Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
L’EX DIRETTORE DELLA PADANIA: “LA CRISI DEL CETO MEDIO E’ COLPA DEL MODELLO DI SVILUPPO ESPORTATO DAGLI USA, NOI PER FORTUNA NON SIAMO AMERICANI”
Oddio, già non li sopporto. Quelli che ora sono diventati trumpiani. Quelli che l’avevano detto. Quelli che “bisogna capire cosa c’è dietro questo voto americano”.
Non li sopporto.
Perchè quasi peggio della Clinton ci sono i trumpiani convertiti. I quali ci vogliono spiegare. Non c’è niente da spiegare.
Trump con noi non c’entra nulla, per nulla al mondo avrei voglia di avere Trump comandante in capo.
Gli americani sono divertenti se li guardi da fuori, per il resto… no grazie.
La mia posizione resta quella splendidamente sintetizzata da Vasco: non siamo mica gli americani.
La dico tutta: chi s’illude che Trump diventi un supereroe della Marvel, un nuovo Capitan America, secondo me si sbaglia.
Trump è un imprenditore americano, è roba loro, ha una testa da americano.
Quindi, per quel che mi riguarda, ‘ sti americani se ne restino pure a casa propria
Stiamo facendo di tutto per scrollarci di dosso le catene tedesche e vogliamo già indossare di nuovo la giubba americana? E perchè?
La crisi europea si sta producendo perchè i cittadini non hanno più voglia di essere qualcosa d’altro rispetto a quello che sono.
La nostra cultura è ancora pregna di civiltà mediterranea, cioè di un luogo stupendo dove il tempo si è evoluto in storia e la storia è diventata adulta.
Quel mediterraneo è il nostro orgoglio, il nostro punto d’appoggio dove ripartire, è il nostro fulcro.
L’Europa non sarà mai la nostra casa fintanto che non torna a Canossa, cioè nel suo mar Mediterraneo, crocevia di imbroglioni e geni.
Lo scrivo da troppo tempo per poter adesso crogiolarmi nella vittoria di uno che resta lontano anni luce da me.
Avevamo bisogno del superbowl elettorale per intuire che il ceto medio è in profonda difficoltà ?
Avevamo bisogno del successo del candidato repubblicano per certificare l’arroganza dell’establishment? O che la gente si è rotta dei politici?
Stiamo freschi se così fosse. La crisi del ceto medio è colpa del modello di sviluppo esportato dagli americani, un modello a debito.
Noi non siamo gli americani; meno male, aggiungo.
Noi siamo qua, in un’altra parte del globo che è un mondo a parte.
Un mondo che resta centrale.
Che guarda alla sponda americana ma non può fare a meno di escludere il Nordafrica o quel Medio Oriente i cui codici fanno parte della nostra storia (Palermo, Venezia, Ravenna…).
Gianluigi Paragone
da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
SONO REATI PER I QUALI LA COSTITUZIONE PREVEDE IL RINVIO A GIUDIZIO DI TITOLARI DI CARICHE PUBBLICHE, PRESIDENTE COMPRESO
Esiste l’ipotesi reale di impeachment per Donald Trump.
A darne notizia è Cristopher Peterson, professore di legge all’università dello Utah.
In un saggio di 22 pagine, il docente americano analizza il quadro normativo alla base di tre processi in cui è coinvolto il neo eletto presidente.
Le accuse sono di truffa, falsa pubblicità ed estorsione, reati per i quali la Costituzione americana prevede il rinvio a giudizio di titolari di cariche pubbliche, presidente compreso.
Sul banco degli imputati del processo che prenderà il via a fine novembre salirà la Trump University, una serie di seminari per acquisire tutti i segreti del successo del magnate nel settore immobiliare.
Il corso esordiva con un seminario gratuito di novanta minuti al termine del quale i partecipanti avrebbero scelto il pacchetto di lezioni più adatto a loro.
Lanciato nel 2005, l’università prometteva di insegnare “metodi sistematici per investire nell’immobiliare” tramite docenti “scelti da me personalmente e che condivideranno con voi le mie tecniche migliori”, scriveva Trump in una lettera indirizzata a migliaia di potenziali studenti. “Dovrete semplicemente copiarle e diventare ricchi”.
Il materiale raccolto dal professor Peterson racconta però un’altra storia.
Quella, per esempio, di docenti che invitavano i partecipanti a ipotecare la casa pur di acquistare i diversi pacchetti.
In un’altra deposizione in mano ai giudici, la madre di una bambino affetto da sindrome di Down è restìa ad acquistare il pacchetto “Gold Elite” da 25mila dollari.
Il docente di Trump la convince, promettendole l’accesso illimitato a seminari online, di diventare il suo mentore personale a cui potrà rivolgersi in ogni momento per il resto della sua carriera e il rientro del capitale nel giro di sei mesi.
“Nessuno mi hai mai contattata e non sono mai riuscita a contattare nessuno perchè i numeri di telefono datomi erano disconnessi. La Trump University non esiste”, scrive la donna.
Queste sono solo alcune delle dozzine di denunce consegnate alle autorità in almeno undici stati americani da migliaia di studenti.
In cinque anni, Donald Trump ha intascato 40 milioni di euro in quella che ha tutti i presupposti per diventare una truffa presidenziale.
Il procuratore generale di New York ha accusato la Trump University di pubblicità ingannevole in sette distinte istanze, dalle (presunte) false promesse di tutoring illimitato al rientro di capitali investiti fino all’accesso a fonti private di finanziamento.
Con queste premesse, il professor Peterson due mesi fa scriveva che “non sembrano esserci ostacoli procedurali perchè il procuratore generale porti in tribunale Donald Trump con l’accusa di truffa”.
E non è tutto.
In un secondo precedimento a San Diego, l’accusa — rappresentata da una class action di studenti — sostiene che il magnate abbia infranto almeno dieci articoli per la tutela dei consumatori dello stato della California.
“Tutti i tentativi di Trump di porre un freno a questo processo sono risultati vani”, scrive il professore.
Ma i guai più grossi per Trump possono arrivare da un terzo processo, anche questo da celebrarsi nel Golden State.
Qui i querelanti si appellano alla legge cosiddetta “RICO” (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act) la quale contesta il reato di estorsione.
L’incriminazione per violazioni del RICO prevede i reati di omicidio e rapimento nonchè quello di truffa perpetrata via posta o telecomunicazioni.
Mentre i primi reati non riguardano Trump, sugli ultimi due si è espresso il giudice a capo del processo precisando che “le prove raccolte sollevano condizioni sufficienti per avviare un procedimento penale”, scrive il professore.
Il 28 novembre verrà scelta la giuria per il processo di San Diego ed entrambe le parti in causa hanno inserito Trump nella lista dei testimoni da ascoltare in aula.
L’articolo 4 della Costituzione americana prevede la rimozione del presidente, e di tutti i funzionari pubblici, se trovati colpevoli di tradimento, corruzione e altri gravi reati.
“Truffa e estorsione sono riconosciuti come reati gravi in tutti gli stati americani”, scrive il docente di legge dell’università dello Utah, “così come la truffa telematica viene considerata un reato anche a livello federale”.
Il fatto che il presunto illecito si sia consumato prima dell’elezione a presidente, secondo Peterson non costituisce un ostacolo all’eventuale impeachment.
La Costituzione americana, che ha subìto modifiche nel corso della storia, non fa alcun riferimento al presupposto che i misfatti debbano avvenire durante l’esercizio del ruolo di funzionario pubblico perchè si possa ipotizzare l’impeachment.
Se così fosse, spiega il professore, sarebbe specificato, come per esempio all’interno della Costituzione dello stato del Nebraska in cui il riferimento temporale è esplicitato.
Trump e il suo staff hanno, tuttavia, motivo per essere ottimisti.
Una prima contromisura possibile è quella di fare in modo che l’inizio del processo venga posticipato a dopo l’insediamento.
Portare in tribunale il presidente degli Stati Uniti è infatti moto complicato.
In secondo luogo, a condizione che venga trovato colpevole, la Camera dovrebbe votare il via libera per l’impeachment, il cui processo si celebrerebbe poi in Senato. Entrambi i rami del Congresso sono a maggioranza repubblicana.
A presiederlo, siederebbe il giudice capo della Corte Suprema John Roberts.
Anche lui, come Trump, repubblicano.
Lorenzo Bodrero
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
QUATTRO I RICHIEDENTI: “BASTA UN SI'”, “COMITATO POPOLARE PER IL NO”, MAIE E ON. RENATA BUENO… A QUESTO PUNTO IL MINISTRO DENUNCI PER CALUNNIA SALVINI E GLI PIGNORI I BENI, COSI’ COMINCIA A PAGARE DI TASCA PER LE PALLE CHE RACCONTA
Dopo la polemica scatenata dalle lettere spedite dal governo agli italiani all’esterno per sostenere il Sì al referendum costituzionale e dopo che il fronte del No ha protestato annunciando iniziative anche legali il Viminale ha diramato una nota ufficiale.
“Sono stati regolarmente consegnati, su Cd, a tutti i richiedenti, gli unici dati sugli italiani all’estero di cui è in possesso il ministero dell’Interno e cioè: nome e cognome, data e luogo di nascita, indirizzo estero di residenza dell’elettore e sede diplomatica di competenza” si legge nel comunicato in cui si precisa che “il ministero non dispone nè di mail nè dei telefoni degli elettori all’estero”.
I dati a disposizione del Viminale, sottolinea ancora l’ufficio stampa, sono stati dati “ai quattro richiedenti: ‘Comitato Basta un Sì’, ‘Comitato Popolare x il NO’, ‘Maie (Movimento associativo italiani all’estero ) nonchè all’onorevole Renata Bueno (solo Brasile e Uruguay)”.
Infine, dice ancora il Viminale, “all’incaricato dell’onorevole Gargani, il Cd coi dati è stato consegnato il 12 ottobre”.
E’ evidente quindi che chi ha parlato di “truffa” del ministero dovrebbe essere denunciato per calunnia e oggetto di risarcimento danni in sede civile.
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
I TRUMPISTI DE NOIATRI USANO IL SISTEMA DI LANCIARE ACCUSE SENZA CONOSCERE LA LEGGE… CHIUNQUE HA DIRITTO AD AVERE I NOMINATIVI DEI 4 MILIONI DI ITALIANI ALL’ESTERO IN BASE ALLA NORMA PUBBLICATA SULLA G.U. N° 71 DEL 2014
Non saremmo coerenti con noi stessi se stigmatizzassimo il comportamento di un Trump con le sue accuse a vanvera e i suoi insulti agli avversari e sorvolassimo se lo stesso metodo viene usato per la battaglia referendaria in Italia.
Un manipolo di urlatori professionali si è scagliato contro il premier Renzi (propriamente non certo un nostro amico) per aver inviato una brochure di due pagine a cura del comitato Basta un Si ai 4 milioni di italiani all’estero per convincerli a optare per un voto favorevole alla riforma.
In un primo tempo gli urlatori del No hanno sostenuto che non lo poteva fare.
Dato che tra questi si distinguono esponenti della minoranza Pd e del centrodestra, sarebbe lecito chiedere loro perchè non si sono indignati quando la stessa cosa la fecero Bersani nel 2013 e Berlusconi in tempi più remoti.
Forse perchè erano intenti ad apporvi i francobolli?
In ogni caso è una cosa perfettamente lecita e sancita dalla norma pubblicata nella sulla Gazzetta Ufficiale n. 71 del 2014 che riporta il provvedimento del Garante della privacy in materia di “trattamento di dati presso i partiti politici e di esonero dall’informativa per fini di propaganda elettorale” (pubblicato nel marzo 2014). Secondo questo regolamento, “partiti, movimenti politici, comitati di promotori e sostenitori, nonchè singoli candidati” possono “lecitamente” trattare “dati personali per finalità di propaganda elettorale” e “comunicazione politica”.
Tra gli elenchi “pubblici” da cui si possono trarre i dati anche quelli degli elettori italiani all’estero
Dopo 48 ore di polemica sul nulla, gli urlatori incassano la sconfitta e cambiano verso (a parte il ritardato Salvini): non si discute più sul diritto di Renzi a scrivere la lettera ma sul fatto che la stessa possibilità non sia stata permessa al Comitato del No, cosa che, se fosse vera, sarebbe indubbiamente grave.
Giuseppe Gargani (ex deputato prima Dc, poi col centrodestra), presidente del Comitato popolare per il No, solleva la questione: “Se il presidente del Consiglio ha quegli indirizzi, pretendo di averli anche io”.
In realtà non è il presidente del Consiglio ad avere quegli indirizzi: chi ha attinto i medesimi, pagando stampa e spedizione, è il Pd, come da loro dichiarazione ufficiale.
Gargani ha chiesto a ottobre al ministero dell’Interno di avere gli indirizzi dei 4 milioni di italiani all’estero: “mi hanno risposto gentilmente e in breve tempo, consegnandomi il file con i nominativi , dicendo che per la privacy non potevo avere nè indirizzi, nè mail, nè telefoni.”
Il motivo è semplice e lo spiega indirettamente il Comitato del Sì: “nessun mistero, i dati sono stati presi dall’Aire (Anagrafe degli Italiani all’estero) come avrebbe potuto fare chiunque altro”
Con buona pace di Salvini e dei suoi amici dell’Anpi, altro che reato penale.
Infine chi ha pagato la spedizione?
Il Comitato del Sì ha risposto che se ne è fatto carico il Pd, quindi per conoscere i costi è sufficiente attendere i relativi bilanci.
Ricordiamo che non siamo più ai tempi della carrozze a cavallo, esistono le mail, quindi è probabile che molti “inviti a votare Sì” siano stati mandati a costo zero.
In ogni caso se qualcuno è a conoscenza di una notizia di un reato si rivolga all’autorità giudiziaria carte alla mano, altrimenti taccia, perchè chi lancia accuse di truffa a casaccio in un Paese civile viene chiamato a rispondere del reato di calunnia.
E sarebbe il caso che qualcuno cominciasse a risponderne, ne guadagnerebbe il livello della nostra politica.
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
“NOMINARE IL FRATELLO? MARRA NON POTEVA”: L’IRA DEI CONSIGLIERI M5S
Chiedevano trasparenza e condivisione. Ma, seppur turandosi il naso, si sono dovuti adattare alle scelte della sindaca: dopo settimane di sfiancanti riunioni sulla rotazione dei dirigenti comunali, i consiglieri grillini hanno scoperto soltanto a giochi fatti della promozione di Renato Marra.
Vigile urbano e soprattutto fratello del contestatissimo capo del personale Raffaele, per la sorpresa degli eletti del M5S, l’ex comandante del Gssu della polizia municipale è approdato alla neonata direzione del Turismo.
Gli integralisti del Movimento, per quieto vivere, hanno ingoiato il boccone.
Si sono imposti di digerire pure l’aumento di stipendio di Marra junior. Ma l’ultima scoperta ha acuito di nuovo un mal di pancia mai davvero placato: “Raffaele Marra non poteva disporre il trasferimento di suo fratello Renato”
La procedura d’interpello, contestata dagli stessi vertici degli uffici comunali e a rischio contenzioso, potrebbe infatti finire per ritorcersi contro il suo ideatore.
Perchè sistemare un familiare, almeno nell’ambito del pubblico impiego, è vietato. L’articolo 7 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, in vigore dal 2013, non sembra lasciare troppi margini interpretativi: “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado”.
Letto il regolamento e ripresi in mano gli ultimi atti della prima cittadina, gli ortodossi del M5S non hanno potuto far altro che trasecolare.
La firma di Raffaele Marra è in bella mostra sull’ordinanza numero 95 della sindaca. Quella di Virginia Raggi appare alla fine del documento.
Sommate, danno il via alla rotazione dei dirigenti comunali. E a quella di Renato Marra. Se la sindaca non corre alcun rischio, è la posizione del suo fedelissimo a traballare: parte dei consiglieri ha iniziato a farsi delle domande sull’iter, fino a ravvisare un potenziale abuso d’ufficio.
La direzione del Personale ha indetto e gestito la procedura d’interpello. I dirigenti, compreso Marra junior, hanno inviato la propria candidatura al dipartimento delle Risorse umane.
Richieste e desiderata sono stati quindi vagliati da Raffaele Marra in persona: “La scrivente direzione – si legge nella nota che ha dato il via alla procedura – trasmetterà la documentazione ricevuta alla Sindaca, la quale, ad esito dell’esame della stessa e delle informazioni in possesso degli uffici, procederà al conferimento degli incarichi”.
Così, senza informare la responsabile della prevenzione della corruzione del Comune del possibile conflitto d’interessi, il fratello maggiore ha avuto tra le mani il curriculum del minore.
Poi ha firmato l’ordinanza. Senza lasciare che fosse almeno il suo vice a siglare l’atto, senza dare peso alle prescrizioni del codice di comportamento o curarsi di una possibile istruttoria Anac.
Dopo il parere sull’ex capo di gabinetto Carla Raineri, Raffaele Cantone ha infatti messo sotto vigilanza il Campidoglio e i suoi atti.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
GENOVA, L’AVVOCATURA DELLO STATO RITIENE NULLA LA DECISIONE DELL’ASSEMBLEA: “UN TUBO DI 25 MILLIMETRI NEL RETRO DEL PALAZZO RIDURRA’ PURE I COSTI CONDOMINIALI”… MA C’E’ CHI HA INTERESSE AD ALIMENTARE LA POLEMICA PER LE SOLITE SPECULAZIONI POLITICHE
La guerra dell’acqua va avanti sulla carta, nel condominio senza pace di via Venti Settembre.
È qui, al civico 11, che dalla metà di agosto hanno trovato casa sei famiglie di migranti con bambini, tra le dure proteste dei residenti.
Ma l’ultima trincea per “arginare” l’arrivo di altri profughi ha la forma di un tubo in polietilene, del diametro di 25 millimetri: è tutto qui, che si gioca il braccio di ferro tra i condomini e la Prefettura, che ha in gestione l’appartamento di proprietà del Demanio.
Il tubo, infatti, serve per l’allaccio all’acqua condominiale della casa dove vivono i migranti: perchè quella usata finora è a caduta, dalla cisterna, e non è sufficiente per alimentare le cinque docce e i sei bagni.
A pronunciare un secco no all’allacciamento, fu il 4 ottobre l’assemblea condominiale: una presa di posizione forte, che suscitò l’indignazione di molti cittadini che si diedero appuntamento sotto lo stabile per un flash mob, con simboliche bottiglie d’acqua per i migranti.
Ebbene, la Prefettura ora ha impugnato quella decisione dell’assemblea condominiale, con un ricorso cautelare urgente da parte dell’Avvocatura dello Stato.
Nel lungo e articolato documento, l’Avvocatura dello Stato precisa che “l’approvvigionamento idrico diretto ed esclusivo per l’appartamento in questione, che in tal modo potrà rendersi indipendente dall’impianto condominiale, comporterà anche una riduzione dei costi condominiali riferiti all’utenza idrica”.
E fa leva sul fatto che l’intervento, “per la sua particolare modestia” e per la collocazione sul retro dell’edificio, non reca alcun danno all’estetica: tanto più che la Soprintendenza lo aveva autorizzato.
Insomma: secondo l’Avvocatura, la delibera dell’assemblea è da considerare nulla.
La risposta del Tribunale di Genova è stata: convochiamo le parti. L’udienza è fissata il 23 novembre.
Nonostante i profughi ospitati non abbiano dato il minimo problema in questi due mesi, continuano le speculazioni di qualche condomino che forse spera di essere candidato alle prossime comunali in qualche partito razzista.
E allora ci si lamenta della “fretta” con cui la Prefettura ha fatto ricorso, come se non fosse suo preciso dovere.
E c’è chi si chiede se “siamo certi che nessuno degli ospiti sia coinvolto in fatti di spaccio”.
Suggeriamo alle forze dell’ordine di togliere ogni dubbio ai genovesi sulla possibilità che in quello stabile qualcuno sia dedito ad attività illecite, compresi i reati finanziari, procedendo a una pequisizione a tappeto di tutti gli appartamenti, comprese le attività commerciali, nessuna esclusa.
Così da rassicurare che in quello stabile dove si fa la guerra a dei poveretti per un tubo di 25 millimetri, non esistano delinquenti di qualsiasi genere e razza.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
FURONO SALVATI MENTRE VEGLIAVANO LA MADRE MORTA… IL GENITORE RINTRACCIATO ERA IN ITALIA GIA’ DA DUE MESI
Quando li hanno tirati su dal fondo di quel gommone che stava per affondare la loro mamma era appena morta, stroncata dal mix di benzina e acqua di mare dal quale aveva cercato di proteggere i suoi due figli.
Per tutto il viaggio a bordo della nave Vos Hestia di Save the children, i due piccoli del Mali hanno vegliato il corpo della giovane mamma.
Poi, sbarcati a Pozzallo, sono stati affidati ad una comunità .
Nel giro di una settimana i poliziotti di Ragusa, con la collaborazione di Save the children, sono riusciti ad individuare il papà dei due bambini che, come loro stessi avevano raccontato, era già sbarcato in Italia qualche tempo fa. Il numero di telefono era nei pantaloni di uno dei bambini.
L’uomo dovrebbe arrivare a Ragusa domani in tempo per dare l’ultimo saluto alla moglie che verrà sepolta nella parte islamica del cimitero di Ragusa e riabbracciare i due bambini anche se per mercoledi il tribunale dei minori di Ragusa ha già fissato l’udienza per l’affidamento temporaneo ad una famiglia dei due piccoli (qui nella foto di Giovanna Di Benedetto di Save the children), un bambino di 9 anni e una bambina di 6.A
Palermo, intanto, proseguono le ricerche di eventuali familiari della piccola Oumoh, la bimba della Costa d’avorio di 4 anni, sbarcata da sola a Lampedusa la scorsa settimana e anche lei consegnata ad una comunita’ per minori dall’ispettore dell’ufficio minori della questura di Agrigento proprio ieri nominata ufficiale della Repubblica dal capo dello Stato Sergio Mattarella.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
I TRADIZIONALI MECCANISMI DI TUTELA DEMOCRATICA SOSTITUITI DA MODELLI AUTORITARI: DA UNA POLITICA CHE INCLUDE SI E’ PASSATI A QUELLA CHE ESCLUDE
Per Zygmunt Bauman, decano dei sociologi europei, tra i più autorevoli pensatori contemporanei, la vittoria elettorale di Donald Trump è un sintomo allarmante: riflette il divorzio ormai avvenuto tra potere e politica, da cui deriva un vuoto, un divario colmato da chi promette soluzioni facili e immediate a problemi complessi e sistemici, attingendo al ricco serbatoio della retorica populista.
Trump — spiega Bauman a l’Espresso — ha saputo giocare abilmente la carta dell’outsider e dell’uomo forte, combinando una politica identitaria discriminatoria e l’enfasi sulle ansie economiche dei cittadini americani, figlie del passaggio da un modello economico inclusivo a un modello che esclude, marginalizza e crea veri e propri esiliati.
Trump si è presentato come l’antidoto alle incertezze del nostro tempo, ma è un veleno, sostiene Zygmunt Bauman, per il quale la vittoria dell’imprenditore statunitense lascia presagire il rischio che i tradizionali meccanismi di tutela democratica vengano sostituiti «dall’agglutinamento del potere in modelli autoritari o perfino autoritari».
I dimenticati del nuovo secolo hanno fatto la rivoluzione. A destra, perchè la sinistra non li ha voluti vedere.
Uno shock epocale che non riguarda solo gli Stati Uniti ma che scuote il concetto stesso di Occidente. Negli Stati Uniti e in Europa la reazione prevalente alla vittoria di Trump, perlomeno negli ambienti progressisti, è stata di stupore e paura.
C’è chi ha parlato di «un grande pericolo», chi di «una sfida al modello democratico occidentale», chi di «una tragedia per la repubblica americana e per la Costituzione». Questi toni a tratti apocalittici le sembrano appropriati?
Le visioni apocalittiche spuntano fuori ogni volta che la gente entra nel “grande territorio sconosciuto”: quando si è certi che nulla, o molto poco continuerà a essere così come è stato, e non si ha alcun indizio su ciò che è destinato ad accadere o su ciò che probabilmente sostituirà quel che ci lasciamo alle spalle. Le reazioni alla vittoria di Trump hanno proliferato velocemente. La cosa sorprendente è che siano tutte consensuali: così come è successo nel caso del voto per la Brexit, si interpreta il voto per Trump come una protesta popolare contro l’establishment e l’elite politica del Paese nel suo complesso, nei confronti dei quali una larga parte della popolazione ha maturato una crescente frustrazione per aver disatteso le aspettative e non aver mantenuto le promesse fatte. Non sorprende che tali interpretazioni siano particolarmente diffuse tra coloro che hanno forti interessi acquisiti nel mantenimento dell’attuale establishment politico.
Mentre Trump ha giocato proprio la carta dell’outsider..
Non essendo parte di tale elite, non avendo ricoperto alcun incarico elettivo, provenendo “dal di fuori dell’establishment politico” ed essendo ai ferri corti perfino con il partito di cui era formalmente membro, Trump ha offerto un’occasione unica per una condanna, senza appelli, contro l’intero sistema politico. Lo stesso è successo nel caso del referendum britannico, quando tutti i principali partiti politici (dai conservatori al Labour e ai Liberals) si sono uniti nella richiesta di restare nell’Unione europea, così che ogni cittadino ha potuto usare il proprio voto per esprimere il disgusto per il sistema politico nella sua interezza. Un altro fattore, complementare, è stato la notevole brama della popolazione affinchè l’infinita litigiosità parlamentare, inefficace e impotente, venisse sostituita dalla volontà indomita e inoppugnabile di “un uomo forte” (o di una donna forte), capace con la sua determinazione e con le sue doti personali di imporre in modo immediato, senza tentennamenti e temporeggiamenti, soluzioni veloci, scorciatoie, decisioni vere. Trump ha costruito abilmente la propria immagine pubblica come una persona ricca di quelle qualità che l’elettorato sognava. Quelli appena citati non sono gli unici fattori che hanno contribuito al trionfo di Trump, ma sono senz’altro cruciali. Al contrario, la trentennale appartenenza di Hillary Clinton all’establishment e la sua agenda politica frammentata e compromissoria hanno giocato contro la popolarità della sua candidatura.
Concorda con quanti si spingono a leggere la vittoria di Trump come una manifestazione della crisi del modello democratico occidentale?
Credo che stiamo assistendo all’accurato svisceramento dei principi della “democrazia”, che si presumeva fossero intoccabili. Non credo che il termine in sè verrà abbandonato, almeno come termine con cui descrivere un ideale politico, anche perchè quel “significante”, come lo avrebbe definito Claude Levi-Strauss, ha assorbito ed è ancora capace di generare molti e differenti “significati”. C’è però una chiara possibilità che i tradizionali meccanismi di salvaguardia (come la divisione di Montesquieu del potere in tre ambiti autonomi, il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario, o il sistema britannico di checks and balances) escano in qualche modo dal favore pubblico e vengano privati di significato, sostituiti in modo esplicito o di fatto dall’agglutinamento del potere in modelli autoritari o perfino dittatoriali. Le citazioni che lei ha riportato come reazioni alla vittoria di Trump indicano tutte una preoccupazione comune, sono sintomatiche di una tendenza crescente, che esiste: la tendenza a riportare — per così dire — il potere dalle nebulose vette elitarie dove è stato collocato o dove è stato trascinato verso “casa”. La tendenza dunque a riportare il potere all’interno di una comunicazione diretta tra l’uomo forte al vertice da una parte e dall’altra l’aggregazione dei suoi sostenitori e soggetti di potere, equipaggiati con i social network come strumenti di indottrinamento e di sondaggio delle opinioni.
Nel corso della campagna elettorale, Trump ha molto insistito sulle questioni razziali e sul nazionalismo più insulare e discriminatorio, ma non ha fatto appello solo a questi temi. Al di là degli attacchi sistematici verso i “diversi”, ha giocato la carta dell’incertezza economica di tutti quei cittadini americani che hanno la percezione di essere stati defraudati dai processi di globalizzazione. I due aspetti — l’ansia economica e l’ansia verso gli “altri” — sono legati? E come?
Il trucco è stato proprio quello di connettere i due aspetti, di renderli inseparabilmente legati e di rafforzarli vicendevolmente. È ciò che è riuscito a fare Trump, un supremo imbroglione (anche se non è il solo nel panorama politico mondiale). Sono incline ad andare perfino oltre nell’analisi dell’uso che Trump ha fatto del matrimonio tra politica identitaria e ansia economica, perchè credo che sia riuscito a condensare tutti gli aspetti e i settori dell’incertezza esistenziale che perseguita ciò che è rimasto della classe lavoratrice e della classe media, indottrinando coloro che soffrono con l’idea che l’espulsione degli stranieri, di quanti sono etnicamente diversi, degli stranieri appena arrivati rappresenti la tanto agognata “soluzione veloce” che li potrebbe ripagare in un colpo solo di tutta la loro ansia e incertezza.
Tra quanti hanno votato Trump, alcuni fanno parte della categoria degli “espulsi”: quei cittadini che facevano parte di un “contratto sociale” ma che ne sono stati espulsi forzatamente, insieme a quelli, giovani ma non solo, che non ne sono stati parte e non lo saranno mai in futuro. La vittoria di Trump rappresenta la fine del modello economico inclusivo, keynesiano, del dopoguerra, sostituito da un modello di segno opposto, che esclude?
Il passaggio da una visione del mondo, da una mentalità e da una politica economica che include a una che esclude non è affatto nuovo. È stato un passaggio strettamente sincronizzato con un altro salto qualitativo, quello da una società di produttori a una società di consumatori, che non sarebbe stato possibile senza la marginalizzazione, ovvero la creazione di una “sottoclasse” che non soltanto è degradata rispetto alla società delle classi, ma ne è stata del tutto esiliata, una categoria di “consumatori fallati” talmente esclusa da non poter essere riammessa. L’attuale tendenza verso la “securitizzazione” dei problemi sociali aggiunge acqua allo stesso mulino: rende le reti dell’esclusione ancora più ampie, mentre trasferisce coloro che finiscono in queste reti da una categoria che, per quanto inferiore, rimaneva di segno “positivo”, a una divisione che, per quanto morbida, rimane micidiale, sinistra e tossica.
In alcuni suoi libri, per esempio ne La solitudine del cittadino globale, lei analizza ciò che definisce come «la trinità malvagia», l’incertezza, l’insicurezza e la vulnerabilità , sentimenti prevalenti in un mondo in cui è avvenuto il divorzio tra potere e politica. È inevitabile che tale divorzio conduca all’uomo forte o al populismo?
Sì, tendo a credere che sia inevitabile. Il divorzio a cui fa riferimento lascia dietro di sè un divario — un divario che si sta spaventosamente allargando — dal quale emana la combinazione avvelenata della disperazione e della sfortuna. Gli strumenti ortodossi, che credevamo familiari e disponibili, per combattere e respingere efficacemente i problemi e le ansie che ci attanagliano sono ormai spuntati. Soprattutto, non si crede più che possano mantenere quanto promettono. Per una società nella quale sempre meno persone ricordano, di prima mano, cosa significasse vivere sotto un regime totalitario o dittatoriale, l’uomo forte — non ancora sperimentato – non sembra un veleno, ma un antidoto: per le sue presunte capacità di saper fare le cose, per le soluzioni veloci e istantanee, per gli effetti immediati che promette di portare come corredo alla sua nomina.
Beppe Grillo, il leader italiano del Movimento Cinque Stelle, ha sottolineato le similitudini tra le vittorie elettorali del suo partito e quella di Trump scrivendo che «sono quelli che osano, gli ostinati, i barbari, che porteranno avanti il mondo. E noi siamo i barbari!». È tempo che l’establishment faccia veramente i conti con i nuovi barbari?
In Europa, i vari Grillo sono molto numerosi. Per coloro per i quali la civiltà ha fallito, i barbari sono i salvatori. In alcuni casi è ciò che loro si sforzano in tutti i modi di far credere per convincere i creduloni che sia proprio così. In altri casi è ciò che desiderano ardentemente credere coloro che sono stati abbandonati e dimenticati nella distribuzione dei grandi doni della civiltà . Alcuni membri dell’establishment potrebbero essere impazienti di approfittare dell’occasione, dal momento che coloro che credono nella vita postuma a volte sono disposti a suicidarsi.
Giuliano Battiston
(da “L’Espresso”)
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Novembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL NEW YORK TIMES DIMOSTRA CHE CON TRUMP HANNO VINTO I POTERI FORTI
Donald Trump, eletto alla Casa Bianca dopo una campagna contro il potere corrotto e la sua collusione con le lobby, sta riempiendo il suo team per la transizione con consulenti aziendali e lobbisti.
Professionisti che arrivano dalle stesse industrie per le quali sono chiamati a definire le basi regolatorie.
Il Nyt fornisce alcuni esempi: Jeffrey Eisenach, che ha lavorato come consulente per Verizon e altri clienti delle tlc, è il capo della squadra che sta aiutando a selezionare i membri per la commissione federale delle comunicazioni.
Michael Catanzaro, un lobbista con clienti come Devon Energy ed Encana Oil and Gas, ha in mano il portafoglio per l'”indipendenza energetica”.
Michael Torrey, un lobbista che dirige un’azienda che ha guadagnato milioni di dollari con player dell’industria alimentare come American Beverage Association e Dean Foods, sta contribuendo a definire il nuovo team del dipartimento dell’agricoltura.
E ancora altri nomi appartenenti al mondo della finanza, alcuni con imbarazzanti precedenti giudiziari.
A dimostrazione di come Trump rappresenti solo la continuità con quel mondo economico e finanziario che in Italia qualcuno in malafede vuole accreditare come “avverso” a Trump.
Tanto è vero che le azioni delle maggiori banche d’affari americane, dopo l’elezione del loro “fasullo nemico” hanno visto aumentare il proprio valore, non certo diminuire.
Perchèè noto che al mondo non esisterebbero i furbi se non ci fossero i fessi.
(da agenzie)
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