Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
IL VAFFANCULO DI TRUMP E’ PER IL POPOLO, NON PER I POTERI FORTI… E I LECCHINI ITALIANI SEDICENTI DI DESTRA SBAVANO DIETRO A UN EVASORE ESPRESSIONE DELLA FINANZA MONDIALISTA
Da ieri Matteo Salvini (il leader di quel partito che fece fallire una banca e si fece salvare dal finanziere Gianpiero Fiorani) ed altri ci spiegano che finalmente con la vittoria di Donald Trump il popolo americano ha deciso di dire basta a massoni, banchieri, finanzieri, lobbisti e tutti i poteri forti che vi possono venire in mente.
Un bel vaffanculo, come l’ha definito Beppe Grillo, arrivato fuori tempo massimo a intestarsi la vittoria del candidato repubblicano.
Ma come è già accaduto in tempi recenti in Regno Unito il vaffanculo di Trump — così come quello dell’amico Nigel Farage, vero anello di congiunzione tra i due — è per il popolo, non per i poteri forti.
Meno regole per il settore finanziario
E del resto non può essere che così perchè Trump è un palazzinaro che ha dichiarato più volte bancarotta per evitare di pagare le tasse e soprattutto è uno degli esponenti più importanti della Casta.
Non è passato nemmeno un giorno dalla sua vittoria e già sulla piattaforma che Trump ha messo in campo per spiegare gli obiettivi dei primi 73 giorni della sua Presidenza compare il primo regalo a banchieri, finanzieri e lobbisti (non escludiamo che anche i massoni possano trarne giovamento ma non siamo esperti di grembiulini e cazzuole). Come si legge sul sito Greatagain.gov il Presidente Trump ha intenzione di smantellare completamente il Dodd-Frank Act perchè, è la sua spiegazione, non serve alla gente:
The Dodd-Frank economy does not work for working people. Bureaucratic red tape and Washington mandates are not the answer. The Financial Services Policy Implementation team will be working to dismantle the Dodd-Frank Act and replace it with new policies to encourage economic growth and job creation.
Il “Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act” è una legge federale del 2010 approvata in base ad una proposta avanzata nel 2009 da parte dell’Amministrazione Obama per rispondere alla crisi finanziaria del 2008 e per evitare che una situazione del genere potesse accadere nuovamente in futuro.
Uno dei più grandi successi ottenuti grazie al Dodd-Frank è la multa da 100 milioni di dollari comminata dalla Commissione di garanzia istituita dalla legge alla banca d’affari Wells Fargo che aveva aperto conti correnti e carte di credito all’insaputa dei suoi clienti.
Si tratta nel complesso di una serie di regolamentazioni che mirano ad ottenere maggiore trasparenza per quanto riguarda le transazioni finanziare in modo da tutelare maggiormente i consumatori e i risparmiatori ma anche per consentire a banche e istituti finanziari di sopravvivere meglio ad un’eventuale futura crisi economica. Regole la cui applicazione ha richiesto un consistente investimento economico da parte degli operatori del settore che il mondo finanziario ha sempre considerato molto rigide.
Non a caso ieri, dopo l’annuncio della vittoria di Trump le azioni di importanti gruppi finanziari erano tutte in forte rialzo società finanziarie come JP Morgan (+ 5.7%), Morgan Stanley (+ 8.1%), Bank of America Merrill Lynch (+ 6.1%) e Goldman Sachs (+ 6.3%) si aspettano quindi che l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca corrisponda con l’inizio di una deregolamentazione del settore.
Il che significa meno regole e mani libere sul mercato per i colossi della finanza
Trump contro la finanza?
Un momento, ma Trump non era quello contro le lobby e i finanzieri e i banchieri? No, Trump è prima di tutto un uomo d’affari e come tutti gli uomini d’affari odia le regole e la sua insofferenza verso il Dodd-Frank è cosa abbastanza nota visto che già nell’ottobre 2015 aveva detto a Fox News “dobbiamo sbarazzarci del Dodd Frank Act“. Un chiaro segnale che un’eventuale Presidente Trump avrebbe sciolto le redini ai cavalli della finanza americana.
Non è chiaro se il Presidente manterrà davvero questa promessa, alcuni ne dubitano, ma il Partito Repubblicano ha la maggioranza sia al Congresso che al Senato e il Presidente ha sufficienti poteri (nonchè un chiaro mandato popolare) per poter agire in tal senso.
Ed è su questo che contano i banchieri di Wall Street.
Ieri Beppe Grillo, intestandosi la vittoria di Trump spiegava invece che “Pannocchia ha mandato a fanculo tutti: massoni, grandi gruppi bancari, cinesi”.
Ora che Grillo si scopre essere amico di Trump cosa direbbe il Beppe di qualche anno fa, quello che ha costruito una fortuna politica “denunciando” il crack Parmalat e la truffa dei bond argentini
Smantellamento dell’Obamacare
Donald Trump ha intenzione di smantellare “il più rapidamente possibile” anche il Patient Protection and Affordable Care Act, una delle grandi conquiste dell’era Obama, nota infatti con il nome di Obamacare.
Non si tratta di una vera e propria sanità pubblica, così come la intendiamo in Europa e in Italia, ma di una legge che mira a consentire agli americani di poter stipulare polizze mediche regolamentate e sovvenzionate dal governo federale con l’obiettivo di espandere la possibilità per tutti i cittadini di accedere al servizio sanitario.
Questo è un altro punto sul quale i sostenitori italiani di Trump come uomo nuovo che ha a cuore il benessere della gente e che si oppone agli interessi di finanzieri e lobbisti dovrebbero riflettere.
Specialmente i Cinque Stelle che già sono osservati speciali per la loro alleanza con Farage, un altro che guarda caso in passato ha lavorato proprio per le compagnie di assicurazioni che vendevano polizze mediche e che nel 2012 sosteneva la necessità di privatizzare il sistema sanitario britannico sostituendolo con un modello basato sulle assicurazioni private proprio come negli USA.
Ma tranquilli, per Salvini e Grillo Farage e Trump restano gli eroi della gente, quelli che mai si piegano ai poteri forti.
Chissà cosa direbbe un ipotetico Grillo americano, uno di quelli sempre pronto a denunciare lo scandalo dei tagli alla sanità pubblica.
Ah già , un ipotetico Grillo USA sarebbe simile a Donald Trump.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
GRAZIE AL SUO PROFETA, RIEMERGE LA FOGNA RAZZISTA
L’America si è svegliata tinta di rosso. Il colore del nuovo presidente che tra le varie cose, promette nuovi muri.
Così, su quelli vecchi, in mattoni o virtuali, sono cominciate ad apparire nuove scritte. Minacce di chi ora si sente rappresentato, forte, protetto da un ideale di supremazia, giustificato.
E in rete sono apparse anche storie di disagio, appelli di aiuto, messaggi di paura scritti da chi è consapevole che da oggi è parte dei nuovi dimenticati di Donald Trump.
Nell’era del maschio-bianco-etero, il peso della diseguaglianza è appoggiato sull’altra faccia di Stati disuniti.
La nuova intolleranza sulle donne, su tutti gli altri colori, le diverse etnie e religioni, sui gay.
Svastiche. Ne sono apparse un po’ ovunque. Storte, distorte come il loro significato. “Rendere l’America bianca di nuovo”, si legge stamattina presto in un campo da baseball di Wellsville, New York.
Una bambola con una corda attorno al collo, spogliata, buttata a terra in un ascensore dell’universitario di Canisius, appena fuori Buffalo, sempre nello stesso Stato di NY, uno tra i pochi ad aver votato Clinton.
“Seig Heil 2016”, ancora il simbolo nazionalsocialista sul muro di un negozio a Philadelphia.
Ma non era un incidente, e non era isolato.
Philadelphia, nella parte sud è stata la più segnata nel nome di Donald: “Trump Rules” and “Black Bitch”. Un portavoce della polizia ha detto che le autorità hanno risposto a molteplici chiamate per vandalismo, sono state “colpite molte automobili e le case a South 6th Street”.
Una studentessa della University of Louisiana, a Lafayette, è stata aggredita e derubata da due “maschi”. Nella denuncia alla polizia descrive uno di loro con un cappello bianco e il logo del presidente repubblicano.
Le hanno portato via il portafoglio ma miravano al velo, e le hanno strappato di dosso l’hijab. Nello stesso campus nuove scritte in stampatello. ‘FUCK YOUR SAFE SPACE’, fanculo il tuo spazio sicuro. ‘BUILD WALL’, costruire muri.
A San Jose, ancora in un’ Università , ad una ragazza il velo è stato invece stretto forte, tenuto premuto sul viso fino quasi a soffocarla.
A farlo sempre un maschio, sempre bianco. Il campus ha diramato un comunicato con le istruzioni da seguire per evitare di restare vittime di incidenti del genere.
Su Twitter appelli a proteggersi fatto da ragazze velate: “È già cominciato… Oggi due sostenitori di Trump hanno tentato di strapparmi il mio hijab. State attente là fuori”, scrive da Albuquerque ‘bye’ che si firma @Palestixian e che per la descrizione del suo profilo Twitter ha scelto la frase: “When the ignorant address you, reply with words of peace”, se l’ignorante ti punta rispondi con parole di pace.
“La vita dei neri non conta, e neanche il loro voto”. Un’altra scritta, un altro viaggio nel tempo all’indietro partito da un muro di Durham, in North Carolina e fotografato da Derrick Lewis, della Cbs
Ma a denunciare moti razzisti del primo giorno della nuova America, sono in tantissimi.
Afroamericani che tolgono i figli dalle scuole, mamme preoccupate, ragazze all’angolo. Che riprendono coi telefoni nascosti sfilate di ragazzini che inneggiano al ‘white power’ impugnando cartelli pro Trump.
Giustificazioni, lo scudo di forza del presidente. Che nella loro stupidamente estrema interpretazione del peggio della propaganda di Donald, non risparmiano i gay. “Non vedo l’ora che il tuo matrimonio sia annullato dal vero presidente. Famiglie Gay = Bruciate all’inferno. Trump 2016”, si legge in un biglietto attaccato alla macchina di una coppia del North Carolina.
Il dopo Obama è cominciato e l’America dell’intolleranza è uscita dall’ombra, nel nome di Donald.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
DAI VIRGINIA, DICCI PERCHE’ NON PUOI FARE A MENO DI LUI
La sindaca di Roma Virginia Raggi ha firmato l’ordinanza per la rotazione dei dirigenti, individuati per la prima volta con la procedura di interpello prevista dal piano anticorruzione condiviso con Anac.
Un sistema all’insegna del “merito e trasparenza”, per Raggi, che coinvolge 40 direttori tra dipartimenti e municipi: 25 vengono confermati mentre 11 cambiano destinazione.
La sorpresa è che Raffaele Marra, uomo di fiducia della Raggi, da tempo al centro di polemiche, resta a capo del personale
I 25 dirigenti confermati sono 10 nei municipi e 15 nelle strutture centrali, mentre gli undici 11 che cambiano destinazione sono cinque nei municipi e sei nelle strutture centrali.
L’ordinanza fissa i ruoli di 36 dirigenti, per altri quattro interverrà una decisione successiva.
I quattro ruoli inclusi nella procedura di interpello ma su cui si attende ancora una decisione ufficiale sono: i vertici della polizia locale (dove dovrebbe essere confermato Diego Porta), dell’avvocatura, della ragioneria e delle politiche sociali. Marra, inizialmente nominato come vice-capo di gabinetto vicario della sindaca, poi solo vice capo di gabinetto e infine spostato all’organizzazione delle risorse umane, qui resta.
A capo del Dipartimento Sviluppo Economico e Attività Produttive arriva Luigi Maggio, prima al Patrimonio; al dipartimento Cultura resta Vincenzo Vastola, come pure a quello Mobilità , Viola Maurizio; al Patrimonio va Cristiana Palazzesi prima alle politiche abitative, dove invece arriva Aldo Barletta. Al dipartimento Lavoro, Turismo (il turismo viene diviso dalla Cultura) e Formazione c’è Maria Cristina Selloni, mentre a capo dell’Urbanistica rimane Annamaria Graziano.
Non cambia ruolo nemmeno Cinzia Padolecchia, salda al vertice al dipartimento Scuola, dipartimento da cui viene scorporato lo Sport al cui vertice va invece Francesco Paciello.
Roberto Botta resta ai Lavori Pubblici, come il collega Pelusi Pasquale Libero all’Ambiente.
Al dipartimento Mercati all’Ingrosso ci sarà Silvana Sari, che lascia lo Sviluppo economico.
A capo della Sovrintendenza Capitolina rimane Claudio Parisi Presicce. Rita Caldarozzi viene confermata a dirigere la razionalizzazione della spesa, come pure restano a capo dei dipartimenti ufficio stampa, Maria Rosaria Pacelli, e comunicazione, Carmela Capozio.
Ancora: al dipartimento risorse economiche resta Andreina Marinelli, come pure le colleghe Luisa Massimiani al dipartimento partecipazioni e Sabina De Luca ai progetti europei. Cambia invece il vertice dell’Innovazione Tecnologica dove arriva Antonella Caprioli.
Inutile sottolineare i mal di pancia grillini per quest’ennesima “prova di forza” della Raggi che aveva promesso a Grillo di sistemare Marra in un ruolo più defilato e invece lo mantiene al Personale.
“Perchè Virginia non può fare a meno di Marra?” – si chiedono molti del M5S – “Marra è estraneo al nostro mondo, chi rappresenta?”.
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
I RITARDI DELLA POLITICA DIPENDONO DA QUESTO?… SOLO IL 20% DELLE LEGGI E’ COINVOLTO NELLA NAVETTA E HA IMPEGNATO SOLO IL 4% DELL’ATTIVITA’ DEL PARLAMENTO… IL PROBLEMA E’ LA SCARSA COESIONE DELLE MAGGIORANZE POLITICHE, NON LA NAVETTA
La Stampa approfondisce uno degli argomenti del referendum sulle riforme costituzionali che andrà in scena il 4 dicembre.
I numeri servono a sfatare l’argomento elettorale della navetta tra Camera e Senato, presentato come uno dei problemi che affliggono il parlamento rallentando l’approvazione delle leggi.
Ma cos’è la navetta e qual è davvero il suo peso nei ritardi della politica?
La navetta è quel meccanismo per cui una proposta di legge, approvata da uno dei rami del Parlamento ma modificata dal secondo, deve tornare al primo per una seconda approvazione.
Approvazione che può avvenire con ulteriore modifica, facendo ripartire il meccanismo.
Quanto pesa tutto questo ce lo racconta un’analisi accurata targata Openpolis, brillante associazione che si occupa di open data legati alla politica.
Openpolis ha considerato le 252 leggi approvate in questa legislatura, scoprendo che solo il 20% è stato coinvolto dalla navetta.
Anche i tempi non sembra si siano allungati di molto: la navetta ha impegnato solo il 4% dell’attività del Parlamento.
L’amara verità è che non è il meccanismo a essere colpevole del rallentamento, ma la scarsa coesione (su alcuni argomenti) delle maggioranze politiche: è il dissenso politico che sfrutta la navetta per rallentare l’approvazione delle leggi.
Ma il dissenso all’interno di un partito o tra i partiti di una coalizione non si può certo eliminare con una riforma.
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
LA SEZIONE DI MONTEBELLUNA NON LE RINNOVA LA TESSERA, VA A CRESPANO SUL GRAPPA DOVE SONO FELICI DI DARGLIELA, L’ANPI DI TREVISO GLIELA RITOGLIE… QUALCUNO INSEGNI LORO COS’E’ LA DEMOCRAZIA
Laura Puppato vota sì al referendum? Niente rinnovo della tessera Anpi, da sempre contraria alla riforma voluta dal governo Renzi.
“Una cosa incomprensibile e inaudita”, ha detto la senatrice, che si è vista negare l’iscrizione dalla sezione di Montebelluna (Treviso), decisa da chi ha perso “il senso della misura, la logica dei principi fondanti della Costituzione. Qui — ha aggiunto — qualcuno è uscito fuori dal seminato e non sono io”.
E anche alcuni esponenti renziani si schierano con lei e bollano la decisione dell’Anpi a una “follia stalinista”.
Lo scrive su Twitter il senatore dem Stefano Esposito: “Ho sempre evitato qualunque commento sul no Anpi a referendum costituzionale ma espellere Laura Puppato perchè vota sì è follia stalinista”, e gli fa eco il collega Andrea Marcucci.
“Una decisione stalinista, anche in questo caso spero che Anpi nazionale intervenga. La mia solidarietà a Laura Puppato #anpi #bastaunSi”. Quello con la Puppato è l’ennesimo scontro tra Pd e Anpi che arriva all’indomani dagli attacchi della deputata dem Alessia Morani, indignata dalla compresenza sulla stessa piazza di Forza Nuova e dei partigiani. Che, per ovvi motivi, erano però separati da agenti in borghese.
Ma la senatrice dem difende il suo diritto al rinnovo della tessera e giudica “queste posizioni” dell’Anpi “a dir poco molto discutibili. Io sono iscritta da molti anni all’Associazione che ha raccolto lo spirito dei partigiani, che fino a prova contraria hanno liberato il paese dal fascismo, e siccome questa riforma la sottoscrivo, ed anzi ho contribuito a redigerla, ne sono pure orgogliosa. Nessuno finora, e tanto meno il presidente Smuraglia, è riuscito a dimostrarmi che non andiamo a rafforzare i principi democratici su cui si fonda la Costituzione, grazie a una revisione dell’architettura istituzionale del paese”.
Poi sottolinea che la riforma “ha il pieno avvallo dei partigiani di oggi e di ieri. E in ogni caso se espellono me, dovranno espellere più di metà dell’Anpi, come il presidente Anpi di Conegliano che ha preso posizione per il sì e che mi ha appena scritto”.
Della richiesta a Conegliano non c’è traccia, però, su La Provincia di Treviso, che ricostruisce la vicenda sentendo anche il presidente dell’Anpi di Treviso, Umberto Lorenzoni.
Puppato, in seguito all’iscrizione rigettata dalla sezione di Montebelluna, racconta di essersi rivolta “a Crespano del Grappa, dove il responsabile, Lorenzo Capovilla mi ha accolta a braccia aperte ringraziandomi”.
Un via libera respinto in toto da Lorenzoni: “Cosa? Non esiste — dice al quotidiano veneto -. Appena mi arriverà sotto gli occhi la richiesta della Puppato la straccerò. E le ridarò i soldi dell’iscrizione“.
E prosegue: “Un conto è avere idee personali sul referendum, ci mancherebbe; un altro è essere un nostro associato e, soprattutto essendo un politico noto, fare comizi a favore della modifica della Costituzione”.
Qualcuno dovrebbe frequentare un corso di democrazia applicata: non è mai troppo tardi.
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
LA CANDIDATA DEMOCRATICA HA RACCOLTO 227.000 VOTI IN PIU’ SU SCALA NAZIONALE DEL PRESIDENTE ELETTO… IN ITALIA AVREBBE VINTO LA CLINTON
Hillary in realtà “ha vinto”, perchè ha ottenuto più voti in assoluto.
Il conteggio finale ha dato a Hillary un totale nazionale di 59.926.386 voti, a Trump 59.698.506 (la partecipazione è calata rispetto al 2012).
La differenza in favore della Clinton supera i 227mila voti.
Alla possibilità di un sorpasso della Clinton nei voti popolari aveva fatto un breve accenno nella nottata elettorale il suo consigliere John Podesta, ma solo per spiegare un leggero ritardo nella telefonata “della concessione”.
Nè Hillary nè Obama invece hanno ritenuto di dover menzionare il voto popolare. Perchè quello che conta è il sistema del “collegio elettorale” per l’elezione del presidente, quindi il totale di “grandi elettori” ottenuti sommando quelli espressi da ogni Stato. Trump lì ha vinto senza ombra di dubbio
Accadde già nel 2000 che il perdente, Al Gore, avesse ottenuto in realtà più voti del vincitore, George W. Bush.
Ci furono contestazioni in quel caso ma per tutt’altra ragione e cioè le schede elettorali manomesse in Florida.
Altri tre casi precedenti si sono verificati nell’Ottocento.
Ciò che rende possibile questa divaricazione, sono due fattori.
Da una parte c’è il fatto che quasi ogni Stato (con due piccole eccezioni) usa un maggioritario secco per cui il primo arrivato anche se ha un solo voto in più acchiappa la totalità dei delegati.
Questo può produrre delle distorsioni sul totale assoluto perchè un candidato che arriva primo con ampio vantaggio in Stati ultra-popolosi (come la California per Hillary) “spreca” milioni di voti “inutili” visto che gli basterebbe vincere con il 50,1%.
Mentre l’avversario la frega vincendo di più stretta misura in Stati non altrettanto popolosi.
Poi c’è il fatto che la quantità di delegati assegnati ad ogni Stato (55 alla California, 38 al Texas, 29 a New York e Florida, e via decrescendo) è in qualche modo legato alla popolazione, ma non è del tutto proporzionale.
Per la precisione la quantità di delegati è proporzionale al numero di deputati eletti in quello Stato. Che viene aggiustato periodicamente in base al censimento demografico. Ma non è mai tempestivo, e c’è una leggera sovra-rappresentazione degli Stati minori. È un sistema pieno di difetti, contestabilissimo.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
IN FORSE LA CORSA DEL MOVIMENTO A PALERMO
Il caso delle firme false di Palermo potrebbe detonare dentro il M5S e travolgere la candidatura grillina per le comunali di Palermo del 2017.
Beppe Grillo ha fiutato che la posizione dei pentastellati coinvolti si sta aggravando e vuole subito un chiarimento, anche per evitare che a tre settimane dal referendum la storia degeneri e comprometta tutto il Movimento.
La notizia che ci sarebbero almeno dieci indagati iscritti sul registro della Procura di Palermo ha allertato i vertici 5 Stelle.
Si parla chiaramente di sanzioni e di possibili espulsioni se dovessero essere confermati i reati di falso ipotizzati per l’inchiesta della magistratura nata da una serie di servizi delle Iene.
La traccia che seguono i pm è stata ampiamente raccontata dalla trasmissione tv: le firme apposte sui documenti presentati per le liste elettorali delle comunali di Palermo del 2012 sono state falsificate.
Lo hanno provato gli inviati delle Iene e poi i magistrati, convocando i diretti interessati, attivisti o semplici cittadini, che hanno confermato di non aver mai firmato alcuna lista elettorale.
La storia è ormai nota: un gruppo di attivisti 5 Stelle accusa deputati regionali e nazionali, assieme ad altri grillini palermitani di primo piano, di aver falsificato gli atti.
Già nel 2012 una prima inchiesta venne archiviata. Un militante su tutti fa nomi e cognomi. Si chiama Vincenzo Pintagro. È il superteste della Procura.
È lui a puntare il dito contro Riccardo Nuti, allora candidato sindaco con il nome acchiappavoti di “Il grillo”, Giulia Di Vita, Chiara Di Benedetto, Loredana Lupo e Claudia Mannino.
Tutti deputati e quest’ultima anche segretaria dell’ufficio di presidenza a Montecitorio.
A nulla sono servite le richieste di un passo indietro avanzate dallo stesso Grillo dopo i primi servizi tv.
I cinque hanno fatto quadrato e ora, se i loro nomi saranno, com’è molto probabile, tra quelli sul registro degli indagati, la loro situazione potrebbe aggravarsi.
La strategia per il referendum imposta da Grillo prevede di muoversi con cautela, senza traumi e polemiche: come per l’assessora di Roma Paola Muraro, i 5 Stelle aspettano gli avvisi di garanzia.
Quando arriveranno, partiranno le sospensioni contestualmente al congelamento definitivo delle primarie per scegliere il candidato sindaco.
Potrebbe voler dire rinunciare alla corsa per Palermo, in modo da salvare le regionali in Sicilia, il boccone più ghiotto per il M5S a cui verrà ricandidato Giancarlo Cancelleri, colui che per conto di Grillo ha chiesto di far saltare il processo ai deputati previsto per lunedì.
L’aveva convocato Adriano Varrica, altro candidato alle «comunarie», oppositore interno della «banda di Nuti», come viene chiamato il gruppo dei fedelissimi del deputato nei racconti della faida in corso tra i grillini di Palermo.
Ma il caso firme false, arrivato in Parlamento, ha messo al centro della storia un’altra figura.
È quella del vicequestore aggiunto della Digos Giovanni Pampillonia.
La deputata Pd Alessia Morani ha presentato un’interrogazione dopo i servizi delle Iene in cui si mostrava il suo atteggiamento confidenziale con Grillo nei giorni di Italia a 5 Stelle, lo scorso settembre, e l’irruenza con cui «pareva aver violentemente allontanato i giornalisti» dal cordone attorno alla sindaca Virginia Raggi.
Pampillonia era il titolare delle indagini del 2012 e lo è tuttora.
Il Pd chiede al ministero dell’Interno «se non sia opportuno assegnare le indagini ad altri», viste anche le diverse fonti che testimoniano le simpatie con il M5S e il legame di parentela con un ex candidato, Francesco Menallo.
Ma c’è di più, la iena Filippo Roma racconta alla Stampa di essere stato trattenuto per tre ore da Pampillonia in questura a Palermo, mentre il vicequestore «dirigeva al telefono» funzionari della Digos di Roma inviati a prelevare del materiale in casa dell’inviato.
«Non c’era nessuno e ho dovuto mandare mia suocera – spiega – Si sono presentati senza mandato. I pm avevano chiesto precisi documenti. Ma una volta lì Pampillonia ha detto di cercare se c’era anche dell’altro tra le mie carte. Hanno preso l’esposto anonimo da cui è partita la nostra inchiesta. Solo dopo i miei legali mi hanno detto che è stata una specie di perquisizione non autorizzata».
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
DIECIMILA EURO PER IL RESTAURO DEL TETTO DANNEGGIATO ERANO STATI OFFERTI DA DITTE SOSPETTATE DI RAPPORTI CON LA ‘NDRANGHETA
L’indicazione del vescovo di Locri Francesco Oliva è stata chiara: le offerte che puzzano di ‘ndrangheta non si accettano.
E così il parroco di Bovalino, paese della provincia di Reggio Calabria colpito dall’alluvione del 2015, è andato in banca e ha emesso due bonifici, indirizzati ad altrettante ditte che avevano inviato cinquemila euro ciascuna per contribuire a ricostruire il tetto della chiesa matrice sfondato dalla pioggia.
“Con il denaro sporco non si costruiscono chiese, a costo di rinunciare ai lavori”, dice il presule a Repubblica.
E i soldi rispediti al mittente in effetti avevano una provenienza quantomeno sospetta. Si tratta di fondi inviati da ditte collegate a Domenico Gallo, arrestato a fine ottobre nell’inchiesta condotta dalla procura di Roma sui grandi appalti, dalla Tav alla Salerno-Reggio Calabria.
Nell’ordinanza che ha portato in carcere l’imprenditore calabrese, il giudice ha messo in evidenza “i suoi contatti con soggetti legati alla criminalità organizzata”.
E davanti alle carte giudiziarie, il vescovo non ha esitato. “Per me è stata una scelta scontata, ordinaria”, dice. E infatti non sarebbe emersa se non fosse stata accennata durante un dibattito locale e rilanciata dal Quotidiano del Sud.
“Questa vicenda – spiega il presule – è una piccola cosa ma fa parte di uno stile che deve essere chiaro: non si può rischiare di essere conniventi con le mafie e se c’è il sospetto che le offerte siano frutto di affari mafiosi, bisogna rifiutarle in modo fermo”. Oliva lo aveva già affermato nel marzo scorso, quando un pentito aveva rivelato che una chiesa di Gioiosa Jonica era stata costruita con i soldi delle cosche: “Diciamo con chiarezza che non ne abbiamo bisogno”, aveva scritto ai fedeli e sacerdoti del paese.
Anche Giancarlo Bregantini, suo predecessore nella diocesi di Locri, aveva messo in guardia dal meccanismo perverso delle connivenze economiche tra cosche e comunità ecclesiali: “La mafia – diceva – tende insidie ai sacerdoti: se c’è un campanile da aggiustare, è facile che ti arrivi un generoso contributo. Ed è chiaro che ciò sarà ampiamente messo in risalto da chi lo ha dato, anche se non sarà annunciato dal pulpito: è per questo che la scelta di povertà del prete è una forza di opposizione e di resistenza incredibile”.
Ora monsignor Oliva ribadisce: “Non c’è nulla di bello che si possa costruire con i soldi macchiati dal sangue della gente”.
E cita due grandi figure della Chiesa che si chiamano Francesco, come lui.
Uno è il santo originario di Paola, patrono della Calabria: “Secondo la tradizione – racconta il presule – quando il re di Napoli gli offrì monete d’oro per costruire un convento lui le spezzò e ne uscì proprio del sangue: quello della gente vessata dal monarca”.
L’altro Francesco è il Papa, che il 21 giugno 2014 sempre in Calabria, a Sibari, pronunciò la scomunica per i mafiosi: la ‘ndrangheta, disse, è “un male” che “va combattuto, va allontanato”.
E aggiunse: “Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato”.
Oliva quel giorno era sull’altare alla sinistra di Bergoglio, che lo aveva appena nominato vescovo e inviato a Locri: “Le parole del Papa non lasciano spazio all’ambiguità e devono dare coraggio alla Chiesa”, dice.
Coraggio che non è mancato al vescovo, ma è stato condiviso anche dal consiglio affari economici della parrocchia di Bovalino, compatto nel sottoscrivere la decisione. E alla fine l’onestà è stata premiata perchè i soldi necessari per ricostruire il tetto sono arrivati lo stesso, grazie al contributo dell’otto per mille e alla generosità dei fedeli.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 10th, 2016 Riccardo Fucile
GIOITE OPERAI INCAZZATI, TUTTO QUESTO PER GOLDMAN SACHS!… AL TESORO ANDRA’ MNUCHIN DELLA SOCIETA’ DI AFFARI, ALL’ENERGIA IL PETROLIERE MILIARDARIO HAMM… CON SPOLVERATA DI PISTOLERI E EX SINDACI RINCOGLIONITI
La parola d’ordine è attingere dal settore privato.
Il processo per la costruzione della squadra che affiancherà Donald Trump alla Casa Bianca è appena iniziato, ma le indiscrezioni di Politico.com e altre testate convergono su alcuni nomi forti: Rudolf Giuliani, principale sostenitore di Donald Trump nella campagna elettorale, avrà certamente un ruolo centrale, ma dovrebbero esserci anche Newt Gingrich, il controverso ex Speaker della Camera, come segretario di Stato, e Steven Mnuchin, per molti anni banchiere di Goldman Sachs, al Tesoro.
Quest’ultimo nome è particolarmente rilevante se si considera che uno dei punti deboli di Hillary Clinton era considerato proprio il rapporto con Goldman Sachs e altre banche d’affari e società finanziarie.
Tra gli istituti che hanno elargito un sostanzioso assegno (di circa 675 mila dollari) per tre interventi dell’ex Segretario di Stato figurava proprio Goldman Sachs e su questo hanno puntato i suoi oppositori durante tutta la corsa presidenziale, dalle primarie all’election day.
E un ex Goldman Sachs potrebbe arrivare ora alla Casa Bianca con Donald Trump presidente.
La campagna elettorale divisiva condotta da Trump, secondo Politico, potrebbe complicare la capacità di attrarre “top talent”, specialmente dal momento che molti hanno deriso il presidente eletto negli ultimi anni.
Lo staff di Trump è preoccupato anche della capacità di attrarre donne di alto profilo nella squadra, dopo i commenti del tycoon sull’universo femminile.
SEGRETARIO DI STATO.
Newt Gingrich, uno dei pochi esponenti repubblicani a sostenere dalla prima ora Donald Trump, è considerato il favorito, ma in corsa per l’incarico più importante dell’amministrazione ci sono anche Bob Corker, il senatore del Tennessee che presiede la commissione Esteri, e John Bolton, il neocon inviato da George Bush a rappresentare gli Stati Uniti all’Onu.
SEGRETARIO TESORO.
Gli insider fanno solo il nome di Steven Mnuchin, visto che lo stesso Trump ha dichiarato l’intenzione di nominare l’ex banchiere di Goldman Sachs, ora presidente e Ceo di una società di investimenti.
Cinquantatre anni, laureato a Yale, quasi 20 anni in Goldman Sachs, produttore di blockbuster hollywoodiani (“American Sniper” e “Mad Max: Fury Road”), per oltre 20 anni finanziatore delle campagne elettorali del Democratic Party, da Al Gore a Barack Obama, passando per Hillary Clinton quando si è candidata a New York. Mnuchin ha un patrimonio stimato di circa 40 milioni di dollari. È lui che ha guidato il team economico di Donald Trump durante la campagna, composto da banchieri, finanzieri, imprenditori e un solo accademico di professione.
SEGRETARIO DIFESA.
Diversi i possibili candidati, primo tra tutti il senatore dell’Alabama Jeff Sessions, consigliere di Trump durante la campagna. Si fanno poi i nomi dell’ex consigliere per la Sicurezza Nazionale Stephen Hadley o dell’ex senatore Jim Talent. Il principale consigliere di politica estera il generale Mike Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, sembra invece destinato all’incarico di consigliere per la Sicurezza Nazionale.
ATTORNEY GENERAL.
Per la poltrona di procuratore generale si fanno i nomi di due figure di punta del team Trump, entrambi ex procuratori: l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, e il capo del transition team, Chris Christie, governatore del New Jersey.
SEGRETARIO SICUREZZA INTERNA.
Trump vuole uno sceriffo all’Homeland Security e il nome che circola è quello di David Clarke, ultra conservatore della contea di Milwaukee, distintosi alla convention di Cleveland con lo slogan “Blue lives matter” a difesa della polizia, in opposizione al movimento “Black Lives Matter”.
SEGRETARIO ALL’INTERNO.
Molti nomi, Forrest Luca su tutti. Spunta anche quello del figlio di Trump, Donald jr, ma è improbabile.. Secondo alcune fonti si è fatto anche il nome di Sarah Palin.
SEGRETARIO ALLA SANITA’.
A rivoluzionare la sanità rivoltando l’odiato Obamacare potrebbe essere il governatore della Florida Rick Scott o Ben Carson, il medico afroamericano che è stato l’altro outsider della campagna delle primarie e primo degli sfidanti a dare il sostegno diretto a Trump. Non si esclude però Gingrich, in alternativa al posto di segretario di Stato.
SEGRETARIO ALL’ENERGIA.
Un petroliere miliardario è anche il principale candidato al dipartimento dell’Energia: Harold Hamm, Ceo della Continental Resources dell’Oklahoma, amico personale di Trump.
(da “Huffingtonpost“)
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