Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
FASSINA, CIVATI, LANDINI: PROGETTI E STRATEGIE
Stefano Fassina pensa a “comitati per il lavoro”, dopo l’annunciata uscita dal Pd.
Sergio Cofferati entro giugno battezzerà l’Associazione per la cultura e la politica, di cui è già pronto lo statuto e alla quale lavora da quando ha lasciato il partito di Renzi.
La “coalizione sociale“ di Maurizio Landini tiene la sua convention a Roma il 6 e il 7 giugno.
Ma soprattutto c’è la fuga in avanti di Pippo Civati, che alla sua associazione “Possibile” ha dato ora un simbolo e l’ha presentato, con il tempismo del buon marketing, all’indomani della vittoria di Podemos in Spagna.
Peccato che abbia irritato Nichi Vendola. Il leader di Sel infatti puntava alla “condivisione”, avendo offerto sponda ai fuoriusciti dem già da tempo e dichiarandosi pronto a sciogliere il “suo” partito per «una nuova forza politica».
Eppur si muove qualcosa, nella sinistra italiana. Anche se molto dipenderà dal risultato delle regionali.
Un “6 a 1” per il centrosinistra di Renzi raffredderebbe gli ardori che il vento spagnolo ha acceso, come già aveva fatto la vittoria di Syriza in Grecia.
Civati il 2 giugno lancerà dal suo blog una lettera – appello, primo passo per costruire un partito della sinistra.
Le reazioni su Twitter a “è Possibile” sono state contraddittorie, molti lo accusano di voler copiare Podemos, ma l’Italia è tutt’altra cosa e quello spazio è già occupato dai 5Stelle e dallo stesso Renzi.
Vendola, gelido: «Penso che ognuno stia mettendo in campo le proprie energie e le proprie proposte. Dopo le regionali occorrerà raccogliere le idee, mettersi a disposizione di un nuovo progetto che non sia la sinistra radicale e testimoniale bensì la sinistra che sfida Renzi sul terreno del governo».
Landini poi, si tiene alla larga.
Il segretario della Fiom spiega che la “coalizione sociale”, com’è noto, non si mischia con la costruzione di partiti politici a sinistra.
Susanna Camusso, la leader della Cgil, gli lancia una stoccata: «Proprio Podemos segna la contraddizione del modello di Landini. Podemos infatti dichiara esplicitamente di essere una formazione politica che vuole cambiare la modalità di fare politica… ».
Ma non c’entra nulla il paragone, è una follia: è la reazione di Landini, che punta alla rifondazione dal basso, anche del sindacato.
I lavori a sinistra sono in corso.
Cofferati da Bruxelles vede il bicchiere mezzo pieno: «Speriamo sia la stagione dei cento fiori».
Civati si è dato un tempo: entro l’estate la “cosa” di sinistra deve nascere.
Fassina è convinto che un forte astensionismo alle regionali sia la molla per rimboccarsi le maniche a sinistra e lui lo farà , se la riforma della scuola passa così com’è.
Però nulla di quanto può accadere in Italia avrà a che vedere con gli Indignados, incubatrice di Podemos.
Dov’è una leadership popolare come quella di Pablo Iglesias o di Ada Colau?
Dov’è il progetto unitario?
Domande che si pone Massimo Cacciari, filosofo, ex sindaco di Venezia.
«Se si mettono tutti insieme – cosa che vedo lontana – , se trovano un leader – cosa che vedo ugualmente lontana – , a sinistra in Italia potrà nascere una “cosa” assai distante da Podemos o da Syriza, perchè per sangue, cultura e tradizione sarà una corrente della socialdemocrazia ».
Civati punta ad attrarre anche gli ex grillini ora riuniti in “Alternativa libera” e le associazioni locali come “Sottosopra” e quelle liguri che hanno dato vita a “Rete a sinistra”, la lista di Luca Pastorino, il civatiano sfidante di Raffaella Paita.
Il risultato di Pastorino alle regionali è l’altra variabile importante per la sinistra.
«Sarà comunque difficile trovare la quadra a sinistra», commenta Vincenzo Vita, lunga esperienza di “cose rosse”.
Simpatizzanti civatiani si dichiarano gli ecologisti Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, purchè si parli di «una cosa nuova non di una cosa rossa”.
Saldamente dentro il Pd per ora sono Bersani, Cuperlo, Speranza.
«Più sinistra ma dentro il Pd», è il manifesto.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
VERRANNO TRASFERITI SOPRATTUTTO ERITREI E SIRIANI
Dopo mesi di discussioni è arrivato il giorno dell’approvazione da parte della Commissione europea del piano d’emergenza per distribuire tra i paesi dell’Unione 40mila migranti sbarcati di Italia e Grecia.
La palla poi passerà ai governi, che dovranno confermare la decisione di Bruxelles a giugno. Nonostante la contrarietà di alcune capitali, c’è ottimismo sul via libera finale visto che si deciderà a maggioranza.
Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca saranno esentate dal sistema, le perplessità di Francia e Spagna potrebbero essere superate cambiando in parte le quote e il blocco dell’Est, se isolato, non dovrebbe essere in grado di fermare la decisione.
Il testo che sarà approvato oggi dall’esecutivo comunitario guidato da Juncker spiega che «Italia e Grecia con i conflitti in corso nelle regioni immediatamente vicine sono più vulnerabili degli altri paesi europei ai fluissi migratori che oltretutto proseguiranno».
Per questo a beneficiare della solidarietà europea — un passo avanti politico rispetto all’indifferenza fin qui mostrata dagli altri governi — saranno Roma e Atene.
Nel 2014 in Italia sono infatti sbarcati 170mila migranti (+277% rispetto al 2013) e in Grecia 50mila (+153%).
Bruxelles indica che nel meccanismo in futuro potrebbe entrare anche Malta se la situazione sull’isola peggiorasse. Il meccanismo d’emergenza durerà due anni.
Poi la Commissione proporrà nuove regole permanenti sempre per spartire tra i Ventotto gli immigrati in arrivo dal Nord Africa.
Dall’Italia verranno prelevati 24mila migranti, dalla Grecia 16mila.
«Il totale di 40mila migranti — scrive Bruxelles — corrisponde al 40% del totale dei richiedenti che hanno una chiara necessità di protezione internazionale ».
Ieri sera nella bozza di decisione si leggeva che ad essere riallocati saranno i migranti che sbarcheranno sulle nostre coste dall’entrata in vigore della norma, anche se il testo all’ultimo potrebbe essere cambiato comprendendo anche chi è già arrivato.
Poco cambierebbe, sarebbe comunque un primo aiuto ad abbassare la pressione sui centri di accoglienza al collasso.
In futuro si aggiungeranno circa 20mila richiedenti asilo presenti nei campi Unchr in Africa che verranno distribuiti tra i Ventotto. Altro per abbassare la pressione degli sbarchi.
Ad essere trasferiti saranno essenzialmente eritrei e siriani, per definizione aspiranti ad ottenere lo status di rifugiato viste le guerre che insanguinano i loro paesi.
«Secondo i dati Eurostat — scrive Bruxelles — sono coloro che hanno la percentuale più alta di richieste di asilo accolte, il 75% in media in tutti i paesi Ue».
I paesi di destinazione riceveranno 6mila euro a migrante ospitato.
Potranno rifiutare le singole persone per questioni di sicurezza nazionale o ordine pubblico.
I governi europei potranno mandare in Italia ufficiali di collegamento per facilitare il lavoro. Inoltre Italia e Grecia saranno aiutati da personale europeo per screening di chi sbarca, raccolta delle impronte digitali, gestione delle domande di asilo e trasferimento.
In cambio Roma e Atene si impegnano a presentare entro un mese a Bruxelles un roadmap con le misure per migliorare il lacunoso sistema di asilo, accoglienza e rimpatri.
Se non ci fossero miglioramenti, la Ue potrà sospendere le riallocazioni. L’operazione costerà al bilancio comunitario 24 milioni.
Nel testo attuale, che potrebbe essere cambiato dai governi, tra gli altri in Germania andranno 8.763 migranti, in Francia 6.752 e in Spagna 4.288.
L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Fede- rica Mogherini, parla di «proposta non perfetta ma che rappresenta un enorme passo avanti».
Per il sottosegretario Sandro Gozi il numero di 24mila migranti «è insufficiente, premeremo perchè venga migliorato da ministri e leader ».
Il premier Matteo Renzi spiega: «In Europa c’è un po’ di tensione, tutti hanno a che fare con le opinioni pubbliche per cui hanno un po’ paura quando si tratta di accogliere migranti. Ma noi abbiamo detto per la prima volta che questo problema non è solo italiano, ma europeo.
Entro il 26 giugno vedremo se l’Ue avrà un volto solidale. Sono molto ottimista, ma finchè non si interviene in Africa le quote sono un palliativo.
Nei prossimi mesi l’Italia farà cose mai fatte prima: tornare a investire sulla cooperazione internazionale, in particolar modo in Africa».
Per Alfano «l’Europa è a un bivio storico: essere solidale o non essere».
Intanto mentre a New York si lavora alla risoluzione Onu per colpire i barconi (vuoti) dei trafficanti direttamente in Libia, la Ue estende a 138 miglia dalle coste siciliane il raggio d’azione di Triton, la missione di soccorso in mare che riceverà dalla Ue altri 38 milioni.
E Frontex, l’Agenzia Ue sul controllo delle frontiere, aprirà un base proprio in Sicilia per coordinare Triton e aiutare gli italiani nella gestione della riallocazioni. Bruxelles lavora anche per sigillare i confini Sud della Libia ed evitare che i migranti entrino nel Paese, ora nel caos.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
ECCO IN COSA SONO VICINI E IN COSA LONTANI
Podemos e Movimento 5 Stelle: dopo l’affermazione in alcune delle principali città spagnole del partito guidato da Pablo Iglesias, si è acceso nel nostro Paese il dibattito sulle somiglianze e le differenze tra queste due forze politiche.
Proviamo a vedere allora che cos’hanno in comune e che cosa no queste due forze politiche.
Principali somiglianze
1. Lotta alla casta e alla corruzione. Sono caratteristiche comuni dei due movimenti, che ad essa danno ugualmente assoluta priorità .
2. Superamento di destra e sinistra. Anche Podemos, come il M5S, rifiuta la geografia politica basata su destra e sinistra e rivendica la volontà di andare oltre questo “vuoto dualismo”.
3. Contrapposizione a entrambi i poli. Podemos parla del “bipartitismo” Pp-Psoe in senso fortemente negativo più o meno come Grillo ha coniato ha coniato la dizione “Pdl-Pdmenoelle”.
4. Radicalità del conflitto e del posizionamento. Anche Podemos si propone un cambiamento politico radicale (e quindi una conflittualità forte verso il potere politico presente) identificandosi come qualcosa di completamente diverso da tutti gli altri.
5. Reddito minimo, opposizione al fiscal compact e al pareggio di bilancio. Si tratta di elementi programmatici forti sia per Podemos sia per il M5S, così come la lotta allo strapotere delle banche e alla speculazione finanziaria
6. Superamento dei vecchi blocchi sociali. Anche Podemos ritiene che i vecchi blocchi sociali (ad esempio, “operai versus imprenditori”) siano superati da nuove dinamiche, in particolare “cittadini comuni contro èlite ed establishment”.
7. Grande attenzione al precariato e alle nuove forme di lavoro. L’interesse verso i flessibili e le “nuove generazioni escluse” è un altro tratto in comune.
8. Coinvolgimento nelle lotte locali. Anche Podemos crea engagement degli attivisti attraverso questioni locali, comprese quelle di tipo ambientale (ad esempio contro le grandi opere).
9. Superamento della vecchia forma partito e voto on line. Anche Podemos ritiene che il partito fondato sugli apparati debba lasciare il posto a forze politiche la cui sovranità è nella base, che la esercita attraverso votazioni on line
10. Uso dei nuovi media. Anche in Podemos l’uso virale della Rete per la comunicazione e il coinvolgimento (oltre che per le decisioni politiche) è un tratto fondamentale.
Principali differenze
1. La Casta non è solo quella politica. Per Podemos con la parola “casta” si intende non tanto i parlamentari o i consiglieri regionali, quanto soprattutto l’intreccio di politica e poteri economici, di partitocrati ed èlite del Paese che è tale per patrimonio e reddito.
2. Conflitto sociale come elemento portante. Per Podemos il conflitto tra la parte bassa della piramide sociale e l’èlite economica è fondamentale e indissolubilmente legata alla lotta alla corruzione e al malaffare: sono due cose che non si possono scindere.
3. Uno non vale uno. Podemos ha fatto un congresso e ha creato al suo interno cariche formali di partito a livello locale e nazionale, elette dalla base ma con autonomia operativa, finchè sono in carica (con limite a due mandati).
4. Nessuna ambiguità di carica. La catena di comando in Podemos è chiara e determinata dalle cariche elettive di cui sopra: non esistono un Grillo o un Casaleggio che esercitano forme di potere o di “suasion” senza cariche formali e statutarie.
5. Uso diverso della democrazia diretta. Podemos, al contrario del M5S, ha delegato a tre diverse società esterne e indipendenti la gestione e la verifica delle votazioni on line; e non ha mai usato la Rete per espellere suoi esponenti.
6. Alleanze possibili. Podemos ritiene possibile e anzi auspicabile arrivare al governo nazionale o a quelli locali tramite alleanze, anzichè puntare al 51 per cento da solo; le alleanze però devono essere programmatiche, concordate in trasparenza e sottoposte al voto on on line degli iscritti.
7. Europeismo come faro. Podemos si professa fortemente europeista, nel senso di di Altiero Spinelli, e chiede quindi una vera federazione con istituzioni democratiche elette dai cittadini; non pone nemmeno come ipotesi la questione dell’uscita dall’euro.
8. Origine del partito. Mentre il M5S è nato dai meet-up creati attraverso il blog di Beppe grillo, Podemos è la declinazione partitica delle manifestazioni di massa in piazza del maggio 2011, quelle degli Indignados; anche la radicazione dei suoi leader nelle facoltà di studi sociopolitici di Madrid e nelle esperienze di lotta dei Social forum è un tratto che lo diversifica dal M5S.
9. Ispirazioni ideologiche. Anche Podemos è postideologico, nel senso che sottolinea la continua prevalenza dei dati di realtà sulle forzose interpretazioni astratte, tuttavia richiama sempre i suoi ispiratori di pensiero (poco presenti invece nel M5S): soprattutto Ernesto Laclau, Chantal Mouffe, Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini e Altiero Spinelli. Molto sentita inoltre, in Podemos, la vicinanza con le esperienze di lotta antiliberista in alcuni Paesi dell’America latina, dai Sem Terra brasiliani all’Ecuador di Correa (ma anche il Venezuela di Chà¡vez).
10. Uso massiccio della televisione. Nessuna questione su andare o no ai talk show: per Podemos la presenza televisiva è fondamentale e del resto per lanciare la nuova forza politica è stata ampiamente sfruttata la pregressa notorietà di Pablo Iglesias come ospite fisso nei salotti catodici.
Alessandro Gilioli
(da “L’Espresso”)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
SOLO UNO SU QUATTRO PER L’ADOZIONE
Unioni civili «sì», matrimoni «ni», adozioni «no».
Cosa succederebbe se anche gli italiani, come gli irlandesi, fossero chiamati ad esprimersi sulle unioni gay con un referendum?
Il quadro che emerge da un sondaggio Piepoli per La Stampa lascia intravedere un riformismo moderato nella nostra società : due italiani su tre (67%) ritengono giusto modificare la legislazione vigente – il nostro Paese, privo di una legge sul tema, è ormai isolato in Europa -, ma solo uno su due (51%) vorrebbe seguire Paesi come Irlanda, Spagna, Portogallo, Francia, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia, Islanda, Danimarca, Gran Bretagna, Lussemburgo e Finlandia, dove i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono legali.
Gli italiani preferiscono seguire il modello austro-tedesco, che vieta i matrimoni ma consente solo le unioni civili (anche se Berlino ora vuole fare un passo avanti).
Che poi è il sistema previsto dal ddl del Pd che sarà esaminato dal Senato (e su cui Ncd è pronto a dare battaglia).
L’età e il sesso
In generale, guardando le risposte degli italiani in base al genere, si nota come le donne siano più aperte rispetto agli uomini sul tema.
Stesso discorso per i giovani: la percentuale di favorevoli a matrimoni gay e adozioni cala con l’aumentare della fascia d’età .
Piccola eccezione per le unioni civili, chieste dal 66% degli over 55 e dal 65% di chi è nella fascia 35-54 anni.La religione
Altra variabile, ovviamente decisiva, è l’orientamento religioso.
Inutile dire che i cattolici praticanti sono contro l’adozione (solo il 17% è favorevole) e il matrimonio (il 56% dice no), ma la maggioranza di chi prega e va regolarmente a messa (il 57%) accetterebbe le unioni civili.
L’orientamento politico
E poi c’è la politica.
Le percentuali più basse di favorevoli si trovano tra gli elettori di centrodestra. Le più alte, dipende.
L’elettorato M5S è quello che chiede con più insistenza un referendum sul tema (69% contro una media italiana del 57%) e la legalizzazione dei matrimoni (60%), mentre quello di centrosinistra è il più favorevole a unioni civili (74%) e adozioni (30% contro il 29% dei grillini).
Marco Bresolin
(da “la Stampa”)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
IL GRANDE FRATELLO AMERICANO HA INVASO IL CAMPO DA GIOCO CON LE TRUPPE D’ASSALTO… DIFENDERE LA PORTA NON SARA’ FACILE
Oggi c’è l’America, precisamente gli Stati Uniti, a scoprire che il calcio è marcio e che Sepp Blatter, ex ala destra del Neuchatel Xamax, colonnello dell’esercito elvetico e imperatore del football, non è uno stinco di santo.
Corruzione, frode e riciclaggio sono nell’elenco presentato dai gendarmi svizzeri agli arrestati su rogatoria internazionale chiesta dal Federal bureau of investigation.
Nessuno vuole fare il complottista a tutti i costi o parlare di giustizia ad orologeria che, nel paese dei cronometri, suonerebbe come una battuta da Bagaglino.
Però l’indagine sulla Fifa necessita di un qualche inquadramento di politica internazionale.
Gli Usa, che hanno da sempre un’idea tutta loro della competenza territoriale, sbarcano sulle rive del Lago Lemano per ammanettare Jack Warner e soci, pesci piccoli del mondo di mezzo del calciobusiness.
Il gioco del cui prodest dice che il bersaglio ultimo dell’operazione è il Qatar della famiglia al Thani, equamente diviso fra modernità ultracapitalistica sbandierata a colpi di shopping sui mercati internazionali e bigotteria fondamentalista alimentata da finanziamenti occulti alle organizzazioni terroristiche.
L’organizzazione dei Mondiali non dovrebbe essere a rischio ma il colpo d’immagine è grave e si somma alle centinaia di operai morti nei cantieri dove si stanno costruendo i nuovi stadi.
Il finalmente indagato ma non incriminato Blatter sembrerebbe avere incassato un danno collaterale in una vicenda, per una volta, più grande del suo pur grande potere. Allo stesso tempo, si può notare che il suo avversario per un ennesimo mandato alla guida della Fifa è un principe hashemita di 39 anni, Ali bin al Hussein di Giordania, fratellino minore di re Abdallah, un alleato fondamentale degli Stati Uniti nella lotta ai tagliagole del Califfato.
Moventi politici? Non sarebbe strano.
L’inchiesta parte dagli uffici giudiziari dell’Eastern District of New York, una delle migliori rampe di lancio per carriere di lotta e di governo in tutti gli Stati Uniti. Alla fine dello scorso aprile l’ex capo dell’Eastern Disctrict, la democratica Loretta Lynch, che ha costruito l’inchiesta sulla Fifa, ha lasciato l’incarico ed è diventata procuratore generale degli Usa su nomina di Barack Obama.
Per la cricca di Blatter, sopravvissuta a scandali su scandali, si annunciano tempi cupi. Il Grande Fratello americano ha invaso il campo da gioco con le truppe d’assalto. Difendere la porta non sarà facile.
Gianfrancesco Turano
(da “L’Espresso”)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
SE RISULTERA’ VINCITORE, IL PREMIER GLI DARA’ IL TEMPO DI INSEDIARSI E FORMARE LA SQUADRA… POI IL PD GOVERNERA’ CON IL VICEPRESIDENTE
Nel ginepraio di polemiche sulla legge Severino e la condizione ‘particolare’ del candidato Vincenzo De Luca, una cosa è certa a Palazzo Chigi.
Se l’ex sindaco di Salerno vince le regionali di domenica prossima in Campania, avrà il tempo di formare una giunta, con assessore e vicepresidente.
Non scatterà alcuna sospensione immediata per effetto della legge Severino, che impedisce a De Luca di insediarsi da governatore per via della condanna in primo grado per abuso d’ufficio.
Dunque, se il Pd vincerà le elezioni, governerà la Campania, magari con un vicepresidente facente le funzioni De Luca che comunque resterà sospeso dalla carica fino alla pronuncia del giudice ordinario che esaminerà il suo ricorso, anche questo naturalmente è certo.
La materia è complicata.
Tecnica e tutta da studiare, visto che il caso De Luca è un inedito nella giurisprudenza italiana, da quando la Severino è in vigore, dal 2012, governo Monti.
E i renziani non fanno mistero del fatto che la vicenda sta tenendo impegnati da un bel po’ i loro tecnici esperti in materia.
Come orientarsi se De Luca dovesse vincere le regionali?
Il provvedimento di sospensione dall’incarico deve essere deciso dal governo: dal ministro dell’Interno Angelino Alfano e il premier Matteo Renzi.
Ma non sarà immediato: per intendersi, non scatterà già lunedì, all’indomani dall’elezione.
E, secondo gli orientamenti valutati dallo staff di Renzi, non cambia nulla con la sentenza emessa ieri dalla Cassazione, che sottrare al Tar la competenza di giudizio sulla Severino affidandola al giudice ordinario cui ricorrerà De Luca.
“La sospensione non può scattare prima che De Luca entri in possesso delle sue funzioni”, ci dice il responsabile Giustizia del Pd David Ermini.
E lo statuto della Regione Campania stabilisce che entro un massimo di 20 giorni ha luogo la prima seduta del consiglio regionale ed entro altri 10 il governatore nomina la giunta compreso un vice-presidente.
Soltanto dopo interverrà la sospensione.
Perchè, recita l’articolo 8 della legge Severino, dopo la proclamazione degli eletti, l’autorità giudiziaria avvisa il prefetto, che a sua volta allerta il governo, il quale decide la sospensione, la comunica al prefetto che a sua volta la notifica al Consiglio regionale.
Passaggi che non sono affatto immediati, secondo i calcoli fatti nella cerchia del premier.
Ed ecco perchè De Luca oggi ha buon gioco a dire che “per Renzi la legge Severino è superabile”.
Tanto più che la decisione presa ieri dalla Cassazione non lascia decadere tutti i ricorsi presentati in Corte Costituzionale contro la Severino.
Decadono quelli presentati dai Tar, perchè giudici ormai non più competenti. Ma non decade il ricorso presentato dalla Corte d’appello di Bari, che ha reintegrato in consiglio regionale in Puglia il Dem Fabiano Amati, condannato in secondo grado per tentato abuso d’ufficio, e impugnato le eccezioni di costituzionalità della Severino. Ecco: è proprio quello che nel Pd si spera decida il giudice ordinario che dovrà esaminare il caso De Luca: rimandare tutto alla Consulta, che sul pugliese Amati deciderà in autunno.
Il tutto sempre che De Luca vinca le elezioni domenica.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
SE IL SINDACO VINCERA’, PALAZZO CHIGI DAVANTI A DUE OPZIONI: SALVARE LA VITTORIA OPPURE NO
Saranno Matteo Renzi e Angelino Alfano gli arbitri del caso De Luca.
A loro, in quanto premier e ministro dell’Interno, l’onere di decidere sulla governabilità della regione Campania.
Il diavolo continua a metterci lo zampino in questa vigilia elettorale degna di un capitolo di “House of cards”.
C’è il pasticcio degli impresentabili su cui la commissione Antimafia fatica a dire l’ultima parola.
C’è l’inchiesta sul voto di scambio in Sicilia, regione che porta al voto due comuni importanti come Enna e Agrigento.
E c’è la Cassazione le cui Sezioni Unite civili hanno anticipato un verdetto che pesa come un macigno sul voto di domenica.
La Suprema Corte ha deciso infatti che il giudice competente sull’applicabilità della legge Severino (ineleggibilità , incandidabilità , decadenza) non è il Tribunale amministrativo che in questi mesi ha riconosciuto la sospensiva della sospensione (scusate il pasticcio di parole) al sindaco De Magistris e all’ex sindaco di Salerno, ora candidato governatore in Campania per il Pd, Vincenzo De Luca.
La giurisdizione in questi casi deve essere esercitata solo dal giudice ordinario.
Cioè il giudice civile del distretto. La decisione, che ha scatenato l’ira di De Magistris (“c’è stata una fuga di notizie”), produce effetti che non sono collaterali ma attori pieni della scena politica.
Primo effetto: decade subito il ricorso alla Corte Costituzionale che era stata investita per decidere sulla costituzionalità della legge Severino.
Questo produce due risultati: Silvio Berlusconi non avrà quel verdetto favorevole che era convinto di avere entro l’autunno.
Potrà , eventualmente, essere presentato un nuovo ricorso una volta che la questione sarà sollevata davanti al giudice ordinario. Ma i tempi si allungano.
Dovrà a questo punto essere il Parlamento a farsi carico di discutere nuovamente sulla Severino, impegno a cui aveva volentieri rinunciato confidando nell’intervento della Consulta.
Secondo effetto: è forte il rischio di vuoto istituzionale qualora Vincenzo De Luca dovesse essere eletto governatore in Campania.
Da quando è uscita la sentenza, avvocati amministrativisti sono alle prese con l’analisi delle conseguenze del verdetto.
Prima tra tutti quel Gianluca Pellegrino che, davanti alla Cassazione, ha sostenuto il ricorso presentato dal Movimento per la difesa del cittadino.
La faccenda è molto tecnica e deve fare i conti con molti “se”.
Cercando di semplificare e simulando che De Luca vinca la Campania, immaginiamo di essere al 31 maggio sera e che De Luca sia eletto.
Come è noto, il candidato ha una condanna in primo grado per abuso d’ufficio la qual cosa lo rende candidabile (diritto acquisito), non “impresentabile” (l’abuso di ufficio non è inserito nella lista dei reati del codice etico dell’antimafia) ma immediatamente sospeso dall’incarico ai sensi della legge Severino.
Finora De Luca ha sostenuto che non ci sarebbero stati problemi. “Mi eleggono, mi sospendono ma io faccio subito ricorso al Tar che mi reintegra in mezza giornata”.
Lo dice perchè è già successo, dalla sua la volontà popolare e l’interesse pubblico di dare una guida al territorio.
Ma la sentenza della Cassazione cambia tutto perchè il giudice ordinario avrà tempi certo più lunghi di quelli del Tar.
E magari convinzioni diverse.
“De Luca – spiega Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia – farà ricorso al giudice ordinario civile azionando l’articolo 700, cioè la procedura d’urgenza giustificata dal danno irreparabile come conseguenza della sospensione. Anche il giudice ordinario potrà valutare in prima battuta la sospensione e solo dopo affrontare il merito. Ma non c’è dubbio che i tempi del giudice ordinario saranno più lunghi di quelli del Tribunale amministrativo”.
Dunque ecco che occorre fare i conti con il seguente sconvolgente scenario: il 31 maggio sera De Luca eletto governatore, il giorno dopo sospeso ai sensi della Severino, almeno un mese di vuoto istituzionale prima che arrivi la decisione del giudice ordinario civile.
Si tratta di un assoluto inedito. E quindi è probabile che vengano da qui a domenica scovate altre soluzioni.
La più probabile, già sottoposta all’attenzione di Palazzo Chigi, vede protagonista, suo malgrado, il premier Renzi.
Il decreto di sospensione deve portare la firma del prefetto, in questo caso di Salerno, vistata dal ministro dell’Interno per conto del presidente del Consiglio.
Ora, è chiaro che se il decreto arriva subito, nel giro di un paio di ore, diciamo la mattina del primo giugno, nella Campania del supposto governatore De Luca sarà il caos.
In poche ore, infatti, il neo governatore non potrà aver nominato la giunta e quindi un vice presidente che ne possa garantire le funzioni in attesa della eventuale sospensione delle sospensiva che, essendo cambiato giudice, non è detto tra l’altro che arrivi. Diverso lo scenario se invece prefetto, ministro dell’Interno e presidenza del Consiglio firmeranno il decreto di sospensione con calma.
Magari in una settimana, dando così tutto il tempo al governatore di nominare giunta e vice.
Gli sceneggiatori di “House of cards” dovrebbero fare uno stage in Italia dove c’è sempre qualcosa da imparare.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
SE I SEGRETARI DI PARTITO AVESSERO AVUTO IL BUON GUSTO DI NON CANDIDARLI, OGGI NON CI FAREMMO RIDERE DIETRO DA MEZZO MONDO
Quella che segue è la cronaca di un delirio, di cui il lettore – lo avvertiamo per tempo – non capirà nulla. Ma la colpa non è nostra.
Se non si capisce nulla, è perchè la notizia è proprio questa: l’Italia è un Paese dove non si capisce nulla.
La questione è quella dei cosiddetti «impresentabili».
Cioè i candidati che, per vari motivi, primi fra tutti i guai giudiziari, sarebbe stato opportuno non mettere in lista.
Diciamo così: se i segretari di partito avessero avuto il buon gusto di non candidarli, il problema non si sarebbe posto.
Ma siccome non hanno avuto il buon gusto, non resta che chiedere lumi alla legge.
E qui comincia il delirio. Dunque. Che cosa dice la legge?
Un politico condannato può candidarsi alle elezioni oppure no?
In qualunque altro Paese la risposta sarebbe un «sì» o un «no»: probabilmente più «no» che «sì», ma in ogni caso una risposta chiara.
In Italia è un po’ più complesso. C’è una legge approvata dal Parlamento, la Severino, che dice che no, non ci si può candidare. Così, ad esempio, era stato dichiarato ineleggibile Silvio Berlusconi. Poi erano stati fatti decadere i sindaci di Salerno, Vincenzo De Luca, e Napoli, Luigi de Magistris
Ma che cos’è in fondo una legge di fronte ai Tar, questi giudici onniscienti che pare abbiano il potere di decidere su tutto, dalle bocciature a scuola ai campionati di calcio? Così, De Luca e De Magistris avevano fatto ricorso a un Tar, avevano vinto ed erano stati reintegrati.
Non solo: De Luca si è candidato alle regionali di domenica prossima alla presidenza della Campania, diventando a furor di popolo il primo, appunto, degli «impresentabili».
Ieri, però, le sezioni unite civili della Cassazione hanno stabilito che sulla legge Severino non può esprimersi il Tar, ma un giudice ordinario.
Così De Luca torna ineleggibile: e se domenica vince le elezioni, un attimo dopo essere diventato presidente verrà fatto decadere.
Da chi? Pare dal presidente del Consiglio, anche se questa è la tesi di alcuni avvocati ma non di tutti.
Comunque la Campania resterebbe senza presidente. Fino a quando? Ah beh, non si può pretendere di saperlo con precisione.
Ci sarebbe un giudizio in tribunale, poi un secondo e un terzo grado, e a quel punto la Campania avrebbe forse un presidente.
Magari ottuagenario, ma un presidente.
Attenzione, però. Un Tar ha posto la questione di incostituzionalità della legge Severino, e in ottobre la Consulta dovrà esprimersi.
Dovesse bocciarla, e dichiararla anticostituzionale, De Luca tornerebbe immediatamente eleggibile e si riprenderebbe la poltrona di governatore della Campania.
Ma ri-attenzione: il giudizio fissato per ottobre davanti alla Corte Costituzionale potrebbe saltare, perchè la questione di incostituzionalità della legge Severino era stata sollevata, appunto, da un Tar, e siccome ieri la Cassazione ha detto che il Tar non è competente sulla Severino, il ricorso dovrebbe essere invalidato.
A quel punto De Luca decadrebbe di nuovo.
È chiaro perchè dicevamo che non è chiaro?
Aggiungete che la commissione Antimafia, a sua volta, avrebbe individuato altri tredici candidati «impresentabili» e si apprestava a farne i nomi. Ma ieri c’è stata una fuga di notizie su quattro candidati pugliesi, e le prefetture della Campania pare abbiano smarrito alcuni documenti che avrebbero dovuto inviare a Roma.
E così, niente lista. Tutto rinviato a venerdì, a campagna elettorale chiusa.
Capite, cari lettori, in quali condizioni si andrà a votare, domenica prossima, in sette regioni italiane?
Resta un dubbio: che questa confusione, in fondo, non dispiaccia poi tanto a chi compila le liste elettorali.
Michele Brambilla
(da “La Stampa“)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
IL CASO IMPRESENTABILI ARRIVA SUL PRESTIGIOSO QUOTIDIANO INGLESE
Italy, Regional Elections. Una testatina neutrale, quasi insignificate fa da cappello ad un articolo esplosivo.
Il caso degli impresentabili e delle liste del Pd della Campania deflagra sul prestigiosissimo Financial Times, facendolo diventare un caso internazionale.
Un lungo reportage pubblicato a pagina 3 nell’edizione europea, e che il quotidiano britannico ha pubblicato anche online.
Che sia un articolo spinoso per Matteo Renzi e Vincenzo De Luca lo si capisce già dal titolo: “Campania poll shows limits of Italian PM Matteo Renzi’s influence”. Tradotto: “Le elezioni in Campania mostrano i limiti dell’influenza di Renzi”.
La tesi è presto svolta. Se il programma di De Luca, per proposta di innovazione e cambiamento, va di pari passo con l’agenda del premier, dietro la facciata programmatica la situazione è tutt’altra.
La candidatura di De Luca, scrive James Politi, inviato a Napoli, “ha dimostrato i limiti dell’influenza di Renzi fuori da Roma, dove la politica locale è ancora basata su personaggi sgradevoli e reti clientelari estremamente difficile da smantellare. E il signor De Luca rappresenta la testardaggine di quel vecchio sistema di potere”.
Il Financial Times spiega l’incomprensibile (all’estero) dinamica del rischio decadenza dopo l’eventuale elezione, per poi passare diffusamente al capitolo “impresentabili”.
Due sono i casi che hanno attirato maggiormente l’attenzione del quotidiano britannico:
Almeno un membro della coalizione che sostiene De Luca è sospettato di simpatie nei confronti della camorra, la criminalità organizzata di Napoli, scatenando l’ira di Roberto Saviano, l’autore anti-camorra che vive scortato dalla polizia. Un altro è un politico locale di estrema destra che ha visitato la tomba dell’ex dittatore Benito Mussolini nel nord Italia, e che sulla sua pagina Facebook ha definito “disgustosi” tre uomini in biancheria intima che si tenevano per mano durante un gay pride.
Due vicende rispetto alle quali, sottolinea il Ft, Renzi non ha voluto prendere le distanze: “Renzi ha detto che “non avrebbe mai votato per loro”.
Ma per il resto il primo ministro ha difeso De Luca, anche nel corso di un recente evento della campagna elettorale a Salerno, venerdì scorso, durante il quale ha spiegato che le critiche “non mi fanno arrabbiare, mi fanno sorridere””.
Nè tantomeno De Luca “ha sentito il bisogno di prendere le distanze dai suoi controversi alleati”.
(da “Huffingtonpost“)
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