Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
IN UNA CITTA’ PIEGATA DALLA MORSA DEL GELO SI LAVORA PER I CONTAINER COLLETTIVI, MA PER NATALE I POSTI SARANNO LIMITATI… CIRCA 1.100 AVEVANO SCELTO L’ALBERGO, ALTRI 770 HANNO VOLUTO RESTARE IN ZONA IN ATTESA DEI CONTAINER
Zero gradi. La colonnina di mercurio dice che a Norcia, il borgo distrutto dal terremoto del 30 ottobre scorso, sta per arrivare la neve.
Il vento forte della notte (“in tenda sembrava di essere in mongolfiera”, racconta Antonio Massari) ha lasciato il posto al freddo gelido.
Lo sanno bene le persone che, dalle prime ore del mattino, si sono messe in fila davanti al tendone che si occupa di dare assistenza alla popolazione: vogliono sapere quando arriveranno i container e se è vero, come aveva annunciato il premier Matteo Renzi, che saranno pronti prima di Natale.
Anche se ha annunciato via Facebook che “le prime venti casette saranno pronte entro Natale”.
Proprio a questo proposito, al momento i responsabili del centro di coordinamento possono fornire un unico dato. Ovvero che oggi sono iniziati i lavori per realizzare un campo capace di ospitare 250 persone: “Sarà pronto a dicembre”, garantisce la Protezione civile.
Si tratta di alloggi collettivi da 48 persone, divise in stanze per famiglia ma con i bagni in comune, di conseguenza le strutture in totale dovrebbero essere cinque e sostituiranno le tende in attesa che arrivino le casette di legno.
Il progetto, per quanto riguarda Norcia prevede però, container per 700 posti letto, quindi per vedere i villaggi al completo bisognerà aspettare il nuovo anno.
Intanto i militari sono al lavoro in un grande spiazzo vicino Porta Romana, ingresso principale della città , per predisporre l’area all’arrivo dei container.
Tante persone, che fino ad ora hanno resistito dormendo nelle tende sociali da 40 persone pur di non lasciare il borgo, adesso cominciano a non farcela più a causa del freddo e per colpa della stanchezza dovuta a un mese trascorso da sfollati tormentati dalle continue scosse.
“Negli ultimi giorni in molti hanno chiesto di essere trasferiti negli alberghi, ma soprattutto chiedono quando arriveranno i container”, dicono i volontari dei Servizi sociali consapevoli che nelle strutture non ci sarà spazio per tutti.
Lo dice il censimento registrato finora. Tra Norcia, Cascia, Preci e Monteleone sono 720 le persone che dormono in tenda, in roulotte davanti casa o che si sono sistemate autonomamente accanto ai campi.
Tutte loro chiedono i container. Ma ci sono anche coloro che vivono negli hotel.
Mille e cento hanno infatti scelto gli alberghi.
Dati che tuttavia mutano di giorno in giorno perchè c’è chi decide di affittare un appartamento piuttosto che vivere in albergo e chi invece dalle tende si trasferisce negli hotel.
In fila, per chiedere informazioni, ci sono Giulio Severini e la moglie Patrizia Scafi. Sono di San Pellegrino, una frazione di Norcia e subito dopo il sisma si sono trasferiti in una casa in affitto a Fiumicino: “Prima pagavamo 800 euro, ora me abbiamo trovata un’altra a 550, ma ancora i soldi destinati a chi sceglie la sistemazione autonoma non ce li hanno dati”.
Giulio e Patrizia tuttavia non vogliono restare lontani dal loro borgo e sono in fila per chiedere un posto nei container, quando saranno montati: “La mia paura è che si pensi solo a Norcia”, dice Patrizia.
In pratica che venga montato il campo a Norcia, dove i riflettori sono puntati, destinato a 250 persone, e poi niente più. “a me sembra tutto un’illusione”, dice Lucia Saveri mentre consuma il pasto nella tenda degli volontari dell’Anpas.
Anche Claudia Imperatore, anche lei seduta a mensa, punto di ritrovo per la popolazione è perplessa: “Il sindaco ha detto che i posti nei container saranno 250. Ma se solo a Norcia siamo 5000 persone, come si fa?”.
Dubbi e perplessità mentre Norcia è piegata dalla morsa del gelo: “Non sappiamo niente. Solo che saranno container cumulativi”, dice Alassandra Rossi.
Dopo le tende sociali da 40 persone, ora una parte della popolazione si prepara ai container sociali:
“Ci dovremo spogliare e andare in bagno davanti a chissà chi. Altrochè privacy. Siamo stanchi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO 5 MESI LA SINDACA NON TROVA DI MEGLIO CHE RICICLARE LE MISURE DELLE PRECEDENTI AMMINISTRAZIONI, PRESENTANDOLE COME NUOVE
Grandi novità al Campidoglio, ieri la Sindaca Virginia Raggi e l’assessora Paola Muraro hanno presentato il nuovo piano di AMA, la municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti.
Ma non finisce qui, perchè è in Commissione Trasparenza è stato annunciato anche il nuovo piano di ATAC, l’azienda dei trasporti romani.
A presentarlo è stato il nuovo amministratore unico dell’Azienda Marco Fantasia, succeduto ad Armando Brandolese, dimessosi a fine agosto assieme al direttore generale Marco Rettighieri per incomprensioni con l’assesora ai trasporti Linda Meleo.
La “discontinuità ” in ATAC che presenta un piano simile a quelli di Rettinghieri
Tra i punti di contrasto tra Rettighieri e Giunta Cinque Stelle c’era il piano di dismissione degli immobili di proprietà di ATAC.
I proventi della dismissione delle rimesse e dei depositi sarebbero dovuti andare a sanare parte del buco nei conti dell’azienda dei trasporti capitolina, ma il M5S appena arrivato nelle stanze dei bottoni del Campidoglio si era opposto al piano industriale approvato dal consiglio di amministrazione, dal collegio dei sindaci di Atac e soprattutto dalla precedente gestione commissariale guidata dal Prefetto Paolo Tronca.
Secondo Rettighieri «Per avere liquidità , bastava sbloccare il piano di dismissione degli immobili non strumentali».
Un’operazione di vendita di immobili non utilizzati che avrebbe potuto portare nelle casse dell’azienda fino a «160 milioni di euro», come si legge nella relazione del 24 giugno.
Il piano industriale 2015-2019 bloccato dalla Giunta Raggi prevedeva che solo dall’alienazione di cinque immobili dismessi sarebbero arrivati 98,2 milioni di euro. Secondo Rettighieri il fatto che la nuova Amministrazione avesse contestato il piano di dismissione significava mettere in discussione il piano industriale stesso, questo per far capire quanto fosse importante la vendita degli immobili all’interno del piano di risanamento di ATAC.
Ieri però abbiamo appreso che nel nuovo piano industriale elaborato da Fantasia è prevista la dismissione dell’intero patrimonio non strumentale all’azienda.
Questa secondo Fantasia rappresenta una “discontinuità significativa” con la governance precedente “perchè si prevedeva solo la dismissione di sei immobili. Il prossimo piano opererà sull’intero patrimonio, cioè circa 20 immobili”.
Sui rifiuti Raggi e Muraro copiano Marino, Tronca e Fortini
Su AMA il “nuovo corso” a Cinque Stelle che dimostra una certa affinità con il piano elaborato da Penelope in attesa di Ulisse mostra ancora maggiori continguità con quanto già previsto e stabilito dalla giunta guidata da Ignazio Marino.
La Sindaca e l’assessora Muraro hanno annunciato trionfanti le “nuove” iniziative che segnano l’inizio di “una nuova stagione per Ama che segna una netta discontinuità con il passato”.
La prima è il ripristino del servizio di ritiro a domicilio per gli ingombranti che partirà il primo dicembre.
Si tratta in realtà di una misura già esistente durante la sindacatura di Ignazio Marino, che l’aveva fatta avviare nel 2014 in modo totalemente gratuito per l’utente proprio per evitare ad esempio la comparsa di frigoriferi abbandonati per strada.
Come spiegano il sito del comune di Roma e quello dell’AMA, la raccolta di rifiuti ingombranti era stata sospesa (dal 17 giugno…) perchè la gara è saltata.
Da allora ci sono voluti ben cinque mesi alla Raggi per uscirsene con questo nuovo corso che segna una discontinuità con il passato (se non per il piccolo dettaglio che il passato sono i cinque mesi di governo pentastellato).
Ma andiamo avanti: la Raggi ha annunciato l’attivazione di nuove dieci isole ecologiche. Ma si tratta l’Amministrazione precedente aveva concordato con i Municipi (il il V, il VI il IX, il X il XII, il XIII e il XIV) e che infatti sono già presenti nella delibera Tronca come si può leggere pure sul sito del Comune di Roma.
In merito alle aree ecologiche la precedente amministrazione aveva dato in concessione in comodato d’uso ad Ama 32 aree “nelle quali l’azienda potrà realizzare strutture di servizio, sedi a supporto della raccolta differenziata e nuovi Centri di Raccolta per rifiuti ingombranti“; Tronca aveva indivuato anche i siti da riqualificare, di concerto con il Dipartimento Patrimonio comunale che sono “perlopiù localizzati nelle periferie della città , in aree abbandonate e degradate”.
In questi cinque mesi però Raggi e Meleo sono riuscite a trovare con i Municipi interessati un accordo solo su dieci di queste.
Un lavoro davvero ben fatto, visto che già era stato compiuto da chi li aveva preceduti. Anche la “novità ” annunciata sull’invio all’estero dei rifiuti indifferenziati al fine di alleggerire il Tmb Nuovo Salario non è poi così una novità visto che la gara europea con la quale la tedesca Enki si è aggiudicata lo smaltimento di 160 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati all’anno è stata vinta dai tedeschi a dicembre 2015.
La Enki sarebbe stata pronta fin da fine aprile ma alcune lungaggini burocratiche e la mancata autorizzazione da parte di Regione Lazio hanno di fatto impedito l’inizio dei trasferimenti dei rifiuti romani in Nord Europa.
Inoltre a caldeggiare questa soluzione e ad aprire il bando di gara è stato proprio l’ex presidente di AMA Daniele Fortini, finito ai ferri corti proprio con Paola Muraro che ieri ha annunciato: “entro metà dicembre verrà attivato il trasporto all’estero dei rifiuti indifferenziati, che andranno prima in Austria e poi in Germania. Questo innanzitutto per scaricare l’impianto tmb Salario, che verrà riconvertito: non ci saranno più lavorazioni e verrà smantellato il biofiltro. Noi puntiamo alla selezione“.
Si tratta di un contratto da 4 anni che costerà 138 euro a tonnellata. C’è da dire però che il bando di gara era per 600 mila tonnellate di rifiuti all’anno, ma è stata assegnata solo la parte relativa ad Enki.
Per le altre 440 mila tonnellate di rifiuti messe a bando non è ancora stata trovata una soluzione. Non sarà mica che il nuovo vento romano a Cinque Stelle è proprio il Marino?
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
QUATTRO MILIONI E MEZZO DI PERSONE VIVONO IN CONDIZIONI DI INDIGENZA ASSOLUTA… A BOLOGNA 6 PASTI SU 10 SONO SERVITI A ITALIANI
«Guarda che poteva succedere anche a te» dice l’ex facchino Franco Lepore, nato a Bologna, vissuto in via Massarenti, trentasei anni di lavoro duro e vacanze in città , a parte un solo viaggio «memorabile» in Brasile alla fine degli Anni Novanta.
«Perdi il posto, ti salta la casa. I miei cugini si sono fatti una famiglia. Non ho nessuno nelle condizioni di aiutarmi».
Accanto a lui, ci sono diciannove persone sedute sulle panche di questa stanzetta troppo illuminata. Aspettano il secondo turno perchè il refettorio è pieno.
Una donna pallida, con il viso deturpato da una cicatrice, esce urlando e piangendo. Dice fra i singhiozzi che in coda le hanno storto un braccio. Arriva la polizia. In dieci si fanno avanti per smentirla.
«Non mi sento bene, scusatemi» dice adesso la donna mettendosi a sedere. Odore di mandarini. Un altro giro di tagliatelle al sugo. Un’altra sera alla mensa della Caritas di Bologna.
La prima notte
«La prima notte in strada ero titubante», dice il signor Lepore. «Mi hanno rubato il sacco a pelo già due volte. Per fortuna ho un amico che tiene le mie cose da lui. Alla fine, bisogna risollevarsi. Mi sono fatto fare tutti i conteggi. Mi mancano 16 mesi alla pensione. Devo resistere».
Resistere a Bologna. In Italia nel 2016. Dove la crisi non è mai finita, almeno se la si guarda da queste specie di sala d’aspetto.
Gli ultimi dati della Caritas dicono, anzi, che i senzatetto nel 2015 sono aumentati del 21 per cento rispetto all’anno precedente.
Quattro milioni e mezzo di italiani vivono in condizioni di povertà assoluta, mai così tanti dal 2005. E proprio qui, sotto le Due Torri, in Emilia Romagna, il 64 per cento dei pasti sociali è per gli italiani. Anche l’ex saldatore Nicola Mastro aspetta il suo turno per cenare.
«Il mio datore di lavoro era Paolo Mascagni del mobilificio di Caselecchio, lo conosci? Eravamo in solidarietà da una settimana, quando si è tolto la vita. Una bravissima persona. Ancora adesso la famiglia mi aiuta come può. Era il 2011. Ho provato a farmi assumere alla Manutencoop, ma non c’era posto. Da allora ho consumato tutti i risparmi, senza più trovare niente. Eppure, fidati, qui dentro io sono uno dei più fortunati».
La fortuna
Ecco in cosa consiste la fortuna del signor Mastro: «Ho un piccolo camper. Merito di un mio amico che sapeva capire il mondo. Incominciavano a lasciare le persone a casa, e lui mi dice: ”Meglio che ti procuri qualcosa”.
Tengo il camper parcheggiato in zona Barca. Non passa mai nessuno. Lo scorso inverno stavo morendo di polmonite lì dentro”
A cena ci sono nigeriani, senegalesi, magrebini, siriani, badanti moldave e romene, un’infermiera polacca che sorride a tutti.
E poi loro, gli invisibili d’Italia. Hanno borselli agganciati stretti alla cintura e vecchi giacconi da sci.
Qualcuno si saluta con il nome delle città . «Ciao Firenze!». Altri non parlano e scappano il più in fretta possibile. C’è Gianluca Pezzoli con il cane Scubidù, legato all’ingresso: «Lavoravo a Rimini, ma avevo troppi pensieri, troppa ansia. Ho mollato tutto per stare in pace».
E c’è l’idraulico Alberto che, invece, ha divorziato a Roma, è di Reggiolo, ma non voleva tornare a casa così impoverito, e ci riprova qui: «Mi mancano i miei figli. Loro non sanno che dormo per strada. Sono fuori da tre mesi, ma non mi arrendo. Ho dato come domicilio l’indirizzo del centro ascolto di via Polese. Metto annunci a ripetizione sul web. Sono un bravo artigiano. Mi è appena arrivata una richiesta per un rifacimento bagno. Ho fatto un preventivo da 2100 euro».
Studenti e osterie
Bologna «la grassa», con le osterie bellissime da cui risuonano i suoi cantautori, gli studenti per le strade del centro storico, via degli Orefici e via delle Pescherie Vecchie. Bologna che ogni anno, solo alla Caritas, serve 68.500 pasti.
Suor Maria Teresa si occupa delle colazioni dei poveri. Per quindici anni è stata alla mensa di Crotone, la città italiana con il più alto tasso di disoccupazione: 31,46 per cento. Ma adesso è qui, e guarda Bologna con occhi preoccupati: «Vengono questi uomini ancora giovani ad aiutarmi alle sei di mattina. Capisci quanto sono tormentati. Hanno perso il lavoro. Non riescono a dormire. Rispetto a Crotone, quello che mi colpisce è che la povertà è più recente e più nascosta».
Bologna sta imparando a conoscere il suo nuovo arcivescovo, mandato da Papa Francesco per occuparsi proprio di questo.
Monsignor Matteo Maria Zuppi per prima cosa si è schierato con i lavoratori e contro gli sfratti: «La crisi non è affatto finita – dice adesso – sarà un’onda lunga. Penso alle pensioni minime che verranno. La soglia è sottilissima: puoi scivolare e non farcela più. Io vedo l’Italia come nelle macerie del dopoguerra. Serve lo sforzo di tutti per ricostruire».
La cena alla Caritas, il pranzo alla mensa degli Antoniani, un’altra istituzione cittadina. Hanno dovuto dedicare dei giorni alle famiglie, perchè arrivavano a mangiare i genitori con i figli.
Ed è sempre qui che si può vedere come può finire, certe volte, il boom economico. Antonina e Salvatore Arena, 85 e 87 anni, emigrati a Bologna nel 1960 da Valguarnera Caropepe, Sicilia. «Lavoravo alla fabbrica di gesso di Ponticelli» dice lui. «Non torniamo al paese da più di trent’anni» dice lei.
Due pensioni minime, quattro figli. «Non hanno un lavoro stabile, noi cerchiamo di aiutarli. Ogni giorno prendiamo il pullman 90. Ci vuole mezz’ora per venire alla mensa. Poi torniamo a casa. Questa sera abbiamo la pasta».
Fra i tavoli della messa della Caritas tutti cercano gli occhi di Anita.
«Ciao splendore», «ciao bellissima», le dicono mentre porta i carrelli. Anita Monopoli fa il turno di notte al centro meccanografico delle Poste, ma prima viene ad aiutare.
«Io sarò sempre dalla parte delle donne. Ma qui ho imparato ad essere anche dalla parte degli uomini. Spesso vengono penalizzati nel divorzio e con i figli. L’altra sera c’era un signore garbato, elegante, ricordava Michele Mirabella. Mi ha colpito la sua compostezza. Ogni volta dico a tutti: spero di non vedervi mai più. Ma poi, purtroppo, li vedo ritornare».
Tutte le sere, Massimo Matteuzzi, ex magazziniere, ex autista, 62 anni, compra un biglietto del treno per Castel Maggiore da un euro e 50.
È il più economico in commercio. «Senza biglietto i vigilantes non ti fanno entrare in stazione. Ma io vengo qui proprio perchè ci sono loro».
Il sottopassaggio è pieno di persone. Sono le undici di sera. Hanno tutti il biglietto in tasca, anche se non partono. Il signor Matteuzzi tira fuori le coperte dal borsone e si sdraia sul pavimento. «Buonanotte», dice ad alta voce.
Poi si infila tre berretti di lana in testa per non sentire il rumore dei treni che sfrecciano via.
Niccolò Zancan
(da “La Stampa”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
AL PAPA’ AL TELEFONO CALLEGARO DISSE: “PAGANO 2.000 QUELLO CHE COSTA 200, IO NON FIRMO, SONO FEDELE AL GIURAMENTO”… E DOPO TRE MESI E’ STATO TROVATO MORTO CON UN COLPO ALLA TESTA
I mezzi su cui hanno viaggiato dal 2009 al 2014 ministri, ambasciatori, politici in visita alla missione militare italiana in Afghanistan hanno esposto a rischi ulteriori (non bastassero quelli di una zona di guerra così colpita da attentati) tutte queste personalità e i militari che li accompagnavano.
La blindatura dei veicoli era infatti più leggera di quella prevista, secondo quanto ha accertato la Procura militare di Roma in una inchiesta che vede indagati per truffa aggravata e peculato quattro ufficiali dell’esercito e due dell’aeronautica responsabili dei contratti di noleggio.
Un quadro «sconcertante» di «reiterata contrattazione con una ditta afgana» lo definiscono il procuratore Marco De Paolis e il sostituto Antonella Masala nell’avviso di chiusura indagini.
E il fornitore locale, favorito con costi gonfiati, pur cambiando nome nel corso degli anni, faceva sempre capo a un individuo vicino ad ambienti terroristici.
La dimensione dell’inchiesta è data dai quattro container di faldoni partiti da Herat verso Roma con migliaia di documenti contabili e amministrativi.
Ventotto i veicoli sequestrati (tre destinati all’ufficiale italiano più alto in grado in Afghanistan, ma non si parla dei Lince dell’esercito, per intenderci) con un danno economico che arriverebbe a sfiorare il milione di euro.
E dietro tutto questo l’ombra della morte del capitano Marco Callegaro da cui sono partite le indagini.
Gli inquirenti, pur mantenendo per questa parte del fascicolo il generico modello 45, hanno cercato elementi per contestare l’omicidio (il codice non prevede l’istigazione al suicidio), senza peraltro arrivare a prove conclusive.
Ma se anche non c’è reato è verosimile parlare di «enormi pressioni che a lungo andare hanno stremato» il 37enne originario di Gavello, Rovigo, ma residente a Bologna, sposato e padre di due figli.
Lui stesso ne aveva fatto cenno in email e messaggi ai suoi familiari (anche questi finiti agli atti). Fino alla morte con un colpo di arma da fuoco la notte tra il 24 e il 25 luglio 2010, da subito considerata un suicidio.
«Venne trovato ucciso, finalmente si sono espressi con i giusti termini!!!!», scrive ora su Facebook la vedova Beatrice Ciaramella.
Che cosa aveva visto di così inconfessabile il capitano Callegaro, capo cellula amministrativa del comando Italfor a Kabul
Attorno alla fornitura dei mezzi blindati la Procura militare ha ricostruito un vasto sistema di coperture e omissioni che accompagnavano tutti i passaggi dell’acquisto, dai contratti alle verifiche tecniche per la messa in strada secondo standard di presunta sicurezza.
Centinaia di militari, anche dei più alti livelli, sono stati sentiti dai carabinieri dell’ufficio di polizia giudiziaria sia in Italia che in Afghanistan.
Taroccata era la consistenza della blindatura, taroccati il prezzo e la designazione dei membri delle commissioni di collaudo, dove venivano insediate persone prive di competenza tecnica e la documentazione messa a loro disposizione era largamente incompleta
«Di mio figlio ricordo tutto, ma soprattutto quella inquietante telefonata di marzo in cui mi disse “papà , questi pagano duemila quello che costa duecento, io non li pago”», racconta al telefono Marino Callegaro.
«Da quel giorno non sono mai più stato contento. Mamma mia, pensai, in che cosa si è messo. A mio figlio dissi: non metterti tutti contro, se gli altri hanno firmato le spese, firma anche tu. Ma lui mi disse “no, sono fedele al giuramento dato”. Nomi e dettagli non me ne ha mai voluti dare per rispettare il segreto militare, ma vorrei davvero che i colpevoli vengano fuori».
I veicoli sono stati ritirati appena è emersa la blindatura fasulla, fanno sapere fonti della Difesa, che ha avviato anche un’inchiesta amministrativa.
Se il gip a febbraio dovesse rinviarli a processo, sarà valutata la sospensione dei sei ufficiali.
Fulvio Fiano
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
DATI ABI: CRIMINALITA’ PREDATORIA IN DIMINUZIONE… MENO RAPINE ANCHE NEI DISTRIBUTORI DI BENZINA E NELLE TABACCHERIE… CHI SPECULA SULLA “PERCEZIONE” E’ SERVITO
Le banche sono più sicure, almeno dal punto di vista delle rapine agli sportelli e ai Bancomat.
Nei primi nove mesi del 2016 sono stati 298 i colpi compiuti allo sportello, con un calo del 28,4 per cento rispetto ai 416 dello stesso periodo dell’anno precedente.
In diminuzione anche il cosiddetto indice di rischio, cioè il numero di rapine ogni 100 sportelli, che è passato da 1,8 a 1,3.
I dati sono stati presentati nel corso di un convegno organizzato dall’Associazione bancaria italiana, Abi, in occasione della Giornata della sicurezza 2016, e sono stati elaborati da Ossif, il centro di ricerca dell’Abi.
Il calo delle rapine alle banche riguarda quasi tutta l’Italia, fanno eccezione il Molise (2 rapine da 0) e il Piemonte (29 rapine da 24). le diminuzioni più significative si sono registrate in Basilicata (-75 per cento, da 4 a 1) e nelle Marche (-61,5 per cento, da 13 a 5).
Non si sono registrati fenomeni di criminalità predatoria in Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, invariate le rapine in Liguria (solo nove).
I dati Abi sono in linea con quelli più generali sulla criminalità in Italia resi noti dal Viminale lo scorso agosto.
Anche in quel caso le statistiche indicavano un calo generalizzato del numero dei reati e il confronto tra i primi sei mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente evidenziava che il totale dei delitti commessi era passato da un milione e 347mila a un milione e 129mila ( -16,2 per cento).
Nel corso del convegno sono stati presentati anche i risultati del settimo “Rapporto Intersettoriale sulla Criminalità Predatoria”, realizzato da Ossif in collaborazione con il Ministero dell’Interno e con il contributo di FIT (Federazione Italiana Tabaccai), Federfarma, Federdistribuzione, Confcommercio, Assovalori, Unione Petrolifera, Anie Sicurezza e Poste Italiane.
Analizzando le rapine compiute nel 2015 in banche, uffici postali, tabaccherie, farmacie, esercizi commerciali, locali, esercizi pubblici, imprese della grande distribuzione e distributori di carburanti e mettendo a confronto i diversi settori è emerso che le rapine denunciate in Italia nel corso del 2015 sono state 34.957, con un calo del 10,9 per cento rispetto al 2014 e del 20,1 per cento rispetto al 2013.
Le cifre confermano perciò una riduzione dei reati per tutte le categorie analizzate. Il calo più evidente riguarda le rapine ai distributori di carburante (-23,4 per cento) e le rapine in tabaccheria (-15,3 per cento).
Secondo l’analisi fatta dagli esperti del Rapporto Ossif, il trend positivo che ha caratterizzato il fenomeno negli ultimi anni è anche il frutto del lavoro congiunto di banche e forze dell’Ordine.
(da agenzie)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
ASSUNZIONI BLOCCATE E NUMERI CHIUSI… MANCHERANNO CHIRURGHI, GINECOLOGI E PEDIATRI
Dopo una passeggera crisi di vocazione i ragazzi hanno ripreso a fare a spinte per entrare nelle facoltà di medicina, ma tra blocchi delle assunzioni e numeri troppo chiusi nelle ancora più ambite scuole di specializzazione nei prossimi dieci anni dai nostri ospedali rischiano di sparire 40mila camici bianchi.
Una desertificazione di ambulatori e corsie che, insieme agli altri 16mila medici di famiglia mancanti da qui a sette anni, rischia di mandare in tilt il nostro sistema di assistenza sanitaria.
Anche perchè a mancare all’appello saranno soprattutto chirurghi, ginecologi, pediatri, internisti, specialità delle quali non si può fare a meno
A lanciare l’allarme sulla fuga dagli ospedali d’Italia è uno studio condotto dall’Anaao, il più forte sindacato di categoria, pronto allo sciopero sotto le feste se il governo non metterà sul piatto proposte concrete per arginare il problema e soldi per rinnovare un contratto fermo al palo da sette anni
Intanto i numeri dello studio parlano chiaro: tra il 2021 e il 2015 dalle attuali circa diecimila uscite l’anno si passerà a oltre 5.600 pensionamenti, perchè attaccheranno il camice al chiodo i dottori figli del baby boom.
Così in un decennio andranno in quiescenza 47.300 specialisti ospedalieri più 8.200 universitari e specialisti ambulatoriali.
In tutto un esodo di 55.500 medici.
E siccome vige il parziale blocco delle assunzioni, che consente di sostituire solo un camice bianco su quattro, significa che all’appello mancheranno appunto 40mila dottori. Nemmeno a dire che a contenere le perdite serviranno gli stanziamenti dell’ultima legge di stabilità , visto che servono a stabilizzare settemila precari che già lavorano e non ad assumere nuova forza lavoro.
Lo stesso dicasi delle tremila assunzioni programmate lo scorso anno dal Governo, quasi tutte ferme al palo perchè la maggioranza delle regioni si è guardata bene dal presentare i dati sui propri fabbisogni
Così nei nostri ospedali i medici iniziano a scarseggiare e a mettere sempre più capelli bianchi.
Già oggi quasi la metà di loro, per l’esattezza il 48,7%, ha più di 55 anni, con gli ultrasessantenni sopra quota 20% mentre i giovani tra i 30 e i 34 anni sono appena l’1,7%.
«Medici più anziani di noi in Europa non li ha nessuno e nel mondo siamo secondi dietro solo ad Israele», rimarca il Vice segretario nazionale vicario dell’Anaao, Carlo Palermo, tra i curatori dell’indagine ancora inedita. E non trovando sbocchi in Italia sempre in maggior numero ripiegano il camice in valigia ed emigrano all’estero.
A richiedere la documentazione per poter esercitare oltre confine erano solo in 369 nel 2009, sono diventati 1.836 lo scorso anno.
«Ognuno di loro è costato sui 150mila euro per la formazione, è come dire che regaliamo 1.800 Ferrari l’anno agli altri Paesi», sottolinea Palermo
Ma carenza e invecchiamento della nostra classe medica non sono solo colpa dei blocchi delle assunzioni imposti dalla finanziarie degli ultimi anni.
A fare il resto c’è anche un «imbuto formativo», che a fronte di richieste d’ingresso sempre più pressanti e pensionamenti sempre più massicci continua a lesinare con il contagocce i posti disponibili nelle scuole di specializzazione.
Oggi le porte si aprono a 6.100 laureati in medicina mentre ce ne sarebbe bisogno di 7.900 l’anno.
Come dire che continuando di questo passo in un decennio, qualora si tornasse pure ad assumere a piene mani, mancherebbero pur sempre quasi 20mila neo-specializzati a rimpiazzare chi esce.
Intanto già ora quelli che ci sono non bastano. La riprova viene dalle oltre settemila segnalazioni sul mancato rispetto dello stop ai turni massacranti imposto dalla direttiva europea sull’orario di lavoro.
Denunce che minacciano ora di avviare altrettanti ricorsi.
Paolo Russo
(da “La Stampa”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
SERGIO ZANOTTI E’ UN EX IMPRENDITORE CONDANNATO A UN PERIODO DI DETENZIONE PER EVASIONE FISCALE…SEPARATO DALLA PRIMA MOGLIE E PARE ANCHE DALL’ULTIMA COMPAGNA
Barba e tunica bianca, l’hanno ripreso in ginocchio, davanti agli ulivi.
In mano ha un cartello con una data: 15 novembre 2016: Sergio Zanotti, 56 anni, originario di Marone, in provincia di Brescia, sarebbe prigioniero di un gruppo armato non identificato in Siria da sette mesi.
Separato, tre figlie dai 35 ai 25 anni e altri due bambini avuti con la seconda compagna, Zanotti vive a Marone, sul lago d’Iseo, con la sorella Beatrice.
Era all’estero per lavoro: si occupa di monitoraggi industriali. Pare si fosse separato anche dall’ultima fidanzata, una donna Santo Domingo, e che fossero in causa per l’affidamento dei bambini.
La denuncia dei familiari
I familiari di Sergio Zanotti già nel maggio scorso avevano presentato denuncia di scomparsa. L’uomo, un ex imprenditore la cui impresa metalmeccanica è stata dichiarata fallita, in passato era stato condannato a un periodo di detenzione per evasione fiscale.
A Marone, sulla sponda bresciana del lago di Iseo, vivono i parenti più stretti dell’uomo. Hanno riferito che Zanotti aveva programmato il viaggio all’estero nell’aprile scorso.
Nelle sue intenzioni sarebbe dovuto durare solo pochi giorni. Invece dell’uomo si sono perse le tracce, e nel maggio scorso la famiglia ne aveva denunciato la scomparsa.
I familiari hanno riferito di essere da tempo in contatto con la Farnesina, le autorità italiane sarebbero a conoscenza del video già da diversi giorni.
Al momento non sarebbe giunta nessuna richiesta di riscatto da parte dei rapitori. Che potrebbero anche non essere terroristi, ma delinquenti comuni.
Dalle indagini finora svolte, risulta che Zanotti sia partito alcuni mesi fa per la Turchia. E da lì si sarebbero perse le sue tracce.
Il video – secondo quanto accertato finora da investigatori italiani – gira sul web da circa una settimana e non sembra “univoco”, dal momento che l’italiano, per quanto con la barba lunga, non appare nelle immagini particolarmente provato dai presunti sette mesi di prigionia.
Il nome dell’account del presunto jihadista, che ha inviato il video a Newsfront, è Almet Medi. Nella descrizione visibile sul suo profilo, c’è scritto che è “di Milano”e “vive a Napoli” e “ha frequentato l’Ipsia Ferraris Pacinotti”.
Il video è stato postato sul profilo il 21 novembre — giorno in cui il profilo sembra sia stato creato — alle 18,41. Newsfront spiega che l’autore del messaggio si è descritto come un jihadista siriano e si è presentato col nome di Abu Jihad.
Fonti investigative e di intelligence, contattate dall’ANSA, confermano il sequestro e parlano di “sequestro anomalo”
(da agenzie)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
PER CHI AVESSE ANCORA DEI DUBBI SULLA CIALTRONAGGINE DEL PERSONAGGIO… I VICINI: “QUA HA FREGATO TUTTI, FACENDO PROMESSE MAI MANTENUTE”
Un disturbo ossessivo compulsivo. Quel che è certo è che il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha una passione smodata per muri, recinzioni o qualsiasi cosa serva a delimitare ciò che è suo o che considera tale.
Infatti, nonostante il muro al confine col Messico sembra non costituire più il centro dei suoi pensieri, un muro Trump l’ha già costruito, ma in Scozia.
Una recinzione alta circa cinque metri lungo il confine col suo campo da golf nei pressi della tranquilla Balmedie, paesino nella regione nord orientale scozzese.
Una lunga recinzione che ha tolto ai residenti la vista sul mare, gli stessi che anni fa si rifiutarono di vendergli le loro case.
Non solo, al termine dei lavori, ha inviato loro anche una lettera con il conto da saldare per i lavori effettuati: una fattura di circa 4mila euro.
David e Moira Milne hanno raccontato la loro esperienza al New York Times.
I due coniugi erano già in lite col turbolento vicino, in quanto questo sosteneva che il loro garage rientrasse entro i confini della sua proprietà .
Ma un giorno la situazione degenera: tornando a casa, hanno trovato alcuni operai al lavoro nelle immediate vicinanze del loro giardino.
Incuriositi, chiedono spiegazioni. La rete metallica, spiegano gli operai, serve a delimitare la zona che appartiene al signor Trump.
Alla recinzione si aggiungono due file di alberi ad alto fusto, e per piantarli gli uomini hanno dovuto interrompere l’erogazione di acqua ed energia elettrica.
Il fastidio dei due signori cresce sempre più, sino a quando non diventa pura rabbia quando trovano nella loro cassetta delle lettere una missiva inviata dal golf club di Trump contenente una fattura per i lavori svolti di 4mila euro.
La lettera finisce subito nella spazzatura.
“Nemmeno il Messico pagherebbe mai per il muro”, afferma il signor Milne. Da qui l’idea di far sventolare sul tetto della loro abitazione una bandiera messicana.
Alla protesta dei Milne si unisce la famiglia di Michael Forbes, che ha affiancato alla bandiera messicana un’altra con la scritta “Vote for Hillary”.
Anche lui, che si è guadagnato da vivere lavorando in una cava, si rifiutò di vendere la casa a Trump, e il Tycoon non la prese molto bene, tanto da arrivare a dire che Forbes “vive come un maiale”, criticandolo per non avergli venduto quella “disgustosa topaia”.
“Se l’America vuole sapere cosa le accadrà , non deve far altro che studiare quel che è successo a noi”, spiega Martin Ford, un politico locale.
“Vedo che ha iniziato a muoversi negli Usa come ha già fatto qui da noi, ma in scala maggiore. Le stesse cose. Ha fregato le persone e i politici fino a ottenere ciò che voleva. Poi si è rimangiato tutte le promesse che ha fatto”, continua Ford.
A Balmedie, infatti, non è difficile percepire lo scontento causato da questo atipico vicino.
Tra le promesse non mantenute, i numerosi investimenti che aveva detto di voler attuare pur di convincerli a dargli il permesso di costruire il suo campo da golf.
E poi i posti di lavoro: aveva promesso sei mila posti di lavoro, ma alla fine solo 95 persone hanno ottenuto un impiego.
A tutto questo si aggiunge il pessimo andamento della Trump International Golf Links. Solo l’anno scorso avrebbe registrato una perdita pari a 1,36 milioni di dollari.
Fino a sei anni fa, i coniugi Munro potevano ammirare dalla finestra della loro cucina il fantastico panorama dei tramonti sul mare che indoravano le sabbiose dune di Belmadie.
Oggi vedono un muro e sentono il brulicare dei cart da golf che trasportano i clienti del presidente eletto. “Sicuramente quel signor Trump ha qualche problema coi muri”, quasi bisbigliando la signora Munro, “speriamo che l’America abbia un’esperienza migliore della nostra”.
(da “Huffingtnopost“)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
ERA IL PIU’ INFLESSIBILE CONTRO I DISSIDENTI… L’EX CAPOGRUPPO AVEVA MENTITO A GRILLO: “NOI NON C’ENTRIAMO CON LE FIRME FALSE”
Lo chiamavano il “superortodosso”, Riccardo Nuti. Il deputato più inflessibile ai tempi dei “dissidenti”, prima che 17 deputati fossero cacciati o spinti ad andar via dal gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle alla Camera.
Colui che – da capogruppo, il secondo in carica dopo Roberta Lombardi – diceva cose come: “Con queste persone parli una, due, tre volte, se poi non capiscono, ciao e grazie”
Nuti il duro, il Torquemada a 5 stelle che aveva garantito a Beppe Grillo: “Noi non c’entriamo con le firme false, siamo parte lesa”, spingendo il capo politico a scrivere questo, sul blog, dopo la prima puntata delle Iene sul caso delle firme ricopiate alle elezioni comunali di Palermo nel 2012.
La sua bacheca Facebook è presa d’assalto da settimane, al suono di “Vergogna”, “sospenditi”, “stai mettendo in pericolo tutto il Movimento”.
Lui, finchè ha potuto, ha continuato come se niente fosse il tour in treno per il No alla riforma costituzionale.
Fino a quando, una settimana fa, un collega, al momento di salire sul palco, gli ha detto: “Forse è meglio che tu non parli oggi, Beppe ha chiesto chiaramente che i coinvolti si autosospendano”.
Non ha voluto farlo, il deputato palermitano. E con lui non hanno voluto cedere neanche Claudia Mannino e Giulia Di Vita.
Quest’ultima è l’unica che con i pm ha parlato, come ha spiegato ieri a chi gliene chiedeva conto sulla sua pagina Facebook. “Si chiarirà tutto”, ha detto fingendo una serenità fin qui non dimostrata. Perchè anche Giulia Di Vita, fustigatrice indefessa su Twitter di avversari politici e giornalisti, ha scelto di non parlare e non spiegare quel che è accaduto in una notte di aprile di quattro anni fa. Non ai suoi colleghi, non ai suoi elettori, tanto meno alla stampa.
Non sono solo gli attivisti, a chiedere loro conto dei troppi silenzi e di quella che non esitano a definire “omertà “.
Sono anche gli eletti M5S di tutt’Italia. “Se ne devono anna’”, diceva ieri un deputato un tempo amico di Nuti. “Hanno sbagliato tutto”, spiegava un senatore, “perfino gli indagati del Pd si autosospendono subito. E noi che facciamo? Quando succede a noi ci comportiamo peggio del Pd?”.
Il clima era diventato così ostile da spingere a intervenire Roberto Fico, che nel weekend aveva chiarito via Twitter: “Nel Movimento le espulsioni possono deciderle solo il capo politico e i probiviri appena eletti”, prontamente “rituittato” da Luigi Di Maio, con cui – negli ultimi mesi – aveva condiviso ben poche posizioni.
E’ per questo – per il clima interno oltre che per le accuse ormai insostenibili del Pd – che Beppe Grillo ha dovuto indire in tutta fretta, venerdì scorso, l’elezione dei tre probiviri chiamati col nuovo regolamento a comminare le sanzioni per chi viola i principi del Movimento o ne mette in pericolo la reputazione.
E loro, prontamente, nel primo giorno utile, hanno subito sospeso gli indagati in via cautelativa.
In attesa di ricevere spiegazioni e “controdeduzioni”, ma lasciando loro poca speranza ormai di rientrare, comunque vadano le cose con la giustizia di Palermo.
(da “La Repubblica”)
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