Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
DELEGAZIONE GUIDATA DAL SEN. PETROCELLI E ALTRI QUATTRO DEPUTATI AL MOTTO DI “VIA LE SANZIONI”… SALVINI FREGATO, ARRIVERA’ SOLO VENERDI
La suoneria del telefono di Vito Petrocelli è inconfondibile: l’inno russo-sovietico. Risate intorno. Lo squillo di una passione sempre più travolgente.
Petrocelli è il più noto della truppa del M5S che conta altri quattro deputati, Giuseppe Brescia, Michele Dell’Orco, Mirella Liuzzi, Paola Carinelli, sbarcati a Mosca ufficialmente per una tappa a sostegno del No al referendum tra gli italiani all’estero.
In realtà , il viaggio è anche l’occasione per nuove relazioni e per sondare gli umori della comunità italiana che, delusa dalle sanzioni contro Vladimir Putin, perchè gli affari vanno male, è proiettata a fare leva sul M5S per liquidarle.
Il No al referendum, in questa prospettiva, è vissuta come un’opportunità . Fu proprio Petrocelli a rivelare a «La Stampa» che dieci imprese dell’agroalimentare si erano rivolte al M5S «per riavere la Russia come partner».
Dell’intera comitiva, il senatore è l’unico a occuparsi di esteri e di Russia in particolare e nel 2016 con il resto del M5S è tornato con forza a chiedere la fine delle sanzioni e la ridefinizione della presenza dell’Italia nella Nato, altra mossa che Putin gradirebbe.
Che il Cremlino supporti tutto ciò è ovvio.
E così per i grillini è stata messa a disposizione la sede di Ria Novosti, agenzia di Stato della Russia, per una conferenza con la stampa accreditata.
L’unica testata in lingua italiana invitata e presente però è stata Sputniknews, ex La Voce della Russia, mezzo di chiara propaganda filo-Putin, parte del network internazionale di Rbth (Russia oggi).
Tra i titoli di ieri: «Usa, c’è Soros dietro le proteste contro Trump», e ancora «Dalle Marche appello a Juncker, basta sanzioni a Putin».
A organizzare la serata al Loft Forfor, in un quartiere semicentrale della capitale, è stato Giovanni Savino, professore all’ Accademia presidenziale russa dell’economia nazionale e della pubblica amministrazione.
Savino è l’animatore del comitato locale per il No e proprio ieri, racconta, dopo che si è diffusa la notizia sul M5S, è stato contattato dall’ex deputato leghista, Claudio D’Amico, altro putiniano d’Italia, per organizzare un incontro simile con Matteo Salvini che sarà a Mosca venerdì.
Scontata la risposta di Savino sulle sanzioni. «Gli italiani qui sono tutti contro».
E in effetti, basta ascoltare la chiacchierata con i deputati. Andrea Castellan, general manager di Cannon Eurasia, fornitore di impianti industriali vicino al Cremlino, riesuma il complotto del finanziere George Soros, (un must in Russia dov’è odiatissimo) che «assieme alla Troika, a Obama e all’Ue sono per il Sì al referendum…».
Applausi degli ospiti, una cinquantina sui 200 attesi.
Per il No, e la fine delle sanzioni, è anche Giovanni Stornante, consulente per business e export nell’Est Europa e presidente dell’Associazione italiani a Mosca.
Molti parlano con il tono degli esuli traditi dalla patria. «Fino a otto mesi fa il M5S non veniva quasi cercato dagli interlocutori internazionali. Il nostro principio in politica estera? Saremo amici degli interessi degli italiani» spiega Petrocelli.
Cosa state facendo sulle sanzioni? Chiedono Alessandro De Tuglie e Pierpaolo Mattiozzi: «Con il gruppo M5S a Bruxelles premiamo sull’Europarlamento per toglierle, ma solo il 23% dei deputati europei è con noi».
De Tuglie con la sua società , la Leonardo Audit, è advisor della Camera di Commercio italo-russa: «Purtroppo ammetto che noi che facciamo consulenza strategica stiamo guadagnando dai fallimenti di molte aziende italiane con affari in Russia» spiega.
Tra quelle che hanno perso fatturato c’è la Saipem, colosso dell’energia controllato da Eni. Mattiozzi è l’ingegnere responsabile a Mosca: «Con le sanzioni abbiamo perso miliardi per progetti che stavamo concludendo. In realtà in Italia sono tutti contro le sanzioni, ma i 5 Stelle lo dicono. L’errore è stato rimanere in Europa».
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
ITALIA: VERSATI 14 MILIARDI E RICEVUTI 10, GERMANIA: VERSATI 25 E RICEVUTI 11, FRANCIA: VERSATI 19 E RICEVUTI 13… POLONIA: VERSATI 3 E RICEVUTI 17, UNGHERIA: VERSATO MENO DI 1 E RICEVUTO 6, ROMANIA: VERSATO 1 RICEVUTO 6
Ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei Sandro Gozi ha mantenuto una «riserva», anticamera di un veto, sulla revisione del Quadro Finanziario 2014-2020 dell’Unione Europea.
«L’Italia non vuole approvare un altro esercizio contabile in cui la spesa per l’immigrazione, la sicurezza, la disoccupazione giovanile e i programmi di ricerca siano troppo sacrificati», ha spiegato Gozi.
Non è la prima volta che l’Italia minaccia di porre il veto su una decisione della Ue. Quando Mario Monti era presidente del Consiglio, Roma si mise di traverso durante un Consiglio europeo finchè la Germania non acconsentì a inserire in un punto delle conclusioni una prima apertura all’idea di un approccio meno punitivo alla crisi.
Il Corriere della Sera pubblica un’interessante infografica che spiega chi sono i “contribuenti netti”.
Sono quei Paesi che danno di più in termini di contributi all’UE rispetto a quello che ricevono in termini di aiuti e fondi.
Alcuni Stati membri — quelli elencati sopra — contribuiscono quindi più di altri, in termini netti e pro capite, al finanziamento dell’Unione europea.
I dati si riferiscono all’anno 2015: l’Italia ha versato 14 miliardi di euro e ne ha “ricevuti” 10, mentre la Germania ne ha versati 25 e ricevuti 11; stesso discorso per la Francia, che ne ha versati 19 e ricevuti 13, e per il Belgio che ne ha ricevuti 2 e ne ha versati 7.
Il discorso si ribalta per i paesi dell’Europa dell’Est, oggi bersaglio della polemica dell’Italia: la Polonia versa 3 e riceve 17 miliardi, l’Ungheria versa meno di un miliardo e ne riceve 6, la Romania versa 1 miliardo e ne riceve quasi sei.
(da agenzia)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
ALGORITMI, FALSE NOTIZIE, BUFALE… LA DENUNCIA DI PALAZZO CHIGI
Beatrice Di Maio è una star del web pro M5S.
Si muove nel territorio della propaganda pesante, che in tanti Paesi – per esempio la Russia di Putin, assai connessa al web italiano filo M5S – dilaga.
Nella sua attività , Beatrice si è lasciata sfuggire alcuni tweet che delineano ipotesi di reati come calunnia e diffamazione; o vilipendio alla presidenza della Repubblica.
È stata denunciata alla Procura di Firenze dal sottosegretario a Palazzo Chigi Luca Lotti, come provano alcuni documenti.
Ma chi è esattamente Beatrice Di Maio, e ha qualcosa a che fare con la Casaleggio o la comunicazione ufficiale M5S?
Si tratta di un account twitter pro M5S dedicato a una demonizzazione anti-Pd, senza disdegnare puntate contro il Quirinale.
Beatrice ha 13.994 follower, è un top mediator, dentro un social network relativamente piccolo. Tweet e post di account analoghi diventano virali in Facebook attraverso un sistema di connessioni, nel caso di Beatrice dall’andamento artificiale dentro cui è inserita, alimentando un florido business pubblicitario, legato al flusso di traffico. Insomma, Beatrice non è un account casuale.
Scrive cose gravissime sulla presidenza della Repubblica: «Per alcuni il silenzio è d’oro… quello di Mattarella è d’oro nero!». E sotto, una foto del Quirinale con il tricolore e la bandiera della Total.
Inutile sottolineare l’accostamento ingiurioso, Mattarella non è stato lambito dall’inchiesta lucana. Beatrice twitta «il governo trema. Da Potenza agli aeroporti inchiesta da paura. Renzi: “Io non mi fermo”» e sotto, una foto di Charlot che scappa all’impazzata. Ma Renzi non è mai stato indagato in Basilicata nell’inchiesta su Temparossa.
Beatrice posta una foto della Boschi e, sopra, un tweet «Boschi, lezione alla Oxford University. “The amendment is on the table”. Hashtag: #Total #LaCricca #quartierino». Avvicinando emotivamente il nome Boschi a Total e a quartierino si suggerisce che Boschi sia al centro di un giro di tangenti legate a Total e allo scandalo petrolio: ma anche questo è un falso.
Oppure: «#intercettazioni, Guidi: “Ho le foto di Delrio coi mafiosi”», e sotto, nel tweet, la foto di Delrio con Renzi, Boschi, Lotti.
Se dicessero cose così giornali o tg, pagherebbero ingenti risarcimenti per diffamazione. Quei tweet hanno suggerito questi falsi, e la struttura in cui Beatrice è interconnessa li ha diffusi; nella logica del «ciò che siamo capaci di rendere virale prima o poi diventa vero agli occhi di chi vogliamo convincere».
Twitter, nonostante numerose segnalazioni, non ha finora ritenuto di chiudere l’account.
Perchè rivolgere attenzione, anche giudiziaria, a quello che potrebbe essere un comune troll, o un militante anonimo?
Perchè Beatrice si muove dentro quella che è configurata come una struttura: a un’analisi matematica si presenta disegnata a tavolino secondo la teoria della reti, distribuita innanzitutto su Facebook (dove gravitano 22 milioni dei 29 milioni di italiani sui social), e – per le èlite – su Twitter.
Ha un andamento assai ingegnerizzato. Su Facebook, la rete è costituita da un numero limitato di account di generali (da Di Maio e Di Battista a Carlo Martelli, figura virale importante, in giù) e – tutto attorno – da una serie di account di mediatori top e, aspetto decisivo, da pagine e gruppi di discussione che fanno da camera di risonanza.
In basso vi sono semplici attivisti o fake di complemento: gli operai.
Immaginate una mappa geografica: gli snodi (hub) sono le città e i villaggi, fortemente clusterizzati (aggregati a grappoli); i mediatori e soprattutto i connettori sono le strade. Naturalmente, una rete così recluta anche tanti attivisti reali, che non possono vedere l’architettura, assorbiti dalla pura gravità dei nodi centrali: la struttura si mimetizza con l’attività spontanea come un albero in una foresta.
Eventuali falsi e calunnie, ovunque generate, si viralizzano, venendo spostati dal centro alla periferia, anonimizzati, quindi meno denunciabili.
L’account di Beatrice ha di volta in volta vari ghost. «Ghost», nell’analisi matematica sui dati della parte pubblica di twitter, non significa ghostwriter, cioè persone che scrivono per lei; significa account «matematicamente indistinguibili» da lei secondo alcuni parametri come interazioni, contenuti, e meta dati di riferimento (il tempo in cui un certo account fa determinate cose).
A luglio i «ghost» così intesi erano quelli di un ex candidato governatore M5S e di @BVito5s, Rottamiamo Renxit, account dedicato alla distruzione del premier.
In seguito, @Teladoiolanius (contenuti di destra, anti-immigrati e pro Trump), @Kilgore (bastonatura di avversari, politici o giornalisti) e @AndCappe (account vicinissimo a @Marpicoll, a sua volta ghost di @marionecomix, account delle vignette grilline di satira pesante a senso unico), o di recente @_sentifrux (Sentinella), @carlucci_cc (Claudia) e @setdamper.
Numerosi altri account chiave sono sempre matematicamente vicinissimi, sempre ricorrenti, prevalentemente anonimizzati, profondamente interconnessi tra loro.
Svolgono ruoli precisi: chi è anti-immigrati, chi anti-Renzi, chi pro-Putin, chi pro-Trump, chi dedito alla bastonatura.
La condivisione esatta dell’andamento dei metadati, e la spartizione palese dei ruoli, non si configurano, algoritmicamente, come casuali.
C’è una centrale che gestisce materialmente questi account?
La Procura si trova ora a indagare anche su questo.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
CON TANTI SALUTI ALLA GARA EUROPEA CHE SI DOVEVA FARE
La scorsa estate ATAC era funestata dai guasti: da metà giugno le segnalazioni di vetture difettose, che facevano automaticamente saltare le corse, erano aumentate del 60%.
Una situazione che aveva generato un sospetto: ovvero che i problemi dei mezzi dell’ATAC fossero dovuto a un boicottaggio dei sindacati.
Causato, si diceva allora, dalla trasformazione dell’azienda operata da Marco Rettighieri, che aveva dato un taglio ai distacchi concessi ai sindacalisti e revocato le licenze agli attivisti, tagliando anche 10mila ore di permessi e chiedendo alle sigle di risarcire l’azienda per le assenze ingiustificate: un assegno da 400mila euro che i sindacati hanno dovuto staccare, 200mila soltanto da Cgil e Cisl.
L’UGL non aveva trovato un accordo per il risarcimento e il suo segretario generale, Fabio Milloch, era stato licenziato.
Poi c’è la storia dell’appalto per le mense aziendali:
Sempre Rettighieri, insieme all’amministratore unico di Atac, Armando Brandolese, a fine maggio ha consegnato in Procura un altro dossier.
Stavolta nel mirino è finito il Dopolavoro, una società partecipata al 100% da Cgil, Cisl e Uil e che per 40 anni ha gestito le mense aziendali più una serie di strutture ricreative. Una commessa da oltre 4 milioni di euro l’anno, pagati a piè di lista da Atac.
Particolare: non c’è mai stato un contratto. Tutto risale a un vecchio accordo sindacale del 1974. Mai una gara, mai un controllo sul numero effettivo di pasti erogati ai dipendenti (i quali, peraltro, dovevano pagare una quota aggiuntiva ogni volta che si mettevano a tavola).
Morale della favola: l’affidamento è stato sospeso ed è stata indetta una procedura aperta per mettere il servizio sul mercato. Al miglior offerente.
Subito dopo averlo saputo, i sindacati hanno spedito una lettera al diggì per sospendere «tutte le relazioni industriali».
ATAC, così le mense tornano ai sindacati
Ma sulle mense aziendali “il vento sta cambiando“. Erika Dallapasqua sul Corriere della Sera ci racconta che con la disdetta degli accordi sindacali — «solo» accordi sindacali, non veri e propri contratti nonostante le cifre in ballo — erano infatti sfumati, di colpo, i contributi aziendali (circa 4,2 milioni all’anno) e anche la quota-pasto (2,10 euro) versata da ogni lavoratore.
Contributi che Cotral, l’azienda di trasporto regionale che per prima ha acceso i riflettori sulle stranezze del Dopolavoro, aveva già prudentemente sospeso nell’attesa che si facesse chiarezza.
Insomma su questo filone delle mense, assieme agli altri due sulla fornitura delle gomme che sarebbero state pagate il doppio e ai distacchi sindacali, sta indagando la Procura: potrebbero emergere responsabilità e per questo si era deciso di congelare tutto.
Intanto buoni pasto e poi, appena possibile, una gara europea.
Lo stesso lunedì 14 novembre, invece, ecco il colpo di scena.
I lavoratori-soci ricevono un secondo «comunicato urgente»: «Visti gli impegni presi da Atac per la risoluzione dei problemi relativi al ristoro dei dipendenti il consiglio d’amministrazione del Dopolavoro, responsabilmente, al fine di garantire la continuità del servizio, ritiene opportuno mantenere aperte le mense in Atac stante i limiti delle risorse disponibili».
Ebbene, quindi, con Fantasia al Potere (cit.) le mense sono tornate ai sindacati. Nonostante l’indagine e i sospetti aziendali di agosto.
E la notizia arriva proprio quando oggi il Fatto Quotidiano pubblica un contributo del professore di economia dei trasporti al Politecnico di Milano Marco Ponti.
Pochi sanno che Ponti è uno dei tanti nomi sondati da Virginia Raggi all’epoca del primo casting per la sua giunta, ma alla fine tra i due non sbocciò l’intesa visti anche le intenzioni radicalmente opposte sul cosa fare con i tanti dossier della mobilità della Capitale.
Uno di questi è proprio ATAC, che «dalle casse pubbliche riceve i tre quarti dei soldi che gli servono per funzionare (circa mezzo miliardo di euro all’anno, che fanno più di un milione di euro al giorno), ma ciononostante riesce a perdere altri 100 milioni e passa all’anno, e ha accumulato debiti per quasi un altro mezzo miliardo.
Ha circa 11.500 addetti, di cui 6.500 alla guida dei mezzi, e 1.500 negli uffici (che siano tutti necessari è lecito dubitarne).
Il costo medio del lavoro è assai maggiore di quello medio nell’industria, e probabilmente basato sull’a nzianità (cioè è massimo per chi sta in ufficio)». Ponti parla anche della famosa, o famigerata, ipotesi di passare il controllo di ATAC alle Ferrovie dello Stato:
Tuttavia il male peggiore è probabilmente quello che gli economisti chiamano residual claimant: la certezza di non poter fallire, tanto qualcuno pagherà .
E togliere tale certezza, si badi, non comporta affatto la necessità di penalizzare, in caso di fallimento, nè utenti nè lavoratori (se non dove esistano privilegi indifendibili).
Basta organizzare bene e in anticipo i meccanismi di subentro.
Ma la strada da percorrere sembra ancora lunga: la neo sindaca di Roma Virginia Raggi (M5S) ha appena dichiarato che “cedere Atac alle Ferrovie dello Stato sarebbe stata l’anticamera della privatizzazione ”, soluzione che lei sembra aborrire.
Ma è esattamente il contrario: Fsi è al cento per cento pubblica e se prende in carico Atac rende ancora più remota, data la sua forza contrattuale, ogni ipotesi di una futura gara vera o di privatizzazione.
Sorgono qui dei dubbi: che la sindaca ignori che Fsi sia pubblica e ipersussidiata (molti politici pensano davvero che faccia profitti, e alcuni persino che Spa significhi “privato”…), e che al momento in cui scatterà l’obbligo di fare davvero gare, nel 2019, il bando sia destinato a essere truccato per impedire l’accesso di privati più efficienti di Atac.
Sarebbe uno scenario già troppo visto…
L’altra ipotesi, sollevata recentemente a livello di governo, non è meno inquietante: commissariare Atac e darla in gestione al ministero dei Trasporti.
Due scenari entrambi contro la normativa esistente, italiana ed europea, ma soprattutto contro il taglio dei legami impropri tra la gestione dell’azienda e la politica, che è l’unica strategia di risanamento percorribile.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO AVER DENUNCIATO LE CATTIVE ABITUDINI DEGLI ALTRI, ORA TOCCA A LORO: NULLA DI NUOVO SOTTO I CERCHIONI
Una fotografia dell’auto di servizio del vicesindaco Guido Montanari, parcheggiata in un posto riservato ai disabili, finisce su Facebook e fa esplodere le polemiche.
Autore dello scatto è Alessandro Lupi, consigliere d’opposizione della Circoscrizione 8, che ha immortalato la scena ieri sera, mentre si trovava nella sede istituzionale di corso Corsica proprio per incontrare il vicesindaco in un dibattito sulla costruzione di un nuovo centro commerciale.
«Solo pochi giorni fa il Sindaco Chiara Appendino pubblicava un video contro ”l’inciviltà e l’illegalità stradale” annunciando tolleranza zero nei confronti di ”comportamenti incivili” degli automobilisti torinesi – scrive Lupi sul suo profilo social – Tutto bene, suggerirei soltanto di iniziare dall’auto ‘blu’ utilizzata ieri dal suo Vicesindaco e beatamente parcheggiata nei posti riservati ai disabili di fronte alla sede della Circoscrizione 8».
Le reazioni allo scatto, condiviso centinaia di volte, non si sono fatte attendere.
Situazione imbarazzante per in paladino della bicicletta e dell’assessorato alla camminabilità .
In piena sintonia con la Kasta la precisazione del Comune secondo cui “Il vicesindaco non è responsabile. È solo un passeggero, a guidare la macchina era un autista di servizio». La stessa scusa che abbiamo sentito da tutti gli altri esponenti politici incorsi nella stessa disavventura.
Magari ci si aspettava le scuse, più che scaricare le colpe sui dipendenti che, se non fosse che qualcuno li obbliga a sostare davanti ai luoghi dove si recano le autorità , avrebbe magari cercato un parcheggio normale.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
L’ATLANTE DELL’INFANZIA DI SAVE THE CHIDREN MOSTRA LA SITUAZIONE IN CUI VIVONO TANTI MINORI
Povertà ed esclusione sociale, case fredde e poco luminose, nessun gioco, niente sport, abbandono precoce della scuola: è la condizione di migliaia e migliaia di bambini e ragazzi. Non in un Paese in via di sviluppo ma in Italia.
A fotografare impietosamente, anche quest’anno, la condizione dei minori nel nostro Paese è il settimo «Atlante dell’Infanzia (a rischio) “Bambini, Supereroi”» di Save the Children, un viaggio nell’Italia dei bambini in 48 mappe, presentato oggi a Roma e che per la prima volta viene pubblicato da Treccani.
Calo della natalità
L’infanzia in Italia, dice Save the Children, è un tesoro che va protetto, soprattutto se si considera che i bambini nel nostro Paese sono sempre meno. Il 2015 ha fatto registrare il record negativo di nati: 485.780 bambini, un livello di guardia mai oltrepassato dall’Unità d’Italia.
Il tasso di natalità , pari a 8 nati ogni 1.000 residenti, si sta abbassando di anno in anno dal 2008, quando era pari a 9,8 su 1.000. Anche i minorenni sono sempre meno: il loro peso specifico sul totale della popolazione è sceso dal 17% del 2009 al 16,5% attuale.
Povertà superiore alla media europea
Il nostro Paese presenta livelli di povertà minorili superiori alla media europea: quasi 1 minore di 17 anni su tre (32,1%) è a rischio di povertà ed esclusione sociale in Italia contro una media Ue del 27,7%.
I bambini di 4 famiglie povere su 10 soffrono il freddo d’inverno perchè i loro genitori non possono permettersi di riscaldare adeguatamente la casa, il 39% contro una media Ue del 24,7%.
Più di un minore su 4 abita in appartamenti umidi, con tracce di muffa alle pareti e soffitti che gocciolano, un dato nettamente più elevato della media europea (25,4% contro il 17,6%), mentre l’abitazione di oltre 1 bambino su 10 in famiglie a basso reddito non è sufficientemente luminosa. In Italia più di 1 bambino su 20 (1-15 anni) non riceve un pasto proteico al giorno e non possiede giochi; più del 13% non ha uno spazio adeguato a casa dove fare i compiti e non può permettersi di praticare sport o frequentare corsi extrascolastici; quasi uno su 10 non può indossare abiti nuovi o partecipare alle gite scolastiche e quasi uno su 3 non sa cosa voglia dire trascorrere una settimana di vacanza lontano da casa.
Un Welfare da rivedere
Per affrontare la questione della povertà , l’Italia, secondo gli ultimi dati Eurostat (2013) destina una quota di spesa sociale destinata a infanzia e famiglie pari alla metà della media europea (4,1% contro 8,5%), mentre i fondi destinati a superare l’esclusione sociale sono pari appena allo 0,7% contro una media europea dell’1,9%. Gli interventi di welfare messi in campo dal nostro Paese per il 2014 sono riusciti a ridurre il rischio di povertà per i minori del 10%, un risultato che ci pone tra gli ultimi nel Vecchio Continente, considerando che mediamente in Ue gli interventi sociali riescono a ridurre il rischio di povertà del 15,7%.
L’abbandono scolastico
Nel nostro Paese, la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandonano precocemente gli studi, fermandosi alla licenza media, supera la media europea (14,7% contro 11%), nonostante negli ultimi 10 anni il tasso di dispersione scolastica si sia ridotto del 7,4%.
Il rischio sismico
In Italia 5,5 milioni di bambini e ragazzi sotto i 15 anni vivono in aree ad alta e medio-alta pericolosità sismica. Si tratta di un territorio che copre circa il 70% delle province italiane che comprende 45 città sopra i 50.000 abitanti che ospitano 900.000 minorenni sotto i 15 anni.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
SE NE RIPARLA A DICEMBRE
L’Italia è riuscita a ottenere la sospensione della discussione sul bilancio pluriennale europeo a Bruxelles. Il secondo atto dell’iniziativa presa ieri dal sottosegretario Sandro Gozi, su mandato del premier Matteo Renzi, è andato in scena oggi.
Le riserve italiane sul bilancio europeo
“Ancora scarso in fatto di risorse per immigrazione e giovani”, è l’argomentazione esposta da Gozi – hanno fatto saltare la riunione di riconciliazione che oggi avrebbe dovuto trovare un accordo tra Consiglio, Commissione e Parlamento, le tre istituzioni europee. Tutto per aria. Se ne riparla a dicembre.
Nella riunione la rappresentanza del Consiglio europeo ha illustrato le riserve italiane, presentate ieri da Gozi in sede di consiglio Affari generali, l’organo del Consiglio europeo preposto alla discussione sul bilancio pluriennale.
La parola quindi è stata data ai rappresentanti della Commissione Bilancio dell’Europarlamento. L’eurodeputato Dem Daniele Viotti, unico italiano nella delegazione, ha avuto il compito di esporre le riserve italiane e chiedere la sospensione della discussione.
Richiesta accettata, visto che per il bilancio pluriennale serve l’unanimità degli Stati membri (non per quello annuale che può essere approvato a maggioranza).
Ora se ne riparla a dicembre.
Ecco come la spiega lo stesso Viotti: “La posizione del parlamento e del governo italiano era chiara: slegare il bilancio Ue del prossimo anno dal bilancio pluriennale dei prossimi tre anni per discuterlo a dicembre. Questo abbiamo chiesto e questo abbiamo conquistato, grazie alla determinazione dell’Italia che ha posto una riserva decisiva e all’azione netta del parlamento. Per la prima volta, un governo nazionale sta chiedendo non di ridurre il bilancio ma di aumentare gli investimenti, mentre allo stesso tempo il parlamento europeo chiede cinque miliardi in più per l’occupazione giovanile, due per le imprese e la ricerca e due per i trasporti. Su questi numeri e su questa base si vedrà quali sono i paesi che credono nel rilancio dell’economia del nostro continente e quali quelli che si appendono ancora agli zero virgola qualcosa”.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
QUELLA INTERROGAZIONE PERICOLOSA TARGATA FDI IN CUI MAIETTA ATTACCA IL NUOVO QUESTORE PERCHE’ NON STA ALLE REGOLE: “FACCIAMO UN’INTERROGAZIONE, POI VEDIAMO SE PARLA ANCORA…” NELLE CARTE L’EX QUESTORE INTINI E L’EX CAPOSCORTA DI BERLUSCONI
A guardarlo da vicino lo stadio Francioni di Latina si mostra come un Giano bifronte.
Da una parte la struttura esterna in piena architettura razionale del ventennio, gonfia di orgoglio, quasi a mostrare i muscoli dei contadini bonificatori venuti dal Veneto. All’interno ti appare quasi come un campo di periferia, un po’ malandato, di certo inadeguato per una squadra di seconda serie.
A Latina, però, il Francioni è anche altro, è il simbolo del sistema, il portale attraversato dalla città che conta, dove si uniscono il mondo di sotto dei Di Silvio, le famiglie legate ai Casamonica, e i colletti bianchi, i deputati e i sindaci.
L’inchiesta Olimpia — che ha portato a 16 ordinanze di custodia cautelare — ha colpito qui, nel cuore della città . Lo chiamano “Sistema Latina”, anche se in fondo altro non è se la solita combriccola di imprenditori troppo furbi e amministratori infedeli.
E’ finito in carcere l’ex sindaco Giovanni Di Giorgi, avvocato, esponente della destra di Fratelli d’Italia; potrebbero aprirsi le porte della cella — su di lui pende una richiesta di autorizzazione — anche per Pasquale Maietta, deputato e tesoriere alla Camera del partito della Meloni e proprietario-presidente del Latina calcio.
Attorno a loro una nebulosa di complicità , interessi, omertà e magari semplice quieto vivere. Non solo ex assessori, consiglieri comunali, presidenti provinciali di partito (arrestato quello di Forza Italia, indagato quello del Pd): i magistrati indicano anche altri piani, molto più istituzionali.
Le coperture istituzionali.
Il Gip Mara Mattioli scrive nell’ordinanza di 500 pagine, in relazione ad una intercettazione ambientale tra due dirigenti comunali sullo Stadio Francioni: “La conversazione è poi particolarmente significativa del sistema illecito in cui hanno operato gli indagati per anni, contando anche su coperture nelle istituzioni, tra cui l’ex questore Intini”.
Alberto Intini — che dallo scorso aprile svolge la funzione di Questore a Firenze — non risulta indagato dalla procura di Latina, anche se il suo nome è citato più volte all’interno dell’ordinanza.
E’ stato questore di Latina in un momento estremamente delicato per il calcio della città , quando la squadra, nel giugno del 2013, approda in serie B. L’anno successivo sfiora l’occasione di entrare in serie A, perdendo la partita decisiva in casa. Una stagione al centro delle indagini dei carabinieri, coordinate dal pm pontino Giuseppe Miliano.
Al questore Intini è legato un altro personaggio chiave della storia, Gianfranco Melaragni. Ex poliziotto, dal 2001 ai servizi, già caposcorta di Silvio Berlusconi, nel periodo chiave del 2013-2014 è stato capo di gabinetto dell’ex sindaco De Giorgi.
Diverse fonti assicurano a ilfattoquotidiano.it che Melaragni a Latina è arrivato grazie alla sua amicizia con Alberto Intini, che conosceva fin dai tempi della squadra mobile romana.
Una conoscenza rafforzata dal ruolo delle rispettive mogli: in servizio alla presidenza del consiglio la moglie di Intini (dal cui ruolo proviene Melaragni), con un incarico di vertice all’Interno la moglie di Melaragni.
Insomma, l’ambiente a cavallo tra servizi e Viminale.
A Latina il ruolo di Melaragni era chiaro. Da una parte fare da scudo di protezione per l’ex sindaco, intervenendo — come vedremo — quando odora il pericolo dietro l’angolo (ovvero indagini scomode).
Dall’altra si occupa proprio dello stadio, come appare evidente oggi leggendo le tante intercettazioni che lo riguardano contenute dell’ordinanza dei magistrati di Latina.
E’ lui, ad esempio, ad intervenire sui dirigenti comunali — su mandato dell’allora sindaco — per noleggiare a spese dell’amministrazione un potente gruppo elettrogeno destinato al Latina calcio. Il suo ruolo, però, diventa decisamente curioso alla fine del 2014.
Quella strana interrogazione parlamentare.
“Il potere del “gruppo”, disposto a tutto pur di proseguire nel programma criminoso, non esita neanche a sfidare le istituzioni che potrebbero rappresentare per loro un ostacolo”, scrive il Gip Mattioli nell’ordinanza.
Si riferisce ad un episodio già emerso nei mesi scorsi in commissione antimafia — raccontato da Il Fatto quotidiano — su un’interrogazione parlamentare del novembre 2014, a firma Pasquale Maietta e diretta contro il nuovo questore di Latina Giuseppe De Matteis, che da pochi mesi aveva sostituito Intini.
De Matteis l’8 novembre aveva rilasciato un’intervista dove puntava il dito proprio sul tema dell’urbanistica e sul Latina calcio come settori “problematici” della città .
Era un segnale chiaro, l’aria era cambiata.
“Il Melaragni ed il Maietta — prosegue la ricostruzione del Gip — si attivano immediatamente per promuovere un’interrogazione parlamentare nei confronti del Questore De Matteis”.
E l’intercettazione captata dagli investigatori è chiara: “Pasqua’ — dice l’ex caposcorta di Berlusconi al deputato di Fratelli d’Italia — ….facciamo un’interrogazione parlamentare ….tu come parlamentare …. te la circostanzio io …poi vediamo se lui parla ancora”. Quell’atto parlamentare — poi ritirato, con notevole imbarazzo, da Maietta — si è dimostrato alla fine un vero e proprio boomerang.
Un anno dopo sarà proprio la Polizia di Stato — con a capo il questore De Matteis e il nuovo capo della mobile di Latina, oggi a Salerno, Tommaso Niglio — a svelare quel mondo di sotto che girava attorno al calcio, quell’intreccio perverso tra le famiglie Di Silvio (parenti e alleati dei romani Casamonica) e la tifoseria, con l’inchiesta “Don’t touch”.
Con in testa la figura di Costantino “Cha cha” Di Silvio, magazziniere del Latina Calcio, figura vicinissima a Pasquale Maietta, che era in grado di comandare le organizzatissime tifoserie.
Si rompeva, per la prima volta, l’incantesimo del calcio intoccabile, mentre la nuova inchiesta terminata con i 16 arresti scaldava i motori. E in molti assicurano che non è finita qui.
Il calcio prima di tutto.
Nella storia di Latina quello stadio ha sempre avuto un peso specifico enorme. Dal 1999 al 2000 dal Franciosi è passato Angelo Deodati, imprenditore dei rifiuti legato a doppio filo a Manlio Cerroni.
Divenne patron della squadra pontina mentre le sue ruspe iniziavano a scavare uno dei più grandi invasi della discarica di Borgo Montello.
Sistemate le cose, Deodati lasciò la città , andando in missione in altre province.
Da qualche anno il patron è lui, il deputato di Fratelli d’Italia, di professione commercialista (con un giro d’affari dichiarato di 1,4 milioni di euro) Pasquale Maietta. E’ sicuramente un uomo di stretta fiducia di Giorgia Meloni, tanto da avere in mano fin dal 2013 i conti del partito.
Ora si trova chiamato in causa con una richiesta di arresto in carcere che la giunta per le autorizzazioni a procedere — presieduta dal suo compagno di partito Ignazio La Russa — dovrà istruire.
L’accusa è pesantissima: associazione per delinquere finalizzata all’abuso d’ufficio, alla turbata libertà degli incanti e al falso ideologico, e concussione.
Quello che avveniva a Latina — secondo la ricostruzioni delle indagini — mostra come Maietta e gli uomini del calcio — e più in generale dello sport — fossero i veri padroni della ferriera.
Mancava una scheda dall’impianto dell’aria condizionata del palazzetto dello sport? Gli uomini della cricca l’andavano a prendere all’ospedale.
Occorreva riparare la caldaia del campetto gestito dai Di Silvio, gli amici Sinti del presidente Maietta? Ci doveva pensare il Comune, anche se la struttura era privata.
E così per lo stadio, per i consumi elettrici, per l’acqua per annaffiare i campi di gioco. Ogni desiderata era un ordine.
Un pallone talmente importante — quello del Latina — da influenzare anche i livelli nazionali del calcio.
Partendo dall’ex questore della città Alberto Intini, che appena lascia Latina — prima di approdare a Firenze — va a presiedere l’osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, organismo del Viminale che deve vigilare sulla violenza negli stadi, dando importanti pareri sulle partite a rischio (che a Latina non mancano).
Poco dopo nello stesso organismo entra l’ex sindaco — oggi agli arresti — Giovanni Di Giorgi, in quota Anci.
E, pochi mesi fa, quando Intini diventa questore a Firenze, nell’osservatorio entra — in quota procura federale del calcio — Gianfranco Melaragni, l’ex capo scorta di Berlusconi. Tante coincidenze, che portano tutte verso lo stadio Francioni.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
E DOPO DUE SETTIMANE DI “PRESIDIO” , AL MOMENTO DELL’ARRIVO LEGA NORD E AFFILIATI SI SONO EROICAMENTE DILEGUATI
Alla fine sono arrivati, solo in 15, ma sono arrivati. Si tratta dei profughi, gestiti dalla cooperativa Edeco, che fino a ieri alloggiavano nella struttura di Borgo Fiorito nella frazione Cavanella Po di Adria, ma che da oggi si trovano invece in Alto Polesine, per la precisone all’hotel Lory di Ficarolo.
Al momento dell’arrivo, il proprietario dell’hotel — che ha cercato di barricarsi nella struttura, insieme alla figlia Barbara — ha detto: “Non vi consegno le chiavi, vi farò pagare tutti i danni”.
La requisizione dell’albergo da parte del prefetto di Rovigo nasce da una manifestazione d’interesse dello stesso proprietario che un mese fa aveva chiesto informazioni alla prefettura sul sistema di accoglienza degli immigrati, dal momento che la sua società è in crisi.
Fogli, a pochi metri dall’albergo gestisce, infatti, anche un ristorante e un night club con annesso club privè.
Tutto iniziò a fine di ottobre quando arrivò la notizia dell’arrivo dei profughi nella struttura tanto da far arrivare il sindaco Fabiano Pigaiani a scrivere una lettera al Prefetto Enrico Caterino e convocare successivamente un consiglio comunale dove poi è stato spiegato il motivo reale di questo trasferimento: alleggerire la struttura di Cavanella Po ed alcune zone di Rovigo dove c’è più concentrazione di richiedenti asilo.
“Con il trasferimento dei 15 profughi a Ficarolo ora a Borgo Fiorito ci sono 105 unità – esordisce Caterino – ancora troppe rispetto al limite stabilito dal bando che ne prevede un massimo di 70. L’obiettivo è quello di alleggerire ulteriormente la capienza e rientrare in numeri ragionevoli”
Il prossimo incontro di giovedì 17 novembre è proprio centrato su questo: capire quale è la reale disponibilità dei sindaci per proseguire con l’accoglienza diffusa individuando possibili altre strutture idonee come ha già fatto il comune di San Martino di Venezze durante il tavolo sull’ordine e sicurezza pubblica.
Finiti in nulla comunque gli annunci di barricate per impedire l’arrivo dei profughi, soprattutto da parte del proprietario della struttura, Luigi Fogli, che aveva annunciato di incatenarsi.
Stando alle sue dichiarazioni lui non li voleva i profughi nel suo hotel, ma quando andò in Prefettura era solo per avere informazioni sull’accoglienza, Fogli che poi si è visto requisire la struttura dalla Prefettura.
“E’ stato lui a proporre l’hotel – ribadisce il prefetto Caterino – Questa mattina ha fatto delle sceneggiate ma se le è cercate, anche il sindaco si è reso conto con quale personaggio ha a che fare, voleva semplicemente sollevarsi dai problemi facendo della speculazione”.
E dopo due settimane di presidio della Lega Nord, Forza Nuova e Casapound, Luigi Fogli è rimasto solo.
(da “RovigoOggi”)
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