Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
IL RENZIANO RASETTO: “CHI VOTA PER LUCA PASTORINO È FUORI”… IL CANDIDATO CIVATIANO RIBATTE: “COSàŒ AUMENTA L’ESODO”
E ultima venne la minaccia di espulsione. A norma di statuto, ma sempre dall’eco plumbea: “Nel momento in cui un iscritto o un dirigente vota un’altra lista, è fuori del partito”.
Così parlò lunedì sera Victor Rasetto, renzianissimo membro della Direzione regionale del Pd, a margine del confronto tra i candidati governatori in Liguria su Sky. Ed è burocratica fatwa per i dissidenti dem che il 31 maggio voteranno per il civatiano Luca Pastorino, scappato dal Pd.
“È un errore votarlo, così si fa un favore alla destra” ha ammonito Rasetto: ex segretario provinciale a Genova, travolto nel 2012 dal disastro delle primarie cittadine, quelle in cui Marta Vincenzi e Roberta Pinotti si annullarono a vicenda, e a vincere fu l’attuale sindaco Marco Doria.
Ora il fu segretario tifa ovviamente per la renziana Raffaella Paita, nella Liguria dove il Pd è un campo di battaglia, nonchè ago della bilancia delle Regionali, come provano le infinite visite di Renzi e dei suoi fedelissimi (ieri è a Genova apparso Graziano Delrio)
Oggi Paita sarà nella città della Lanterna assieme a Roberto Speranza, leader della minoranza di Area riformista.
E domani potrebbe arrivare Pier Luigi Bersani, a riprova che i dissidenti di stanza a Roma che non vogliono remare contro.
E che adesso il premier ha bisogno perfino di loro, per rinserrare le fila contro la sinistra “simil-bertinottiana” o “masochista” (definizioni renziane) che potrebbe togliere voti preziosi.
I “primi nemici” sono i 200 tra dirigenti e iscritti del Pd ligure che un mese fa votarono un documento per “il voto secondo coscienza”, rivendicando la libertà di non scegliere la Paita.
È innanzitutto a loro, che parla il dirigente che agita l’espulsione.
Gente come Andrea Ranieri: sindacalista della Cgil, ex assessore a Genova, membro della Direzione nazionale dem, civatiano.
“L’espulsione l’ho messa nel conto, anzi me la meriterei” sorride.
Lui il Rubicone l’ha già varcato: “Non voterò neppure la lista del Pd, e non rinnoverò la tessera, perchè ormai non mi ritrovo più in questo partito. Bisogna votare Pastorino per far sì che rimanga una sinistra in questo Paese, con i suoi valori: la Liguria è un test nazionale”.
Ma quanti sbatteranno la porta (o si faranno cacciare)? “Diversi giovani quadri già sostengono Pastorino, altri se ne andranno. Sono in tanti che non vogliono il Partito della Nazione. Io vorrei costruire un nuovo soggetto politico, ma su basi nuove: non fare la solita scissione”.
Un altro dei 200 è Ubaldo Benvenuti, ex segretario genovese del Pds, ed ex consigliere regionale. “Ho fatto legislature, poi mi sono rottamato da solo” ride.
Il monito via tv non lo turba: “Stando allo Statuto è giustificato”.
Però va di contropiede: “L’anno scorso a violare quella norma fu proprio la Paita, perchè nel comune di Davagna, vicino Genova, sostenne un candidato che non era quello espresso dal circolo locale, e che alla fine venne eletto sindaco”.
Un anno dopo, Benvenuti aspetta: “Penso che sulle espulsioni decideranno in base al risultato delle elezioni. Io vorrei rimanere, ma in un Pd rigenerato, da poter votare senza doversi turare il naso: le liste non sono proprio cristalline”.
Ma chi vincerà ? “Probabilmente Paita, ma vincerà male. In tanti non andranno a votare, a sinistra come a destra: il 42 per cento delle Europee rimarrà un miraggio”. Nel frattempo arriveranno Bersani e Speranza: “Non si rendono conto che la battaglia nel partito va fatta”.
A margine, Pastorino: “Le parole di Rasetto saranno un incentivo all’esodo dal Pd: Renzi non si è mai posto il problema di chi non era d’accordo, conta solo il suo volere”.
Il segretario regionale Giovanni Lunardon, bersaniano, prova a sminuire: “Rasetto ha risposto a una domanda, e il Pd è un partito pluralista, dove tutti devono potere parlare. I problemi politici vanno risolti con la politica”.
Ammesso che sia ancora possibile.
Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
SILVIO DA VESPA RIABILITA ANCHE LE PRIMARIE E L’ITALICUM… E RENZI ATTACCA GLI ANTI-PAITA
Ultimi tre giorni di campagna elettorale e in tv un redivivo Berlusconi ufficializza il suo passo indietro (definitivo?).
«Sono personalmente convinto – è la premessa fatta a Porta a porta – che non ci sia la possibilità di andare alle elezioni prima del 2018: non conviene a Renzi e non conviene al Parlamento».
Poi l’annuncio: «Non prevedo assolutamente di candidarmi. Sono incandidabile per sei anni per volontà della sinistra, ma non è per questo che non penso a un mio futuro parlamentare, ma perchè penso di avere il ruolo di propositore del progetto del futuro centrodestra per il futuro degli italiani».
Il leader di Forza Italia stupisce anche per altri due capovolgimenti di linea politica. Su primarie e Italicum, finora sempre esecrati.
Legge elettorale, adesso piace: «Per unire i moderati servono due anni e mezzo. Se le elezioni dovessero esserci a breve sono convinto che la Lega non entrerebbe in una forza unica. Ma con l’unione dei moderati l’Italicum ci va bene e funzionerà ».
Quanto alla scelta del leader, «se ci fossero votazioni controllate penso che le primarie potrebbero andare bene. Io non escludo che ci possa essere un intervento del parlamento per lo svolgimento delle primarie».
Berlusconi infine taglia corto sull’ennesima candidatura all’eredità che tiene banco da giorni sui giornali, quella della figlia Barbara.
Niet assoluto: «Barbara e Marina hanno un padre che non gli farà mai fare politica. Dopo il male che ho subito io in questi anni, loro hanno un padre che farebbe un atto di imperio per impedirglielo».
Anche per Matteo Renzi è giornata di interviste televisive.
Che sia 6-1, 4-3 o 5-2, il presidente del Consiglio ribadisce che dopo il voto regionale non cambierà nulla per il governo.
«Per me il problema non è se vinciamo tutte le regioni, per me il problema è se rimettiamo in moto la speranza, ci curiamo delle aziende che rimettono al centro la qualità dei lavoratori ».
Certo, alla fine la lingua batte dove il dente duole: la Liguria.
L’unica regione dove la sinistra si presenta divisa con due candidati. «La Liguria – attacca Renzi – è diventata una cavia perchè la stanno usando per regolare i conti. Quelli che hanno perso le primarie contro la Paita che ora vogliono far perdere la Paita perchè questo è il loro modo di avere la rivincita. Non ce la faranno, arrivano quarti. Come al solito la sinistra radicale vuol aiutare Berlusconi».
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
VIETATO SAPERE: I CONTI NON TORNANO
A Milano l’aria che tira è la seguente: il commissario di Expo Giuseppe Sala si rifiuta di dare i numeri dei visitatori e per non farli calcolare fa mettere sotto embargo anche i dati dei biglietti del metrò e della raccolta della spazzatura.
I giornali sanno che il primo mese non è andato bene, ma non vogliono incrinare il clima di sostegno patriottico al Grande Evento, altrimenti si entra nel novero dei gufi.
Un giornale — il Fatto quotidiano — rompe quest’embargo nazionale da tempi di guerra, allinea fatti ed elementi critici, chiede trasparenza sui dati e offre — come dovrebbe fare qualunque giornale libero — un suo conteggio non autorizzato: gli ingressi sono almeno del 30 per cento sotto le previsioni, 60 mila nei giorni feriali, 140 mila il sabato, non più di 100 mila la domenica. Apriti cielo.
Il nostro giornale è accusato di attività antinazionale, di danneggiare l’Evento Planetario.
Partono le rassicurazioni e le contromisure. Va tutto bene. Anzi benissimo.
Sala “incassa il primo successo”, scrive un importante quotidiano, che fa balenare anche la possibilità che il commissario straordinario di Expo possa addirittura diventare il prossimo sindaco di Milano.
Il “primo successo” incassato sarebbero i 3 milioni di visitatori del mese di maggio.
Non sappiamo se davvero sono stati 3 milioni, anzi al Fatto risulta che non siano più di 2 milioni e mezzo.
Ma se è vero, è davvero un successo? Proviamo a fare i conti.
Chiunque può capire che 3 per 6 (i mesi di Expo) fa 18 e 18 milioni è ben al di sotto dei 24 promessi. Il 25 per cento in meno.
I mesi, però, non sono tutti uguali: confrontiamo allora le dichiarazioni di Sala (mai ufficiali, sempre lasciate filtrare) con le previsioni di Expo che sono precise non solo mese per mese, ma giorno per giorno.
Per maggio, erano previsti 4.200.000 visitatori. Dunque Sala ammette già di essere 1.200.000 ingressi sotto le previsioni.
Se consideriamo poi i visitatori calcolati dal Fatto (ovvero 2.500.000), sono 1.700.000 in meno.
Non siamo gufi: speriamo che i mesi prossimi vada meglio.
Tifiamo per Expo, anche perchè come cittadini dovremo pagare i suoi debiti. Però tra poco finiranno le scuole e dunque si esaurirà l’afflusso di scolaresche che in queste settimane ha rimpolpato gli ingressi.
Speriamo allora che si facciano vivi gli stranieri. Finora non si sono visti .
La situazione a Milano è incomparabile con la settimana della moda o quella del design, in cui gli hotel sono al completo, i ristoranti pieni, i taxi introvabili.
A maggio la città è stata tranquilla, l’effetto Expo non s’è visto.
Anche per le prossime settimane non sono previsti voli speciali negli aeroporti di Linate, Malpensa e Orio al Serio.
Dell’annunciato milione di cinesi che doveva precipitare su Milano non c’è traccia.
Ieri, il segretario della Cgil Susanna Camusso ha chiesto trasparenza: “Per un evento come Expo i numeri scompaiono”.
Dopo l’articolo del Fatto, anche due consiglieri comunali — il radicale Marco Cappato e il Cinque Stelle Mattia Calise — hanno chiesto di conoscere le vere cifre: “Il nostro delegato Expo Gianni Confalonieri”, ha risposto il presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo, “mi ha risposto che la società Expo ritiene di non fornirli. Non capisco il perchè: sono abbastanza solido psicologicamente per reggere a qualsiasi notizia”.
Gli espedienti per ingrossare i numeri — l’ingresso serale dopo le 19 a 5 euro anzichè 39 e il prolungamento dell’orario fino a mezzanotte nei weekend — fanno infuriare i commercianti milanesi.
“Negozi, bar e ristoranti stanno per ora subendo il cannibalismo di Expo”, ha dichiarato il loro presidente Lino Stoppani: “Registriamo consistenti cali di fatturato per il nomadismo serale verso Expo dei milanesi”.
Sala lascia scrivere della sua possibile candidatura a sindaco, naturalmente smentendo, ma solo a metà : “Io non so se voglio fare il sindaco, nè se sono in grado. So che non voglio pensarci adesso”.
Ma i commercianti milanesi, importanti al momento del voto, cominciano a non volergli bene.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
LAVORA SOLO IL 52,7%, CRESCONO ANCHE I NET: SONO IL 26% DEGLI UNDER 30
La crisi mette in ginocchio l’occupazione giovanile che in Italia è crollata dal 64,33% del 2007 al 52,79% del 2013.
Tra i paesi dell’area Ocse solo la Grecia fa peggio: all’ombra del Partenone ha un lavoro solo il 48,49% dei giovani.
L’Italia non sta meglio neppure sul occupazione nella fascia d’età 30-54 dove il tasso è sceso dal 74,98% al 70,98%, al quartultima posto tra i Paesi Ocse.
Anche per questo l’organizzazione parigina nota come il nostro Paese abbia “uno specifico problema di disoccupazione giovanile, in aggiunta a uno più generale”, a causa di “condizioni sfavorevoli e debolezze nel mercato del lavoro, e nelle istituzione sociali ed educative”.
A preoccupare l’organizzazione internazionale, sono soprattutto i giovani italiani “Neet”, coloro che non sono occupati nè iscritti a scuola o in apprendistato, sono il 26,09% degli under 30, quarto dato più elevato tra i Paesi Ocse dietro Turchia, Spagna e Grecia: all’inizio della crisi, nel 2008, erano il 19,15%, quasi 7 punti percentuali in meno.
Nell’insieme dei Paesi Ocse, i giovani ‘Neet’ erano oltre 39 milioni a fine 2013, più del doppio rispetto a prima della crisi.
Tra i giovani ‘Neet’ italiani, il 40% ha abbandonato la scuola prima del diploma secondario superiore, il 49,87% si è fermato dopo il diploma e il 10,13% ha un titolo di studi universitario.
A peggiorare le cose contribuisce il fatto che in Italia, il 31,56% dei giovani svolge un “lavoro di routine”, che non richiede l’utilizzo di competenze specifiche, e il 15,13% ha un’occupazione che comporta uno scarso apprendimento legato al lavoro.
La ‘mancata corrispondenza’, o ‘mismatch’, tra posto di lavoro e competenze è un problema sempre più diffuso tra i giovani nei Paesi Ocse: in media, il 62% hanno un lavoro che non corrisponde alla loro formazione, con in particolare un 26% di sovraqualificati (il 14% dei quali lavora inoltre in un settore che non sarebbe il suo), e un 6% di persone con competenze superiori a quelle richieste.
Nel dettaglio delle competenze, l’Italia è il Paese Ocse con la maggior percentuale di giovani in età lavorativa (16-29 anni) e adulti (30-54) con scarse competenze di lettura, rispettivamente il 19,7% e il 26,36%.
L’Italia ha inoltre la percentuale più elevata di persone con scarse abilità in matematica tra gli adulti, il 29,76%, e la seconda tra i giovani in età lavorativa, il 25,91%, dietro agli Usa (29,01%).
In generale, riferisce la tabella Ocse per la misurazione dell’ “occupabilità ” dei giovani, il nostro Paese è al di sotto della media per le competenze dei giovani, i metodi di sviluppo di queste competenze negli studenti e la promozione del loro utilizzo sul posto di lavoro
D’altra parta, l’Italia è seconda tra i paesi Ocse per percentuale di giovani under 25 che hanno abbandonato la scuola prima di aver terminato le superiori, e non stanno seguendo un’altro tipo di educazione, il 17,75%, dietro la Spagna con il 23,21%. L’abbandono scolastico, rileva sempre l’Ocse, ha un impatto significativo rilevante sul livello di competenze: se si considera per esempio la matematica, la percentuale di persone con competenze insufficienti è del 58,5% tra chi non ha terminato le superiori, e scende al 27,7% per chi ha ottenuto un diploma.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ DELLE ENTRATE GIOCA D’ANTICIPO
Un buco da 2,5 miliardi di euro. Con «conseguenze devastanti sul bilancio di Equitalia».
Conseguenze che «si ripercuoterebbero in definitiva sull’intero bilancio dello Stato, trattandosi di una società a totale capitale pubblico». Firmato, Equitalia Nord. Destinataria la Corte costituzionale.
Allarme protocollato il 5 maggio, appena sei giorni dopo l’ormai famosa sentenza della Consulta sulle pensioni.
Al contrario del Ministero dell’Economia, Equitalia non si fa prendere in contropiede. In vista dell’udienza pubblica, che si svolgerà stamattina, e della decisione sul ricorso delle commissioni tributarie di Torino e Latina contro il calcolo dell’aggio sulle riscossioni, che potrebbe anche essere di inammissibilità , Equitalia aggiorna la sua memoria di due anni prima e lancia l’allarme sul potenziale “buco” che una sentenza favorevole ai ricorrenti potrebbe provocare.
Quando ancora la polemica sui dati delle pensioni non è ancora esplosa, e nè il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, nè il presidente delle Consulta Alessandro Criscuolo si sono sfidati a fioretto sulla questione, Equitalia invece si copre le spalle. Intuisce che un’eventuale decisione della Consulta favorevole ai ricorrenti avrebbe effetti «devastanti» su suoi conti e cerca di correre ai ripari.
Può farlo perchè, contro i ricorsi, si è ufficialmente costituita in giudizio.
Quindi può argomentare direttamente con la Consulta. Cosa che invece il Mef non avrebbe potuto fare visto che il suo “avvocato” era l’Avvocatura dello Stato, alla quale però non risulta che il Mef abbia inviato documentazione sugli effetti “devastanti” del buco sulle pensioni
Tant’è. Equitalia Nord, che affronta il ricorso di Torino, innanzitutto si premunisce in caso di possibile sconfitta e chiede «quantomeno una limitazione della retroattività degli effetti della declaratoria di incostituzionalità della norma censurata ».
Si copre le spalle con l’altrettanto ormai famosa sentenza sulla Robin tax, la 10 del febbraio di quest’anno, in cui non si riconosce la retroattività del rimborso.
Scrive Equitalia, nella memoria che fa parte del fascicolo d’udienza della Consulta e che oggi sarà sul tavolo dei 12 giudici presenti, che «la recente giurisprudenza costituzionale ha valorizzato “le esigenze dettate dal ragionevole bilanciamento tra i diritti e i principi costituzionali”».
Si sta parlando dell’articolo 81 della Costituzione che stabilisce il principio del pareggio del bilancio.
A questo punto Equitalia annuncia gli «effetti devastanti» per i suoi conti e quantifica il possibile buco in 2,5 miliardi di euro.
È tutto da vedere se oggi, dopo l’udienza pubblica, la Corte entrerà nel merito delle questioni di costituzionalità sollevate, il 18 dicembre 2012, dalla commissione tributaria di Torino, su ricorso di Stefano Longhi, che aveva impugnato la sua cartella di pagamento, e da Latina il 29 gennaio 2013, stavolta per il ricorso di Anna Cacciotti. Questioni identiche.
Di mezzo le norme che, in tre provvedimenti legislativi (1999, 2008, 2009), fissano l’aggio in misura fissa, sganciato dai costi del servizio.
Negli ambienti della Consulta si può cogliere un certo scetticismo sui ricorsi privi, a quanto pare, di dettagli sufficienti.
Ma il dato rilevante è che, anche stavolta come per le pensioni, a trattare il caso saranno 12 giudici sull’organico previsto di 15.
Non presiede Criscuolo, fuori Roma per un impegno internazionale. Al suo posto ci sarà la vice presidente Marta Cartabia, allieva dell’ex presidente della Corte Valerio Onida, una delle sei alte toghe che ha votato contro la bocciatura della legge Monti sulle pensioni.
Ma la novità , stavolta, è che Equitalia ha messo sul piatto ufficialmente il nodo tra decisione costituzionale sul caso in questione e la compatibilità degli effetti sui conti dello Stato.
Abbiano ragione o torto i ricorrenti di Torino e Latina, il caso sta tutto in questo perimetro stretto.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Maggio 27th, 2015 Riccardo Fucile
MA TUTTO QUESTO LA TOSCANA NON LO SA
Con le elezioni regionali in Toscana il problema più grosso è di ricordarsi che ci sono le elezioni.
La propaganda questa volta non aiuta.
Nel centro di Firenze non c’è nulla, ma proprio nulla. Nessun cartellone, nessun volantino. Sul retro degli autobus le pubblicità sono quelle di rito, nessun faccione di aspirante presidente o consigliere.
Le uniche affissioni abusive sono quelle di agenzie immobiliari e centri termali che si mangiano lo spazio lasciato vuoto dai partecipanti a una competizione politica mai così in incognito.
Alla fine dello scorso agosto Matteo Renzi prese di sorpresa i suoi fedelissimi della prima ora, che meditavano rivincite alle primarie dopo anni di presunte angherie da parte di Enrico Rossi, governatore berliguerian-bersaniano per qualche tempo ritenuto dai sostenitori della ditta un possibile argine all’ascesa del rottamatore.
Fermi tutti, va bene così. Ciao primarie, riconferma «naturale» per l’ex rivale. Gli storici renziani sono incerti se attribuire quell’improvvisa benedizione alla stima reciproca tra due soggetti agli antipodi, come da versione ufficiale, oppure se considerarlo effetto collaterale del pastrocchio emiliano-romagnolo combinato dal fedelissimo Matteo Richetti che per eccesso di zelo si era candidato in solitaria alle primarie contro Stefano Bonaccini, causando un maremoto nel partito. Ma poco importa.
L’unica certezza è che nel centrosinistra le elezioni sono finite quel giorno. Da allora il pisano Rossi non ha più detto una parola contro il fiorentino Renzi, incassando i dividendi di una intesa più che cordiale.
Solo nell’ultimo anno ha portato a casa la riqualificazione dei porti di Piombino e Livorno, il via libera all’autostrada tirrenica e a breve il rilancio della zona industriale di Carrara.
Appena il caso di notare che sono provvedimenti che riguardano la costa, zona più colpita dalla crisi e per tradizione la più ostile al centrosinistra.
Una volta superato il dettaglio di elezioni che sembrano svolgersi all’insaputa della Toscana, ci sarebbe poi il compito non facile di tenere a mente tutti i nomi dei candidati del centrodestra e la sua scomposizione modello cubo di Rubik.
Sembra ieri che c’era il patto del Nazareno.
Chi decideva in Toscana aveva per forza di cose l’egemonia all’interno di Forza Italia, questione di contiguità con Matteo Renzi. La nuova legge elettorale regionale, così simile a quella nazionale, approvata poco prima che l’accordo trasversale andasse gambe all’aria è uno degli ultimi frutti di quella stagione.
Denis Verdini comandava qui da quindici anni almeno.
Adesso la resa dei conti tra l’ex uomo forte di Forza Italia e la viareggina Deborah Bergamini che lo ha scalzato dai posti di comando del partito è in realtà una corsa impari. Memore di recenti tentativi di rivolta, Verdini aveva contribuito a varare un listino facoltativo che avrebbe dovuto decidere a priori i nomi degli eletti, sconosciuti persino agli elettori.
Ma la sua arca di Noè è stata subito colpita e affondata. La «nuova» Forza Italia ha deciso di non fare ricorso a quell’espediente che aveva imposto come conditio sine qua non per far passare la nuova legge.
La sfida con la Bergamini si gioca sulle preferenze.
«Così vediamo un po’ chi conta davvero da queste parti» avrebbe detto Verdini. Ma è il ruggito di un leone sdentato che ha dovuto ingoiare l’umiliazione di vedere imposto come capolista Marco Stella, già candidato sindaco contro Fausto Nardella, conosciuto come paladino dei bancarellai ambulanti, è figlio d’arte, ma da sempre il più feroce degli anti-verdinisti, così cocciuto nella sua opposizione da essere passato nel giro di pochi mesi da panda compatito da tutti e beniamino di Deborah Bergamini.
Il suo pupillo Tommaso Villa è terzo in lista, la nuova legge prevede l’alternanza uomo-donna. Verdini ha dato ordine di concentrare le preferenze su di lui, senza dispersioni, anche perchè non tira certo aria di gran raccolto.
La Lega Nord corre da sola, così come Passione Toscana, che è la lista di Gianni Lamioni, l’imprenditore maremmano scelto da Verdini prima del crollo che si è poi messo in proprio.
Dai fasti del patto del Nazareno alla gara per il premio di consolazione rappresentato da un consigliere regionale. Così va la vita.
Nel crepuscolo azzurro rischia di perdersi la candidatura a presidente di Stefano Mugnai, che promette almeno di restare a fare opposizione. Una novità .
L’indubbia attrazione rappresentata da schede a lenzuolo capaci di contenere i nomi dei 715 candidati consiglieri non sembra suscitare curiosità negli elettori. Ieri Renzi ha esortato i suoi corregionali «a non fare i bischeri» e quindi a votare in massa.
L’astensione avanza del dieci per cento a ogni giro di giostra. Per la prima volta il numero di quelli che resteranno a casa potrebbe essere superiore a quello di chi prenderà la strada del seggio.
Cosa farà Livorno dopo il terremoto a Cinque Stelle delle Amministrative?
E siamo proprio sicuri che a giochi fatti l’assessorato alla Sanità , ovvero il controllo dell’ottanta per cento del bilancio, finirà come promesso all’ultrarenziana Stefania Saccardi, attuale vice di Rossi?
In ogni elezione non mancano mai gli spunti interessanti.
Ma tutto questo la Toscana non lo sa
Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera“)
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