Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
“LA CANDIDATA CINQUESTELLE E’ LA MIGLIORE NELLA COMUNICAZIONE”
«Lella Paita è in vantaggio. Anche se si è ridotto nel corso della campagna elettorale. La vera incognita è chi arriverà secondo: Giovanni Toti o Alice Salvatore?»: Alessandro Amadori, psicologo della politica, fondatore e amministratore delegato di Coesis Research e vice presidente dell’Istituto Piepoli traccia il quadro clinico “elettorale” dei candidati alla presidenza della regione Liguria.
E analizza l’efficacia del profilo ci ciascuno, designando già chi ha vinto, incontenstabilmente, la partita mediatica: la candidata M5S Alice Salvatore.
Sbagliato però dare tutto per scontato.
Sono due sono le incognite, mette in guardia Amadori, che potrebbero ribaltare ogni previsione: la percentuale dell’astensionismo e quella del voto disgiunto.
Amadori, il M5S era in Liguria al minimo storico, quando è stata avanzata la candidatura, neppure pacifica all’inizio, di Alice Salvatore. Grillo, nei giorni dell’alluvione, era stato addirittura contestato. Cosa è successo?
«Vero. I liguri erano molto disincantati verso il loro conterraneo Grillo. Salvatore è la candidata che ha giocato meglio la campagna elettorale e la partita sulla comunicazione. Comunica energia. Non deve stupire l’inversione di tendenza del M5S, che, io dico, è un “fenomeno a soffietto”, si gonfia e si sgonfia in modo molto veloce. Perchè è un aggregatore di instabilità , cresce quando il sistema, come in Liguria ora, diventa instabile, ma soffoca anche tutte le altre alternative. Paradossalmente è un elemento conservatore: raccoglie insoddisfazioni, certo, ma rallenta anche altre progettualità . La Liguria rappresenta lo scenario politico più complesso in Italia in questo momento: vincerà il meno debole ».
Astensionismo e voto disgiunto: in che maniera influenzeranno l’esito di queste elezioni regionali in Liguria ?
«L’astensionismo e, in misura minore, ma non così minore, il voto disgiunto, potrebbero ribaltare gli esiti delle elezioni. Tutto si capirà se l’affluenza scenderà sotto il 50%: allora, come accaduto in Sicilia, ogni scenario sarà possibile, ogni rivoluzione concretizzabile. L’affluenza è il termometro. Anche il voto disgiunto avrà il suo ruolo, ma solitamente non è mai troppo pesante, certo in alcuni casi è arrivato al 6%. E se i candidati non sono troppo distanti, come del resto lo sono quelli liguri, anche il 5% comincerebbe a pesare».
Michela Bompani
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
ACCREDITI NEGATI A DISCREZIONE DELLA POLIZIA ANCHE A CHI HA LA FEDINA PENALE PULITA
Assunti per lavorare in Expo e poi licenziati.
La questura di Milano dà l’altolà , la società Expo nega l’accredito per i lavoratori, le imprese li lasciano a casa.
E così partono le lettere di diffida e i ricorsi in tribunale. Dopo le numerose segnalazioni che stanno fioccando in queste prime settimane dell’esposizione universale, il caso dei permessi negati ai lavoratori prende anche le vie legali.
“Quello che sta emergendo — spiega Antonio Lareno, responsabile Cgil per Expo — riporta indietro l’orologio della storia dei diritti al lavoro e sul lavoro ai primi anni ’70 e richiama lo spionaggio sistematico organizzato allora dalla Fiat. Le situazioni che si palesano alla Cgil sono gravi e violano lo statuto dei lavoratori e la legge sulla privacy“.
Ma per comprendere la vicenda dei lavoratori licenziati, bisogna risalire alla radice del problema.
Le aziende che svolgono la propria attività all’interno del sito devono comunicare i dati dei propri dipendenti a Expo spa attraverso la cosiddetta “piattaforma accrediti“.
Non è richiesta alcuna informazione sulla fedina penale del personale. Questi dati sono poi trasmessi alla questura di Milano, che svolge una verifica sui nominativi ricevuti.
In base alle informazioni in possesso, la polizia dà un parere positivo o negativo al rilascio del permesso.
Ma qui sorgono i problemi. Innanzitutto, non è dato sapere quali siano i criteri in base ai quali la questura esprime il suo giudizio.
Per questioni di privacy, a Expo non sono comunicate le motivazioni di un eventuale no. Eppure, denunciano i sindacati, ci sono casi di persone con la fedina penale pulita.
La conclusione logica è che la polizia basi il suo parere anche su informazioni che vanno al di là delle eventuali condanne a carico della persona.
A quel punto, Expo si adegua alle indicazioni della questura e nega i permessi in caso di riscontro negativo.
E le aziende, preso atto dell’impossibilità di fare lavorare il dipendente all’interno del sito, in diversi casi hanno proceduto con i licenziamenti.
Inevitabile, dunque, che la vicenda si sposti sul piano legale.
Come nel caso di Ugo, nome di fantasia.
A inizio aprile, il giovane è stato assunto con contratto part time della durata di tre mesi, fino a luglio, da Coop Lombardia. Il ragazzo ha frequentato corsi di addestramento e di formazione.
Il 30 aprile la doccia fredda: a Ugo è comunicato il licenziamento, a causa del pass negato dalla questura. Il provvedimento è stato subito impugnato dagli avvocati dello studio legale Paulli, Pironti e Laratro, legato al collettivo San Precario.
“Ho verificato il mio casellario giudiziale ed è pulito — spiega il ragazzo — Ai tempi dell’università , ho partecipato al movimento studentesco e frequento i centri sociali. Mi viene il sospetto che per questo motivo la questura mi abbia negato l’accredito. Sarebbe un precedente gravissimo, mi ricorda periodi della storia dove potevi lavorare solo se avevi una certa tessera in tasca”.
Allo stesso tempo, si è mossa la Camera del lavoro Cgil di Milano.
Il caso è quello di un’azienda operativa all’interno dell’esposizione universale, che ha licenziato il lavoratore in seguito al diniego dell’accredito.
Così, su segnalazione del sindacato, sono partite le lettere di diffida all’impresa e alla società Expo.
Nella missiva si cita la lettera di licenziamento: “A seguito di una verifica delle autorità competenti di pubblica sicurezza”, Expo ha negato “l’autorizzazione all’accesso sul luogo di lavoro”.
Si chiede quindi la riassunzione del lavoratore e, in caso contrario, si annuncia l’intenzione di agire “in ogni sede che riterremo opportuna per segnalare l’abuso commesso”.
La Cgil ha poi chiesto e ottenuto una convocazione urgente dell’Osservatorio permanente Expo 2015, la struttura conciliativa che riunisce la società dell’esposizione universale, le aziende presenti nel sito e i sindacati.
Al centro della seduta, che si terrà il 29 maggio, sarà quella che la Cgil denuncia come violazione dell’articolo 8 dello statuto dei lavoratori, che vieta al datore di lavoro di “effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonchè su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.
Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
ABBANDONATA LA STRUTTURA, TRASLOCO A CASCINA MERLATA
Non hanno nemmeno disfatto la valigia.
Arrivati negli stanzoni, passati per i bagni, dopo una rapida ricognizione ai piani, in un’improvvisata assemblea il gruppo dei volontari di Expo ha deciso: «Qui non ci fermiamo». «Condizioni inaccettabili»: hanno bocciato così la struttura che doveva ospitarli per le due settimane del turno all’Esposizione.
Ostello della Gioventù «Piero Rotta», quartiere Qt8.
Un edificio anni Sessanta, nel circuito Aig, l’associazione Alberghi per la gioventù.
Ultima ristrutturazione durante la giunta Moratti (che aveva previsto un finanziamento di 800 mila euro), un intero piano rimesso a nuovo con tanto di bollino «eco», era il 2011.
«Ma gli altri piani sono ancora fatiscenti», la protesta dei volontari. I loro commenti (simili alle recensioni sui siti dei viaggiatori): «Troppo sporco. Nelle camere e nei locali comuni».
«Le condizioni dei bagni sono pessime. Sanitari vecchi, wc rotti, docce otturate, buchi nei muri». «E le stanze, piccole per sei posti, con i letti a castello in ferro e i materassi inesistenti non hanno nemmeno le prese per ricaricare il telefonino».
Si erano lamentati già i primi volontari entrati in servizio il primo maggio, ma loro avevano resistito.
Il secondo gruppo si è rifiutato di fermarsi.
La società Expo, che aveva provveduto alla sistemazione, li ha spostati tutti, cinquanta persone, studenti e anche stranieri, nei nuovissimi locali dell’Expo Village a Cascina Merlata.
«Un cinque stelle, al confronto», dicono entusiasti. Oggi prende servizio, fino a metà giugno, il terzo gruppo di volontari e nessuno dei fuori sede dormirà al Piero Rotta.
«Sono state utilizzate ancora le stanze dell’Expo Village», dicono gli organizzatori. Soluzione definitiva? «No. Ci era stato segnalato un guasto, un bagno inattivo, e abbiamo trovato questa collocazione in attesa della riparazione», la risposta degli uffici di Expo.
E sulle proteste per le condizioni generali dell’ostello: «Per la ricerca di strutture adeguate ci siamo avvalsi dei servizi di Carlson Wagon Italia che ha identificate Gogol, Hostello New Generation, Colours e Ostello e il Piero Rotta. Quest’ultimo fa parte di Aig e Hostelling international, che ne certificano gli standard».
Intanto, spostati i gruppi dei volontari, le camerate nell’ostello di via Salmoiraghi sono rimaste vuote.
«C’è ampia disponibilità », dicono al telefono. «Sono occupate le stanze ristrutturate, le altre sono libere. Dieci euro a persona, camere da sei. Il posto non manca».
Federica Cavadini
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
IL RAGAZZO ERA IN ITALIA, ORMAI E’ ASSODATO… IPOTESI CHE SIA STATO UTILIZZATO IL PASSAPORTO A SUO NOME
Nel mistero di Abdel Majid Touil ci sono due «linee» d’indagine.
Una, pur fra omissioni, depistaggi e informazioni non rese, è quella del ministero dell’Interno tunisino: il 22enne arrestato martedì scorso a Gaggiano dalla Digos e dal Ros dei carabinieri sarebbe uno dei terroristi della strage il 18 marzo al museo del Bardo; Touil avrebbe partecipato all’azione con il ruolo di autista del commando, per portare in sicurezza gli esecutori materiali dell’agguato; la sua presenza nell’organizzazione criminale non sarebbe stata occasionale ma anzi centrale nella preparazione dell’attentato.
Anche perchè, come rivelato nelle ultime ore da alcune fonti investigative tunisine, Abdel Majid Touil si sarebbe perfino «allenato». In Libia.
In uno dei campi d’addestramento dell’Isis. Il campo non sarebbe uno dei principali; viene definito «leggero», quasi che fosse per «principianti». Ma sempre un campo dell’Isis rimane.
Questa versione di un «combattente» contrasta con le convinzioni del pool antiterrorismo milanese guidato dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli (nella settimana del Bardo, Touil era in Italia) e anche con il secondo «livello» dell’inchiesta.
Di prove certe, su un’eventuale responsabilità con la strage, a Tunisi non ce ne sarebbero.
Ci sono soltanto le dichiarazioni date alla polizia da alcuni arrestati (il numero esatto non si sa: forse 2, forse 5).
Interrogati in cella dopo esser stati catturati al ritorno dalla Libia, hanno fatto il nome di Abdel Majid.
Il quale ieri ha ricevuto la prima visita in carcere della madre. Ha avuto in dono un paio di jeans, due tute, biscotti e formaggio; a Fatima avrebbe rivelato: «Il passaporto l’ho venduto in Libia. Lo vendono tutti, prima di partire».
In una fase iniziale, la mamma aveva raccontato una cosa diversa: il passaporto era stato perso nel Mediterraneo
Il giallo del documento
Il passaporto è l’elemento centrale delle indagini. Il Touil inseguito dai tunisini sarebbe un altro.
Quello «falso» si sarebbe impossessato dell’identità di Abdel Majid, con l’acquisto oppure il furto del documento.
Papà Abdallah, dal paesino marocchino di settecento famiglie di Sidi Jaber, sabato aveva raccontato che il figlio era partito con un volo low cost dal Marocco ed era atterrato a Tunisi già con i soldi contati.
Da Tunisi, il resto del viaggio (un mezzo per raggiungere la Libia e il barcone per arrivare in Sicilia) ha certamente visto un forte esborso di denaro.
Il passaporto come mezzo di scambio sarebbe stato l’unico «strumento» disponibile per Abdel Majid, proveniente da una famiglia povera e allontanatosi senza «merce» da barattare come gioielli e orologi.
In isolamento
Nel carcere di Opera, Touil è in isolamento. Passa il tempo davanti alla televisione. Guarda le immagini e basta: la sua conoscenza della lingua italiana, nonostante abbia cominciato a studiarla nella scuola per stranieri di Trezzano sul Naviglio, è ancora a uno stadio elementare.
Dopodichè esce di cella nei momenti «d’aria», si appoggia al muro, fuma e guarda le partite di pallone dei detenuti.
Dai vertici del carcere dicono che il ragazzo gode di buona salute, mangia e beve quel che gli viene portato, mantiene un comportamento tranquillo, non ha inscenato proteste e non ha avanzato richieste di alcun tipo.
L’incontro con la madre non è avvenuto con un vetro divisorio a separare i due. Si sono abbracciati a lungo e insieme hanno pianto.
Abdel Majid ha ripetuto che con le accuse non c’entra niente, che è stato sì in Tunisia ma un giorno appena, e che non ha partecipato all’attentato. Eppure i tunisini insistono per averlo.
Da Tunisi forniscono la seguente spiegazione: se Touil venisse scarcerato ed espulso, tornerebbe in Marocco e tra le due nazioni non esistono accordi tali da poter consentire di ascoltarlo.
Magistrati e poliziotti tunisini vogliono chiedergli conto delle informazioni ricevute da quei terroristi arrestati.
A Tunisi la qualità della polizia è precipitata dopo la Primavera araba per colpa dell’anarchia, della corruzione, dei soprusi.
Andrea Galli
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
TRE ANNI DI RECLUSIONE PER AVER GIRATO ILLECITAMENTE UN APPALTO A UN’AZIENDA CONFISCATA
Tre anni di reclusione per truffa, ma senza l’aggravante mafiosa: è la condanna emessa dal gup di Catania Alba Sammartino contro Salvatore Ferlito, presidente dell’Ance Sicilia, l’associazione dei costruttori di Confindustria.
Una sentenza che arriva in tempi record, dopo che Ferlito era stato rinviato a giudizio nell’aprile scorso, scegliendo di essere processato con il rito abbreviato.
Secondo la ricostruzione della procura di Catania, guidata da Giovanni Salvi, Ferlito avrebbe stretto un accordo con Salvatore Basilotta, figlio di Vincenzo, il re del movimento terra, coinvolto nella maxi inchiesta antimafia Iblis e recentemente deceduto. L’accordo prevedeva che un appalto per alcuni lavori sulla strada provinciale 120, vinto dalla Comer, l’azienda di Ferlito, venisse “girato” alla Incoter, impresa confiscata ai Basilotta.
Per il pm Antonino Fanara, Ferlito si era macchiato di truffa, aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra.
Il gup ha però cancellato l’aggravante dalla sua sentenza, riconoscendo il presidente dei costruttori colpevole solo di truffa, ma ai danni di un’azienda confiscata a Cosa Nostra, giudicandolo allo stesso tempo “incapace di contrarre con la pubblica amministrazione”.
L’ennesima tegola per Confindustria Sicilia, che dai fasti della lotta al racket, è passata alle tenebre delle inchieste contro i suoi leader.
Prima è arriva l’inchiesta della procura di Caltanissetta per concorso esterno a Cosa Nostra contro Antonello Montante, delegato nazionale per la legalità di viale dell’Astronomia, presidente degli industriali siciliani e simbolo della riscossa contro il pizzo; poi è stata la volta di Roberto Helg, presidente della Camera di Commercio di Palermo, arrestato per aver chiesto una mazzetta da centomila euro al pasticcere Santi Palazzolo; adesso è la volta di Ferlito, altro leader di primo piano degli imprenditori isolani.
Che per il momento, però, ha anticipato di non volersi dimettere dalla carica al vertice dell’Ance.
“Attendo il deposito delle motivazione — dice al quotidiano on line livesicilia.it — il codice etico non prevede le mie dimissioni, l’importante è che non ci siano collegamenti con la mafia”.
Dichiarazioni che, nel totale silenzio della classe politica, hanno suscitato la replica di Addiopizzo Catania.
“Ci auguriamo — scrive l’associazione antiracket etnea in una nota — che Ferlito dimostri di essere legato non al suo incarico ma a questa terra, che non ha bisogno di codici etici per andare avanti, ma, semmai, di etica, rispetto, e trasparenza”.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
NESSUN INCIDENTE, MA IL FLOP PESA E DOVREBBE FAR RIFLETTERE, LE IMITAZIONI NON PAGANO
Piazza Banchi blindata dalla polizia, una quarantina di sostenitori e per il resto fischi e boati.
Si è consumato così il comizio elettorale di Giorgia Meloni, leader nazionale di Fratelli d’Italia, con Ignazio La Russa, ex ministro della Difesa e deputato dello stesso partito, che hanno scelto piazza Banchi, nel cuore del centro storico, per lanciare l’ultima volata al candidato presidente della sua coalizione, Giovanni Toti.
“Non ci sono piazze difficili se guardiamo la gente negli occhi – dice Meloni – questi che fischiano sono quattro scemi dei centri sociali “.
Sull’esito delle urne, Meloni non ha dubbi: “Sono ottimista. Pensiamo che si possa vincere contro la falsa sinistra della Paita, con un buon risultato anche per Fratelli d’Italia che non ha mai ammiccato ai governi di sinistra, mai fatto parte del Nazareno”.
I ragazzi dei centri sociali premono contro il cordone di sicurezza, anzi ci giocano pure, spuntando a intermittenza da vicoli sempre diversi e facendo correre gli agenti in tenuta antisommossa, ma mai tentando lo sfondamento.
I fischi più sonori, la contestazione più viscerale arriva proprio dalla piazza, dagli abitanti del centro storico che si sono ritrovati bloccati dal comizio in piazza Banchi o che hanno deciso di andare con i fischietti sotto il palco.
Meloni riesce dove prima Gianni Plinio, e poi La Russa e Giovanni Toti non ce la fanno: non riescono a sovrastare, con la loro voce, fischi e boati.
Da fuori e da dentro la piazza.
A proposito di tolleranza, Giovanni Toti proclama “Da lunedì non tollereremo più che in una piazza del centro storico qualcuno non possa esprimere la propria idea senza un cordone di polizia intorno”.
Michela Bompani
(da “La Repubbica”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE DI NCD ACCUSATA DI CONCORSO IN FALSO
Simona Vicari, sottosegretaria allo Sviluppo Economico in quota Ncd, è indagata per concorso in falso dal momento che avrebbe fatto favori all’ex presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, in carcere.
A riportare la notizia dell’inchiesta, di cui è titolare la procura antimafia di Roma, è un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano.
La Vicari è accusata di aver “contraffatto” le sue visite a Cuffaro in carcere spacciando per propri assistenti amici e fedelissimi dell’ex governatore della Sicilia.
Gli investigatori stanno vagliando i primi due anni di visite a Cuffaro a Rebibbia da parte di una decina di politici della sua regione, compresa Vicari.
In tutto gli indagati sarebbero una ventina.
I politici avrebbero portato con sè persone di fiducia di Cuffaro per ricevere direttive sullo “spostamento” di proprietà .
(…) Simona Vicari è stata convocata dagli investigatori un mese fa circa, ad aprile. Poco prima, all’inizio del mese, si è sentito parlare di lei nelle intercettazioni dell’inchiesta napoletana sul metano a Ischia, che ha portato in carcere Giosi Ferrandino del Pd e i vertici della Cpl Concordia, coop rossa.
Nel 2013, a proposito della legge di stabilità , l’ex craxiano Franco Simone, a capo delle relazioni istituzionali della Concordia, manda una mail al suo presidente in cui riferisce dell’impegno di Vicari di limare il testo del provvedimento e garantire 140 milioni di euro in sette anni per la metanizzazione (…) Il giorno successivo, la sottosegretaria allo Sviluppo economico rivendicò il merito dei fondi stanziati per queste opere nel Mezzogiorno.
(…) Politicamente Vicari è una creatura di Renato Schifani, siciliano come lei e come Angelino Alfano, il leader di Ncd.
Nello scorso autunno è stata condannata dal tribunale di Palermo a risarcire la somma di 218mila e 513 euro, più gli interessi legali, al comune di Cefalù.
Per cinque anni, dal 1997 al 2002, Vicari ha infatti percepito una doppia indennità , nonostante il divieto di cumulo: da sindaco di Cefalù e da deputata regionale della Sicilia.
Vicari, Cuffaro, Schifani, lo stesso Alfano hanno tutti beneficiato, infine, delle vacanze di lusso gratis o scontate offerte a suo tempo dalla Valtur di Carmelo patti, sospettato di essere un prestanome del boss mafioso tuttora latitante Matteo Messina Denaro.
Vicari e Cuffaro furono ospiti di patti a Favignana con un’ampia comitiva.
Era il 2009. Due anni dopo, l’amicizia tra i due è stata rinsaldata dalle visite in carcere, a Rebibbia.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
SI COMPLICA IL CASO DE LUCA E LA STRATEGIA DI RENZI
Quando un amministratore locale è colpito dalla sospensione per la legge Severino “non è attribuita alla pubblica amministrazione alcuna discrezionalità in ordine all’adozione del provvedimento di sospensione; la sospensione opera di diritto al solo verificarsi delle condizioni legislativamente previste e per il tempo previsto dal legislatore”. Lo scrivono i giudici di Cassazione in una sentenza che, pur pronunciandosi su un ricorso relativo al caso De Magistris, complica ulteriormente il caso De Luca in Campania.
La sezione unite civili hanno depositato le motivazioni della sentenza che sancisce l’incompetenza del Tar a decidere sui provvedimenti di sospensione per gli amministratori condannati in primo grado per determinati reati, così come previsto dalla legge su incandidabilità e decadenza approvata nel 2012 quando Paola Severino era ministro dlla Giustizia.
I ricorsi dovranno quindi essere presentati al tribunale ordinario.
Ma i supremi giudici fissano un principio ancora più forte: le norme su incandidabilità e decadenza dei politici condannati hanno effetto automatico, e gli organi della pubblica amministrazione (i prefetti, nel caso di amministratori locali), non possono fare altro che prenderne atto e scrivere i relativi provvedimenti.
I GIUDICI: “IL PREFETTO? NESSUNA VALUTAZIONE AUTONOMA”.
“Nella valutazione della incidenza di una sopravvenuta sentenza non definitiva di condanna” per i reati indicati dalla legge Severino, “l’opzione del legislatore — afferma la Cassazione — è chiaramente orientata nel senso di una temporanea compressione del diritto soggettivo dell’eletto, allo svolgimento del mandato, per un tempo predefinito e secondo modalità del pari interamente delineate dalla legge”.
Sicchè “le controversie sulla sospensione” disposta dalla Severino “sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario”.
Resta comunque il fatto che “al prefetto non è attribuito alcun autonomo apprezzamento in ordine all’adozione del provvedimento di sospensione e non è consentito di modularne la decorrenza o la durata sulla base della ponderazione di concorrenti interessi pubblici”.
In pratica, ad avviso della Suprema Corte, il “bilanciamento” tra “il diritto di elettorato passivo e il principio di buon andamento della pubblica amministrazione“, risulta “effettuato dal legislatore nel senso della chiara prevalenza della riferibilità del provvedimento (di sospensione) alla sfera dell’elettorato passivo”.
Con la conseguenza che la competenza è della magistratura ordinaria e non di quella amministrativa, come invece ha sostenuto la difesa del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che insisteva sulla necessità di dare preponderanza all’obiettivo “del buon andamento dell’ente locale”, una finalità alla quale è più ‘sensibile’ la giurisprudenza dei Tar e dei Consigli di Stato.
DE LUCA: “DAL PRIMO GIUGNO SEVERINO NON SARA’ PIU’ UN PROBLEMA”. Così, a tre giorni dalle elezioni Regionali, la grana De Luca si complica sempre di più. Una grana tutta per il Pd e per il premier-segretario Matteo Renzi.
Da un lato, il candidato presidente della regione Campania Vincenzo De Luca ribadisce oggi “la vaga sensazione che dal primo giugno” l’articolo della Severino che impone la sospensione degli amministratori locali condannati anche solo in primo grado “non esisterà più”, afferma in un’intervista Repubblica.
Dall’altro, trovano conferme le indiscrezioni sulla strategia renziana, che passerebbe per il salvataggio della nuova giunta campana più che di De Luca in persona.
“Se De Luca domenica prossima vincesse le elezioni, la legge consente di avere i passaggi necessari e poi sarà il governo che deciderà di applicare la legge Severino”, afferma il deputato del Pd, Walter Verini, intervistato a Radio Città Futura.
“In questo lasso di tempo, De Luca potrebbe nominare la sua giunta prima di decadere con il provvedimento del governo”.
Uno scenario condiviso dallo stesso De Luca nella citata intervista: “Prima di un’eventuale stop — avrei comunque il tempo di nominare la giunta e un vicepresidente”. Poi il candidato presidente aggiunge un nuovo elemento: “La legge non è applicabile per chi viene eletto per la prima volta, questa è la mia opinione suffragata da giuristi”.
Ma sono tutte considerazioni distillate prima che la Cassazione depositasse la sua sentenza, che a una prima lettura complica la strategia del prendere tempo tra elezione e sospensione.
E BERLUSCONI CI PROVA
Nel frattempo, sul carro lanciato all’attacco della Severino cerca di salire anche Silvio Berlusconi, che pure è stato dichiarato decaduto da senatore su basi molto diverse (dopo una condanna definitiva per frode fiscale) rispetto alle sospensioni dei sindaci di Salerno e Napoli (dopo una condanna in primo grado, entrambi per abuso d’ufficio, De Luca per questioni legate alla realizzazione di un termovalorizzatore, De Magistris per vicende risalenti al suo ruolo di pm nell’inchiesta Why Not).
“Renzi può intervenire con una modifica alla legge Severino, cosa che non ha ritenuto di fare quando si è trattato di Silvio Berlusconi”, ha affermato il leader di Fi a Radio anch’io.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 28th, 2015 Riccardo Fucile
A FRONTE DI CHI SA SOLO ODIARE IL SUO SIMILE, UNA TESTIMONIANZA DI AMORE E DI UMANITA’
Non è solo una foto toccante, è anche un messaggio di speranza e d’amore.
Due bambine entrambe affette da una terribile malattia, si abbracciano e guardano il mondo che si trova oltre i vetri e le fredde mura dell’ospedale di Pittsburgh. L’immagine pubblicata su Facebook sta facendo rapidamente il giro del mondo e ha commosso velocemente gli utenti del social network
A scattare la foto è stata Tazz Jones, madre di Maliyah, una delle due bambine protagoniste dello scatto.
La piccola di cinque anni che soffre di un neuroblastoma, tumore che ha origine dalle cellule del sistema nervoso, tiene stretta a se Madelina, bambina da tre anni malata di leucemia mentre oltre il vetro si stagliano, imponenti, i grattacieli e le case della metropoli della Pennsylvania.
Le due bambine, da qualche giorno, non dividono più la stessa stanza dell’ospedale e si son dovute salutare.
Maliyah è stata trasferita a New York per continuare le cure.
Madelina, invece, ha finito le chemioterapie ed è potuta tornare a casa.
Tuttavia quest’immagine immortalerà per sempre la loro amicizia: “Voglio che questa foto sia vista in tutto il mondo perchè racconta tante cose – spiega su Facebook l’autrice – In essa ci sono l’amicizia, la malattia, il conforto reciproco e il sostegno. Voglio che le persone provino ciò che io ho sentito nel momento in cui ho scattato questa foto”
(da “il Corriere della Sera”)
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