Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
CHE TRISTE FINE: QUANDO RENZI HA RIDOTTO I DIRITTI DEI LAVORATORI NESSUNO LI HA VISTI, ORA LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE SAREBBE LA MODIFICA DEL SENATO?
I FATTI
Lancio di bottiglie, fumogeni, bombe carta e la carica delle forze dell’ordine alla manifestazione organizzata contro il governo Renzi, il referendum e la Leopolda.
Un migliaio di persone si sono ritrovate in piazza, nonostante il divieto della questura che aveva proibito il corteo verso la Leopolda, e autorizzato solo un presidio. Ma i manifestanti avevano annunciato: “Vogliamo arrivare alla kermesse, non accettiamo divieti”, avevano detto.
Così alle 16 sono scoppiati gli scontri, le cariche e i lanci di oggetti con contusi tra le forze dell’ordine e i manifestanti che hanno divelto interamente il cantiere in piazza San Marco e si sono asserragliati dietro le transenne. Un agente è rimasto ferito, forse dallo scoppio di una bomba carta , altri 4 sarebbero contusi.
La manifestazione era formata da antagonisti, centri sociali, dal “Comitato Firenze dice no”: “Siamo qui per rappresentare una realtà sociale che alla Leopolda non è rappresentata quella dei giovani che lavorano con i voucher”.
L’ANALISI
Il governo Renzi, in pochi anni, ha eliminato l’art. 18, ha buttato 16 miliardi di presunti “incentivi” alle imprese per creare appena 200.000 posti di lavoro precari (stante la possiblità di licenziare in qualsiasi momento, anche senza giusta causa, regalando una mancetta), ha liberalizzato la nuova frontiera dello sfruttamento del lavoro precario costituito dai voucher, non ha rinnovato i contratti di intere categorie, ha favorito lobby e banche, non ha assunto nessuno (salvo poche decine di migliaia di docenti, ma solo perchè una condanna della Corte di Giustizia europea lo imponeva), la disoccupazione ha raggiunto il tetto massimo dal dopoguerra, con particolare penalizzazione per i giovani e il Sud, le code alla Caritas sono raddoppiate e impazza la guerra tra poveri.
Bene, saranno stati argomenti validi per protestare sotto le finestre del Palazzo?
Non per i sedicenti “antagonisti” per i quali, oggi lo abbiamo capito, il vero pericolo per il nostro Paese è solo se il Senato viene cambiato nella sua formazione e composizione.
E’ così che che da antagonisti sono diventati funzionali al disegno di chi vuole scalzare Renzi solo per ripicche interne (minoranza Pd) o per fregargli la poltrona (Grillo e centrodestra).
La “svolta autoritaria” oggi viene solo perfezionata, qualcuno glielo spieghi: il premio di maggioranza è già in vigore da anni e nessuno ha mosso un dito per impedire la concentrazione di poteri in mano di pochi e la fine della rappresentanza delle minoranze autonome in Parlamento, sancita dalla soglia proibitiva da superare per chi non gode di contributi pubblici.
Vedere presunti antagonisti prestarsi al gioco di presunti oppositori a un presunto governo “politico” fa solo sorridere: una volta erano gli ideali e la passione politica a far scendere in piazza, oggi l’ictus rivoluzionario pare scatti solo al pensiero che in Senato ci vada un consigliere regionale raccomandato invece che un candidato senatore raccomandato.
A dimostrazione che la coglioneria è ormai trasversale e nessuno ne è più immune.
I poteri forti ringraziano: loro, chiunque vinca, sono sempre ben rappresentati.
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL PROGETTO RISALE AL GOVERNO CRAXI… ADESSO I CONVOGLI SARANNO DEMOLITI
Saranno definitivamente seppelliti nel cimitero savonese dei treni i 125 miliardi di lire che le Ferrovie dello Stato spesero negli Anni Ottanta per un intero gruppo di locomotive che non hanno mai viaggiato.
Ordinate, progettate, costruite e acquistate, non sono mai entrate in servizio. §I venticinque esemplari, diciannove E491 per treni passeggeri e sei E492 per trasporto merci, sono rimasti parcheggiati a Foligno e Livorno per quasi trent’anni.
Ed ora, tramontata anche l’ultima speranza di rivenderle come macchine di seconda mano, pur essendo “a km zero”, le locomotive intraprendono in questi giorni il loro unico ed ultimo viaggio.
Verso la demolizione nei capannoni della ditta “Vico” di Cairo, entroterra savonese.
Sembra una caccia al tesoro al contrario, in cui i dobloni si nascondono seppellendoli, invece di riportarli alla luce.
La storia di un incredibile spreco di denaro pubblico sui binari ebbe origine nel 1983 ed oggi arriva al capitolo conclusivo.
Quando furono costruite dalla Fiat Ferroviaria di Savigliano e dall’Ansaldo, fra il 1986 ed il 1990, erano modelli all’avanguardia e dotati di sofisticati apparati elettronici, un lusso all’epoca in Italia che giustificava il costo di cinque miliardi di lire per ciascuna locomotiva (oggi una macchina analoga costerebbe fra tre e quattro milioni di euro).
In più il design era stato affidato nientemeno che alla firma di Giorgetto Giugiaro, “re” dell’Italdesign.
L’idea delle Ferrovie consisteva nel creare una flotta di locomotive, imparentate con le E633 ed E632 “Tigre”, da utilizzare nell’ambizioso progetto del Governo di Bettino Craxi di elettrificazione della rete ferroviaria della Sardegna.
Ma, dopo che i locomotori furono costruiti e portati in Sardegna, i tagli ai finanziamenti e l’alternarsi dei governi tra Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti provocò nel 1989 l’abbandono del piano di ammodernamento delle linee dell’isola. §
Niente più elettrificazione, progetto cancellato per decreto e 125 miliardi di lire, già pagati, bruciati in un istante.
Perchè le locomotive, progettate per funzionare in corrente alternata a 25mila volts, non potevano essere riutilizzate dalle Fs, la cui rete sul continente era a corrente continua a tremila volt.
Così, nuove di zecca, vennero riportate sul retro del deposito di Foligno, dove vennero parcheggiate e dimenticate. Senza aver mai trainato un vero treno, senza aver mai prestato servizio, salvo qualche corsa di prova e qualche uscita dimostrativa per tentare di venderle a compagnie ferroviarie straniere.
In effetti le Fs hanno tentato più volte di rivenderle in Francia, Turchia, Bulgaria, Ungheria e Serbia. Invano.
E quest’anno anche l’ultimo bando, scaduto il 30 maggio, è andato deserto.
Neppure il prezzo stracciato di centomila euro l’una, ossia di 1,6 milioni per tre lotti di 16 macchine (le nove che erano a Livorno sono già state demolite) ha catturato l’interesse di altri gestori ferroviari.
Tra l’altro l’ultimo bando delle Fs per la vendita prevedeva clausole strettissime: impiego solo su reti estere, con esplicito divieto di viaggiare sui binari di Rfi, quindi per raggiungere la destinazione avrebbero dovuto essere caricate su camion per trasporti eccezionali viaggiando su strada.
Loro, le locomotive colorate di giallo vivo con strisce rosse, hanno cercato di resistere alla ruggine. Anche ora che sono arrivate al capolinea sfoggiano carrelli e ruote nero lucido che le fanno sembrare nuove di zecca.
Persino i vandali, in tutti questi anni, le hanno in qualche modo risparmiate, forse proprio perchè sembravano appena uscite di fabbrica.
Delle E491 ed E492 non verrà preservato neppure un esemplare per la Fondazione Fs o per qualche museo, segno che l’obiettivo è cancellare con la fiamma ossidrica ogni ricordo di un progetto ambizioso trasformato però nell’ennesima voragine di soldi pubblici sperperati dalla vanità e dall’inconcludenza della classe politica degli anni Ottanta.
Luisa Barberis Giovanni Vaccaro
(da “La Stampa”)
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
JOSE’ PEPE MUJICA, EX PRESIDENTE SIMBOLO DELL’URUGUAY, IN ITALIA
“È fondamentale difendersi dagli attacchi del mercato. E per far ciò serve la sobrietà nel vivere, che consiste nel trovare il tempo di vivere. Questo è l’unico reale esercizio della nostra libertà ”. Sono le parole di Josè Pepe Mujica, ex presidente dell’Urugay e personaggio di rilievo internazionale per la particolarità della sua presidenza, cinque anni che hanno segnato una svolta nel paese uruguayano.
Ma il suo è stato anche un esempio per il mondo.
E lo ha dimostrato anche oggi, ospite al Teatro Palladium di Roma per presentare il libro “La felicità al potere” e per incontrare gli studenti.
Ha parlato di capitalismo, di cultura e dell’importanza della libertà , diretta espressione della felicità , tema a lui molto caro.
“Tutti gli esseri umani sono liberi – ha proseguito Mujica – ma è fondamentale che utilizzino il proprio libero arbitrio. Ad esempio, quando lavoro, perchè ne ho necessità , non sono libero. Però, quando faccio qualcosa che mi piace, allora sì che sono libero”.
Per Mujica è tutta una questione di come ci si pone nei confronti del mondo: o soggiogare alle regole del mercato, del sistema e del materialismo, divenendone schiavi, oppure cercare di distaccarsi da tutto questo: “Se non posso cambiare il mondo posso cambiare la mia condotta personale e la posso cambiare adoperandomi nella ricerca della felicità ”.
Una lotta individuale, quindi. Una lotta che deve avere un solo risultato, un solo scopo: la felicità .
Un valore, questo, che purtroppo non è proprio del sistema vigente — se non apparentemente – nella nostra società , come sottolinea la “pecora nera al potere”, in cui domina una cultura egemonizzata dall’economia capitalista: “E’ logico che un sistema generi una cultura a suo favore, sarebbe innaturale il contrario. E questa cultura di cui parlo è molto presente nella nostra società . E che cosa ci porta? Ci porta solitudine e infelicità . Il nostro mondo moderno è caratterizzato da questi due fattori: un dato che lo dimostra è la quantità di suicidi che registriamo, un numero maggiore delle vittime di guerra sommate a quelle degli omicidi”.
Un fenomeno molto complesso quello messo in luce da Mujica.
Secondo lui, questi suicidi sono l’emblema della contraddizione insita nel capitalismo: “Se da un lato, infatti, ci permette di aver un maggior grado di benessere e di vivere più a lungo, allo stesso tempo ci porta anche molti elementi negativi, come dimostrano i dati sui suicidi nel mondo”.
Non sono sfuggite a Mujica anche un paio di battute sulle prossime elezioni americane: “Non mi preoccupa tanto se vincerà Trump, perchè lui passerà , così come tutti i presidenti. In Europa c’è stato Hitler, e anche lui è passato, alla fine. Quello che mi preoccupa veramente è la gente che lo voterà : loro sì che rimarranno. Loro rappresentano una classe media che, vivendo nell’incertezza, attribuisce le colpe ora ai cinesi, ora ai messicani. In realtà sta esprimendo una patologia”.
Una patologia che deriva dalla concentrazione di ricchezza e benefici nelle mani di poca gente.
“Un fenomeno che, negli Usa come in Europa — ha sottolineato — sta creando delle aspettative nella grande moltitudine delle classe media: sono quelli che votano Trump o che in Francia sostengono i nazionalisti. Una contraddizione che appartiene alle destre di tutto il mondo, proprio perchè l’economia è globalizzata”.
“Certo – ha affermato Mujica, ritornando sulle presidenziali Usa – anche Clinton è abbastanza conservatrice”. “Il paradosso di oggi, del mondo moderno – ha proseguito – è che i candidati sono commercializzati come fossero dei prodotti, e questo lo dobbiamo alla tecnologia”.
“La rivoluzione informatica che ha investito il nostro mondo — ha avvertito — avrà ripercussioni istituzionali pesanti nella forma di democrazia che avremo in futuro, così come la sta avendo sulla cultura, le università e il sistema scolastico”.
Poi un ultimo messaggio rivolto ai giovani e a chi si prepara a vivere le dinamiche del mondo e della nostra società : “La vita è un miracolo, essere vivi è un miracolo. E non possiamo vivere oppressi dal mercato che ci obbliga a comprare, ancora e ancora. Anche perchè non paghiamo con i soldi, ma con il tempo della nostra vita”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
SECONDO IL DER SPIEGEL LA PROCURA DI MONACO ACCUSA I VERTICI DEL SOCIAL DI NON AVER RIMOSSO COMMENTI RAZZISTI, NONOSTANTE FOSSERO STATI SEGNALATI…. COSA PERALTRO CHE AVVIENE ANCHE IN ITALIA
In Italia un tribunale ha stabilito che dovevano essere rimossi da Facebook link e informazioni relativi a Tiziana – la 31enne di Mugnano (Napoli) suicidatasi il 13 settembre scorso dopo la diffusione a sua insaputa di video hard che la ritraevano, in Germania la magistratura tedesca sta indagando i vertici di Facebook per la mancata rimozione di contenuti criminali come minacce e negazioni del genocidio ebraico.
Sotto accusa sono il fondatore e capo Mark Zuckerberg, secondo quanto rivela il sito del settimanale Der Spiegel, precisando che l’indagine viene condotta dalla Procura di Monaco tra gli altri contro la direttrice operativa della rete sociale americana, Sheryl Sandberg, e il responsabile dei rapporti con i governi europei Richard Allan.
L’indagine è stata innescata dalla denuncia di un avvocato di Wà¼rzburg, Chan-jo Jun, che accusa Facebook di aver omesso di rimuovere «istigazioni all’omicidio, minacce di violenza, negazioni dell’olocausto e altri crimini» nonostante fossero stati debitamente segnalati.
Facebook è obbligata dalla legge tedesca a rimuovere immediatamente dalle sue pagine contenuti illegali o che incitano all’odio.
E la denuncia riporta una serie di circostanze in cui questo non è avvenuto nemmeno dopo ripetuti inviti.
«Per la maggior parte delle volte – scrive Der Spiegel – Facebook non reagisce o dichiara con una risposta standard che i casi citati non sono tali da destare preoccupazione».
Da qualche tempo Facebook è sotto accusa in Germania per contenuti che incitano all’odio, e in particolare per quelli a tematiche neonazista, su cui la sensibilità dell’opinione pubblica è sempre molto elevata.
In una sua recente visita, lo stesso Zuckerberg ha affrontato l’argomento.
«Questa è un’area che riconosciamo come particolarmente sensibile, specialmente per la crisi dei migranti – aveva detto l’ad di Facebook -. Entrare meglio in contatto con i tedeschi, con la cultura del luogo e con il Governo ci ha indicato e aiutato a seguire una migliore direzione».
A Berlino un team di 200 persone lavora proprio per filtrare i messaggi che incitano all’odio razziale, ma questo evidentemente non basta.
All’inizio dell’anno, infatti, una denuncia analoga alla Procura di Amburgo era rimasta senza conseguenze per mancanza di competenza territoriale e le indagini contro manager tedeschi erano state archiviate, ricorda il sito.
«Non commentiamo lo stato di una possibile inchiesta – si legge in una nota del social network – ma possiamo dire che le accuse sono prive di valore e che non vi è stata alcuna violazione della legge tedesca da parte di Facebook o dei suoi dipendenti. Non c’è posto per l’odio su Facebook. Lavoriamo a stretto contatto con i nostri partner per combattere l’hate speech e promuovere il counter speech».
Resta il fatto incontestabile che su Fb, anche in Italia, ogni giorno vi siano migliaia di commenti che istigano all’odio razziale e che non vengono bloccati e perseguiti penalmente.
Bruno Ruffilli
(da “La Stampa”)
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
“SE FALLISCE UNA BANCA APPAIONO SOMME SCANDALOSE PER SALVARLA, MENTRE IL MEDITERRANEO E’ DIVENTATO UN CIMITERO”
Quella dei rifugiati e dei migranti “è una situazione obbrobriosa, che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna”. Papa Francesco torna ad affrontare uno dei temi che più ha a cuore, lo fa con espressioni forti e chiare come “bancarotta dell’umanità ” durante l’incontro in Vaticano con i movimenti popolari internazionali e punta l’indice contro “un sistema socio-economico ingiusto e le guerre” che provocano il doloroso sradicamento di tanti dalla loro patria.
Durante il suo discorso Francesco ricorda quando a Lesbo ha potuto “ascoltare da vicino la sofferenza di tante famiglie espulse dalla loro terra per motivi economici o violenze di ogni genere. Folle esiliate, l’ho detto di fronte alle autorità di tutto il mondo, a causa di un sistema socio-economico ingiusto e di guerre che non hanno cercato, che non hanno creato coloro che oggi soffrono il doloroso sradicamento dalla loro patria, ma piuttosto molti di coloro che si rifiutano di riceverli. Faccio mie le parole di mio fratello l’arcivescovo Hieronymos di Grecia: ‘chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza, la bancarotta dell’umanità “.
E ancora il pontefice s’interroga, “che cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… Molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente”.
La paura, insiste Francesco, “indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro”.
“Cosa fare”, si è chiesto il Papa ad alta voce parlando ai cartoneros, ai campesinos giunti dall’America Latina e agli attivisti di tante organizzazioni pacifiste arrivati invece dai paesi dell’Europa e dagli Stati Uniti , “di fronte a questa tragedia?
Nel nuovo Dicastero per lo sviluppo integrale dell’uomo c’è una sezione che si occupa di queste situazioni. Ho deciso che, almeno per un certo tempo, quella sezione dipenda direttamente dal Pontefice, perchè questa è una situazione obbrobriosa”.
“Il futuro dell’umanità – conclude Papa Francesco – non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle èlite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento”.
“Anche la Chiesa può e deve, senza pretendere di avere il monopolio della verità , pronunciarsi e agire specialmente davanti a situazioni in cui si toccano le piaghe e le sofferenze drammatiche, e nelle quali sono coinvolti i valori, l’etica, le scienze sociali e la fede”.
(da agenzie)
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL RUOLO DI ZHELEZNYAK E KLIMOV TRA WEB, RUSSIA TODAY E MONDO GRILLINO
Due dei più stretti collaboratori di Vladimir Putin sono al centro di legami con il M5S che passano anche attraverso siti internet filorussi molto critici con il governo italiano. Per ricostruire la vicenda bisogna partire dal 17 ottobre quando Rt, Russia Today, il network in lingua inglese finanziato dal governo russo – un’utenza globale di almeno un miliardo di persone – si è visto chiudere «dopo attenta valutazione» il conto detenuto nel Regno Unito presso la Natwest Bank, costola della Royal Bank of Scotland.
La caporedattrice di Rt, Margarita Simonyan, twittò sarcastica: «Lunga vita alla libertà di parola».
Il network la raccontò come una decisione ispirata dal governo inglese.
La Duma annunciò – attraverso il vicepresidente Sergei Zheleznyak, del partito di Vladimir Putin, Russia Unita – che avrebbe chiesto formalmente spiegazioni al governo inglese.
Analoga misura su Rt era stata presa nel 2015 dalla banca che il network utilizzava in precedenza, Barclays.
Jonathan Eyal, condirettore del «Russian and European security studies» al Royal United Services Institute a Londra, ha dichiarato al New York Times: «Sono stati sollevati problemi riguardanti l’azienda e le sue fonti di finanziamento».
Natwest, ha ipotizzato Eyal, «deve aver preferito la controversia legata alla chiusura dei conti piuttosto che avere un accordo con un business che potrebbe contenere denaro di incerta provenienza».
Sputnik Italia, altro network dell’universo putiniano, raccontò la vicenda in modo completamente diverso mettendo l’accento sull’annuncio di Zheleznyak che la Duma avrebbe «aiutato il team legale di Rt a far valere i suoi diritti», invocando il Consiglio d’Europa e l’Onu.
In Italia la storia è passata inosservata, ma Zheleznyak è un personaggio ormai attivo sottotraccia anche nella nostra politica.
Proveniente dalla pubblicità , sempre più influente (ha 46 anni) nel partito di Putin, inserito dall’amministrazione Obama in una blacklist che comprende politici e finanzieri che, per ricchezza o influenza, conducono attività pro Putin all’estero che gli Usa giudicano sospetta, Zheleznyak è uno dei due uomini – assieme al capo delle relazioni internazionali, Andrey Klimov, uomo di una generazione precedente – che sta facendo da sponda tra Russia e mondo-M5S.
I due hanno incontrato in più di un’occasione i deputati del M5S più addentro al dossier-Putin: Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano.
Il viaggio di Di Stefano a fine giugno a Mosca è cosa nota.
Ma almeno un incontro informale precedente era avvenuto a Roma. Lo racconta lo stesso Di Stefano.
E un altro avvenne a marzo, durante una missione a Mosca descritta così da Di Battista: «Abbiamo avuto ottimi incontri», soprattutto su lotta alle sanzioni e terrorismo internazionale.
Di Battista raccontò che «i russi hanno un ottimo apparato di intelligence, hanno esperienza e sono disposti a collaborare».
Di Stefano, invece, notò tra l’altro quanto fosse cruciale la guerra mediatica: «Attraverso i media si alimenta una russofobia crescente per giustificare l’ingresso di nuovi Stati in Europa e nella Nato. Montenegro, Georgia e Ucraina ne sono un esempio».
Particolare non trascurabile: Zheleznyak in passato è stato alto manager di News Outdoor Group, il più grande gruppo di raccolta pubblicitaria dell’Est Europa, con sedi a Mosca e Varsavia, un colosso che può far vivere o morire molti siti.
Nel 2011 divenne capo della commissione della Duma per l’informazione, la comunicazione e la tecnologia.
Nel 2013, allo scoppio dello scandalo della sorveglianza americana attraverso la Nsa, dichiarò al «Guardian» che la Russia doveva «accrescere la sua sovranità digitale indirizzando la crescita di Facebook e Twitter».
Il «red web» (la rete internet filo Putin), e la propaganda negativa, ne sono logica conseguenza.
Il Movimento cinque stelle, affascinato dal mito dell’uomo forte, ma costruito sulla teoria delle reti, abbraccia quasi naturalmente Zheleznyak.
Rt riserva grandi interviste ai cinque stelle (anche a Di Battista, servizio trionfale su Rt in lingua spagnola).
Attacca Renzi esagerando la minima contestazione in Italia contro di lui, dipingendo il caos, o producendo autentiche bufale informative, fino a sollevare la recente protesta attraverso canali diplomatici italiani.
Il network russo viene viralizzato spesso a partire da Tze Tze, il sito guida della galassia Casaleggio; ma spesso anche dalle propaggini più anonimizzate della macchina web filo M5S.
In parallelo Sputnik Italia inanella, in pochi mesi, questa sequenza di servizi, impaginati come pura cronaca, tutti viralissimi nel web filogrillino: «Renzi, cameriere di Europa e Usa»; «Sanzioni, voce agli imprenditori messi in ginocchio da Renzi»; «Renzi china la testa agli Usa»; «Vertice di Ventotene, tutto fumo e niente arrosto?». Varianti su Sputnik francese: «Le dèficit de l’èconomie italienne peut àªtre le dèbut de la fin de l’Ue”.
Account chiave pro M5S (alcuni dei quali spingono la propaganda fino a ipotesi di diffamazione) ricambiano: «La vittoria di Trump porterebbe una ripresa del commercio con la Russia, un miglioramento dell’economia italiana e europea».
Un concetto assai caro anche al sito chiave che dà al M5S i contenuti da esibire per piacere a Mosca, «lantidiplomatico.it», che si distingue per il suo sostegno a Putin, Assad e Trump.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
SNOBBATO DAL PREMIER, IL CAVALIERE ORA VUOLE METTERE LA FACCIA SUL REFERENDUM: “POSSO SPOSTARE IL 5% DI VOTI”
Renzi non gli dà alternative. Lo snobba, pretende di fare senza di lui, si comporta come se tutto fosse dovuto e gratis.
Berlusconi ha atteso per mesi un gesto del premier, senza troppe illusioni ha perfino sperato che l’ipotesi di rinviare il voto fosse un’occasione per guardare insieme al futuro.
Invece niente: ancora una volta «è stato come parlare al muro», confidano personaggi della sua cerchia.
Per cui al Cav non resta che battersi. Controvoglia, tra dubbi e rimpianti, però con la rabbia di chi si sente stretto alle corde.
Pare che in queste ore stia preparando seriamente la riscossa. Lucido e perciò politicamente pericoloso.
«I sondaggi dicono che la mia discesa in campo può spostare dai 5 punti percentuali in su», si fa forza Silvio a Villa Gernetto davanti ai giovani della Missione Italia (gireranno la Penisola con una carovana di Cinquecento riconoscibili dal simbolo di Forza Italia).
La vera notizia è che l’ex premier sta facendo sul serio, vuole vincere a tutti i costi, sebbene la prova definitiva si avrà soltanto (fa notare scettico Calderoli) il giorno in cui darà ordine a Mediaset di sostenere il NO, smettendola con il «fair play» tenuto finora per ordine del saggio Confalonieri.
Come tutti i condottieri prima della battaglia, Berlusconi studia le mosse del nemico. Si è accorto, ad esempio, che Renzi da qualche tempo adotta una comunicazione astuta, gli esperti la definirebbero «mirata» o «per target», cioè rivolta a settori precisi anzichè a tutti senza distinzione.
Si rivolge alle categorie con temi molto concreti, cerca di soddisfarle una per una in quanto il premier ha capito che sarà la somma a fare il totale.
Berlusconi farà lo stesso: anche lui «segmenterà » il messaggio, si sforzerà di modularlo diversamente rivolgendosi un giorno agli anziani, il giorno dopo alle casalinghe e via promettendo.
«Basta copia e incolla, mai più due video-messaggi uguali tra loro», garantiscono gli strateghi del Cav, «ciascuno avrà sempre un destinatario diverso e chiaro».
Per incominciare, l’anziano leader rispolvera l’argomento tasse, cioè il suo cavallo di sempre, che lancerà al galoppo negli ultimi dieci giorni della campagna referendaria, con qualche colpo a sorpresa.
L’affluenza sarà decisiva
Berlusconi non si illude di vincere facile, tantomeno si fida dei sondaggi che premiano il NO. «Molti intervistati raccontano bugie», spegne gli entusiasmi di Brunetta. L’unico conto che si può fare adesso, secondo il Cav, è quello dei voti necessari per la vittoria. Grosso modo ne servono 15 milioni, in quanto Renzi potrebbe andarci molto vicino con l’apporto degli italiani all’estero, passati in massa dalla sua parte dopo la tournèe americana della «star» Maria Elena Boschi .
L’affluenza sarà dunque decisiva per il trionfo finale.
Sopra il 60 per cento degli aventi diritto (che corrispondono a 30 milioni di elettori), il No vincerà facile.
Se si resterà sotto la soglia, invece, potrà farcela il SI.
Questo ha calcolato l’ex premier, che di campagne elettorali ha una certa esperienza. Per cui decisivo sarà portare tutti alle urne.
«Chi non andrà a votare farà solo un favore a Renzi»: il tormentone berlusconiano è già incominciato.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
“NEL 2000 FACEMMO 800 OPERE SENZA UN AVVISO DI GARANZIA NE’ UN MORTO SUL LAVORO”
«Sulla metro C si veda se ci sono scorrettezze, si valuti dal punto di vista economico, ma una cosa è certa: una metropolitana non può finire contro un muro, sotto il Colosseo. Sarebbe l’unico caso al mondo… deve attraversare il centro e portare i passeggeri a San Pietro e oltre».
Francesco Rutelli, il sindaco delle grandi opere di Roma, eletto dopo gli anni di Tangentopoli quando era un Verde, militante Radicale, ha un consiglio per Virginia Raggi: «È la sindaca di Roma, di una capitale bellissima di oltre 4 milioni di abitanti, che deve costantemente trasformarsi. Una città è come una lingua, se non si trasforma, muore. L’idea per cui è meglio non fare niente per evitare sprechi e corruzione, significa scendere ogni giorno più in basso nella qualità della vita dei romani»
Rutelli, a Roma come si fa, crescono sprechi e corruzione. I cittadini prima di tutto hanno ragione di essere esasperati?
«Mi è stato raccontato un aneddoto. Alcuni operai vanno a riparare una buca in piazza Risorgimento. Si affaccia un uomo alla finestra: “Tie’, magnatevi anche questa”, grida. Il riflesso è che tutti “magnano”, pure quando si aggiustano le strade. La sfiducia la fa da padrona, ma non ci si può rassegnare»
La linea C della metropolitano l’ha avviata lei?
«Era nei progetti. In una capitale che è al pari di Berlino e Parigi, ci vogliono almeno 3 metro, le tranvie e le ferrovie metropolitane. La C è la più importante perchè deve servire i grandi quartieri popolari orientali. La mia giunta fece la progettazione preliminare, trovammo i primi soldi poi fu avviata dalla giunta Veltroni»
La metro C costa il doppio di quella di Parigi, lo sa? Non è ammissibile tanto spreco di denaro pubblico.
«Se c’è spreco si accerta facilmente con l’Anac di Cantone. Segnalo che noi, Roma, l’Italia siamo un territorio unico: fragile e denso di storia e reperti archeologici. Mettiamolo nel conto».
Roma è sotto botta dell’inchiesta Mafia Capitale.
«Facciamo chiarezza. Le spese vanno divise in correnti, spese per la manutenzione, per gli investimenti. Sulle spese correnti è prosperata Mafia capitale, si è diffusa una corruzione, in particolare sulle proroghe – e non sulle gare – e sulle cosiddette urgenze, su cui si è fatto carne di porco. La manutenzione è ferma»
E gli investimenti?
«Una città vive di progettualità . Fare si deve, ma devi mettere il prefetto a controllare i cantieri, una agenzia ad hoc: così noi facemmo per il Giubileo del Duemila: 800 opere pubbliche senza un avviso di garanzia nè un morto sul lavoro».
La corruzione non c’entra col fare?
«C’entra, perchè è enormemente cresciuta. Ma c’era, eccome, a inizi anni Novanta».
Come giudica la Raggi e la sua giunta?
«Dico: diamole tempo. Però non avrei detto all’inaugurazione della Nuvola di Fuksas che non avrei mai fatto il centro congressi, come hanno sostenuto i grillini. Avrei piuttosto chiesto un super manager internazionale che lo renda il più importante d’Europa. Accidenti! La concorrenza nel mondo si fa su questo tipo di infrastrutture, si fa sui servizi legati a questo tipo di offerta. Venti grandi congressi in un anno sono decine di migliaia di posti di lavoro».
Però la consegna dopo 18 anni e 240 milioni di costo, non è troppo?
«Costata troppo o costata poco, lo si accerti, ma è pubblica. Guardi l’Auditorium: l’abbiamo costruito, funziona benissimo, è dei cittadini e tra 100 anni sarà ancora lì».
Roma fallisce là dove Milano riesce?
«Expo è stato un successo di organizzazione, immagine e decoro civico. È salita Milano sopra Roma, perchè ha fatto cose normali. Roma deve tornare a sapere fare le cose normali ma avendo l’ambizione di essere una delle cinque capitali più importanti del mondo».
(da “La Repubblica”)
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Novembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
ALTRO CHE ORGANO SUPER PARTES: UNA SERIE DI PRESIDENTI RICATTATI DAI VERTICI DELL’FBI… ORA HANNO PREVALSO I TRUMPISTI CHE VOGLIONO FERMARE LA CLINTON CON OGNI MEZZO, ANCHE ILLECITO
È al numero 935 di Pennsylvania Avenue, a soli quattro isolati dalla Casa Bianca, che il filo della possibile vittoria di Donald Trump conduce diritto dentro il castello di quell’Fbi che da centootto anni manovra nell’ombra le manopole segrete della politica, fingendosi neutrale.
L’irruzione nella campagna elettorale del direttore James Comey, che ha rivelato a sette giorni dal voto l’esistenza di altre, possibili email sul conto di Hillary Clinton, ha proiettato Trump in una rimonta nei sondaggi che sembrava impossibile.
Ha fatto gridare all’invasione di campo i sostenitori dell’ex segretaria di Stato e il presidente Obama, di fronte alla scoperta che i G-Man giocano sporco, e ha illuminato come dentro quel massiccio palazzo nel centro di Washington lavori una cabala spregiudicata e segreta disposta a far di tutto per fermare colei che, nel giudizio di una “gola profonda” dentro lo stesso Fbi, è vista come “l’anticristo”
Ma se lo shock per la mossa del direttore, repubblicano di antico pelo, sottosegretario alla Giustizia sotto George W. Bush, finanziatore di John Mc-Cain e Mitt Romney e scelto da Obama in un gesto di malintesa conciliazione bipartisan, ha mobilitato gli elettori repubblicani riattizzando la “sindrome anti-Clinton” pur senza nessun indizio nuovo, la storia delle interferenze della massima, e unica, polizia federale nella vita politica americana è antica quanto la sua esistenza.
Comey, il direttore che si è schierato – o è stato costretto a farlo sotto minaccia di fughe di notizie da parte della fazione “trumpista” – contro Clinton è nel solco tracciato dal Padre Fondatore e Santo Patrono del Federal bureau of investigation, G. Edgar Hoover.
Non c’è stato partito, non c’è stato presidente, da Woodrow Wilson al prossimo, chiunque sia fra Clinton e Trump, che non abbia dovuto subire, o abbia cercato di usare, la potenza investigativa dell’Fbi contro avversari politici, per influenzare l’opinione pubblica o per difendersi.
In un rapporto alternativamente di succubo e incubo, la politica utilizza, e subisce, la colossale burocrazia investigativa del governo, con i suoi 35 mila dipendenti.
Franklin Roosevelt, che detestava Hoover e a ogni elezione minacciava di sostituirlo e poi si doveva rimangiare la minaccia, lo usava per tenere sotto controllo le organizzazioni di estrema destra e sinistra brulicanti negli anni ’30.
Dai G-Men ottenne la distruzione di un oppositore, un predicatore populista con grande seguito, padre Coughlin, utilizzando un classico della disinformatsia del tempo: l’accusa di essere omosessuale.
Partita da un uomo, il direttore stesso, sul quale circolavano e continueranno a circolare ipotesi di omosessualità nascosta.
Hoover lavorò segretamente per silurare la campagna elettorale di Truman, appoggiando il repubblicano Dewey, ma servì poi a Truman per contenere il maccartismo, esibito come prova della propria battaglia anticomunista.
E quando arrivò il momento dei Kennedy, il dossier privato del boss sui due fratelli si gonfiò di intercettazioni e di ricatti.
Hoover aveva le prove di tutte le avventure amorose dei due fratelli, che quindi poteva ricattare, odiandoli odiato.
Ma i Kennedy, soprattutto Bob diretto superiore al Ministero della giustizia, lo usava per sorvegliare il movimento per i diritti civili e Martin Luther King.
Nella House of Cards del potere washingtoniano, oscillante fra i due capi opposti di Pennsylvania Avenue, il Campidoglio sede del Parlamento e la Casa Bianca, il castello dell’Fbi sta esattamente, fisicamente nel mezzo, tenendo le chiavi dei segreti più impronuciabili e di tutti.
Fu lì che il vicedirettore, Mark Felt, sussurrò dalla propria Gola Profonda gli sporchi trucchi di Richard Nixon ai reporter del Washington Post nel 1973-74, portando alle dimissioni del presidente.
Ed è lì che oggi si è formata la “Trumpland”, la terra dei funzionari pro Trump che comunicano in anticipo ai media di estrema destra e agli uomini vicini a Donald come Rudy Giuliani a New York, già avvocato della associazione dei funzionari Fbi, le notizie di indagini su Hillary
Furono necessari decenni perchè la reputazione del Bureau, passato dal mito glorioso della lotta al gangsterismo alla vergogna delle interferenze politiche, si ristabilisse dopo la morte di Hoover nel ’72 e le azioni del direttore in carica, incomprensibilmente piombato sulle elezioni a sette giorni dal voto senza neppure offrire elementi nuovi, torneranno a intossicare l’immagine dell’Fbi, proprio nel momento della massima domanda di sicurezza nazionale.
Se la mattina del 20 gennaio 2017, viaggiando nel percorso trionfale fra il giuramento in Campidoglio e l’ingresso alla Casa Bianca, il passeggero della “Bestia”, della-Cadillac presidenziale blindata, sarà Trump, dovrà rivolgere uno sguardo di gratitudine verso quel palazzaccio dell’Fbi e quel direttore che potrà dirgli: io ti ho fatto re.
Vittorio Zucconi
(da “La Repubblica”)
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