorsi.
Ecco i nomi: il candidato presidente del Pd Vincenzo De Luca, Antonio Ambrosio di Forza Italia, Luciano Passariello di Fratelli d’Italia, Sergio Nappi di ‘Caldoro presidente’, Fernando Errico di Ncd, Alessandrina Lonardi di Forza Italia, Francesco Plaitano di Popolari per l’Italia, Antonio Scalzone e Raffaele Viscardi entrambi di Popolari per l’Italia, Domenico Elefante di Centro democratico-Scelta civica, Biagio Iacolare dell’Udc, Carmela Grimaldi (che, come De Luca, ha annunciato di voler denunciare per diffamazione i componenti dell’Antimafia) della lista Campania in rete e Alberico Gambino della lista Meloni Fdi.
Tra questi, dunque, ci sono anche il candidato del centro sinistra in Campania, sulla cui candidatura pende la spada di Damocle della legge Severino, e Sandra Lonardo, moglie dell’ex ministro Clemente Mastella.
“Si sa benissimo per quale motivi sono stati inseriti nelle liste — ha spiegato la presidente della Commissione — perchè portano voti, forse proprio perchè sono impresentabili”.
De Luca “impresentabile” per le accuse di concussione e truffa
La vicenda per la quale Vincenzo De Luca è stato inserito nella lista dei cosiddetti “impresentabili” risale al 1998 e riguarda un’inchiesta della Procura di Salerno incentrata sulla richiesta di cassa integrazione per circa 200 operai dell’ex Ideal Standard.
Secondo l’accusa, la cassa integrazione fu sollecitata dallo stesso De Luca in assenza dei presupposti di legge.
Un altro filone dell’inchiesta è relativo alla richiesta degli oneri di urbanizzazione ad alcuni imprenditori interessati alla realizzazione di una struttura sempre nella zona orientale della città .
Il rinvio a giudizio per De Luca e per altri 46 imputati è arrivato nel 2008. I reati contestati all’ex primo cittadino di Salerno sono di concussione (in relazione alla richiesta degli oneri di urbanizzazione) e di truffa (per la concessione della cassa integrazione). Lo stesso De Luca, che più volte nel corso degli anni ha commentato la vicenda, ha rinunciato alla prescrizione “relativamente ai delitti per i quali era maturato il relativo decorso”.
Tutti i reati degli altri impresentabili
Antonio Agostino Ambrosio (lista Forza Italia, candidato Caldoro) è stato condannato per concussione (reato poi estinto per patteggiamento) e è in attesa di giudizio per tentata concussione;
Luciano Passariello (lista Fratelli d’Italia, Caldoro presidente) rinviato a giudizio per impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita aggravato da abuso dei poteri d’ufficio);
Sergio Nappi (consigliere regionale uscente, candidato nella lista Caldoro presidente) rinviato a giudizio per tentata concussione;
Fernando Errico (lista Ncd Campania popolare, Caldoro presidente) ha pendenti due processi per concussione e per concussione continuata in concorso;
Alessandrina Lonardo (Forza Italia, Caldoro presidente), la moglie di Clemente Mastella ha un processo pendente in fase di giudizio per concussione;
Francesco Plaitano (di Popolari per l’Italia, Caldoro presidente) imputato per ruolo direttivo in associazione mafiosa e condannato in primo grado per estorsione, pende l’appello;
Antonio Scalzone (di Popolari per l’Italia, Caldoro presidente) processato per associazione mafiosa;
Raffaele Viscardi (Popolari per l’Italia, Caldoro presidente) rinviato a giudizio per corruzione e abuso d’ufficio;
Domenico Elefante (Centro democratico-Scelta civica, Caldoro presidente) condannato in 1° e 2° grado per concussione, reato prescritto;
Biagio Iacolare (Udc, presidente De Luca) rinviato a giudizio per trasferimento fraudolento di valori, reato andato in prescrizione contro cui pende il ricorso in Cassazione;
Carmela Grimaldi (lista Campania in rete, candidato presidente De Luca) rinviata a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e partecipazione ad associazione finalizzata a traffico di stupefacenti, accuse da cui è stata assolta ma contro cui pende un processo d’appello proposto dalla procura generale della Corte d’appello di Salerno;
Alberico Gambino (lista Meloni-Fratelli d’Italia) condannato per concussione, giudizio contro cui pende l’appello.
Antimafia, applicato il Codice etico del settembre 2014
Non serve una condanna, tantomeno definitiva. Per diventare “impresentabili” a una qualunque competizione elettorale (dalle europee alle comunali, e persino alle circoscrizionali), basta meno: essere stati rinviati a giudizio oppure, prima ancora di arrivare a un processo, essere stati sottoposti a misure di prevenzione personali o patrimoniali.
Il Codice etico varato nel settembre 2014 dalla Commissione Antimafia restringe la disciplina soltanto a chi sia accusato di reati di una certa gravità : criminalità organizzata, traffico di stupefacenti, traffico illecito di rifiuti e reati contro la P.A., estorsione, usura e riciclaggio.
Ed è fuori, almeno per una tornata elettorale, anche chi ha fatto il sindaco o è stato componente di giunte comunali o di consigli provinciali sciolti per infiltrazione mafiosa.
Così come è incandidabile chi ha già ricoperto la carica elettiva ed è stato condannato per danno erariale (anche solo in primo grado) come conseguenza di reati commessi nell’esercizio delle funzioni.
Quella votata dall’Antimafia è però nei fatti un’ autoregolamentazione che si sono dati partiti e movimenti politici che vi hanno aderito: un impegno a non presentare e nemmeno a sostenere, sia indirettamente sia attraverso il collegamento ad altre liste, candidati che non rispondano ai requisiti indicati dal Codice.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
LA QUESTIONE SARA’ RISOLTA SE SARA’ PRESA IN CARICO DA QUELLE ISTITUZIONI CHE DEVONO GARANTIRE A TUTTI LA LEGALITA’
La questione dei rom potrà essere risolta solo quando verrà sfilata agli estremisti di cui sopra e presa in carico da coloro che avrebbero, per ruolo istituzionale, l’elementare compito di ripristinare la legalità .
Rom: ecco una delle poche parole che possono ancora scaldare gli animi in un Paese che pare aver digerito tutto.
Non ci si divide più per destra e sinistra, Berlusconi viene applaudito da Fazio e si vota tranquillamente un condannato. Ma su quelle tre lettere – erre, o, emme – c’è la guerra.
Guerra come la si intende da noi, ovviamente. Cioè a suon di accuse e di insulti vicendevolmente scambiati tra due categorie di estremisti, che per comodità chiameremo razzisti da una parte e negazionisti dall’altra.
Il razzista è un tipo umano che solitamente fa cominciare le proprie argomentazioni con una premessa – «io non sono razzista» – e le fa proseguire con un «però».
Io non sono razzista però questi rom qua rubano sporcano e campano a spese nostre, poi so per certo che l’altro giorno al supermercato una delle loro donne ha rapito un bambino dei nostri strappandolo dal passeggino.
Il razzista, quando c’è una tragedia come quella dell’altro ieri a Roma, non prende neppure in considerazione il fatto che, a volte, i pirati della strada o i delinquenti che non si fermano ai posti di blocco possono essere anche italiani. In qualche caso perfino del Nord.
Il razzista, quando c’è una tragedia come quella dell’altro ieri a Roma, considera stranieri solo gli investitori, e non gli investiti (la donna morta è filippina, come un’altra gravemente ferita; e sull’asfalto è rimasta pure una francese).
Il razzista fa una certa fatica a distinguere tra stranieri e stranieri, figuriamoci tra nomadi e nomadi.
Troppo complicato mettersi lì a disquisire sulle varie provenienze, religioni e culture. Non è più comodo chiamarli tutti zingari?
Il razzista fa le fiaccolate solo quando i responsabili di un’aggressione, di uno stupro o di un incidente stradale sono rom, non certo quando sono, ad esempio, camorristi: anzi qualche anno fa a Napoli fu la camorra a gestire una marcia contro i campi rom, risolvendo il problema.
Il razzista non arriva certo a dire che la «soluzione» debba essere affidata appunto alla criminalità organizzata: bastano le ruspe, come ha chiesto il leader politico di riferimento.
Anche il negazionista è un curioso tipo umano.
Pure lui, infatti, pare aver voglia di vedere solo ciò che vuol vedere. Vede benissimo, ad esempio, le misere condizioni igieniche in cui vivono i bambini dei campi rom: a volte in mezzo ai topi. Molto meno riesce tuttavia a vedere le responsabilità dei loro genitori.
Il negazionista è molto informato sulle ormai famose leggende nere che avvolgono il mondo dei rom.
E non ha torto, perchè in effetti circolano molte calunnie.
Tuttavia accanto alle leggende nere ci sono le storie vere. Sono stati celebrati, in Italia, alcuni processi per «riduzione in schiavitù», perchè ci sono nomadi che costringono i bambini (quasi mai figli loro) a rubare fino a quando compiono 14 anni, cioè fino a quando non sono punibili per legge e la polizia, subito dopo l’arresto, li deve rilasciare.
Ma ricordarlo, per il negazionista, è «speculazione politica». Come è «speculazione politica» parlare del disagio dei cittadini italiani che vivono vicini ai campi rom subendo furti e trovandosi la spazzatura sotto casa… D’altra parte il negazionista abita in centro.
Morale.
La questione dei rom potrà essere risolta solo quando verrà sfilata agli estremisti di cui sopra e presa in carico da coloro che avrebbero, per ruolo istituzionale, l’elementare compito di ripristinare la legalità .
Il che vuol dire no alle ruspe, no a cacciare dall’Italia i nomadi e sì all’accoglienza.
A patto, però, che gli accolti rispettino la legge, paghino i servizi e non vadano a rubare.
Perchè i rom non devono vivere fra i topi, ma non devono neppure fare i topi d’appartamento.
Michele Brambilla
(da “la Stampa”)
argomento: zingari | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
SONO BEN 12 I CANDIDATI INDAGATI, MA TUTTI FANNO FINTA DI NULLA… SE ELETTI E CONDANNATI DECADREBBERO… E VOTA ANCHE LA ‘NDRANGHETA
In Regione Liguria, quasi nessuno lo ricorda, vi sono 11 consiglieri uscenti indagati per peculato che hanno pensato bene di non fare alcun passo indietro e che gli elettori ora si ritrovano candidati alle elezioni di domenica.
Dall’elenco dei presunti reprobi rinviati a giudizio per i rimborsi fasulli in Regione sono infatti riemersi ben 11 nomi, sparpagliati in sei liste differenti.
Guida la classifica dei partiti Forza Italia, che ne ha arruolati quattro.
Raffaella Della Bianca, tornata all’ovile dal gruppo misto dove si era ritirata in polemica con gli organi direttivi del partito ligure; Aldo Siri, ex Lista Biasotti; l’imperiese Marco Scajola, nipote dell’ex ministro Claudio, e il capogruppo in Regione, il savonese Marco Melgrati.
Nella stessa famiglia politico-elettorale la Lega Nord schiera due pezzi da novanta finiti sotto osservazione da parte della procura: il capogruppo uscente Edoardo Rixi, silurato come candidato governatore dall’accordo Berlusconi-Salvini che ha designato Giovanni Toti, e il segretario regionale del Carroccio e consigliere in via Fieschi, Francesco Bruzzone, che si presenta a Genova e a Savona.
Due inquisiti anche nel Pd di Raffaella Paita, a sua volta indagata ma per una vicenda del tutto diversa, l’alluvione del 9 ottobre 2014.
Sono Massimo Donzella, ex Udc confluito nel partito di Burlando, e — nel listino Liguri per Paita presidente — Matteo Rossi, assessore allo sport, di provenienza Sel.
Ancora nello schieramento di sinistra, la Lista Liguria Cambia candida un personaggio controverso, l’ex sindaco di Rapallo e consigliere regionale uscente Armando Ezio Capurro, nella precedente tornata elettorale eletto nella lista Noi per Claudio Burlando.
Fratelli d’Italia propone come capolista l’ex Forza Italia Matteo Rosso, medico genovese che aveva sostenuto il leghista Rixi nel tentativo, fallito, di scalare la candidatura a governatore.
Ancora a destra Area Popolare — connubio tra Udc e Ncd — schiera Gino Garibaldi, e rinuncia ad altri due inquisiti eccellenti che sedevano in via Fieschi, Franco Rocca ed Alessio Saso.
Saso era stato aperto sostenitore della giunta Burlando nell’ultima fase politica ed era sceso in campo a fianco di Raffaella Paita durante le primarie del Pd.
Cinque degli otto candidati governatori hanno alle spalle liste vergini da personaggi che stanno facendo i conti con la giustizia.
A sinistra, L’altra Liguria di Antonio Bruno, il Partito Comunista dei Lavoratori di Antonio Piccardi e Rete a Sinistra di Luca Pastorino.
Al centro-destra Liguria Libera di Enrico Musso.
E infine il Movimento 5 Stelle di Alice Salvatore.
Ricordiamo che sulla base della legge Severino, in caso di condanna in primo grado, gli indagati per peculato decadrebbero automaticamente dalla carica regionale, indipendentemente dalla entità della pena.
Poiche il processo dovrebbe chiudersi al massimo entro il 2017, c’è il concreto rischio che si vadano ad eleggere dei consiglieri e/o presidenti “abusivi” che coprirebbero per due anni una carica (con relativa remunerazione da 8.000 a 10.000 mensili) senza averne titolo.
Agli 11 indagati per peculato va aggiunta l’indagata ( in questo caso per l’alluvione) Raffaella Paita..
Non solo: ci sono poi i voti sospetti della criminalità organizzata che possono risultare decisivi per far eleggere in Regione consiglieri di loro gradimento, come gia avvenuto in passato, specie nel ponente ligure.
E tanto per non farci mancare nulla, si parla di un sostegno della ‘ndrangheta ad almeno cinque candidati di tre liste differenti.
argomento: elezioni | Commenta »
Maggio 29th, 2015 Riccardo Fucile
IPOTESI FALSE FATTURAZIONI: CASE PRIVATE E BARCHE SCARICATE SULL’AZIENDA
Diana Bracco, presidente di Expo 2015 Spa, è indagata per evasione fiscale e appropriazione indebita in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della società farmaceutica Bracco spa.
L’indagine è stata chiusa ed è stato effettuato un sequestro da circa 1 milione di euro. L’ipotesi è che le fatture false siano servite in relazione a lavori su case private e barche.
In sostanza, le indagini avrebbero fatto emergere che “fatture per complessivi euro 3.064.435 confluiti nella contabilità e nelle dichiarazioni fiscali presentate dalle società del gruppo Bracco per i periodi di imposta dal 2008 al 2013 – si legge in una nota della Procura – erano riferite all’esecuzione di forniture o di prestazioni rese verso locali in uso alle medesime società ma effettivamente realizzate presso immobili e natanti di proprietà , ovvero nella disponibilità della signora Diana Bracco e del defunto marito Roberto De Silva”.
In pratica, la presidente di Expo avrebbe contabilizzato nei bilanci di alcune sue società spese di natura personale attraverso una serie di false fatturazioni.
Insieme a lei, risultano iscritti nel fascicolo aperto dalla Procura, Pietro Mascherpa, presidente della Bracco Real Estate srl, società riconducibile all’industriale e attiva nel settore immobiliare e i due architetti, titolari dello studio di progettazione Archilabo di Monza: Marco Pollastri e Simona Calcinaghi.
L’avvocato Giuseppe Bana, che difende la presidente dell’Expo, ha chiarito che “non c’è stata alcuna frode fiscale.
Si tratta di contestazioni riguardanti l’inerenza all’attività di impresa di fatture, situazione non rilevante sotto il profilo penale, già definita con l’Agenzia delle Entrate con il ravvedimento operoso – ha precisato in una nota -. Siamo solo al termine delle indagini preliminari e non è stata ancora formulata la richiesta di rinvio a giudizio”.
(da “La Repubblica“)
argomento: Giustizia | Commenta »