Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
COSA CAMBIA REALMENTE CON LA NORMA CHE DA’ PIU’ POTERE ALLO STATO CENTRALE E NE TOGLIE ALLE REGIONI
Beppe Grillo sul blog ha lanciato l’ennesimo allarme su cosa potrebbe succedere in Italia se vincesse il Sì al referendum costituzionale e di conseguenza se la riforma Renzi Boschi venisse approvata.
Questa volta tocca alla parte della riforma che va a modificare il Titolo V della Costituzione, ovvero quella parte che regola i rapporti tra Stato ed Enti Locali (Comuni e Regioni) che era già stata modificata dalla riforma costituzionale del 2001.
Quella del Titolo V della Costituzione è una riforma che va in larga parte a modificare quanto stabilito dalla riforma del 2001 (anche quella riforma costituzionale fu sottoposta a referendum confermativo) che aveva di fatto istituito una forma piuttosto precaria di federalismo concedendo ampie fette di autonomia alle Regioni.
Il periodo in fondo era ancora quello in cui la Lega Nord di Umberto Bossi sognava ad occhi aperti l’indipendenza della Padania ed in parte l’intento era quello di disinnescare le pretese secessioniste della Lega.
Quindici anni dopo la storia politica italiana è cambiata di nuovo, e dal momento che nemmeno per la Lega di Matteo Salvini la secessione è un obiettivo prioritario il federalismo non è più un aspetto così interessante dal punto di vista politico.
In cambio — per così dire — di un accentramento di poteri e competenze le Regioni ottengono il nuovo Senato delle autonomie, dove i rappresentati dei vari Consigli regionali avranno la possibilità di intervenire (seppure in misura molto ridotta) sull’iter legislativo parlamentare e che dovrebbe fungere nelle intenzioni da organo di raccordo tra Governo (e Stato Centrale) ed Enti Locali.
I contrari alla riforma lamentano però che manca l’indicazione del cosiddetto mandato imperativo (su modello tedesco) che vincola i senatori a votare in accordo con le necessità dei territori che li esprimono (di fatto i Senatori continuano a rappresentare la Nazione e non una singola Regione).
Ma non è solo il contesto storico e politico ad essere mutato dal 2001 ad oggi: l’idea di federalismo concepita da quella riforma costituzionale ha provocato numerosi conflitti di competenze tra Stato e Regioni che sono stati sollevati dinnanzi alla Corte Costituzionale.
Ora, c’è chi dice — i sostenitori del Sì — che la riforma farà diminuire i contenziosi tra Stato ed Enti Locali perchè stabilirà in modo chiaro chi può fare cosa.
I sostenitori del No ribattono invece che i contenziosi andrebbero diminuendo lo stesso in maniera fisiologica poichè in quindici anni ormai la Corte ha già prodotto una cospicua giurisprudenza in materia e che quindi gran parte dei conflitti di competenze sono già stati presi in esame.
Viceversa con la nuova riforma si assisterà ad un’impennata dei ricorsi presso la Corte.
Come verrà usata la clausola di supremazia
Il punto del contendere è la legislazione concorrente, ovvero quegli ambiti del governo del territorio dove le competenze di Stato e Regioni si sovrappongono.
In teoria la riforma costituzionale 2016 mira ad eliminare la legislazione concorrente creando delle aree di competenza esclusiva dello Stato e altre invece che sono materia esclusiva delle Regioni (ad eccezione però delle Regioni a Statuto Speciale che invece mantengono inalterata la loro quota di autonomia, con tutti i problemi del caso che potrebbero presentarsi in futuro).
C’è da rilevare che le nuove materie di competenza regionale potrebbero essere oggetto di contenzioso, quindi si tornerebbe ad una situazione analoga (bisognerà vedere poi quanto) alla attuale per quanto riguarda i conflitti di attribuzione.
Viene inoltre introdotta la clausola di supremazia in base alla quale con una legge dello Stato il Governo può richiamare a sè una delle competenze affidate alle Regioni se viene ravvisata l’esistenza di un interesse pubblico generale in quell’ambito, come recita l’articolo 117 riformato: «quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale».
Questo è il punto più spinoso della riforma del Titolo V, in primo luogo perchè il chiaro intento centralizzatore della riforma non piace a molte Regioni, in secondo luogo perchè — dicono i sostenitori del No — una Regione potrebbe ricorrere alla Corte Costituzionale qualora non ravvisasse l’esistenza di un “interesse generale”.
Sulla riforma del Titolo V i due schieramenti hanno visioni diametralmente opposte: da un lato c’è chi sostiene che va a correggere alcuni effetti nefasti del federalismo istituito nel 2001, dall’altra invece chi è convinto che questo accentramento di potere comporti non solo una cessione di competenze da parte delle Regioni ma di fatto anche un esproprio di altro tipo.
Tutti sono d’accordo su una cosa: la riforma toglierà potere alle Regioni e ne darà di più allo Stato Centrale (il che non essendo l’Italia una Repubblica Federale non è proprio un grande scandalo, costituzionalmente parlando).
Le materie di competenza esclusiva dello Stato sono infatti ventuno — tra cui la “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”, le “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto”, i “porti e aeroporti civili”, la “tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici”, l’“ambiente ed eco-sistema” — e di competenza delle Regioni ne rimangono invece soltanto otto.
Ma è proprio sulla clausola di supremazia che si innesta il discorso di Grillo: lo Stato ora potrà svendere gli asset statali, privatizzando acqua luce e gas.
Si tratta però di un’ipotesi formulata nel 2013 dall’allora Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni che fu poi smentito (o meglio “rettificato” dal Tesoro).
Anche su questa possibilità però non è dato di sapere in che modo la riforma aiuterà le privatizzazioni (che in passato sono già state fatte) o la vendita di alcune aziende statali (come è stato fatto già in passato).
Si sa che la Renzi-Boschi prevede che il Senato — sempre per la storia che rappresenta le Regioni — ha la possibilità di intervenire (in maniera assai debole) su alcune questioni e soprattutto non è dato di sapere se la clausola di supremazia verrà applicata per risolvere contenziosi “eccezionali” oppure semplicemente per ribadire l’autorità dello Stato Centrale sulle Regione.
Immagino che sarà compito di ogni Governo (ed eventualmente della Corte Costituzionale) decidere entro quali limiti muoversi.
Dire che automaticamente il patrimonio statale verrebbe svenduto se passasse la riforma non ha però molto senso, almeno dal punto di vista economico (ovvero di chi vende). E del resto lo dice lo stesso Grillo sul blog
È chiaro che le utilities sono già ora disciplinate con criteri comunitari, che vanno tutti in direzione di una “privatizzazione”, contro le gestioni “in house”, mentre la regolazione delle tariffe è gestita dalle authority. Ma coi poteri assicurati in tali materie allo Stato centrale dalla riforma, il Governo può agire sui criteri di regolazione (assetti societari, legislazione tariffaria) con uno spazio più agevole per procedimenti legislativi e amministrativi.
Ovvero acqua, luce e gas sono già regolamentate secondo criteri che esulano dalle competenze di Regioni e Comuni, secondo alcune direttive emanate dalla Commissione Europea.
L’allarme specifico relativo alla riforma sembra essere ridimensionato dallo stesso leader del MoVimento, che dopo il titolo ad effetto corregge il tiro.
Sullo sfondo rimangono ovviamente gli interessi privati dei vari fondi d’investimento, ma se la clausola di supremazia (dato per scontato che nessuno sa come verrà applicata nel concreto) è necessaria per la tutela “dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale” bisognerà dimostrare la sussistenza di questo interesse.
Inoltre è alquanto difficile far passare una cessione di un ente statale (vengono citate ENI e Finmeccanica che non risultano essere di competenza regionale nemmeno ora) come conseguenza della riforma costituzionale del Titolo V.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
IL MAXI PIANO PER PRENDERSI LE CASE DEGLI ITALIANI E’ SOLO UNA MAXI-BALLA… LA SMENTITA UFFICIALE DEL VIMINALE
Il Giornale apre raccontando di un piano del Viminale per espropriare hotel e seconde case sfitte nei Comuni che si rifiutano di accogliere immigrati: secondo il quotidiano il presunto piano è pronto ma è rimandato a dopo il voto perchè impopolare.
«Fino al referendum — manco a dirlo — non si muoverà foglia. Poi dal Viminale arriverà il via libera alle requisizioni, finora più uno spauracchio per i comuni poco «accoglienti» con i migranti che una misura realmente applicata.
Solo due strutture ricettive — una a Goro e una in provincia di Verona — sono state requisite finora per far fronte all’emergenza immigrazione, anche se la legge che le autorizza risale addirittura all’Ottocento.
E le due sole strutture, tra proteste e trattative tra Viminale e sindaci, sono al momento ancora in attesa di accogliere materialmente gli ospiti stranieri per i quali erano state requisite».
Secondo il quotidiano, che ovviamente non cita alcuna fonte a sostegno della propria tesi, dopo il referendum e qualunque ne sia l’esito «scatteranno le requisizioni delle seconde case sfitte».
In caso di adesione volontaria la sistemazione prevede l’erogazione di 35 euro per il mantenimento di ogni singolo immigrato al quale vengono dati 2,50 euro al giorno. Chi si vedesse requisito il proprio immobile avrebbe diritto ad un indennizzo da quantificare. In più occasioni è stata ipotizzata la requisizione non soltanto di alberghi ma anche di seconde case sfitte, garantendo ovviamente un rimborso. Il governo non ha escluso l’extrema ratio della requisizione delle case sfitte prevedendo di rimborsare i proprietari grazie allo stanziamento della Ue che prevede 10.000 euro per migrante “ricollocato”. Se l’indennizzo offerto dallo Stato possa essere considerato soddisfacente è questione aperta.
Ma il Giornale omette di segnalare che la requisizione, possibile in teoria (oltre che, appunto, configurata come provvedimento temporaneo (a differenza dell’esproprio) che deve avere necessariamente una fine, un compenso per il proprietario dell’immobile e l’impegno a riconsegnare il bene nello stesso stato in cui si è trovato), è l’ultima soluzione che il ministero dell’Interno ha nel caso che le altre soluzioni individuate finora siano improponibili.
C’è poi da segnalare che il rapporto sulla protezione internazionale pubblicato il 16 novembre da Anci, Cittalia, Fondazione migrantes e Servizio centrale Sprar ha spiegatoc he su ottomila comuni italiani solo 2600 hanno accolto i migranti, cioè un comune su quattro.
Il 10 agosto 2016 il ministero dell’interno ha approvato un decreto per potenziare il sistema ordinario di accoglienza chiamato Sprar proprio per limitare il ricorso all’accoglienza di emergenza dei Cas.
Lo Sprar, infatti, permette una maggiore trasparenza e rendicontazione delle spese e risponde a linee guida nazionali che il sistema di accoglienza straordinario non è tenuto a seguire.
Oltre 13 mila sono nei centri di prima accoglienza, poco più di 22 mila nel sistema Sprar. Gli altri sono sistemati nelle strutture temporanee dove vengono forniti vitto, alloggio, assistenza sanitaria.
I servizi sono assicurati dai gestori che hanno vinto le gare d’appalto, oppure da chi ha dimostrato di avere i requisiti ed è stato inserito nelle liste delle prefetture che – a ogni sbarco – devono provvedere allo smistamento dei migranti.
Qual è poi la posizione ufficiale del governo sul tema?
«Le requisizioni — ripete il ministro Alfano da qualche settimana, dopo il caso di un agriturismo requisito in provincia di Rovigo, possono essere una extrema ratio. Ma restano una extrema ratio».
C’è poi il Fondo di riconoscenza, ovvero 100 milioni di euro che il governo ha stanziato con la legge di Stabilità .
«Un Bonus Gratitudine di 500 euro a migrante per i Comuni che ci hanno aiutato in questa sfida», lo aveva presentato Alfano.
Ne possono beneficiare i 2600 Comuni (su 8000) che hanno aperto all’accoglienza dei profughi. Il Friuli Venezia Giulia, per dire, ha già fatto qualche conto: sono in arrivo 2,8 milioni di euro per 5.565 migranti ospitati.
Non si capisce quindi perchè da una parte il quotidiano asserisca che questo famoso piano di esproprio verrà messo in funzione qualunque sia l’esito del referendum (anche se il governo cade, quindi?) e insieme ospiti alla fine dell’articolo le dichiarazioni del senatore Maurizio Gasparri (tu guarda il caso) che invita a votare No per sventarlo:
«Il rinvio a dopo la consultazione- prosegue infatti il senatore azzurro — è dovuto ovviamente al tentativo di non suscitare reazioni: chiediamo di far luce su questa intenzione abietta del governo».
Ora il piano, che il Viminale difficilmente confermerà prima del 4 dicembre,può entrare nella contesa referendaria, almeno per i comitati del «no». «Questo maxi piano — conclude Gasparri- va sventato trasformando il referendum in un’occasione per difendere la proprietà privata»
Insomma, delle due l’una: o l’esito del referendum non conta (e quindi è inutile votare per favorire o sfavorire il piano) oppure conta ma allora l’articolo si autosmentisce da solo. L’unica cosa sicuramente vera è che c’è chi sta utilizzando l’argomento profughi e strutture ricettive per fare campagna elettorale per il referendum.
Arriva a stretto giro la smentita del ministero dell’Interno: “Non esiste nessun piano sulle requisizioni, ne’ segreto ne’ ufficiale, ne’ prima del referendum ne’ dopo il referendum, ne’ un piano ‘Alfano’ ne’ un piano ‘Viminale’. Gli articoli che ieri e oggi parlano di questo, non hanno alcun fondamento nella realta’”.
Cosi’, in una nota, l’ufficio stampa del Viminale chiude l’ennesima bufala.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
MICAELA QUINTAVALLE E’ UNA SIMPATIZZANTE DEI CINQUESTELLE
In tv a parlare dei “finti malati” che si assentano dal lavoro, con il permesso per malattia.
E’ il caso, riportato da Il Messaggero, di Micaela Quintavalle, l’autista pasionaria di Atac, l’azienda per la mobilità di Roma
Ieri pomeriggio la Quintavalle è stata protagonista di un acceso dibattito a “L’Arena”. Durante la puntata, che ha ripreso le inchieste del Messaggero sui dipendenti della municipalizzata che si dichiaravano “inidonei fisicamente” per evitare di guidare i bus ma improvvisamente guariti dopo una vista medica, la sindacalista argomentava: i finti malati “vanno stra-licenziati”. Ma difendeva anche i colleghi: “C’è tanta gente onesta che viene discreditata”.
Tuttavia, come riporta il Messaggero, l’autista – che è anche sindacalista e simpatizzante per il Movimento 5 Stelle – ieri era assente dal posto di lavoro grazie a un permesso per malattia.
La Quintavalle ha poi sostenuto su Facebook di essere convalescente per un’operazione che risale all’inizio della settimana, a causa della quale non può svolgere il lavoro di autista anche se è in grado di camminare, stare in piedi e parlare. In più la trasmissione è andata in onda in orari che non coincidevano con quelli della visita fiscale.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
CASE SOVRAFFOLLATE, CANTINE, SOTTERRANEI: DOPPI TURNI PER DORMIRE IN LOCALI DOVE VIVONO STIPATE ANCHE 15 PERSONE
Via Padova è uno dei quartieri di Milano con il più alto tasso di stranieri.
Il 12 novembre un uomo domenicano è stato ucciso a coltellate e a colpi di pistola forse per questioni di droga.
Il sindaco Giuseppe Sala ha chiesto che nel quartiere venga mandato l’esercito; l’obiettivo è garantire maggior sicurezza ai cittadini.
Tuttavia, chi in via Padova lavora da anni proprio con gli stranieri non è d’accordo con questa proposta:
“La soluzione non può essere l’esercito. Era già stato mandato nel 2010 sotto l’amministrazione Moratti e la situazione non era cambiata”, spiega Silvio Tursi, presidente della cooperativa sociale “Il tempo per l’infanzia“, una realtà che da oltre vent’anni lavora sull’integrazione tra italiani e stranieri, minorenni e adulti. “L’esercito — continua Tursi — è servito solamente per la percezione della sicurezza ma non ha risolto il problema”.
Molti tra gli abitanti italiani di via Padova sono convinti che l’alta concentrazione di immigrati sia una delle cause principali dei problemi del quartiere.
Tursi, invece, sottolinea un altro aspetto: “Molti italiani, circa 500-600, affittano appartamenti agli stranieri: questi vengono costretti a vivere in una stanza anche 5-10 persone, altri vivono nei sotterranei e nelle cantine. Inoltre molto spesso si devono fare i turni per dormire perchè non c’è spazio per tutti. Diciamo quindi che molti italiani speculano sugli stranieri”.
Per Tursi i conflitti nascono qui: “Se via Padova avesse una situazione abitativa diversa molti problemi si risolverebbero tranquillamente”
Alessandro Sarcinelli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
A LUI FANNO CAPO 500 ENTITA’ COMMERCIALI E 21 ISTITUZIONI FINANZIARIE DEL VALORE DI ALMENO 50 MILIONI CIASCUNA… ECCO COME INSIDIANO L’EQUITA’ DEL PRESIDENTE
Quando, il 20 gennaio prossimo, Donald Trump diventerà presidente degli Stati Uniti, una lunga serie di conflitti di interesse comincerà a pesare sulla sua amministrazione. Come testimoniano i documenti firmati per partecipare alla campagna elettorale, a Trump fanno capo 500 entità commerciali e 21 istituzioni finanziarie, del valore di almeno 50 milioni ciascuna.
Si tratta della più vasta rete di ricchezze e interessi che un presidente abbia mai portato alla Casa Bianca.
Per cercare di aggirare critiche, attacchi, intrecci tra politica e affari, Trump ha annunciato la creazione di un blind trust che si occuperà della gestione del business e che sarà controllato dai figli.
Nonostante le assicurazioni, è praticamente certo che i conflitti di interesse ci saranno, sin dal primo giorno.
Ecco i più probabili. E pericolosi.
La famiglia
Trump ha spiegato che non prevede di dare un ruolo formale a nessuno dei tre figli nella nuova amministrazione. Negli scorsi giorni, la “compagnia-ombrello” di famiglia, la Trump Organization, ha cominciato a fare i primi passi per trasferire la gestione degli affari dal nuovo presidente a Donald Jr., Eric e Ivanka e a “un team di dirigenti altamente preparati”.
Il problema è che tutti e tre i figli fanno anche parte del transition team che sta gestendo nomine e future strategie politiche della nuova amministrazione.
La portavoce di Trump, Hope Hicks, nell’annunciare che nessuno dei tre figli avrà un “ruolo formale”, non ha però voluto rispondere alla domanda di un possibile “ruolo informale” dei figli stessi.
Resta poi il nodo di Jared Kushner, marito di Ivanka. Trump lo vuole assolutamente alla Casa Bianca.
Secondo una legge approvata nel 1967, nessun funzionario pubblico può però assumere un familiare per lavorare alle sue dipendenze.
Kushner, proprietario del New York Observer, finanziere e immobiliarista, si è rivolto a un avvocato per capire come aggirare la regola. Una possibilità sarebbe rinunciare allo stipendio e affidare le sue proprietà a un altro blind trust.
Sembra comunque che possibili conflitti di interessi si porranno a prescindere dal ruolo formale che la famiglia giocherà nella prossima amministrazione.
Un esempio: nella prima intervista data dai Trump a Sixty Minutes, dopo la vittoria, Ivanka indossava un braccialetto della sua collezione di accessori femminili. Prezzo del gioiello: 10.800 dollari.
Subito dopo l’andata in onda del programma, è partita dall’ufficio stampa dell’Ivanka Trump Fine Jewelry una mail diretta ai giornalisti, in cui si sottolineava che la figlia del presidente aveva indossato in tv “il suo braccialetto favorito”.
In seguito a polemiche molto accese, Ivanka si è scusata. Resta però che i Trump alla Casa Bianca potrebbero rivelarsi una straordinaria occasione di marketing per i prodotti di famiglia.
Mondo e banche
La rete degli interessi di Trump si estende ad almeno una dozzina di Paesi, dall’Azerbaijan alla Corea del Sud alla Cina al Dubai.
Si tratta di hotel, campi da golf, proprietà immobiliari, linee di arredamento per la casa e di moda pronta. Se in Dubai la Trump Organization sta terminando un campo da golf, in Cina Trump produce le sue camicie e cravatte.
Come si comporterà il presidente-eletto nei confronti dei Paesi in cui ha interessi commerciali?
Come implementerà il possibile bando ai cittadini musulmani che vengono da quei Paesi dove Trump vende i suoi prodotti?
Come condurrà la “guerra commerciale” promessa a suon di tariffe protezionistiche nei confronti della Cina, dove c’è parte della sua produzione?
Esiste poi la grande incognita della Russia.
Trump ha sempre negato di avere interessi commerciali in Russia. Il figlio Donald Jr. nel 2008 disse però che “un sacco di denaro ci arriva dalla Russia” e ci sono diversi resoconti di legami tra le attività immobiliari di Trump e finanzieri russi (per esempio il Trump Soho, finanziato attraverso il Bayrock Group).
Come si comporterà Trump nei confronti di Mosca? E come sarà possibile non vedere in una sua entente cordiale con Vladimir Putin, la prova di questi stessi legami?
Le imprese immobiliari del futuro presidente sono poi finanziate grazie ai prestiti di milioni di dollari provenienti da Deutsche Bank, Goldman Sachs, Bank of China.
Ma Deutsche è oggetto di un’inchiesta del Dipartimento alla Giustizia per lo scandalo dei mutui subprime. E qualsiasi attacco da parte dell’amministrazione Trump alla Dodd-Frank, la legge che pone timide limitazioni alle transazioni bancarie e a difesa dei consumatori, potrebbe essere visto come un regalo del nuovo presidente al settore che finanzia i suoi affari.
Tax returns e FBI
Trump, in campagna elettorale, non ha voluto rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, mettendo così fine a una consuetudine che si era imposta nelle campagne presidenziali Usa ormai da decenni.
La ragione ufficiale del rifiuto sta nell’ispezione cui l’IRS, l’agenzia federale delle tasse, sta sottoponendo quelle stesse dichiarazioni.
Si è detto, lo hanno detto i rivali politici di Trump, che la vera ragione sta nelle tasse federali non pagate in questi anni.
Comunque, l’IRS è un’agenzia del Tesoro americano, il cui responsabile verrà nominato proprio da Trump.
In altre parole, il Department of the Treasury USA si troverà a fare un’ispezione fiscale a carico del proprio principale referente.
Sempre in tema di agenzie del governo, c’è l’FBI. Trump si troverà a decidere se tenere al suo posto James Comey, il direttore dell’FBI che con la riapertura dell’indagine sulle email di Hillary Clinton ha sconvolto la campagna elettorale USA. L’FBI sta però ancora indagando sugli episodi di cyberspionaggio verificatisi ai danni del partito democratico e della campagna di Clinton (le famose mail rese pubbliche da Wikileaks e che si sospetta siano state hackerate dai russi).
Trump, attraverso la sua nomina dell’Attorney General — la scelta è caduta su Jeff Sessions — si troverà quindi a influenzare indirettamente un’inchiesta che riguarda i suoi rivali politici e da cui ha tratto un indubbio vantaggio durante la campagna.
Altra potenziale ragione di conflitto, sempre relativa al Department of Justice, riguarda le leggi contro la discriminazione razziale e di genere.
Con Barack Obama — e con i suoi attorney general Eric Holder e Loretta Lynch — il Dipartimento alla Giustizia e quello al Lavoro hanno difeso in modo particolarmente robusto i diritti di minoranze etniche e persone Lgbt, spesso contro gli interessi delle grandi imprese.
Allentare la lotta contro le discriminazioni, potrebbe quindi portare vantaggi al grande business. Compresi gli affari di Trump.
Oleodotti, ambiente e costruzioni
Trump è un investitore in Energy Transfer Partners, la compagna di Dallas coinvolta nella costruzione dell’oleodotto Dakota Access, contro cui da mesi protestano i nativi americani e i gruppi ambientalisti.
La scorsa settimana, l’Army Corps of Engineers ne ha bloccato la costruzione e chiesto un ulteriore riesame.
L’amministrazione di Trump si troverà quindi a decidere di un progetto energetico del valore di 3,7 miliardi di dollari in cui Trump, da investitore, ha un interesse diretto.
A parte le promesse elettorali di Trump di deregolamentare il sistema di controlli ambientali e di uscire dall’accordo sul clima di Parigi, c’è poi un altro tema. “Tradizionalmente, i progetti immobiliari confliggono con le regolamentazioni ambientali a livello federale e statale”, ha spiegato Michael Gerrard, un avvocato della Columbia Law School che si è opposto a un progetto di campi da golf di Trump nella contea di Westchester.
In altre parole: Trump, come presidente, dovrà decidere se smantellare o implementare regole e controlli ambientali che potranno decidere dei suoi affari, come costruttore.
A proposito di costruzioni, c’è poi il caso clamoroso del nuovo hotel inaugurato da Trump qualche settimana fa, in piena campagna elettorale, all’interno dello storico Old Post Office Pavilion (a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca).
L’edificio, di proprietà federale, è stato concesso in affitto per sessant’anni alla Trump Organization da un’agenzia federale, la General Services Administration (GSA).
Chi dovrà nominare, tra qualche mese, il nuovo direttore della Gsa? Risposta: il nuovo presidente.
Quindi Trump nominerà la persona da cui affitta una proprietà che gli permette di incassare milioni di dollari, anche qui in contrasto con la regola che proibisce al governo di stipulare contratti con funzionari federali.
I dipendenti di Trump
Trump si è sempre vantato di esigere una totale fedeltà a chi lavora per lui.
Lo scorso settembre un gruppo per la difesa dei diritti sindacali ha denunciato il presidente-eletto presso il National Labor Relations Board (NLRB).
L’accusa è quella di imporre contratti con un impegno di “confidenzialità ” e segretezza troppo ampio, che finisce per impedire ai lavoratori di discutere le loro condizioni di lavoro e di rivolgersi, eventualmente, al sindacato.
Di fronte al NLRB, ci sono però in questo momento altri dieci casi che coinvolgono Trump e le sue aziende.
Tra questi, un caso di violazione dei diritti sindacali al Trump International Hotel Las Vegas, dove il management si è rifiutato di negoziare con la Culinary Workers Union. Trump, nei prossimi mesi, dovrà nominare due dei cinque membri del Nlrb.
Se le nomine di Barack Obama erano state di membri vicini al sindacato, quelle di Trump, con ogni probabilità , saranno più sensibili alle esigenze del business.
In ogni modo, i membri scelti da Trump si troveranno a decidere di una serie di cause di lavoro nelle imprese di Trump — a meno che questi decidano di astenersi dal voto in questi casi.
Come ha spiegato Richard Painter, ex avvocato a capo alle questioni etiche per l’amministrazione di George W. Bush, “c’è un’apparenza di pregiudizio e di pressione politica che potrebbe minare il NLRB”.
Roberto Festa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
BEN CONSCIA DI ESSERE UN ARGINE ALLA DESTRA XENOFOBA, CI METTE LA FACCIA: “SARA’ L’IMPRESA PIU’ DIFFICILE DOPO LA RIUNIFICAZIONE”
Il «momento opportuno» è scoccato poco dopo le 19 di una grigia domenica di novembre a Berlino: dopo aver dribblato per mesi le domande sulla sua ricandidatura a cancelliera, chiarendo che avrebbe risposto solo al «momento opportuno», Angela Merkel ha annunciato che correrà per un quarto mandato alle elezioni in programma in Germania fra dieci mesi.
«Ci ho riflettuto infinitamente a lungo, dopo undici anni al governo la decisione a favore di una quarta candidatura è tutt’altro che banale per il Paese, per il partito e per me stessa», ha spiegato dalla Konrad-Adenauer-Haus, la sede della Cdu.
«In tempi difficili e incerti» come questi le persone non capirebbero se decidessi di non far valere la mia esperienza e le mie doti per continuare a servire la Germania, ha notato, leggendo dai suoi appunti.
«Queste elezioni saranno difficili come nessun’altra dalla riunificazione tedesca», avremo a che fare con affondi da destra e sinistra come mai prima d’ora e con una forte polarizzazione della società , per cui la campagna elettorale sarà molto diversa dalle precedenti.
E poi un appello a confrontarsi democraticamente, «non a odiarsi»: «Il mio obiettivo in politica è lavorare per garantire la coesione del Paese»
Merkel, che al congresso Cdu di inizio dicembre si ricandiderà anche a leader del partito, ha chiarito di voler correre per un’intera legislatura.
Se venisse rieletta supererebbe Konrad Adenauer, che ha governato per 12 anni, e potrebbe eguagliare il record di 16 anni detenuto da Helmut Kohl.
La maggioranza dei tedeschi appoggia la sua decisione: il 55% si augura un quarto mandato, il 39% è contrario, ha rivelato un sondaggio della «Bild am Sonntag». Ad agosto il quadro era invertito: i favorevoli erano il 42%, i contrari il 50
Una vera alternativa a una quarta candidatura, per Merkel, non esisteva.
Da un lato mancano nella Cdu candidati che possano sostituirla.
Dall’altro il difficile quadro internazionale, con le incertezze legate alla futura amministrazione Trump e col riemergere di tendenze protezionistiche e nazionalistiche, avrebbe fatto apparire una sua uscita di scena come un’inspiegabile fuga.
La vittoria di Trump l’ha di fatto spinta ad anticipare il suo annuncio, che era atteso finora al congresso della Cdu.
Il risvolto della medaglia è che su di lei si concentrano ora aspettative enormi: Merkel come ultimo baluardo dell’Occidente.
Un ruolo che non le piace: tutto ciò che viene collegato alla mia persona soprattutto dopo le elezioni statunitensi «mi onora, ma lo percepisco come grottesco e assurdo: nessuno, da solo, neanche con un’enorme esperienza, può cambiare in meglio le cose in Germania, in Europa e nel mondo, tanto meno una cancelliera tedesca».
In attesa di capire chi la sfiderà nell’autunno 2017 — la Spd appare divisa tra chi vorrebbe schierare il leader Sigmar Gabriel e chi preferirebbe il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz — la Cdu ha già iniziato a elaborare i primi punti programmatici per il voto.
In un documento discusso ieri dai vertici e che verrà presentato al congresso si parla di sgravi fiscali soprattutto a favore delle famiglie e delle persone coi redditi medio-bassi, di investimenti infrastrutturali e di un aumento delle spese per Esteri e Difesa. La Cdu promette all’occorrenza nuove misure sul fronte dei migranti per evitare che si ripeta una crisi come quella del 2015.
Un segnale alla Csu: nei prossimi mesi la Merkel dovrà ricucire lo strappo coi cristiano-sociali bavaresi apertosi proprio sui profughi.
Il populismo, l’isolamento e il protezionismo non sono una risposta ai problemi, chiarisce la Cdu, che vuole riconquistare i voti dei «perdenti della modernizzazione» e dei tedeschi che oggi «cercano rifugio tra i partiti populisti di sinistra e di destra».
Alessandro Alviani
(da “La Stampa”)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
NON HA PAGATO IL TENTATIVO DELL’EX PRESIDENTE DI FARE PROPRIE LE TESI DI MARINE LE PEN
«Dell’epoca di Chirac reste ranno soltanto le mie riforme»; «Sono il primo ministro di uno Stato in fallimento».
Le battute di Franà§ois Fillon, cadute nel dimenticatoio biografico, lo hanno riportato clamorosamente in auge, ridandogli smalto, consenso e credibilità .
È lui, a sorpresa, il vincitore politico del primo turno delle primarie della destra francese, anche se l’investitura si deciderà domenica prossima, al secondo turno, contro Alain Juppè, molto distanziato e con il fiato corto.
Fillon, 62 anni, rappresenta la destra classica, liberale in economia, conservatrice dei valori della Repubblica, intransigente, ma senza concessioni al populismo nazionalista.
La sua proposta sul controllo stretto dei flussi migratori ha conquistato gli indecisi. «La questione tocca la nostra identità , o l’Europa si assume le responsabilità o la Francia prenderà decisioni che le competono», ha detto in una recente intervista. In pratica, controllo stretto dei flussi.
Fillon si è imposto anche nel sostenere un progetto di riforme radicali ed è riuscito a conquistare, sul piano della difesa dell’identità nazionale, molti degli elettori di Sarkozy, il grande sconfitto: l’uomo che da quarant’anni va di corsa nella politica francese si è fermato prima di arrivare al traguardo, prima di potere giocare le carte della rivincita, o meglio di una riconquista dell’Eliseo.
Sarkozy ha perso la sfida dell’elettorato di centrodestra che ha partecipato in massa alle primarie, allargando cosi il perimetro della scelta.
Oltre quattro milioni di voti hanno fatto la differenza e lanciato un messaggio politico al di là di una selezione di partito.
Tutto può cambiare, ma la crisi della sinistra dà al candidato della destra altissime probabilità di vittoria alle presidenziali di maggio.
Scegliendo Fillon gli elettori hanno preferito la coperta gaullista attualizzata, la tradizione che ha fatto la storia della Francia del Dopoguerra. Sarkozy ha rappresentato una rottura ideologica e culturale. Da ieri, un’eccezione.
Non a caso, Juppè e Fillon hanno servito la Repubblica, come premier e come ministro, sotto la presidenza di Jaques Chirac. Franà§ois Fillon, è stato anche primo ministro nell’era Sarkozy. Una convivenza fatta di stridenti contrasti, di idee e soprattutto di stile
Il successo di ieri ha il sapore di una vendetta, il «segretario di Stato» che scalza il Papa. Fillon è un tessitore, formatosi in provincia, più attento ai corridoi che ai riflettori. In Italia, sarebbe stato democristiano.
Cattolico, educato dai gesuiti, padre di cinque figli, è un appassionato di corse automobilistiche e ha partecipato alla 24 Ore di Le Mans, una corsa di resistenza, entrata nel suo Dna.
«La forza tranquilla», copyright Mitterrand, sembra reinventato per lui.
Sia Juppè, sia Fillon, hanno messo l’accento sul drammatico bisogno di tagli coraggiosi delle tasse e della spesa pubblica, di liberare energie in un Paese bloccato dallo statalismo e da veti corporativi.
Juppè, paga l’usura dell’età e i suoi limiti di comunicazione. Anche Fillon non infiamma le folle, ma è stato abile a catturare l’elettorato indeciso.
Domenica avrà anche i voti di Sarkozy, che ha riconosciuto la sconfitta.
Massimo Nava
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
SE QUESTA E’ UNA CLASSE DIRIGENTE… LE DICHIARAZIONI CATASTROFISTE DEI POLITICI NEL CASO VINCA IL NO E NEL CASO VINCA IL SI’
Se vince il No
Sarà il caos (Luigi Zanda, Pd).
Avremo una coalizione di governo che vede insieme grillini, leghisti e comunisti (Gianfranco Librandi, Civici e innovatori).
Torniamo a essere una vera democrazia (Silvio Berlusconi, FI).
Sarà un po’ come la Brexit (Dario Franceschini, ministro).
Il paese sarà in balia di speculatori finanziari (Dario Nardella).
Lo Stato potrebbe estendere la ricerca di petrolio ovunque (Michele Emiliano, governatore della Puglia).
Avremo Virginia Raggi sindaco d’Italia (Pier Ferdinando Casini, Area popolare).
Il nostro paese sarà ingovernabile per decenni (Dario Franceschini).
Non si ridurranno mai più i costi della politica (Matteo Renzi).
Gli italiani che sono andati via torneranno in Italia (Luigi Di Maio).
Torniamo alla casta (Matteo Renzi).
Sarà un Natale con la casta (Comitato Bastaunsì).
Avremo un sistema che non riesce a decidere, e lì c’è il rischio autoritario (Maria Elena Boschi).
Avrà una funzione educativa e farà crescere il paese (Gianna Fracassi, Cgil).
Si metterà in sicurezza il paese (Lorenzo Cesa, Udc).
Avremo la democrazia del vuoto di potere (Dario Nardella).
Siamo cool e vincenti, come Bob Dylan (Carlo Sibilia, M5s).
Non avremo voce nei grandi vertici internazionali (Matteo Renzi).
Torniamo alla bicamerale D’Alema (Matteo Renzi).
Non diventeremo schiavi del sistema più infame, schiavi di Bruxelles, di Francoforte e di Berlino (Matteo Salvini, Lega).
Non verrà fuori un nostro Erdogan (Lorenzo Cesa).
Tornano i dinosauri della politica (Dario Nardella).
Gli amici di Renzi – JP Morgan in primis con il loro consulente Tony Blair – ci rimettono un sacco di soldi (Renato Brunetta, FI).
Vince l’Italia del rancore e dell’odio, l’italietta senza credibilità che si rassegna senza combattere (Simona Vicari, sottosegretario).
Nell’Unione europea non ci fila più nessuno (Matteo Renzi).
Lascio la politica (Alberto Baccini, sindaco di Porcari, Lucca).
Se vince il Sì
È caos (Stefano Parisi, FI).
Si soddisfano le esigenze di lobby occulte anche criminali (Antonio Ingroia, Azione civile)
La politica manterrà le sue promesse (Ettore Rosato, Pd).
L’Italia aiuta le sue imprese (Paolo Gentiloni, ministro).
Migliora anche la mia città (Dario Nardella, sindaco di Firenze).
Si ridà un futuro al Sud (Stefania Covello, Pd).
Si aprono le porte alle grandi speculazioni straniere (Danilo Toninelli, M5s).
Si va contro i sardi (Ugo Cappellacci, FI).
Ci sarà un fondo di 500 milioni per le nuove povertà (Matteo Renzi, premier).
Si rischia di tornare al ventennio fascista (Roberto Calderoli, Lega).
La sanità non può che migliorare (Beatrice Lorenzin, ministro). Daremo ai malati di cancro cure migliori (Maria Elena Boschi, ministro).
Le conseguenze ambientali sarebbero gravi (Angelo Bonelli, Verdi).
Vuol dire tagliare gli stipendi di lusso (Matteo Renzi).
Si attua il Piano rinascita di Licio Gelli (Beppe Grillo, M5s).
Il voto degli italiani all’estero sarà più rilevante (Fabio Porta, Pd).
Il nuovo Senato bloccherà i provvedimenti dei cinque stelle (Luigi Di Maio, M5s). Questo clima può trasformarsi in violenza (Danilo Toninelli).
L’economia andrà meglio e ci sarà più lavoro (Pier Carlo Padoan, ministro).
La democrazia è in pericolo (Luigi De Magistris, sindaco di Napoli).
Nascerebbe il Pdr, il partito di Renzi (Massimo D’Alema, Pd).
Si mandano a casa i dinosauri della politica (Dario Nardella).
In costituzione ci sarà l’equilibrio di genere (Maria Elena Boschi).
Assistiamo a un colpo di Stato (Roberto Calderoli).
È finita la stagione degli inciuci (Matteo Renzi).
Farà con meno violenza, meno arresti, meno morti, quello che han già fatto Mussolini, Franco, Salazar, Ceausescu, Erdogan (Maurizio Bianconi, Conservatori e riformisti). L’Italia sarà più simile all’Ungheria (Ferdinando Imposimato)
(da “La Stampa”)
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Novembre 21st, 2016 Riccardo Fucile
I TESTIMONI SONO EX ATTIVISTI GRILLINI… I DEPUTATI NUTI E MANNINO NON MOLLANO LA POLTRONA
Nuova sfilata di testimoni in procura per l’inchiesta sulle firme false del movimento 5 Stelle.
Questa mattina il procuratore aggiunto Dino Petralia e il sostituto Claudia Ferrari stanno ascoltando altri attivisti, come testimoni, per cercare di ricostruire cosa accadde alla vigilia delle elezioni comunali di Palermo, nell’aprile 2012.
Fra le persone ascoltate Fabio D’Anna e Giuseppe Marchese, due ex esponenti del movimento che, davanti alle telecamere delle Iene, hanno denunciato alcuni particolari dello scandalo che sta scuotendo il mondo grillino.
D’Anna ha raccontato che la sua firma sarebbe tra quelle copiate da alcuni attivisti per rimediare all’errore formale che gli avrebbe impedito di presentare la lista.
D’Anna ha lasciato il movimento anni fa, estromesso dalla cordata facente capo all’attuale deputato nazionale Riccardo Nuti.
Marchese, invece, avrebbe consegnato le e-mail, che nei giorni prima della presentazione delle liste, si sarebbero scambiati alcuni attivisti, poi eletti alle politiche, e dalle quali traspariva l’allarme derivato dal mancato raggiungimento delle firme necessarie alla presentazione delle liste.
Solo nei prossimi giorni, invece, saranno ascoltati dai pm, nella qualità di indagati. i deputati Claudia Mannino e Riccardo Nuti, assieme ad altri accusati di aver partecipato alla falsificazione delle firme.
Sono almeno otto gli indagati. Grillo ha invitato a sospendersi chiunque riceva un avviso di garanzia: Mannino e Nuti fanno sapere di essere ancora in attesa di una comunicazione di questo tipo e dunque per ora non fanno un passo indietro.
Nei giorni scorsi si sono invece autosospesi dal movimento i deputati regionali Claudia La Rocca – che ha ampiamente collaborato con la Procura – e Giorgio Ciaccio.
L’inchiesta non riguarda soltanto la ricopiatura delle firme per la presentazione delle liste, ma anche la presenza di firme del tutto false: alcuni presunti sottoscrittori della lista di M5S hanno dichiarato di aver firmato, nel 2011, solo per il referendum sull’acqua.
Fra questi, anche Fabio Trizzino, avvocato e marito dell’ex assessore regionale Lucia Borsellino.
Trizzino, chiamato dalla polizia mentre era a Roma per riconoscere la sua sottoscrizione, ha dichiarato di non aver firmato a sostegno di liste per le elezioni, ma ha ricordato di avere apposto una sottoscrizione a sostegno del referendum abrogativo della legge di privatizzazione dell’acqua.
Sarebbe dunque un nuovo caso – anche un legale e un commercialista hanno raccontato la stessa cosa – che complica la vicenda delle firme false.
Inizialmente l’inchiesta, infatti, aveva ipotizzato che per sanare un errore erano state copiate centinaia di firme realmente apposte a sostegno della lista, ma secondo il racconto di alcuni testimoni ci sarebbero anche l’uso fraudolento di sottoscrizioni rilasciate in occasioni che nulla avevano a che fare con le elezioni.
«Ricordo che mi fermò Nuti (parlamentare nazionale che sarebbe tra gli indagati ndr) – racconta Trizzino – per chiedermi la firma. Escludo fosse per le elezioni, non l’avrei messa, ma si trattava di una causa in cui credevo, come quella dell’acqua».
«Se si arriverà a un processo – aggiunge il genero di Paolo Borsellino – mi costituirò parte civile perchè l’usurpazione di una firma è una cosa gravissima».
L’indagine, che può contare su tre testimoni chiave e su centinaia di disconoscimenti, è a una svolta e in settimana dovrebbero cominciare gli interrogatori degli indagati che sarebbero una decina. Tra loro anche un cancelliere del tribunale e alcuni deputati nazionali dei Cinque Stelle.
Il Pd rimane in posizione di attacco: “Trenta coinvolti, otto indagati, questa la firmopoli grillina di Palermo. Grillo, Di Maio e Di Battista chiedono le autosospensioni – dice il segretario dei dem palermitani Carmelo Miceli – e solo in due lo fanno. Insomma, nonostante gli inviti, i mea culpa solo con il contagocce. In questo Movimento ognuno fa quello che vuole”.
(da agenzie)
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