TOUIL, LA TUNISIA NE SPARA UN’ALTRA: “GUIDAVA L’AUTO DEI TERRORISTI E SI E’ ADDESTRATO IN LIBIA DALL’ISIS”, MA PROVE NON NE HA
IL RAGAZZO ERA IN ITALIA, ORMAI E’ ASSODATO… IPOTESI CHE SIA STATO UTILIZZATO IL PASSAPORTO A SUO NOME
Nel mistero di Abdel Majid Touil ci sono due «linee» d’indagine.
Una, pur fra omissioni, depistaggi e informazioni non rese, è quella del ministero dell’Interno tunisino: il 22enne arrestato martedì scorso a Gaggiano dalla Digos e dal Ros dei carabinieri sarebbe uno dei terroristi della strage il 18 marzo al museo del Bardo; Touil avrebbe partecipato all’azione con il ruolo di autista del commando, per portare in sicurezza gli esecutori materiali dell’agguato; la sua presenza nell’organizzazione criminale non sarebbe stata occasionale ma anzi centrale nella preparazione dell’attentato.
Anche perchè, come rivelato nelle ultime ore da alcune fonti investigative tunisine, Abdel Majid Touil si sarebbe perfino «allenato». In Libia.
In uno dei campi d’addestramento dell’Isis. Il campo non sarebbe uno dei principali; viene definito «leggero», quasi che fosse per «principianti». Ma sempre un campo dell’Isis rimane.
Questa versione di un «combattente» contrasta con le convinzioni del pool antiterrorismo milanese guidato dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli (nella settimana del Bardo, Touil era in Italia) e anche con il secondo «livello» dell’inchiesta.
Di prove certe, su un’eventuale responsabilità con la strage, a Tunisi non ce ne sarebbero.
Ci sono soltanto le dichiarazioni date alla polizia da alcuni arrestati (il numero esatto non si sa: forse 2, forse 5).
Interrogati in cella dopo esser stati catturati al ritorno dalla Libia, hanno fatto il nome di Abdel Majid.
Il quale ieri ha ricevuto la prima visita in carcere della madre. Ha avuto in dono un paio di jeans, due tute, biscotti e formaggio; a Fatima avrebbe rivelato: «Il passaporto l’ho venduto in Libia. Lo vendono tutti, prima di partire».
In una fase iniziale, la mamma aveva raccontato una cosa diversa: il passaporto era stato perso nel Mediterraneo
Il giallo del documento
Il passaporto è l’elemento centrale delle indagini. Il Touil inseguito dai tunisini sarebbe un altro.
Quello «falso» si sarebbe impossessato dell’identità di Abdel Majid, con l’acquisto oppure il furto del documento.
Papà Abdallah, dal paesino marocchino di settecento famiglie di Sidi Jaber, sabato aveva raccontato che il figlio era partito con un volo low cost dal Marocco ed era atterrato a Tunisi già con i soldi contati.
Da Tunisi, il resto del viaggio (un mezzo per raggiungere la Libia e il barcone per arrivare in Sicilia) ha certamente visto un forte esborso di denaro.
Il passaporto come mezzo di scambio sarebbe stato l’unico «strumento» disponibile per Abdel Majid, proveniente da una famiglia povera e allontanatosi senza «merce» da barattare come gioielli e orologi.
In isolamento
Nel carcere di Opera, Touil è in isolamento. Passa il tempo davanti alla televisione. Guarda le immagini e basta: la sua conoscenza della lingua italiana, nonostante abbia cominciato a studiarla nella scuola per stranieri di Trezzano sul Naviglio, è ancora a uno stadio elementare.
Dopodichè esce di cella nei momenti «d’aria», si appoggia al muro, fuma e guarda le partite di pallone dei detenuti.
Dai vertici del carcere dicono che il ragazzo gode di buona salute, mangia e beve quel che gli viene portato, mantiene un comportamento tranquillo, non ha inscenato proteste e non ha avanzato richieste di alcun tipo.
L’incontro con la madre non è avvenuto con un vetro divisorio a separare i due. Si sono abbracciati a lungo e insieme hanno pianto.
Abdel Majid ha ripetuto che con le accuse non c’entra niente, che è stato sì in Tunisia ma un giorno appena, e che non ha partecipato all’attentato. Eppure i tunisini insistono per averlo.
Da Tunisi forniscono la seguente spiegazione: se Touil venisse scarcerato ed espulso, tornerebbe in Marocco e tra le due nazioni non esistono accordi tali da poter consentire di ascoltarlo.
Magistrati e poliziotti tunisini vogliono chiedergli conto delle informazioni ricevute da quei terroristi arrestati.
A Tunisi la qualità della polizia è precipitata dopo la Primavera araba per colpa dell’anarchia, della corruzione, dei soprusi.
Andrea Galli
(da “il Corriere della Sera”)
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