Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
E’ IL MOMENTO PER SALVINI, DE CORATO, MARONI, BECCALOSSI E LA LEGA DI VIA BELLERIO DI DARE L’ESEMPIO… POI SI PASSI A REQUISIRE UNA STANZA A QUELLI CHE SUI SOCIAL DICONO CHE BISOGNA ASSISTERE PRIMA GLI ITALIANI IN DIFFICOLTA’
Il «piano freddo» è in fase di rodaggio.
I censimenti dei luoghi d’accoglienza (2.718 i posti letto oggi disponibili) e del popolo di senza fissa dimora sono in corso.
E il Comune chiede aiuto ai milanesi: 350 euro al mese per ogni famiglia che decidesse di ospitare un senza tetto.
Progetto analogo a quello decollato lo scorso inverno nell’ambito del piano d’accoglienza dei rifugiati.
L’assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino, informa la commissione consiliare che sono in arrivo 8,4 milioni di euro dal Governo per contrastare la grave emarginazione e chiede alla Regione di aprire le 500 casette del Campo base di Rho Expo per poveri e sfrattati.
Milano, dal canto suo, progetta di utilizzare per l’emergenza anche l’ex ospedale di Garbagnate «che è una nostra proprietà demaniale.
«Usciamo dalla contrapposizione politica – dice l’assessore –. Anche l’ex ospedale militare di Baggio potrebbe diventare un volano per aiutare le persone in difficoltà ».
Lo scorso inverno ben 3.020 persone si sono rivolte ai centri di accoglienza della metropoli per senza fissa dimora: donna una su dieci; milanesi tre su dieci.
Basta poco per finire ai margini della società . Proprio per questo uno dei temi, in testa alle priorità , è quello della «residenza fittizia», che viene chiesta, ha precisato Majorino, «sulla base della relazione dell’assistente sociale e che consente la presa in carico del soggetto da parte del Comune».
Un tema sul quale sono al lavoro anche i Municipi. Simone Zambelli, presidente al Gallaratese/Qt8, spiega: «Se ti trovi senza casa, poi resti senza residenza, non hai più diritto alla tessera sanitaria, alle prestazioni di base, ma neppure alla presa in carico dei servizi sociali. Il nostro intento è far si che la persona che per un motivo qualsiasi, anche una separazione, finisce per strada, possa restare nel suo quartiere, avere dunque la residenza nel Municipio dov’è cresciuto».
Il censimento dice che il numero degli italiani ai margini è costante.
E costante è anche la quota dei senza tetto che rifiutano il ricovero notturno nei centri di accoglienza.
Lo zoccolo duro degli «irriducibili» conta circa 600 persone. Vengono monitorate dalle unità mobili e dalle associazioni di volontariato che collaborano al piano freddo. Allo studio c’è anche il potenziamento di una rete di centri diurni.
Ma, ancora prima, l’istituzione della «tessera salvavita», già sperimentata: «Uno strumento – ha chiarito Majorino – che riporta tutte le informazioni sanitarie, simile a quella distribuita alle persone sole e fragili».
Da maggioranza e opposizione è stato sollevato il tema «dei duemila alloggi sfitti in capo a Mm e non ancora assegnati» e della necessità di creare «un centro di ricovero per senza tetto aperto agli animali, oggi manca ed è una ragione per cui molti rifiutano una branda al caldo».
Tornando alla ricerca di famiglie disposte ad ospitare un senza tetto, il Comune chiarisce che «saranno seguite da un addetto dei Servizi sociali»,
Infine, La Casa di viale Ortles intitolata a Enzo Jannacci aumenterà la capienza per l’inverno. Quattro posti sono riservati a persone con disabilità .
I cittadini possono segnalare la presenza di persone senza tetto chiamando lo 02.88447645/6/7/8/9.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
SILVIA CRESCIMANNO E DANIELE DIACO SONO STATI CANDIDATI AL MUNICIPIO XII CON VOTI CONTESTATI E “CONOSCENTI” CHE DICONO DI NON CONOSCERSI
La meravigliosa figuraccia dei grillini sui fondi ai disabili nel XII Municipio ci ha permesso di conoscere la presidente Silvia Crescimanno e suo marito Daniele Diaco, oggi consigliere dell’Assemblea Capitolina.
I due, infatti, insieme all’assessore al bilancio del Comune di Roma Andrea Mazzillo si sono resi protagonisti di una serie di insulti a stampa e politici che hanno raccontato la sospensione dei tre servizi ad anziani (Saisa), a persone con handicap (Saish) e anziani fragili (Cedaf), due dei quali sono stati poi ripristinati.
La storia però ne ha fatta emergere un’altra che riguarda la coppia Diaco-Crescimanno e che affonda le sue radici nella campagna elettorale del 2013 e che può essere molto indicativa dell’ONESTà€, soprattutto intellettuale, con cui il MoVimento 5 Stelle ha selezionato la sua classe dirigente prima della conquista di Roma.
Allacciate le cinture: ve la andiamo a raccontare
La resistibile ascesa di Daniele Diaco al Municipio XI
Siamo alla fine del 2012 e i grillini romani si stanno organizzando per il voto che porterà Marcello De Vito a candidarsi primo cittadino.
Anche nel XII Municipio si lavora alle liste. Una prima votazione designa Enrico Lucatelli, ma in seguito al rinvio delle elezioni e su proposta dello stesso Lucatelli a distanza di qualche mese si decide di effettuare un’altra votazione.
Tra i candidati a presidente c’è Daniele Diaco — che successivamente verrà eletto consigliere municipale — insieme ad Alessandro Galletti, Enrico Lucatelli, Silvia Crescimanno ed altri.
Si vota con il Metodo Schulze: il voto consiste nello stilare una “classifica”, posizionando i candidati/mozioni secondo le personali preferenze.
È oggi utilizzato da piattaforme di e-democracy quali Liquid Feedback, usato da diversi Partiti Pirata e Agoravoting, utilizzato dal partito politico spagnolo Podemos e consiste nel dare un voto progressivo a ciascun candidato, premiando con il voto più alto il più gradito e con il voto più basso il meno sgradito: in questo modo si elegge il candidato “meno sgradito”, ovvero quello che è più vicino alle preferenze “medie” del gruppo: è lo stesso principio che ha portato all’incoronazione di Patrizia Bedori a Milano (votata però con il Condorcet).
Ci sono anche delle regole da rispettare per la candidatura: il MoVimento, ad esempio, si impone di candidare solo chi ha un certo — lungo — periodo di militanza, ma anche di non candidare persone legate da vincoli familiari nello stesso Municipio. Quando si vota il primo risulta proprio Daniele Diaco per un voto (340 contro 339) e secondo arriva Galletti, mentre Lucatelli, designato qualche mese prima, finisce al terzo posto.
Dalle minute del voto risulta che Lucatelli prende un altissimo numero di “16” — ovvero il voto più alto — ma a rovinargli il risultato finale è un 2.
Il risultato finale premia l’allora fidanzato della Crescimanno, ovvero Diaco. Il quale, sicuramente per una mera casualità , dà il voto più alto (16) alla fidanzata, come lei a lui.
«In seguito c’è stato un incontro con il gruppo municipale, il 25/03/2013, che non ha fatto altro che confermare la volontà da parte degli storici del gruppo, Dante Santacroce, Luca Marsico, Cecilia Petrassi, Alessandro Galetti a seguire Crescimanno e Diaco, di escludermi dalla candidatura a presidente di Municipio, pertanto sono uscito dalla riunione amareggiato e disamorato», ricorda oggi Lucatelli.
Il candidato e alcuni attivisti lamentano poi anche altri “problemini”.
I verbali delle votazioni non vengono postati sul Forum del M5S Roma fino al giorno precedente la presentazione della lista e in essi non si fa parola dei paletti temporali sull’attivismo, che avrebbero portato all’esclusione di Galletti dalla lista dei candidati perchè iscritto successivamente al luglio 2012.
Lucatelli ed altri lamentano la mancata pubblicazione del verbale della riunione sulle votazioni nei tempi previsti dal Comitato elettorale, la criticità delle candidature legate a vincoli familiari che se applicata avrebbe visto eliminata la votazione della Crescimanno nei confronti dell’attuale marito Diaco e la mancata esposizione di Galletti delle regole previste dal Comitato Elettorale per la candidatura del presidente di municipio che, se applicate, avrebbero escluso sia Diaco che Galletti dalla candidatura a Presidente di Municipio.
A quel punto Lucatelli pubblica un messaggio su Roma5Stelle in cui si lamenta delle regole violate e in particolare nota che Diaco e la Crescimanno “sono una coppia di fatto pertanto, eticamente e da movimento, ciò doveva essere preso in considerazione da tutto il gruppo municipale dato che la candidatura di Daniele Diaco a presidente di Municipio è risultata di un punto sopra”.
La risposta di Silvia Crescimanno, attuale presidente del Municipio XII, è un esempio di onestà , trasparenza, correttezza: “Diaco chi?“.
La Crescimanno infatti sottolinea che lei non è sposata nè convivente con “il sig. Diaco” — in effetti si sposeranno successivamente — e invita Lucatelli a evitare “modalità espressive diffamatorie” nei suoi confronti.
«Il mio disinteressamento verso il movimento è avvenuto nel momento in cui ho ricevuto questa risposta dalla Crescimanno, con la quale ho condiviso una parte del percorso nel movimento in seno al gruppo municipale nonchè un rapporto di amicizia anche con il suo attuale marito Daniele Diaco», ricorda ancora oggi Lucatelli.
La fine della storia
Diaco alla fine della votazione dichiara che si prenderà del tempo per decidere se accettare la candidatura alla presidenza del municipio oppure se passare la mano in favore di Galletti. Infine beve l’amaro calice. Cristina Maltese del Partito Democratico a giugno vince al primo turno le elezioni nel municipio, Diaco prende 7371 voti pari all’11,97% del totale. De Vito ne prende 149mila come candidato sindaco, pari al 12,43% del totale.
Il resto è storia recente. Con 111 voti Daniele Diaco, operatore olistico, esperto in medicina tradizionale cinese, auricoloterapia, floriterapia e terapia cranio-sacrale, diventa prima candidato e poi consigliere, con qualche infortunio con i parcheggi.
Al Portuense nel 2016 la presidente uscente del Pd, Cristina Maltese (43,11%) e 25.360 voti, viene battuta dalla pentastellata Silvia Crescimanno (56,89%) e 33.467 preferenze.
Non solo: nel novembre del 2013 il forum Roma5Stelle viene chiuso senza spiegazioni, per motivi sicuramente indipendenti dalla storia che abbiamo raccontato. Ma la chiusura serve anche a seppellire le tante, troppe storie e guerre intestine tra i grillini romani.
Come quella che vede protagonisti Luca Marsico, uno degli attivisti storici del Municipio XII, e Roberta Lombardi in persona .
All’epoca Marsico vuole candidarsi come sindaco e la Lombardi lo accusa di «uso spregiudicato dei media e combine per il voto», pubblicando una email in cui lui chiede ad altri (e tra i destinatari ci sono tanti dei protagonisti di questa storia…) di votare per un allargamento della base dei votanti e sostiene, proprio nel periodo dello scoppio della polemica Salsi-Favia, che “ci deve pensare la stampa a dare la spinta”.
La Lombardi quindi ha accusato Marsico di aver fatto più o meno quanto agli attivisti di Napoli Libera è costato l’espulsione. Ma qui non succede nulla.
Il tempo passa, le polemiche si chiudono, chi aveva sbagliato evidentemente chiede scusa e viene perdonato.
E questa storia, come tante dell’epoca, finisce seppellita.
Lasciando quella sensazione — come chiamarla?
Di O-NE-STà€, ecco.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
L’UFFICIO EUROPEO ANTIFRODE: “RESTITUISCA 339.000 EURO INCASSATI ILLEGALMENTE”… LA MAGISTRATURA INDAGA SU POSSIBILI FINANZIAMENTI ILLECITI AL FRONT NATIONAL
In passato qualcuno ha anche proposto di togliere lo stipendio agli europarlamentari euroscettici più virulenti, a tutti i Salvini e Le Pen che vomitano fiele sull’Europa godendo di una retribuzione lorda mensile pagata dall’Europa stessa che parte da 8213,02 euro mensili (più altrettanti divisi in varie voci)
E’ un istinto magari comprensibile, ma non sarebbe stata una buona idea. Si sarebbe trattato di un pessimo segnale, perchè il patto a dodici stelle ha fra i suoi valori la libertà di pensiero e il rispetto degli altri.
Dunque non si può penalizzare nemmeno un Salvini.
Non contenti di fare la guerra all’Europa coi soldi dell’Europa, nella banda euroscettica c’è chi cerca di fare un poco di cresta quando capita.
I segnali sono molteplici e frequenti, a partire dalle apparizioni lampo nei palazzi comunitari sino alle mezze giornate che contano come fossero intere.
A studiare i resoconti di Votewatch.com scopri gente che non si vede mai, ma che risulta presente a oltre l’80 per cento delle votazioni.
Sarebbe interessante sapere come fanno, se solo cadesse l’omertà reciproca che nasconde i cattivi comportamenti.
I controlli interni sono pilotati da infrastrutture che dipendono dai deputati. Non sempre si sa quello che si dovrebbe. Purtroppo.
Qualcuno, però, non la fa franca.
La stampa francese scrive che l’Unione europea ha formalmente chiesto a Marine Le Pen, l’euroscettica che cerca finanziamenti russi per fare battaglia in Francia e contro l’Europa, di restituire ben 339 mila euro di soldi spesi senza averne diritto.
La richiesta è arrivata dall’ufficio europeo antifrode (Olaf) di Giovanni Kessler che ha raccomandato al Parlamento di farseli ridare.
Il dossier è andato in copia anche alla magistratura francese che ipotizza il reato di illecito finanziamento del partito.
I soldi, corrispondono agli stipendi pagati a due membri dello staff della Le Pen tra il 2010 ed il 2016. “Indebitamente”, si nota, perchè la coppia di funzionari risulta aver lavorato per il Front National nella terra dell’Esagono e non per il Parlamento europeo fra Strasburgo e Bruxelles. Non si può ed è illegale.
Per farla breve, la presunta nuova Pulzella che vuole salvare la Francia dai cattivi e naturalmente “occhiuti” eurofunzionari ha consumato i contributi che l’assemblea attribuisce ai suoi membri per fare politica in casa.
Denari dei contribuenti versati per l’Europa che sono divenuti obolo per le campagne populiste della Le Pen.
Pecunia che olet, questa. Almeno sino a che non venga rimessa nella casse da dove viene per essere utilizzata per cause legate all’interesse comune collettivo e non di quello particolare.
(da “La Stampa”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
GLI ALBERGATORI SPERANO DI CHIUDERE IL 2016 CON LE STESSE PRESENZE DELL’ANNO SCORSO… SOLO UN TERZO DEGLI INTERVENTI INFRASTRUTTURALI PROGRAMMATI E’ STATO ESEGUITO
Il sito del Giubileo parla di diciannove milioni di arrivi, ma gli albergatori temono di non raggiungere i 14 milioni del 2015.
Sta tutto in questi numeri il flop del Giubileo, tanto che il vero successo turistico della Capitale quest’anno è stato il congresso mondiale di cardiologia che ha portato a Roma 35mila specialisti, con hotel esauriti, taxi introvabili e un milione di euro di tassa di soggiorno incassato dal Comune.
Come ci si aspettava, quindi, a venti giorni dalla muratura della Porta Santa non si sono viste le folle oceaniche di pellegrini che dovevano arrivare a 25 milioni.
Ma soprattutto: soltanto un terzo degli interventi programmati è stato poi effettuato. Spiega Il Messaggero:
Nonostante appunto gli annunci roboanti,con tanto di magnifiche proiezioni economiche che pur in assenza di grandi opere avrebbero dovuto risollevare (non si capisce come) la Capitale.
E invece? «Il bilancio si chiude a zero. È come se il Giubileo per gli albergatori non ci fosse mai stato». A parlare è Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi. Che laicamente aggiunge: «Io credo che nessuno a Roma si sia reso conto che ci fosse il Giubileo».
Gli albergatori dunque incrociano le dita per chiudere il 2016 con le stesse presenze dell’anno scorso intorno ai 14 milioni di arrivi. I numeri forniti e aggiornati (al 24 ottobre) dal sito creato ad hoc dal Vaticano parlano «di 19 milioni di partecipanti». Dentro ci sta tutto: dai romani ai fedeli provenienti dal resto del Lazio fino ai pellegrini “mordi e fuggi”.
Ecco spiegate dunque le preoccupazioni degli albergatori.
Di 146 progetti presentati sono andati in porto solo 42, e in più c’è il rischio che si perdano ancora altri 25 milioni di euro che servivano per progetti di manutenzione ordinaria ma devono essere messi a gara entro il 20 novembre altrimenti i soldi torneranno allo Stato.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
E’ STATO L’ANIMA DELLA BATTAGLIA DEL RICORSO VINTO
Ivo Ilic Gabara ha capito che lui e i suoi potevano vincere quando davanti all’Alta Corte, di colpo, la questione è diventata personale.
A inizio ottobre il Procuratore generale dell’Inghilterra e del Galles Jeremy Wright ha aggredito verbalmente Gina Miller, invece di rifarsi alla legge: secondo l’avvocato del governo di Londra, questa manager della finanza etica nata in Guyana stava cercando di sovvertire la volontà del popolo espressa nel referendum sul divorzio dall’Unione europea.
Gli attacchi personali al posto degli argomenti giuridici sono sempre una spia che questi ultimi scarseggiano.
Sono tic tipici più di un regime autoritario, che delle battaglie davanti alle parrucche bianche dell’Alta Corte dei Lord.
Ivo Gabara, 56 anni, italiano trasferitosi a Londra nel 2008, non li aveva messi in conto quando all’inizio dell’estate con un piccolo gruppo di alleati ha gettato il seme della svolta di ieri.
Era il mercoledì dopo il referendum sulla Brexit, 29 giugno. In una saletta di Mishcon de Reya, uno dei grandi studi di avvocati d’affari della City, Miller, Gabara e pochi altri si ritrovano per impostare la sfida legale che ieri avrebbe segnato una prima vittoria.
«Non abbiamo mai cercato di rovesciare l’esito del referendum nè di impedire la Brexit», dice Gabara, presidente e proprietario di una società di comunicazione con clienti come i governi del Bangladesh e delle Mauritius o grandi gruppi, da Exxon Mobil a Telia Sonera.
«Volevamo ristabilire il principio che nel Regno Unito il Parlamento è la sede della sovranità e non lo si può accantonare in un corto circuito fra un referendum consultivo e l’azione incontrastata del governo. Sarebbe stato uno stravolgimento della Costituzione formatasi in secoli di common law , quasi un colpo di Stato».
Rapidamente Miller, Gabara e una decina di altri, in buona parte soci di Mishcon de Reya, hanno formato un «comitato d’indirizzo» che avrebbe portato al duello di questo autunno nei tribunali.
Lo studio legale fondato dallo scomparso Victor Mishcon, figlio di un rabbino polacco che aveva trovato la salvezza a Londra, presto avrebbe pagato per la sua scelta di esporsi: in luglio davanti alle sue finestre hanno iniziato a formarsi proteste e picchetti di fautori più radicali della Brexit.
Da allora molti dei nomi dei registi del ricorso sono rimasti gelosamente custoditi nei computer dello studio.
Per rappresentare Miller all’Alta Corte Mishcon de Reya ha ingaggiato Lord (David) Pannick, un «Queen’s Council», ossia uno degli avvocati da dibattimento più celebri della nazione.
A Gabara tocca il compito di parlare a nome del gruppo e gestire la comunicazione di Miller. Quanto agli altri sostenitori della causa, si sa solo che fra di essi si trovano figure di punta del mondo degli affari e dell’industria.
«Non solo soci di Mishcon de Reya – si limita a dire Gabara –. Ci sono anche clienti dello studio, come la stessa Miller. Non posso aggiungere altro per non dare adito a inesistenti teorie del complotto», aggiunge l’italiano.
«Se tirassimo fuori i nomi, saremmo tacciati di essere l’èlite di Londra che vuole rovesciare la volontà del popolo».
Questa cortina di segreto rischia di alimentare i sospetti dei fautori della Brexit. A Gabara preme sottolineare il coraggio della donna che ha messo il suo nome sulla battaglia legale: «Nel clima di aggressione seguito al referendum non si è mai tirata indietro».
Fare di lei il volto della sfida nelle Corti è stata una decisione presa a fine luglio, dopo il primo dibattimento: allora divenne chiaro che sarebbe bastato avere un unico ricorrente ufficiale.
Gabara però sa bene che la vittoria non è ancora assicurata. Da tempo la Corte Suprema aveva riservato il 7 e 8 dicembre per l’appello che sarebbe sicuramente seguito.
Ma un primo segnale c’è già , nota l’italiano: «Abbiamo dimostrato che il Regno Unito resta la patria dello Stato di diritto. Non si possono privare milioni di britannici della possibilità di vivere gli anni della pensione in Spagna o di aprire un conto in Germania, senza prima ascoltare il Parlamento».
L’Alta Corte in realtà non precisa se la Camera dei Comuni dovrà votare un mandato preciso al governo per i negoziati di secessione dalla Ue, oppure alla premier Theresa May basterà una rapida consultazione.
In ogni caso il Parlamento non oserà esprimersi contro la Brexit. «Ma il referendum non ha mai decretato che dovrà esserci la rottura radicale che il governo persegue. Non ha mai dato mandato al premier di portare il Paese fuori dal mercato unico, danneggiando l’industria dell’auto, della farmaceutica e della finanza – nota Gabara –. Ora grazie a noi i moderati tornano in gioco».
Federico Fubini
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
STAVA PER OTTENERE IL PERMESSO DI LASCIARE LA SUA CASA DI ACCOGLIENZA A CAGLIARI… TROVATO AGONIZZANTE, INDAGINI IN CORSO
Andava sempre in giro con una croce appesa al collo e quando è arrivato in Libia, sperando di partire subito per l’Italia, gli spietati miliziani dell’Isis non gliel’hanno perdonato.
L’hanno catturato, imprigionato e torturato: per tre anni Alizar Brhane è stato rinchiuso in un’affollatissima prigione e le cicatrici che portava sul corpo dimostravano quanto dolore avesse patito.
Il 21 marzo scorso era arrivato in Sardegna e da qualche giorno aveva avuto la notizia che aspettava di più: il permesso per lasciare la casa di accoglienza di Cagliari era già stato firmato, ma ancora gli doveva essere consegnato.
TROVATO AGONIZZANTE IN UN PIAZZALE
Alizar aveva vent’anni, era partito dall’Eritrea e stava iniziando a sentirsi il protagonista di una favola. Invece quel destino maledetto ha continuato a perseguitarlo: la mattina del 1 novembre gli altri ragazzi che vivono in un ex hotel alla periferia di Cagliari l’hanno trovato agonizzante, quasi morto, riverso sul piazzale, all’ombra di alcuni alberi.
Quel che è successo non è chiaro perchè nessuno ha visto o sentito, ma in questo dramma c’è almeno un aspetto positivo.
Alizar ha fatto il dono più grande: i suoi organi hanno allungato la vita a cinque persone che da tempo attendevano un trapianto e che avevano quasi perso la fiducia.
CHE TIPO DI RAGAZZO ERA
Il cuore e il fegato di Alizar sono stati trapiantati a Bologna, i suoi reni in Sardegna, mentre i polmoni sono andati a Padova.
«Quando è arrivato in ospedale abbiamo scoperto la storia terribile di questo ragazzo — confida Ugo Storelli, responsabile dell’equipe espianti dell’ospedale Brotzu di Cagliari — Gli amici ci hanno raccontato che era un ragazzo molto timido, riservatissimo, che aveva sofferto tantissimo. I colleghi hanno fatto di tutto per tentare di salvarlo ma quando è stato accompagnato al pronto soccorso le sue condizioni erano davvero disperate. Lui non è riuscito a coronare il suo grande sogno, ma ha dato a cinque persone nuova speranza di vita».
FORSE SI ERA ARRAMPICATO SU UN ALBERO
Sulla morte di Alizar la polizia ha fatto subito i primi accertamenti ma il caso è stato archiviato nel giro di poche ore.
Per gli uomini della Squadra mobile si è trattato di un incidente: il giovane eritreo, secondo gli investigatori, si era arrampicato su uno degli alberi che svettano intorno all’ex hotel trasformato in casa di accoglienza per profughi.
Forse, ipotizzano gli investigatori, voleva entrare in camera dalla finestra perchè non aveva rispettato l’orario previsto per il rientro.
ANCORA GIALLO SULLE CAUSE VERE DELLA SUA MORTE
E chissà come, stando sempre all’ipotesi degli agenti, ha perso l’equilibrio ed è caduto.
I compagni l’hanno trovato moribondo alle nove del mattino ma il ventenne era agonizzante già da alcune ore. «Perchè doveva passare dalla finestra? — chiede un connazionale che ora tenta di organizzare un funerale — Siamo sicuri che sia morto lì? Possibile che sia stato trascinato fino a quel punto? Era un ragazzo timidissimo e diffidente, non era uno che andava in giro a ubriacarsi».
I TRAUMI RIPORTATI
I medici dell’ospedale Brotzu, comunque, hanno riscontrato un trauma cranico e toracico ma non hanno ritrovato lesioni che possano far pensare a un pestaggio.
«Aveva sofferto tanto e meritava di coltivare il sogno di una vita migliore in Europa — dice un altro ragazzo eritreo — Alizar era un ragazzo generoso e con i suoi organi ha fatto il dono più grande che potesse».
Nicola Pinna
(da “La Stampa”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
L’ISIS HA VIETATO IL CANTO E LORO PRIMA DELL’ATTACCO CANTANO A SQUARCIAGOLA … “DAESH PAGHERA’ PER QUELLO CHE HA FATTO ALLE DONNE”
Avin Vaysi ha 32 anni, una bandiera curda dipinta sulla guancia e un AK-47 stretto tra le mani.
Come molte altre donne curde, Vaysi ha deciso di lasciarsi alle spalle la vita in Iran per imbracciare le armi contro i miliziani dell’Isis.
“Quando le tv hanno spiegato cosa faceva Daesh alle donne, mi è ribollito il sangue nelle vene e ho preso la mia decisione”, spiega la ragazza.
Accanto a lei c’è Mani Nasrallahpour, 21 anni, in tuta mimetica. Anche lei imbraccia un’arma da fuoco.
“Prima di aprire il fuoco cantiamo a squarciagola negli autoparlanti. E’ un modo per fargli capire che non abbiamo paura di loro”, afferma Nasrallahpour spiegando che nei territori conquistati l’Isis ha proibito il canto e la musica.
Vaysi e Nasrallahpour sono due delle circa 200 ragazze curde che hanno deciso di aderire all’unità armata allineata con il Partito della libertà del Kurdistan (Pak), e di combattere lo Stato Islamico accanto ai loro commilitoni uomini.
In questi giorni il loro esercito – supportato dalla coalizione guidata dagli Usa – è posizionato appena fuori Mosul, a Bashiqa, a 700 metri dal fronte dell’Isis. Conoscendo le atrocità commesse dai miliziani contro le donne, le combattenti spiegano di aver giurato di non farsi catturare vive per nessuna ragione.
“Abbiamo sempre un proiettile pronto all’uso nel caso ci facessero prigioniere”, spiega Nasrallahpour.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
AUMENTA L’AFFLUENZA E SI RIDUCE IL DISTACCO, GLI INDECISI SON ANCORA AL 23%, TUTTO E’ POSSIBILE… UN ELETTORE SU QUATTRO DELLA LEGA VOTA SI’
Il No rallenta e, dopo quella che sembrava una piccola fuga, a un mese esatto dal referendum costituzionale la cosa certa è che sarà un testa a testa.
Questo dice il sondaggio settimanale del venerdì condotto da Ixè per Agorà (Rai3). Tra No e Sì in questo momento c’è un solo punto: i contrari al 39, i sostenitori delle riforme al 38.
La scorsa settimana il No era al 40 e il Sì al 37, quindi c’è stato il travaso di un punto percentuale.
A pesare verosimilmente l’aumento di coloro che dicono che andranno sicuramente a votare che passa dal 56 al 58 per cento in sette giorni, quota destinata a salire perchè il 12 per cento dice che ancora deve decidere se presentarsi alle urne.
Resta da capire quanto peseranno due incognite.
La prima: il 23 per cento si dice ancora indeciso tra Sì e No, cioè dice che andrà a votare ma non sa cosa.
La seconda: bisognerà vedere se questa tendenza avrà una continuità e in quel caso significherà che il movimento di “espansione” del No ha raggiunto il suo massimo.
Come si comportano gli elettori dei vari partiti?
A essere più motivati alla partecipazione al voto, secondo l’istituto diretto da Roberto Weber, sono quelli del Partito Democratico e di Forza Italia (con quote di partecipazione del 68 e del 69 per cento), leggermente più indietro quelli del M5s (65) e della Lega Nord (59).
Il senso d’appartenenza al partito, invece, comincia a ridurre le quote di “dissidenti” tra gli elettori dei partiti.
Nelle settimane scorse, infatti, molti sondaggi hanno messo in luce che all’interno di ogni partito una fetta considerevole di elettori “tradivano” le indicazioni di voto delle rispettive forze politiche, tanto che nel Pd un quarto degli elettori un quarto rispondeva di voler votare No, circa un quarto degli elettori M5s rispondeva di votare Sì e addirittura tra i simpatizzanti di Forza Italia si arrivava fino a 4 elettori su 10 che si dicevano favorevoli alla riforma (mentre Fi fa campagna per il No).
Ora le parti di “dissidenti” interni agli elettorati sta calando non di poco: nel Pd dice che voterà No “solo” il 15 per cento, tra gli elettori M5s i favorevoli scendono al 21 e tra quelli di Forza Italia al 14.
Resta invece notevole (24 per cento) la parte di elettori della Lega Nord che vorrebbero votare Sì.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 4th, 2016 Riccardo Fucile
CONTATTI IERI TRA I DUE STAFF… RENZI NON ACCETTA LE CONDIZIONI DEL CAV
Con orgoglio e sprezzo del pericolo, Renzi ha respinto quella che dalle sue parti considerano una «proposta indecente»: rimangiarsi la riforma costituzionale appena approvata, in cambio del via libera berlusconiano a un rinvio del referendum fissato tra un mese esatto.
Autorevoli fonti garantiscono che la profferta (o provocazione, dipende dai punti di vista) è stata riservatamente sottoposta ieri mattina al premier dopo un lungo conciliabolo a Palazzo Grazioli tra Berlusconi, Gianni Letta e Niccolò Ghedini, braccio destro e braccio sinistro del Cav.
Non risultano contatti diretti, tipo telefonata di Silvio a Matteo, e nemmeno mediazioni condotte dal solito Verdini.
A fare da ambasciatore si è prestato un personaggio di governo che preferisce restare lontano dai riflettori.
Anche perchè il primo «round» è andato male, d’accordo, ma ce ne potrebbe essere un secondo, e in questi casi non si sa mai.
Appello al buon senso
È convinzione berlusconiana che il referendum sia tutto sbagliato, perchè spacca l’Italia proprio mentre la politica dovrebbe unirsi per soccorrere gli sfollati.
Dei veri statisti (questo il messaggio recapitato a Palazzo Chigi) stopperebbero il referendum, darebbero ai terremotati i 300 milioni risparmiati grazie al rinvio del voto, si metterebbero tutti insieme intorno a un tavolo, rifarebbero da cima a fondo l’«Italicum» cancellando il ballottaggio, e aggiusterebbero la stessa riforma costituzionale che rappresenta il motivo dello scandalo.
Per questo a Renzi è stato chiesto di impegnarsi solennemente, con una dichiarazione pubblica, a emendare la riforma su almeno tre punti precisi: elezione diretta dei futuri senatori, maggiori poteri alle Regioni, quorum più alto per eleggere il capo dello Stato e le alte magistrature.
Temi condivisi con grillini e sinistra Pd. A quel punto verrebbe meno un motivo essenziale di scontro e sarebbe logico fermare le lancette dell’orologio, posticipando il voto.
Condizioni capestro
La risposta di Renzi è pervenuta quasi in tempo reale, ancora prima che il Cav ricevesse a pranzo Brunetta, leader indiscusso dei berlusconiani duri e puri.
Ha fatto sapere, il premier, che della riforma costituzionale non cambierà un bel nulla, perchè toccare una sola virgola sarebbe un’umiliazione troppo grande per chi, come lui, ci ha messo la faccia.
Perderla sul Senato sarebbe perfino peggio che una sconfitta alle urne.
E poi, ragionano i renziani, «chi l’ha detto che perderemo?».
I 6 principali istituti di sondaggi segnalano come, a trenta giorni dal voto, la percentuale di indecisi rimanga altissima, c’è tempo per convincere una parte della minoranza Pd, quella che fa capo a Cuperlo, col quale si stanno discutendo modifiche della legge elettorale.
Insomma, per Renzi la partita è ancora aperta, anzi apertissima.
Falchi e colombe
«Che peccato, una grande occasione persa», si lamentano le «colombe» berlusconiane che vedono chiudersi la finestra del buon senso (gli italiani all’estero cominceranno a votare tra una settimana, e a quel punto sarà troppo tardi per il rinvio).
I «falchi» invece applaudono la «faccia tosta» di Renzi e notano soddisfatti come il Cav, dopo la rispostaccia del premier, si sia messo a registrare con più lena una raffica di appelli televisivi a sostegno del NO.
Ma non è detto che, nel luna park della politica italiana, tutti i giochi siano davvero conclusi.
La certezza di votare ce l’avremo solo il giorno che andremo in cabina.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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