Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
LA SCAMPAGNATA IN SANTA CROCE MOSTRA L’ISOLAMENTO DEL CAPITANO DI FREGATA, IN ALTRI TEMPI AVREBBE SCELTO UNA PIAZZA MENO PICCOLA… TRA I SETTE NANI DA GIARDINO DI SUPPORTO, DOPO MELANIA MELONI, SANTA DE CHE’ E IL GABIBBO BIANCO TOTI, SPUNTANO ANCHE I PROFUGHI BECCHI E ALEMANNO, ARRIVATI COL BARCONE DA ALTRE SPONDE
Una piazza piena, ma da 10.000 posti in piedi a voler essere generosi: il colpo d’occhio è assicurato con le bandiere padagne in prima fila e quelle dei figuranti di Fratelli d’Italia e degli scismatici per finta di ClonAzione nazionale in fondo, come si addice ai maggiordomi in livrea.
E che si tratti di truppe cammellate lo certifica scioccamente la Lega stessa, quando ha certificato 200-300 pulmann mobilitati per l’occasione: 200 bus x 50 posti fa 10.000 oppure, se fosse saltato qualche culo, 250 bus x 40 posti occupati sempre a 10.000 si arriva, non uno di più perchè in piazza Santa Croce non ci starebbe un paio di chiappe in più.
Sono passati i tempi dei comizi di Bossi e di Fini da 100.000 persone o di Berlusconi da 400.000 umani.
Se Putin non manda un centomila caucasici in omaggio son cazzi: Salvini se la passa male, i sondaggi lo danno in caduta libera, è un cadavere eccellente a cui hanno attaccato la flebo trumpista e lui si illude con questa di ritardare il passaggio a miglior vita.
Certo, ha intorno i parenti più stretti, qualcuno molto interessato anche alla sua dipartita… (vero Maroni?), altri portati all’accanimento terapeutico per lucrare ancora una poltrona, altri come fratelli per spirito di servizio (nel senso che sono abituati da una vita a servire un padrone, da Gianfranco a Silvio, non avendo un servizio di piatti proprio).
Per la prima volta Salvini accoglie anche due profughi, scappati da sponde opposte, a dimostrazione del suo senso di accoglienza verso i clandestini.
Nel suo bosco degli orrori ecco spuntare anche due nuove statue da giardino: quella di Brontolo-Becchi , in fuga dalla terra dei Cinquestelle, e quella di Dotto-Alemanno che ha il merito di aver letto due libri di fiabe in più degli altri, senza peraltro averle comprese, troppo preso da interessi capitali terreni.
E mentre Berlusconi sul “Corriere” gli recita il de profundis e Parisi da Padova ricorda “che con quella gente di Firenze non vogliamo avere nulla a che fare”, il Capitano di fregata (nel senso non marinaro) si autoproclama leader di una coalizione che non c’è.
In Santa Croce avrebbero dovuto omaggiare un grande veneto di nome Basaglia: senza di lui i manicomi non sarebbe stati aperti e i matti non sarebbero in libertà a fare comizi.
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
IL RAGIONIERE GENERALE FERRANTE A SETTEMBRE ANNUNCIO’ IL SUO ADDIO, MA LA RAGGI SMENTI’ SU TWITTER: “E’ QUI E LOTTA INSIEME A NOI”… INFATTI IERI LA LASCIATO LA COMPAGNIA DI GIRO
Quei bugiardi dei giornalisti.
Continuavano a scrivere che il ragioniere generale del Comune di Roma Stefano Fermante aveva chiesto ufficialmente di essere sollevato dall’incarico per incomprensioni con l’attuale amministrazione.
Ma Virginia Raggi sosteneva su Twitter che no, non era vero, Fermante era al lavoro in Campidoglio e tutto il resto erano chiacchiere di quei cattivoni dei giornalisti.
E però, peccato che Stefano Fermante oggi non sia più il ragioniere generale del Campidoglio. E che sia stato involontario protagonista anche dell’ennesimo figurone dei grillini.
Ieri infatti Salvatore Romeo, il dipendente del Comune e attivista grillino diventato dirigente con stipendio triplicato a causa di una delibera scritta “ad agosto, quando fa caldo, ci si può sbagliare” e poi parzialmente detronizzato in seguito ai rilievi dell’ANAC, si è infatti presentato alla seduta della Commissione Bilancio per annunciare che Fermante era stato allontanato per ragioni politiche, come riportato dall’agenzia di stampa DIRE:
“Purtroppo ci sono state circostanze che hanno ritenuto non rinviabile la sostituzione del ragioniere generale. Fino a 10 giorni fa pensavamo rimanesse lui, poi e’ stato allontanato per ragioni politiche ma rimane comunque in quell’ufficio”.
Lo ha detto il capo della segreteria della sindaca Virginia Raggi, Salvatore Romeo, a margine della seduta della commissione Bilancio per l’audizione dei vertici di Adir a cui l’agenzia Dire ha assistito, in merito alla nomina ad interim a ragioniere generale del Campidoglio della dirigente Paola Colusso in sostituzione di Stefano Fermante.
E subito veniva in mente che le dimissioni di Fermante erano state protocollate insieme a una relazione di venti pagine sullo stato delle finanze capitoline consegnato alla Raggi dallo stesso Fermante.
Che sembrava davvero addolorato, a sentire quello che aveva detto ai suoi collaboratori: «C’è troppa confusione. Io sono completamente isolato, lavoro senza un indirizzo politico, visto che l’assessore al Bilancio si è dimesso il primo settembre e la sindaca in tutto questo tempo non ha mai voluto incontrarmi. Ma nella situazione in cui versa il Campidoglio i rischi sono troppo alti: i conti sono peggiorati, io sto in prima linea, esposto a critiche spesso feroci, senza che nessuno mi dica cosa fare. Una responsabilità enorme, che non posso sopportare da solo».
Ma prima delle 8 di ieri sera, racconta oggi Mauro Favale su Repubblica, l’amministrazione ha fatto dietrofront: per Romeo «il dottor Fermante aveva già richiesto circa un mese fa di essere sostituito a capo della ragioneria generale per ragioni personali e che non c’è quindi una motivazione politica all’origine del suo spostamento».
Una precisazione che conferma, a oltre un mese di distanza, la notizia data da Repubblica. Romeo poi aggiunge che «in occasione dell’interpello, il dottor Fermante ha espressamente chiesto di essere posto a capo di una direzione. E mi risulta sia stato accontentato».
Il dirigente, in ogni caso, non commenta, provando a tenere i toni bassi nonostante l’amarezza, intenzionato piuttosto a chiedere lo spostamento in un altro ente
La vicenda ci dà l’esatta dimensione di quanto valgano le smentite della sindaca.
Il ragioniere generale del Campidoglio aveva rimesso il suo mandato nella seconda metà di luglio, secondo indiscrezioni, e da allora non era mai stato convocato dalla sindaca Virginia Raggi.
Ai primi di settembre il funzionario avrebbe reiterato il passo ufficiale.
La sua lettera sarebbe stata protocollata solo a metà settembre, come scriveva Repubblica Roma. “Non ci sono le condizioni per lavorare”, aveva detto Fermante a persone a lui vicine.
Fermante, già vice ragioniere generale della Provincia di Roma, nominato in Comune dal sindaco PD Ignazio Marino nel dicembre 2014 avrebbe atteso da luglio un riscontro dall’amministrazione M5S che non sarebbe mai arrivato.
Da qui la decisione di reiterare la lettera con cui rimetteva il suo mandato all’epoca.
Ma in questa ricostruzione c’è qualcosa che non torna.
Tra le ordinanze della Raggi infatti ce n’è una, datata 23 settembre, in cui la sindaca conferisce l’incarico ad interim di direzione della I U.O. “Programmazione finanziaria e gestionale” della II Direzione “Programmazione e Bilanci” della Ragioneria Generale proprio a Stefano Fermante.
Quindi l’incarico ad interim è stato conferito quel venerdì; il lunedì successivo Fermante avrebbe rimesso di nuovo il mandato dopo il precedente di luglio.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
IL TOCCO MAGICO DI SALVINI A DIFESA DI BITONCI: NON SE LO SONO FILATI NEMMENO DI STRISCIO… COME VUOLE USCIRE DALL’EURO UNO CHE NON RIESCE NEPPURE A FARSI OBBEDIRE A PADOVA
“Se davvero due consiglieri di Forza Italia pensano di mandare a casa il sindaco di Padova Massimo Bitonci vuol dire schierarsi contro tutta la Lega e mettere in discussione le alleanze a ogni livello”: gliele aveva cantate forti e chiare ieri il segretario della Lega Matteo Salvini.
Ed era stato rassicurato dall’auctoritas di Niccolò Ghedini, mica uno qualunque: “Se fossero veritiere le notizie della volontà di alcuni consiglieri di Forza Italia di sfiduciare il sindaco di Padova Massimo Bitonci — sostiene — si tratterebbe di un grave errore politico. Al di là di ogni contrapposizione, delle ragioni o dei torti, questo è il momento dell’unità del centrodestra per affrontare tutti insieme la battaglia del no al referendum”.
E infatti ieri 17 consiglieri (non due di Forza Italia) si sono presentati davanti a un notaio: è la formula per sfiduciare Massimo Bitonci, sindaco leghista di Padova.
Ed è quanto si è concretizzato venerdì a tarda sera, l’ultima firma attorno alle 23. La giunta è caduta esattamente come quella di Marino a Roma.
Il Mattino di Padova fa i nomi dei consiglieri che ieri hanno salutato Bitonci: il segretario del Pd Massimo Bettin ha garantito per i dem (oltre a lui, Umberto Zampieri, Gianni Berno, Andrea Micalizzi, Claudio Piron, Enrico Beda, Margherita Colonnello), il commissario di Forza Italia Simone Furlan ha assicurato la presenza di Manuel Bianzale e Carlo Pasqualetto.
Poi sono arrivati Antonio Foresta, Riccardo Russo e gli esponenti di Padova2020 Roberto Marinello e Beatrice o Dalla Barba.
I due consiglieri del M5S Giuliano Altavilla e Francesca Betto si sono presentati dopo una riunione con altri esponenti del partito.
Per ultimi Jacopo Silva della lista Rossi e Fernanda Saia, già transitata nel gruppo misto.
Il dato è tratto, le dimissioni sono state consegnate, il consiglio comunale cade e si va al commissariamento in attesa delle elezioni.
“Abbiamo preso atto dell’implosione della maggioranza del sindaco Bitonci — ha spiegato il segretario provinciale del Partito Democratico Massimo Bettin — era evidente che nonostante i suo disperati tentativi era impossibile proseguire in una guida dignitosa, efficace e svolta nell’interesse collettivo. L’arroganza della gestione del potere da parte del sindaco e alcuni elementi di autentica torsione democratica rendevano indispensabile un’azione di responsabilita’ e di amore nei confronti della città ”.
Il Kebab fa cadere la Lega
La situazione si era creata nei giorni scorsi, quando due consiglieri di Fi, Manuel Bianzale e Carlo Pasqualetto, hanno votato per la prima volta contro una delibera di giunta, quella sul cosiddetto regolamento anti-kebab.
A fare da innesco sono stati dissidi programmatici (la collocazione del nuovo ospedale a Padova Est e il cosiddetto restyling dello stadio Plebiscito per trasformarlo nella nuova casa del Calcio Padova), ma soprattutto divergenze caratteriali, visto che gli assessori e i consiglieri fuoriusciti hanno più volte denunciato l’atteggiamento «autoritario, dispotico e per nulla dialogante» di Bitonci, «abituato a prendere decisioni in completa autonomia, accettando i suggerimenti soltanto di una ristrettissima cerchia di fedelissimi (il suo capogabinetto Andrea Recaldin e il consigliere regionale Fabrizio Boron)».
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
SECONDO I MEDIA SAREBBE CLAUDIA LA ROCCA, LEI SMENTISCE
Nella vicenda delle firme false a 5 Stelle per le comunali di Palermo del 2012 spunta un pentito.
Ieri si è parlato ripetutamente di un attivista dei 5 Stelle che avrebbe vuotato il sacco in procura durante gli interrogatori autoaccusandosi e accusando anche qualcun altro.
Repubblica scrive che le attenzioni si concentrano su una superteste che, nei giorni scorsi, si è presentata in Procura raccontando quel che accadde nella notte di 4 anni fa in cui le firme furono contraffatte.
La donna avrebbe anche fatto i nomi di altri esponenti del Movimento coinvolti, passando dallo status di persona informata dei fatti a quello di indagata. I pm mantengono il segreto sull’identità della testimone, ma secondo alcune indiscrezioni ad avere svelato quel che accadde quella sera sarebbe stata la deputata regionale Claudia La Rocca.
Che contattata, risponde così: «A mia tutela in questo momento non posso dichiarare nulla».
Ci sarebbe poi anche un’altra gola profonda che avrebbe già cominciato a parlare con i magistrati. Il tutto mentre a Roma, tra giovedì e ieri, sono stati sentiti dall’aggiunto Dino Petralia e dalla sostituta Claudia Ferrari, per sommarie informazioni, i deputati Andrea Cecconi, Giulia Di Vita, Loredana Lupo e Chiara Di Benedetto.
Il nome di Claudia La Rocca era circolato nei giorni scorsi perchè in un primo momento si era scritto che era circolato anche il suo nome tra quelli degli eletti da sfiduciare secondo un documento con 40 firme raccolto dall’attivista Massimiliano Trezza nel quale insieme “a una quarantina di attivisti storici e nuovi iscritti al M5S” veniva chiesta “la sospensione dei parlamentari Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Claudia La Rocca e di estromettere dalle comunarie Samanta Busalacchi e Riccardo Ricciardi, marito della deputata nazionale Loredana Lupo, quest’ultimo per evitare ‘parentopoli’”. Successivamente Trezza aveva smentito che nel documento ci fosse il nome della La Rocca sulla pagina Facebook della deputata regionale
Il testimone, che confermerebbe la storia raccontata dall’attivista Vincenzo Pintagro in tv, si sarebbe autoaccusato e avrebbe confermato che, accortisi di un errore formale nelle indicazioni relative a uno dei sottoscrittori della lista, alcuni 5 stelle avrebbero apportato la correzione e ricopiato centinaia di firme dalle originali raccolte.
Sul caso la procura indagò, in seguito a un esposto anonimo con l’ispettore della Digos Giovanni Pampillonia, già nel 2013, ma l’inchiesta venne archiviata. Dopo la denuncia dell’attivista è stata aperta una nuova indagine, prima a carico di ignoti, poi di noti.
I guai per il M5S continuano…
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELLA CGIA DI MESTRE HA COMPARATO LA PRESSIONE FISCALE NEI MAGGIORI PAESI EUROPEI
Cosa accadrebbe se l’Italia avesse la pressione fiscale allineata con il dato medio presente in Ue?
Ogni italiano pagherebbe 946 euro di tasse in meno all’anno.
A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha comparato la pressione fiscale registrata l’anno scorso nei principali paesi europei; dopodichè ha misurato il differenziale di tassazione esistente tra gli italiani e i contribuenti dei più importanti Paesi dell’Unione. Dal confronto emerge che la pressione fiscale più elevata si registra in Francia.
A Parigi, il peso complessivo di imposte, tasse, tributi e contributi previdenziali è parial 48 per cento del Pil.
Seguono il Belgio con il 46,8 per cento, l’Austria con il 44,3 per cento, la Svezia con il 44 per cento e, al quinto posto, l’Italia.
L’anno scorso la pressione fiscale nel nostro Paese si è attestata al 43,4 per cento del Pil. La media dei 28 Paesi che compongono l’Ue, invece, si è stabilizzata al 39,9 per cento; 3,5 punti in meno che da noi.
Nella comparazione, l’Ufficio studi della CGIA ha deciso di calcolare anche i maggiori o minori versamenti che ognuno di noi “sconta” rispetto a quanto succede altrove.
Ebbene, se la tassazione nel nostro Paese fosse in linea con la media europea, nel 2015 ogni italiano avrebbe risparmiato 946 euro.
Effettuando il confronto con la Germania, invece, si evince come i tedeschi paghino al fisco mediamente 973 euro all’anno meno di noi, gli olandesi — 1.513 euro, i portoghesi -1.756 euro, gli spagnoli -2.296 euro, i britannici -2.350 euro e gli irlandesi — 5.133.
Per contro, gli svedesi pagano al fisco 162 euro all’anno in più rispetto a noi italiani, gli austriaci + 243 euro, i belgi +919 euro e i francesi +1.243 euro.
“Sebbene la pressione fiscale sia leggermente in calo, per pagare meno tasse -dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA — è necessario che il Governo sia più incisivo sul versante della spending review. Solo con tagli agli sprechi e alle inefficienze della macchina pubblica si possono trovare le risorse per ridurre ilcarico fiscale generale.
La razionalizzazione della spesa pubblica, inoltre, dovrà proseguire molto in fretta.
Entro la fine dell’anno prossimo, infatti, per evitare che dal primo gennaio 2018 scatti la clausola di salvaguardia che comporterà un forte aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti, il Governo dovrà reperire ben 19,5 miliardi di euro”.
Dalla CGIA ricordano che il dato della pressione fiscale italiana relativa al 2015 non tiene conto dell’effetto del cosiddetto “Bonus Renzi”.
L’anno scorso, infatti, gli 80 euro “concessi” ai lavoratori dipendenti con retribuzioni medio-basse sono costati alle casse dello Stato 9,6 miliardi di euro.
Quest’ultimo importo è stato contabilizzato nel bilancio della nostra Amministrazione pubblica come spesa aggiuntiva.
Pertanto, se si ricalcola la pressione fiscale considerando questi 9,6 miliardi di euro che praticamente sono un taglio delle tasse, anche se contabilmente vanno ad aumentare le uscite, la pressione fiscale scende al 42,8 percento.
In relazione a questa precisazione, la CGIA ha stilato anche unacomparazione che tiene conto di questa specificità .
“Con troppe tasse e pochi servizi — segnala il segretario della CGIA Renato Mason —si deprimono i consumi e gli investimenti. Inoltre, diventa difficile fare impresa,creare lavoro e redistribuire ricchezza. Soprattutto per le piccole e piccolissime imprese che per loro natura non possono contare su strutture amministrative interne in grado di gestire le incombenze burocratiche, normative e fiscali che quotidianamente sono costrette a fronteggiare”.
In questa analisi non è mancata nemmeno una ricostruzione storica.
Negli ultimi 15 anni, purtroppo, il risultato fiscale emerso dalla comparazione con la media europea è costantemente peggiorato.
Se nel 2000 sui contribuenti italiani gravava una pressione fiscale pari a quella media presente in Ue, nel 2005 il carico fiscale per ciascun italiano era superiore del dato medio europeo di 127 euro.
Il gap a nostro svantaggio è addirittura salito a 895 euro nel 2010 e ha raggiunto, come dicevamo più sopra, i 946 euro nel 2015.
Le cose, purtroppo, non vanno meglio nemmeno per le imprese.
Il peso della tassazione sulle aziende italiane è massimo in Ue quando calcoliamo la percentuale delle tasse pagate dagli imprenditori sul gettito fiscale totale: l’Italia si piazza al primo posto (14 per cento), sul secondo gradino del podio si posiziona l’Olanda (13,1 per cento) e sul terzo il Belgio (12,2 per cento).
Tra i nostri principali competitor segnaliamo che la Germania registra l’11,8 percento, la Spagna il 10,8 per cento, la Francia e il Regno Unito il 10,6 per cento.
La media Ue, invece, è dell’11,4 per cento.
Al netto dei contributi previdenziali, intermini assoluti le nostre imprese versano ben 98 miliardi di euro all’anno (ultimodato riferito al 2014).
Tra i principali paesi Ue, conclude l’Ufficio studi della CGIA, solo le aziende tedesche e quelle francesi versano in termini assoluti più delle nostre, rispettivamente 131 e 103,6 miliardi di euro .
Tuttavia, va ricordato che la Germania conta una popolazione di 80 milioni di abitanti, la Francia 66 e l’Italia “solo” 60.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
“NON CREDO CHE AGLI ITALIANI INTERESSI CONOSCERE IL LEADER DEL CENTRODESTRA: E’ INGENUO CHI PENSA DI CRESCERE POLITICAMENTE ESASPERANDO I TONI”
Presidente Berlusconi, il suo amico George W. Bush ha fatto sapere di aver votato scheda bianca alle Presidenziali. Come giudica questa sua scelta
«Capisco e rispetto le sue ragioni. Ma, conoscendolo, credo che – se servirà e gli sarà richiesto – si metterà ugualmente, con la generosità che gli è propria, a disposizione del suo Paese e del nuovo presidente».
Avrebbe votato come lui?
«Non mi sono pronunciato prima, non intendo farlo ora. E penso che Renzi abbia compiuto un grave errore a schierarsi apertamente a favore di un candidato. Al quale, peraltro, non ha portato fortuna».
La destra impersonata da Trump – che rivendica in economia una linea protezionista – è la stessa destra di cui lei da oltre venti anni si fa interprete in Italia?
«Intanto una questione terminologica, che non è affatto secondaria: io non interpreto “la destra”, rappresento un centro liberale e popolare, nel quale sono confluite le migliori tradizioni politiche del nostro Paese: da quella cattolica a quella del socialismo riformatore, da quella del liberalismo a quella della destra democratica e responsabile. Per quanto valgono queste definizioni politiche, e credo valgano sempre meno, il mio ruolo è stato e continuerà ad essere questo. Quanto alla linea economica di Trump, ci sono molte analogie ed alcune differenze fra il programma presentato dal presidente degli Stati Uniti e il nostro: è apprezzabile la politica fiscale annunciata, così come l’accento posto sul controllo dell’immigrazione e sulla legalità . Non sono invece condivisibili le scelte protezionistiche e le tentazioni isolazionistiche che ha espresso. Però la politica mi ha insegnato che i leader non si giudicano sui programmi, si giudicano sui comportamenti. Lo vedremo all’opera».
I rintocchi di un «tempo nuovo» si erano avvertiti in Europa, soprattutto con la Brexit: pensa continueranno a sentirsi?
«Sì. E questo può essere un bene o un male, a seconda della capacità delle classi dirigenti europee di cogliere il fenomeno e trarne le conseguenze, oppure di chiudersi in se stesse. La risposta può essere una nuova offerta politica liberale, contro lo statalismo, contro l’oppressione burocratica, contro l’oppressione fiscale. O può essere il populismo deteriore, che non dà soluzioni ma si limita a sfruttare le angosce per un disegno di potere. Siamo a un bivio che può portare a una nuova e più alta stagione della democrazia, oppure a un periodo molto buio, dalle conseguenze imprevedibili».
Sul referendum, in queste ore, si confrontano due scuole di pensiero: c’è chi sostiene che il voto americano alimenterà il fronte del No e chi ritiene che darà una spinta al fronte del Sì. Qual è la sua opinione?
«Gli elettori non si fanno influenzare da avvenimenti esterni nè da prese di posizioni di Stati esteri o dei cosiddetti poteri forti.
Nel frattempo Salvini usa l’effetto Trump per affermare il suo primato nel centrodestra, e chiama a raccolta pezzi di Forza Italia che sembrano aderire al suo progetto
«Non penso che Salvini creda davvero che oggi il problema che interessa gli italiani, o anche solo i nostri elettori, sia il nome del leader. Prima bisognerà verificare e capire tante cose: come andrà il referendum e con quale legge elettorale si andrà a votare. È ingenuo immaginare di crescere politicamente soltanto esasperando i toni o alimentando le polemiche. Dopo il referendum, con la vittoria del No, ci dovremo porre un solo problema: quello di far andare al più presto il Paese alle urne, con un sistema elettorale condiviso che possa funzionare davvero».
Se vincesse il No e Renzi dovesse dimettersi, sarebbe necessario un esecutivo per modificare la legge elettorale. Quale tipo di governo eventualmente chiedereste al capo dello Stato durante le consultazioni? E Forza Italia sosterrebbe questo gabinetto, magari anche solo con un appoggio esterno?
«Ora pensiamo a far vincere il No al referendum per il bene dell’Italia e degli italiani. Sarà poi il presidente della Repubblica a decidere la formula di governo più adeguata. E noi ci regoleremo di conseguenza, mettendo in campo – ancora una volta – il nostro senso dello Stato e il nostro senso di responsabilità ».
Sulla legge elettorale, lei chiede di accantonare il doppio turno dell’Italicum e di varare un sistema proporzionale a turno unico, rafforzato con un premio di maggioranza. Ma in Italia ormai ci sono tre poli, dunque sarebbe altissima la probabilità – dopo il voto – che nessuno arrivi a ottenere la maggioranza dei seggi. In quel caso, forze di due poli diversi dovrebbero allearsi in Parlamento: in quel contesto, sarebbe pronto a collaborare per garantire un governo al Paese?
«Chiedo una legge elettorale proporzionale a turno unico per una ragione che mi pare evidente: la realtà politica italiana è cambiata. Un tempo esistevano due poli, ora ne esistono tre. Vent’anni fa votava l’80% degli italiani, e allora un sistema maggioritario aiutava il polo vincitore ad avere numeri sicuri per governare. Ma il vincitore rappresentava la maggioranza degli elettori, o ci andava molto vicino. Oggi invece ognuno dei tre poli rappresenta circa un terzo dei votanti. E i votanti sono la metà degli aventi diritto al voto. Quindi un sistema come l’Italicum – nel quale chi vince piglia tutto – avrebbe come effetto che un partito o uno schieramento con il 15-20% del consenso effettivo potrebbe tenere in mano tutte le leve di governo del Paese. Questo è il vero problema della legge elettorale. Noi dobbiamo tornate ad essere una vera democrazia. E, lo ripeto, ci è necessaria – al di là delle tecnicalità – una legge che, impedendo finalmente ogni possibilità di brogli, garantisca la corrispondenza fra la maggioranza in Parlamento e la vera maggioranza degli italiani. In questo caso, noi ci candideremo a vincere. Saranno altri a doversi porre il problema di collaborare con noi».
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
TRANQUILLA, LUI NON HA AVUTO BISOGNO DI FINI PER TROVARE UN POSTO DA 10.000 EURO AL MESE E PER DIVENTARE MINISTRO
Nei giorni scorsi Robert De Niro ha commentato scherzosamente la vittoria di Donald Trump alle elezioni in USA dicendo che sarebbe stato costretto a migrare, magari in Italia (è originario di Ferrazzano in provincia di Campobasso), e ovviamente l’associazione dei molisani a Roma “Forche Caudine” gli ha subito aperto le porte: “Dal momento che la nostra sconosciuta regione, dove vivono meno di 300 mila persone in quanto molti residenti sono altrove, non ha mediamente prodotto una classe politica assurta a grande notorietà oltre i confini regionali — spiega — non sarebbe male la proposta che faremo nostra attraverso un apposito comitato, di invitare De Niro come governatore per un giorno. Un giorno che mediaticamente varrebbe più dei 53 anni di esistenza della Regione Molise”.
Ovviamente trattasi di boutade.
Ma Giorgia Meloni, poveretta, deve averla presa sul serio visto che si è detta preoccupata di dover mantenere i migranti “anti-Trump”.
E scrive:
Robert De Niro definisce Trump “un maiale” e spiega che vuole emigrare in Italia perchè non può “prenderlo a pugni”. Quindi dopo i migranti economici e quelli climatici ora rischiamo di ritrovarci a casa nostra anche i migranti “anti-Trump”. Speriamo che almeno questi si mantengano da soli
Inutile ricordare a Giorgia che Robert De Niro è uno degli attori più pagati al mondo.
Non ha avuto bisogno di Fini per tirare a campare a 10.000 euro al mese .
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
SI DIMETTONO I CONSIGLIERI DI FORZA ITALIA, BITONCI RESTA CON IL CULO PER TERRA, LE MINACCE DI SALVINI HANNO SPAVENTATO SOLO I PASSERI
Non è bastato un surreale intervento dell’ultima ora del segretario leghista Matteo Salvini: “La Lega è orgogliosa di come Massimo e la sua squadra hanno ripulito e rianimato Padova. Se due consiglieri di Forza Italia pensano di mandarlo a casa, vuol dire schierarsi contro tutta la Lega e mettere in discussione le alleanze a ogni livello”. E neppure un appello in zona Cesarini di Niccolò Ghedini: “Sfiduciare Bitonci sarebbe un grave errore politico”.
A casa ci è andato per davvero il commercialista leghista, che due anni e cinque mesi fa aveva conquistato la poltrona di sindaco di Padova.
Epilogo sancito da un atto che poco prima di mezzanotte di venerdì è stato firmato davanti a un notaio.
Si sono ritrovati in 17 consiglieri a mettere nero su bianco le loro dimissioni, più della metà del consiglio e quindi la maggioranza di centrodestra a trazione leghista si è dissolta.
Era nell’aria da settimane, visto che Bitonci era rimasto con l’unico suo voto a fare la differenza dopo la perdita di consensi in casa propria.
Ma lui ha cercato in tutti i modi di resistere, arrivando a paragonarsi a Donald Trump, due giorni fa, per dire di essere vittima di giornali, lobby, centri di potere. Non gli è bastato.
Adesso a Palazzo Moroni arriva un commissario e probabilmente a primavera si tornerà a votare.
Il numero 17 non porta bene a Bitonci. Davanti al notaio, a tarda sera, si sono ritrovati i democratici guidati dal segretario Massimo Bettin, poi il commissario di Forza Italia Simone Furlan, quindi i consiglieri di Padova 2000 e i due consiglieri del M5S.
Da ultimi sono arrivati un rappresentante della lista Rossi e Fernanda Saia, già transitata nel gruppo misto.
Il colpo di grazia, politicamente parlando, l’ultima coltellata, è stata inferta dall’assessore Maurizio Saia, responsabile della Sicurezza, entrato in rotta di collisione con il comandante dei vigili urbani.
Saia si è dimesso, ma prima di farlo è passato in Procura della Repubblica per relazionare di causa di alcune spese, non condivise, da parte del comando dei vigili urbani.
Parole come pietre quelle di Saia, un verdetto senza appello: “C’è stato un tradimento del programma elettorale e del patto politico. Non c’è mai stato confronto, Bitonci non ha mai coinvolto nessuno, non è stato corretto nè leale. Ha tradito il profilo da ‘pontiere’ che l’aveva fatto vincere e la voglia di cambiamento che aveva interpretato. Oggi non è neanche più il sindaco della Lega. È un uomo solo”.
Per coincidenza, Salvini era a Padova nei momenti cruciali.
Ma la sua difesa estrema di Bitonci è stata inutile, come le minacce agli alleati. “Vado avanti” aveva detto il commercialista di Cittadella sul far del mezzogiorno, aggrappandosi all’unico voto di differenza — il suo — che consentiva alla maggioranza sempre più leghista e sempre meno di tutto il centrodestra di resistere.
Poi una frenetica serie di incontri tra esponenti della minoranza e pezzi della maggioranza in decomposizione.
Quando a tarda ora nello studio del notaio è comparsa Fernanda Saia, sorella dell’ormai ex assessore, il cerchio si è chiuso, come la parabola di Bitonci, il sindaco leghista che voleva far dimenticare l’era di Flavio Zanonato e di Ivo Rossi.
“Io sono il sindaco, dico e faccio quello che voglio”.
In queste brevi parole pronunciate dopo un turbolento consiglio comunale a fine ottobre, c’è l’essenza del Bitonci-fenomeno. Centralizzatore, decisionista, incapace di dialogare perfino con la sua maggioranza.
Poche ore prima era andato in scena un vero linciaggio pubblico del giovane consigliere Riccardo Russo, trasmigrato dalla lista del sindaco al gruppo misto. Bitonci non si era affatto dissociato dalle offese piovute su Russo, da parte di una claque organizzata in consiglio comunale.
Anzi era fiero di averlo chiamato “traditore”.
Due argomenti forti come il nuovo stadio Plebiscito e la localizzazione del nuovo ospedale sono stati i temi che lo hanno portato in rotta di collisione con parti importanti della sua maggioranza.
A giugno aveva cambiato numerose deleghe, non contento del bilancio della propria giunta dopo due anni di lavoro. E così l’assessore azzurro Stefano Grigoletto si era ritrovato dimezzato. Al punto da andarsene.
Lì era cominciato il tracollo, che a settembre aveva assunto le proporzioni di una slavina, con la perdita di pezzi importanti di Forza Italia.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 12th, 2016 Riccardo Fucile
LA LOMBARDI E LA BASE GRILLINA NON NE POSSONO PIU’: “NOMINA ARROGANTE”
Se Raffaele Marra non viene toccato dalla rotazione dei dirigenti in Campidoglio e resta capo del personale, la sindaca di Roma Virginia Raggi ha deciso di promuovere il fratello del suo fedelissimo, Renato Marra, spostato dalla Polizia locale a capo del settore turismo del Comune.
La partita dei dirigenti in Campidoglio finisce così: Marra-Grillo: 2-0.
Non solo
Raffaele, braccio destro della sindaca Raggi, rimane al proprio posto a capo del dipartimento Personale, ma il fratello maggiore, Renato, viene promosso: da capo del gruppo Gssu dei vigili urbani, specializzato nell’abusivismo commerciale, passa al ruolo di direttore della Direzione Turismo.
Uno scatto che gli vale la nomina a dirigente di terza fascia. E passa così dai 103mila euro all’anno del 2015 a un incremento di circa 20mila euro
Un caso che scuote nuovamente il Movimento 5 Stelle a Roma, con Roberta Lombardi che, sul Messaggero, definisce questa “una nomina arrogante e inopportuna”.
Il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, aveva detto solo ieri che la conferma di Raffaele Marra a capo del personale di Roma capitale è stata una “scelta condivisa”, ma molti dentro M5S sono scontenti.
C’è Roberta Lombardi che parla in chiaro e vede “un virus che sta infettando il M5S”, ma anche molti consiglieri masticano amaro.
(da “Huffingtonpost”)
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