Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
IL 2 NOVEMBRE DI MAIO HA CENATO NEL RISTORANTE DI SALVATORE VASSALLO CON TANTO DI FOTO RICORDO… LUI NON POTEVA SAPERE CHI FOSSE, MA I DUE CONSIGLIERI GRILLINI DI CESA CERTAMENTE SI’
Qualche giorno fa il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio si trovava a Cesa (Caserta) per un incontro con i comitati del No al referendum costituzionale.
Come sempre accade dopo il dibattito si va a mangiare un boccone al ristorante da qualche parte.
C’è poi il momento in cui il titolare (o il cuoco o lo staff) si fanno la foto di rito con il personaggio famoso di turno, magari da appendere al muro nella bacheca dei trofei che molti ristoranti hanno e che ha lo scopo di essere “a garanzia di qualità ” e della riprovata bontà del locale
Indovina chi viene a cena
Il problema per Di Maio è stato che il titolare del locale — Zì Nicola di Cesa — si chiama Salvatore Vassallo, fratello del pentito del clan dei Casalesi Gaetano e a sua volta sotto processo per disastro ambientale, con l’accusa di aver avvelenato il territorio della Terra dei fuochi, in particolare l’area tra Giugliano e Parete.
Il deputato a 5 Stelle si è giustificato spiegando al quotidiano Il Mattino «Sono stato a Cesa lo scorso 2 novembre per un incontro organizzato dagli attivisti del movimento sul No al Referendum — ha detto — Dopo l’evento gli attivisti mi hanno portato a cena in un ristorante della zona. Non conoscevo i proprietari e come spesso accade mi hanno chiesto una foto. Avrò fatto centomila foto in questi anni. Non avevo idea di chi fossero. È una foto scattata prima di andare via.».
Di Maio molto probabilmente non sapeva chi fosse Salvatore Vassallo o di chi fosse il ristorante.
Come già accaduto per la famosa foto con Dino Tredicine in piazza durante la manifestazione contro la Direttiva Bolkestein il Vicepresidente della Camera ha semplicemente acconsentito a farsi scattare la foto, come ha fatto altre centomila volte.
Al di là del fatto che se una cosa del genere fosse successa ad un esponente del PD (o di qualsiasi altro partito) il MoVimento ci avrebbe fatto migliaia di fotomontaggi per spiegarci che sono tutti collusi, Di Maio ha ragione, se non conosceva Vassallo (e dice di non conoscerlo) non poteva di certo chiedergli il certificato penale o il curriculum prima di farsi scattare la foto.
Che poi, foto o non foto, cortesia vuole che se il titolare del ristorante viene a salutarti e tu sei un personaggio pubblico non puoi mica rifiutarti di farlo.
Il problema però è che non sembra credibile che gli attivisti del MoVimento, che hanno organizzato l’evento e presumibilmente prenotato il ristorante per la cena, non sapessero di chi fosse il locale e chi fosse Vassallo.
Eppure alcuni di loro, come ad esempio Giacomo Di Martino Raffaele Bencivenga e Amelia Bortone (questi ultimi due sono pure consiglieri del Movimento 5 Stelle al Consiglio Comunale di Cesa), che risultano amici del profilo Facebook dello Zì Nicola e che hanno condiviso entusiasticamente le foto di Vassallo con Di Maio avrebbero dovuto saperlo bene di chi era Vassallo e quali erano i suoi legami di parentela.
L’ultima cosa che ci si aspetta da persone che condividono foto come questa è quella di organizzare una cena di un parlamentare del MoVimento — e soprattutto del Vicepresidente della Camera — in un locale appartenente a Vassallo.
Qualcuno lo chiede anche sulla bacheca di Bencivenga: come è possibile che gli attivisti di Cesa non sapessero di chi era il locale?
È quello il vero fatto grave, non la foto di Di Maio.
E avrebbero dovuto saperlo perchè Gaetano Vassallo, considerato il referente dei casalesi sul territorio di Cesa, è stato in passato assessore all’ambiente proprio nel Comune di Cesa.
Insomma Vassallo teoricamente rappresenta proprio tutto quello che i pentastellati di Cesa dovrebbero combattere.
Eppure non si fanno nessun problema a portare una figura istituzionale di altissimo profilo come Di Maio nel ristorante del fratello.
Possibile che non ci fosse altro posto dove portare Di Maio a cena?
La replica dei Ciquestelle è la seguente: “Evidentemente il Pd avra’ una guida dei ristoranti che sono vicini a personaggi ambigui- dicono i capigruppo Grillo e Gaetti- Stupisce che lo stesso Pd attacchi Luigi Di Maio quando il sindaco renziano di Cesa e’ spesso a cena proprio li’, con tanto di foto pubbliche sulla pagina del ristorante”.
Quindi se a cena da “personaggi ambigui” ci va il sindaco Pd, può andarci anche Di Maio.
Alla faccia delle differenze.
No comment.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
OGGI INVECE L’ASSESSORE ALLE MUNICIPALIZZATE COLOMBAN SPIEGA CHE ACEA “E’ IL FIORE ALL’OCCHIELLO DI ROMA E NON NECESSITA DI ALCUNA SUPERVISIONE”… ECCO COSA DICEVA INVECE LA RAGGI IN CAMPAGNA ELETTORALE
Oggi l’assessore alle Municipalizzate di Roma Capitale Massimo Colomban ha rilasciato una nota
stampa per smentire un articolo del Messaggero che parlava di un supermanager da nominare per coordinare le attività delle società municipalizzate del Comune.
«In merito alle notizie giornalistiche circa la nomina di un cosiddetto supermanager al comando delle partecipate di Roma Capitale, si precisa che l’amministrazione capitolina non ha alcuna intenzione di nominare alcun organo extraziendale che governi le municipalizzate. L’ipotesi a cui si sta attualmente lavorando è invece una strategia per attuare sinergie virtuose tra le principali aziende della città e migliorare i servizi riducendone i costi».
Fin qui nulla di nuovo.
Ma la parte interessante della nota è quando Colomban parla di ACEA: «Ancora più priva di fondamento è la sintesi giornalistica se riferita ad Acea. Acea è una società quotata in Borsa e come tale soggetta a regole che ne tutelano l’indipendenza. Acea peraltro è il fiore all’occhiello di Roma e non necessita di alcuna supervisione. Anzi il know how industriale di Acea deve essere utilizzato in maniera sinergica con le altre principali aziende capitoline per fare efficienza, ridurre sprechi ed elevare la qualità dei servizi per i romani».
Quanto dice Colomban è importante alla luce di quanto affermato da Virginia Raggi in campagna elettorale.
Nel marzo scorso infatti la sindaca, parlando a Sky Tg 24, tra l’altro annunciava l’intenzione di cambiare i vertici dell’azienda in caso di vittoria: «Dobbiamo valutare come agire sul versante Acea: una cosa che faremo di sicuro è cambiare il management».
La frase provocò un attacco del Messaggero, che accusò (fantasiosamente) la sindaca di aver provocato il crollo in Borsa della multiutility romana.
Ma la Raggi all’epoca non si fece intimidire. Anzi: su Facebook, con molta convinzione, ci spiegava che voleva cambiare il management perchè «il cda, che coordina gli affari privati della multi-servizi, è composto da un’accozzaglia di nomi in gran parte scelti proprio da Caltagirone con il lasciapassare del suo caro amico Matteo Renzi».
E, a parte la piccola confusione tra membri del consiglio d’amministrazione e dirigenti d’azienda, la Raggi ribadiva le sue idee sull’azienda: «Da diversi anni la mission del cda di Acea è solo una: avviare piani di speculazione finanziaria sulle spalle dei romani, peraltro in palese violazione del referendum sull’acqua pubblica votato nel 2011».
O tempora, o mores!
Poi successe evidentemente qualcosa. Virginia Raggi confermò i vertici delle municipalizzate romane: «Sul fronte delle aziende municipalizzate chi ha avuto responsabilità è giusto che le porti fino a conclusione», scrisse dopo i risultati del ballottaggio.
Sul fronte ACEA a luglio chiese di vedere i curriculum dei nominati in azienda pochi giorni prima delle elezione, ma in nome della “trasparenza quanno ce pare” poi non se ne seppe più nulla.
Si tornò a parlare poi degli impianti della multiutility romana quando la sindaca e Paola Muraro annunciarono un piano per portare i rifiuti di Roma fuori del Lazio: anche di quel progetto non si seppe più nulla, mentre la Raggi incassò un rinvio dell’incremento delle tariffe che però, come precisò l’azienda, non avrebbe cambiato granchè, visto che la dilazione sarebbe stata concessa «a fronte del riconoscimento di un onere finanziario di mercato a compensazione della dilazione».
Oggi Colomban spiega che «Acea è una società quotata in Borsa e come tale soggetta a regole che ne tutelano l’indipendenza. Acea peraltro è il fiore all’occhiello di Roma e non necessita di alcuna supervisione».
E viene da sorridere a pensare a quando Virginia Raggi voleva dichiarare guerra ad Acea.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
“NON SI PUO’ ADDURRE A GIUSTIFICAZIONE IL TERREMOTO E I MIGRANTI QUANDO INCIDONO IN REALTA’ SOLO PER LO 0,1%”
“L’Italia non cessa di attaccare la Commissione, a torto, ma questo non sortisce i risultati sperati”. E “non può più dire, e se lo si vuole dire lo si può fare ma me ne frego in realtà , che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come erano state messe in atto in precedenza”.
Il presidente dell’esecutivo comunitario Jean Claude Juncker respinge gli attacchi del premier italiano Matteo Renzi, ricordando che Roma “ci aveva promesso di arrivare a un deficit dell’1,7% nel 2017 e ora ci propone un deficit del 2,4% a causa dei terremoti e dei rifugiati, mentre il costo si riduce allo 0,1%”. Insomma, da un lato l’Italia chiede di aumentare il disavanzo giustificandosi con le “spese eccezionali” legate a sisma e migranti, dall’altro il Documento programmatico e la legge di Bilancio mostrano che le spese effettive per le due “emergenze” sono molto inferiori rispetto alle cifre rivendicate. Tra l’altro per la ricostruzione post terremoto sono a disposizione fino a 354 milioni a valere sul Fondo di solidarietà Ue, ma Palazzo Chigi non ne ha ancora fatto richiesta.
Il presidente del Consiglio ha risposto a stretto giro evocando, come sempre, la “stabilità delle scuole” contrapposta alla stabilità dei bilanci: “Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perchè una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli. Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull’edilizia scolastica non c’è possibilità di bloccarci”.
Per quanto riguarda i migranti, poi, “se i funzionari di Bruxelles vogliono che spendiamo meno”, facciano in modo che si “rispettino gli impegni presi e vedranno che il bilancio dell’Italia migliorerà ”.
Ma intanto da Roma anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, cioè l’autorità indipendente chiamata a verificare le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del governo, ha espresso dubbi sulla possibilità che Bruxelles possa dire sì all’esclusione di quelle spese dal calcolo del deficit.
Le trattative continuano: il commissario europeo agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici ha annunciato che a margine dell’Eurogruppo in corso a Bruxelles avrebbe incontrato in bilaterale il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan “per la quindicesima o sedicesima volta”, perchè “c’è ancora del lavoro da fare” per avvicinare le posizioni sulle cifre previste per la manovra per il 2017″.
Juncker: “Italia ha gonfiato i costi per sisma e migranti”
Parlando alla riunione dell’associazione del sindacato europeo (Etuc) Juncker ha ricordato ancora una volta che “l’Italia oggi, nel 2016, può spendere 19 miliardi in più, che non avrebbe potuto spendere se non avessi riformato il Patto di stabilità nel senso della flessibilità indicato”.
E ancora: “Sono del parere che la saggezza vuole che teniamo in conto i costi del terremoto e dei rifugiati, come è vero anche per la Grecia, in Italia. Ma i costi aggiuntivi delle politiche dedicate alle migrazioni e al terremoto in Italia sono lo 0,1% del Pil, mentre l’Italia ci aveva promesso di arrivare ad un deficit dell’1,7% nel 2017 ed ora ci propone un deficit del 2,4% in ragione del terremoto e dei rifugiati, quando i costi sono dello 0,1%”.
E l’Upb conferma i dubbi: “Difficile considerare eccezionale il piano antisismico. E per i rifugiati chiediamo di riconoscere l’incremento di spesa rispetto al 2011-2013”
Gli stessi dubbi di Juncker, del resto, ce li ha anche il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro. “Allo stato delle informazioni attuali, non è possibile prevedere quale sarà l’esito delle decisioni della Commissione europea”, ha spiegato in audizione sulla manovra.
Infatti “vi sono alcune difficoltà nel collocare un piano straordinario di prevenzione antisismico in un quadro di eccezionalità ai fini delle regole europee. Lo spazio richiesto (0,2 punti percentuali di pil) non comprende solo nuove risorse, ma anche l’impatto sui conti di misure adottate negli scorsi esercizi (già presenti nel bilancio a legislazione vigente) legate a più generali finalità di ristrutturazione del patrimonio immobiliare e all’efficienza energetica. Inoltre, la richiesta di esclusione per il solo 2017 non sembrerebbe coerente con la dimensione necessariamente pluriennale di un eventuale piano di prevenzione sismica”.
Quanto alle spese per i migranti, “già l’anno scorso la Commissione ha riconosciuto che si tratta di un evento eccezionale. Sull’evento non ci sono dubbi, i dubbi sono sulla spesa”.
Ma “nel documento italiano si chiede di riconoscere non l’incremento di spesa rispetto al periodo precedente ma rispetto al periodo 2011-2013. Questo fa una enorme differenza. Se prendiamo la differenza tra il 2016 e il 2017 è molto più modesta”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
“SVANTAGGI PER LE PICCOLE IMPRESE, LEGARE LE MISURE ALL’ISEE, DUE QUINTI DEI PENSIONATI PIU’ POVERI PENALIZZATI DALLE DETRAZIONI, NULLA PER LA POVERTA’ DEI GIOVANI”
Gli interventi a sostegno della famiglia ”sono di modesta entità , frammentari e non selettivi dal
punto di vista dei mezzi”.
Non è “il massimo dell’equità ” l’aumento delle detrazioni per i pensionati, che va soprattutto a vantaggio dei più ricchi. Servono un “più esteso riferimento, nella definizione delle misure, alle condizioni economiche complessive” indicate dall’Isee, e interventi più “organici e coordinati” su pensioni e lotta alla povertà .
Quanto alla riduzione delle tasse per le imprese, a ricavarne benefici sono soprattutto le più grandi, a dispetto delle promesse del premier alle pmi.
A mettere il sigillo a tutti i dubbi sull’equità della legge di Bilancio per il 2017 firmata Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan arrivano ora i giudizi di Istat, Bankitalia, Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di Bilancio, i cui rappresentanti sono stati auditi lunedì nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
“Per le famiglie interventi di modesta entità ”
Gli interventi a sostegno della famiglia ”sono di modesta entità , frammentari e non selettivi dal punto di vista dei mezzi”, ha detto il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro. Inoltre andrebbero ad “affiancare e talvolta a sommarsi a misure già esistenti, sottraendo risorse al raggiungimento di finalità non ancora assolte”.
Anche le misure in ambito pensionistico, tra cui l’introduzione dell’Ape e l’estensione della quattordicesima, “affrontano in modo specifico alcune situazioni di emergenza ma al di fuori di un disegno organico”.
Del resto, secondo Pisauro, tutta la manovra si caratterizza per “la presenza di alcuni interventi di ampia portata (in particolare a sostegno degli investimenti privati) e molte misure frammentarie destinate a finalità diverse difficilmente riferibili a un disegno organico di politica economica”.
Istat: “Effetto delle detrazioni meno importante nei due quinti più poveri”
“Le detrazioni fiscali non sono il massimo dell’equità ”, ha detto il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva.
“L’aumento delle detrazioni Irpef per i pensionati risulta avere effetti meno importanti nei due quinti più poveri, sia in termini di quota di spesa totale, sia di beneficiari (in valore assoluto e in percentuale)”.
Questo a fronte del fatto che il combinato disposto tra aumento della quattordicesima e delle detrazioni Irpef e ampliamento della no tax area per i pensionati, nel loro insieme, “innalzano di un miliardo di euro il reddito delle famiglie” con uno o più componenti pensionati.
Secondo Alleva “l’aumento della quattordicesima risulta concentrato nella parte meno ricca della popolazione: più dell’80% della maggiore spesa è destinato a individui che appartengono a famiglie nei primi tre quinti di reddito equivalente e soltanto il 4,5% all’ultimo quinto”.
La misura, ha spiegato, interessa complessivamente “il 5,2% della popolazione totale, pari a circa 3,1 milioni di persone, con un beneficio medio di 250 euro”. Tuttavia c’è un problema di fondo: “I giovani sono oggi una delle categorie più svantaggiate: si tratta di generazioni che, spesso, dopo anni di istruzione e formazione, faticano a inserirsi nel mercato del lavoro, con ricadute che interessano i comportamenti, le condizioni economiche, le scelte riproduttive e di vita”. E per loro c’è poco o nulla.
Bankitalia: “Tener presente che la povertà è aumentata soprattutto nelle fasce giovani”
Sul capitolo pensioni e sul sostegno alla povertà bisogna mettere in campo misure “il più organiche possibile” e gli interventi devono essere “coordinati per evitare che ci siano sovrapposizioni” e fasce che restano ”scoperte”, ha sottolineato il vice direttore generale di Bankitalia Luigi Federico Signorini.
Dopo aver commentato l’introduzione della flessibilità in uscita attraverso l’anticipo pensionistico, Signorini ha aggiunto che “altre misure contenute nella manovra hanno una natura ibrida, in parte assistenziale e in parte previdenziale. Per quanto ne siano apprezzabili le finalità , ne andrebbe meglio chiarita, in prospettiva, la relazione con altre forme di sostegno a situazioni di disagio o di bisogno e il modo in cui si inquadrano nel sistema definito dalle riforme pensionistiche”.
E, “nello stabilire le priorità nell’ambito della spesa assistenziale, andrebbe considerato il fatto che negli ultimi anni — a seguito della crisi economica che ha inciso soprattutto sui redditi da lavoro mentre quelli da pensione sono rimasti pressochè stabili — l’incidenza della povertà assoluta è rimasta sostanzialmente invariata tra gli anziani, mentre è quasi raddoppiata nel complesso della popolazione: oggi l’incidenza della povertà tra coloro che hanno almeno 65 anni è di circa il 4 per cento, mentre è di quasi l’11 tra i minori“.
Corte dei Conti: “Tener conto delle condizioni economiche espresse dall’Isee”
“I limitati margini finanziari per interventi a sostegno delle famiglie e delle situazioni di disagio consiglierebbero un più esteso riferimento, nella definizione delle misure, alle condizioni economiche complessive” indicate dall’Isee, ha auspicato il presidente della Corte dei Conti Arturo Martucci di Scarfizzi in audizione, sottolineando che si tratta “di uno strumento importante per consentire di orientare al meglio le risorse disponibili”.
“La manovra avvantaggia le grandi imprese e lascia fuori le piccole” — Sul fronte degli interventi per le aziende, a fare il bilancio finale degli interventi messi in campo dalla manovra è stata ancora l’Istat.
“Complessivamente il 57% delle imprese risulta avvantaggiato dalla combinazione” tra riduzione dell’Ires, proroga del superammortamento e riduzione dell’Ace, cioè “i tre principali interventi” sulla tasse per le imprese.
Ma a trarne vantaggio sono soprattutto le grandi: “L’effetto combinato implica una leggera redistribuzione del carico fiscale a vantaggio delle grandi imprese, di quelle strutturate, delle esportatrici e di quelle ad alta intensità tecnologica e di conoscenza”. In particolare “il beneficio varia tra il circa il 9,3% delle imprese fra 1 e 9 addetti e il 13,2% delle imprese con 500 e più addetti“.
“Noi”, ha chiosato Alleva, “facciamo una analisi che supporta il Parlamento nel comprendere se, in una logica di scelte, si coinvolgono i soggetti voluti. C’è un vantaggio maggiore per le controllate estere (che rappresentano una parte cospicua delle grandi imprese, maggiormente avvantaggiate, ndr) piuttosto che le altre. Ma bisogna considerare che in termini assoluti offrono il maggior contributo al gettito fiscale, quindi bisogna considerare il quadro complessivo”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
I GIUDIZI DELL’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO, DELLA CORTE DEI CONTI E DI BANKITALIA: “RECUPERO DI 4,3 MILIARDI DI EVASIONE FISCALE E’ ELEMENTO INCERTO”
“L’effetto sull’equilibrio dei conti non è privo di rischi. Non tanto per l’incremento delle spese in conto capitale in disavanzo, quanto per l’assunzione di impegni permanenti dal lato delle spese correnti (in particolare per le pensioni e il pubblico impiego) compensati solo in parte da entrate permanenti e certe”.
Infatti le misure una tantum, dalla voluntary disclosure alla rottamazione delle cartelle di Equitalia passando per le altre misure di contrasto all’evasione e il rinnovo delle concessioni sulle frequenze, “costituiscono circa metà delle maggiori entrate nette (complessivamente 6,3 miliardi)”.
E si tratta di entrate tutt’altro che sicure: in particolare il gettito della voluntary bis “rischia di essere sovrastimato, tenuto conto che i criteri di adesione risultano sostanzialmente invariati rispetto alla prima edizione, mentre dalla sanatoria sono esclusi i soggetti che hanno ne hanno già usufruito”.
E’ stato lapidario il giudizio del presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) Giuseppe Pisauro, in audizione alla Camera sulla legge di Bilancio e il decreto fiscale collegato.
Ma anche il presidente della Corte dei conti Arturo Martucci di Scarfizzi e il vicedirettore generale di Bankitalia Luigi Federico Signorini, pur con diverse modulazioni, non hanno mancato di evidenziare che le coperture della manovra per il 2017 sono ballerine e tutt’altro che sicure.
Ufficio parlamentare bilancio: “Ipoteca notevole sul quadro di finanza pubblica”
Duro il verdetto del numero uno dell’Upb, entrato in rotta di collisione con il governo già in occasione della presentazione dell’aggiornamento del Def. Pisauro ha affermato che la prevalenza di coperture legate al recupero dell’evasione fiscale pone “una ipoteca notevole sul quadro di finanza pubblica” e la manovra comprende “molte misure frammentarie destinate a finalità diverse difficilmente riferibili a un disegno organico di politica economica”.
Di conseguenza “il giudizio complessivo” sulla manovra “è nell’intervallo dell’accettabilità ma con dei rischi”.
Peraltro “il mantenimento della clausola sull’Iva“, la cosiddetta clausola di salvaguardia, “e il suo rafforzamento nel 2019 con la finalità di garantire la tenuta dei conti rendono difficile identificare gli obiettivi della programmazione di bilancio di medio termine”.
Non basta: la rottamazione delle cartelle, “consentendo ai contribuenti di estinguere il debito di imposta al netto di sanzioni e interessi di mora, finisce per premiare i contribuenti meno meritevoli e per questa via può contribuire a indebolire il senso di obbedienza fiscale della platea dei contribuenti”.
Bankitalia: “Alto grado di incertezza su introiti da lotta a evasione”
“Le misure con effetti temporanei rappresentano circa i due terzi del maggior gettito atteso nel 2017″, ha fatto i conti Signorini, mentre dalla spending review arriverà solo “un decimo delle coperture per il prossimo biennio”.
“Secondo le valutazioni ufficiali, il complesso delle misure in tema di evasione e di recupero del gettito“, dalla rottamazione delle cartelle alla riapertura dei termini per l’emersione dei capitali nascosti al fisco, “produrrà maggiori entrate per 6,4 miliardi nel 2017, 5,9 nel 2018 e 4,3 nel 2019”.
“Queste somme rappresentano più della metà delle maggiori entrate previste per il biennio 2017-18, e oltre il 40 per cento per il 2019. Rispetto alle stime di interventi di altra natura, la valutazione del gettito derivante dal contrasto all’evasione ha un grado di incertezza superiore”.
Al contrario la revisione e razionalizzazione della spesa si attesta a “quasi un miliardo nel 2017 e oltre 1,5 miliardi nel 2018” tra tagli ai ministeri per “circa 0,7 miliardi l’anno e minori stanziamenti per il servizio sanitario nazionale per circa un miliardo nel 2018″.
Si tratta di appena “un decimo delle coperture per il prossimo biennio”, e si noti che la fetta più grossa arriva appunto dalle minori risorse alla sanità .
Corte dei Conti: “Elementi di problematicità , limitato il ruolo della spending review”
Martucci di Scarfizzi è stato più netto: “Sul fronte delle coperture emergono taluni elementi di problematicità che inducono a qualche approfondimento”, ha esordito il presidente dei magistrati contabili, osservando che “le risorse derivanti dalle misure di contrasto dell’evasione fiscale disposte con il DL 193/2016” sono quantificate in “oltre 4,2 miliardi nel 2017 e nel 2018 e 3,3 miliardi nel 2019” e “oltre il 30 per cento delle maggiori entrate è derivante da misure una tantum quali la voluntary disclosure e l’asta per i diritti d’uso delle frequenze a banda larga“.
Al contrario “il ruolo assegnato alla riduzione della spesa è limitato“.
Peccato, ha ammonito, che la Corte abbia “in diverse occasioni richiamato i limiti dei mezzi di copertura affidati al contrasto dell’evasione, che per loro natura scontano margini di incertezza e ma si rapportano a maggiori spese o a sgravi fiscali certi“.
La conclusione è che “le scelte operate con la legge di bilancio si muovono su un terreno oggettivamente difficoltoso poichè, nel passato non sempre i risultati sono stati all’altezza delle attese“.
Martucci di Scarfizzi ha rincarato la dose spiegando che uno dei pilastri del “nuovo corso” promesso dal governo contro l’evasione fiscale, cioè la discussa trasmissione trimestrale delle fatture Iva, potrebbe sì “incidere in modo strutturale sull’azione di contrasto all’evasione”, ma “l’esclusione da tali novità del settore delle vendite al dettaglio non consente di intercettare l’evasione che avviene a valle del processo di produzione e di distribuzione dei beni e dei servizi”.
Per quanto concerne i 2,7 miliardi attesi dalla rottamazione delle cartelle, “occorre chiedersi quali saranno le modalità di copertura delle spese di funzionamento della ‘nuova’ riscossione (circa un miliardo per metà rappresentate dal costo dei circa 8mila dipendenti), fin qui coperte dal sistema di aggi e rimborsi che tanto peso hanno avuto nello scioglimento di Equitalia.
Così come occorre verificare in quale misura la ‘nuova’ funzione di riscossione potrà contare sugli adeguati poteri in linea con le migliori pratiche internazionali auspicate da Ocse e Fmi considerato che gli ultimi anni hanno portato ad un progressivo ridimensionamento dei poteri assicurati ad Equitalia”.
Pochi dati sui risultati delle misure anti evasione adottate in passato
Il magistrato ha poi ricordato che già nella relazione 2015 la Corte ha puntualizzato che “delle 56 misure che negli ultimi sette anni sono state intestate al contrasto all’evasione, solo per una si dispone di una puntuale consuntivazione, mentre per oltre la metà non si è in grado di avere neppure un aggiornamento delle previsioni iniziali a suo tempo definite”.
Morale: non ci sono dati che confortino riguardo alla solidità delle previsioni del governo.
Quel che è sicuro è che “nel passato non sempre i risultati sono stati all’altezza delle attese”. Sarebbe quindi opportuno “prevedere prudentemente un esame in corso d’anno“.
“Potrebbe valutarsi, poi, la possibilità di un collegamento più stretto tra maturazione delle coperture e attivazione di impegni di spesa, agendo sui tempi di avvio di determinati interventi, e in alcuni casi condizionando le realizzazioni al concretizzarsi dei gettiti attesi”.
Tutto considerato, il permanere di vincoli stringenti per la finanza pubblica consiglia “di guardare alla programmazione per il prossimo triennio con particolare attenzione e cautela”, avverte la Corte, “in un contesto che vedrà un probabile ri-orientamento della intonazione della politica monetaria e, quindi, il venir meno dei suoi positivi riflessi sul servizio del debito“.
Il riferimento è al calo degli interessi pagati dai titoli di Stato, merito del quantitative easing della Banca centrale europea, che ha comportato ingenti risparmi per le casse pubbliche.
“Necessarie risorse alternative per eliminare aumenti di Iva e accise anche nel 2018 e 2019”
Sullo sfondo resta la spada di Damocle delle clausole di salvaguardia su Iva e accise, eliminate per il 2017 ma non per gli anni a seguire.
“La diminuzione del disavanzo rispetto al 2017 avviene grazie all’attivazione delle clausole di salvaguardia, abolite per il 2017, ma confermate per il 2018 e ulteriormente inasprite per il 2019”, ha ricordato Signorini.
Visto che “parte delle coperture ha natura temporanea”, “se si vorrà in futuro evitare, come in passato, l’attivazione delle clausole di salvaguardia, sarà necessario il reperimento di risorse alternative”. E si parla rispettivamente di oltre 19 (per il 2018) e oltre 22 miliardi (per il 2019) da trovare solo per scongiurare gli aumenti.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
COME FUNZIONA LA MACCHINA ELETTORALE AMERICANA?… UN BREVE MANUALE PER SEGUIRE LA NOTTE ELETTORALE
Domani i cittadini americani andranno alle urne per eleggere il nuovo presidente, che sarà
formalmente eletto il 12 dicembre ed entrerà in carica il 20 gennaio.
Il presidente americano infatti non si elegge direttamente, ma con un sistema chiamato «electoral college».
Ogni Stato elegge con un sistema maggioritario – chi ha un voto in più li prende tutti – un gruppo di cosiddetti «grandi elettori».
Il collegio elettorale è composto da 538 grandi elettori. Per diventare presidente, un candidato deve ottenere i voti di almeno 270 grandi elettori.
A che ora si chiudono i seggi elettorali?
Si inizia alla mezzanotte italiana, le 18 sulla costa Est degli Stati Uniti.
I primi seggi a chiudere saranno quelli di Indiana e Kentucky, dove dovrebbe essere scontata la vittoria di Trump. Se Trump dovesse perdere, allora la probabilità di un trionfo democratico sarebbe davvero molto alta.
All’una del mattino chiudono i seggi in Florida, Georgia e Virginia – tre Stati ancora in bilico – oltre che in South Carolina e Vermont, che dovrebbero essere sicuri rispettivamente per Trump e Clinton.
Dopo mezz’ora tocca a North Carolina, Ohio e West Virginia.
Alle due chiudono le urne in moltissimi Stati, molti già assegnati ma altri ancora in bilico, come Michigan, Pennsylvania e Florida.
Alle 2.30 chiuderanno le urne in Arkansas, alle 3 invece tocca ad altri Stati tra cui Minnesota, Arizona, Colorado, New Mexico, Texas e New York, alle 4 chiudono i seggi nello Utah – dove può dare qualche scossa il candidato di protesta Evan McMullin – un’ora dopo altri due swing State daranno i primi risultati: Iowa e Nevada.
Alle 4 chiudono i seggi nello Utah, alle 5 del mattino chiuderanno i seggi sulla costa Ovest, con la California.
E se nessun candidato raggiunge i 270 «grandi elettori»?
Nel caso di pareggio il presidente viene eletto dalla Camera dei rappresentanti e dal vicepresidente del Senato.
In questo caso non è detto che presidente e vice siano dello stesso partito. È un caso assolutamente raro: l’ultima volta è successo nel 1824 con John Quincy Adams,
Per cosa si vota?
Oltre che per presidente e vice, si vota anche per i 435 deputati alla Camera dei rappresentanti , e 34 senatori su 100. Si vota inoltre per:
– I governatori di 12 Stati
– I deputati di 44 parlamenti statali su 50
– I sindaci di alcune grandi città come Baltimora, Milwaukee e San Diego
– Mote cariche locali, come sceriffi e procuratori distrettuali
– In molti stati si tengono anche i referendum sulla legalizzazione della marijuana e l’aumento del salario minimo legale
Qual è il glossario minimo?
Sappiamo già chi sono i grandi elettori e come funziona l’early vote. Le altre parole da tenere a mente sono:
– Swing State battleground States
Sono gli Stati che storicamente oscillano tra democratici e repubblicani. Sono Florida, (29 grandi elettori), Ohio (18 grandi elettori), Iowa (6 grandi elettori), New Hampshire (4 grandi elettori).
A volte sono chiamati anche «Purple States», perchè, essendo neutri, non sono identificabili con il colore rosso dei repubblicani o blu dei democratici.
– Too close to call
È la formula che si usa quando, una volta chiusi i seggi, c’è equilibrio tra i candidati e non è possibile stabilire un vincitore.
– Call, leaning e tossup
I network televisivi sulla base di proiezioni, exit poll e andamenti storici, decidono un momento in cui considerano definitivo il risultato di uno Stato e lo assegnano «call» a un candidato.
Se uno Stato non può ancora essere assegnato, gli Stati possono essere definiti «tossup», cioè «testa a testa» o «in bilico» e «leaning» ovvero «inclinati verso» uno dei due candidati.
– Bellwether States
È lo «stato montone», cioè che guida il gregge, dove quasi sempre trionfa il vincitore delle elezioni generali. Il più affidabile è il Nevada, che dal 1976 ha individuato il vincitore in 9 elezioni su 10.
Nadia Ferrigo
(da “La Stampa”)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
TRUMP NON RACCOGLIE MOLTI CONSENSI NELLA POLITICA ITALIANA, NEANCHE A DESTRA
Da che mondo e mondo le elezioni americane calamitano l’attenzione e la passione della classe politica italiana, con leader e partiti pronti a schierarsi e a rivedersi, magari perdendo un poco il senso della misura, con i candidati d’oltreoceano.
Ma questa volta la passione cala, le posizioni sfumano, gli endorsement scarseggiano e salvo rare eccezioni vengono pronunciati sottovoce.
Renzi non può che schierarsi con Obama, modello politico e prezioso alleato che gli ha regalato gli onori della Dinner State a Washington, e il Partito democratico Usa.
E dunque Matteo Renzi in diverse occasioni si è apertamente schierato con Hillary Clinton, unico tra i leader europei che si è arrischiato a prendere posizione pubblicamente sul voto per la Casa Bianca.
Ma il capo del governo non si è limitato a questo, ha anche trasformato Trump nell’icona di ciò che la politica non deve essere. Per Renzi il candidato repubblicano incarna la politica della paura, dei populismi, di chi gioca con le ansie e il pessimismo degli elettori per lucrare nelle urne.
Insomma, se vincesse il tycoon newyorkese sarebbe “un disastro”.
A Trump – che Renzi vive come la versione americana di Grillo, Salvini e Le Pen – il premier concede solo l’ovvia garanzia di invitarlo al G7 che presiederà a Taormina nel giugno del 2017.
Sul fronte opposto, à§a va sans dire, Matteo Salvini, che punta tutto su The Donald. Nonostante la gaffe sull’incontro in terra americana sbandierato dal leader del Carroccio e smentito da Trump, il capo leghista annuncia che farà notte per seguire lo spoglio elettorale Usa, naturalmente tifando per il repubblicano.
I seguaci di Trump sperano che Salvini non porti la solita sfiga, visti i precedenti.
E il “putinismo” nel caso di Salvini aiuta a spiegare la posizione assunta dal numero uno della Lega sulle elezioni statunitensi.
Spiazza invece la posizione del Movimento Cinquestelle, che nonostante le ambizioni di governo si astiene anche sulle elezioni Usa.
In questo caso amicizie comuni e affinità politiche non bastano a far prendere posizione ai seguaci di Grillo.
Non è determinante il “putinismo” dei pentastellati, grandi amici del leader russo, così come la tendenza “grillina” di Trump, le cui dichiarazioni antisistema e anticasta non hanno nulla da invidiare a quelle del Movimento, non invoglia l’M5S a sposarne la causa. Anzi.
Se lo scorso aprile Beppe Grillo si era lasciato sfuggire che “forse (Trump, ndr) è meno peggio della Clinton, però se è quello che esprimono oggi gli Stati Uniti non è una cosa straordinaria”, nei mesi successivi il tema è scivolato in fondo agli argomenti trattati dalla pattuglia cinquestelle.
Ora il tema diventa ineludibile e il deputato Manlio Di Stefano, specialista in affari esteri del Movimento, guida di Luigi Di Maio nelle trasferte all’estero nonchè già ospite al congresso di Russia Unita, il partito di Putin, la spiega così: “Mi suiciderei piuttosto che votare uno di quei due, uno gli rovinerebbe la vita internamente, l’altra li porterebbe alla terza guerra mondiale”.
E il mezzo endorsement di Grillo a Trump allora? I grillini lo spiegano così: “Pensava più all’aspetto di rottura, come quando mette sul blog Orbà n enfatizzando gli aspetti di rottura, ma non perchè condivida quell’impostazione.”
Insomma, si aspetta di vedere chi vince per schierarsi.
A sorpresa anche Silvio Berlusconi e Forza Italia non hanno le idee chiare e non basta la comune amicizia con Putin a spostare l’ex premier su Trump.
Così come la lusinga di essere descritto come modello del Tycoon americano non ha convinto Berlusconi a sposarne la candidatura.
Al contrario, le uniche parole pubbliche dell’ex Cavaliere sulle elezioni americane, pronunciate sei mesi fa, recitano: “Trump è un incrocio tra Grillo e Salvini, mi stupisce che la prima democrazia del mondo non sia stata in grado di mettere in campo protagonisti migliori”.
Dunque l’ex premier “tradisce” lo storico alleato rappresentato dal partito repubblicano? Sì, ma non del tutto, perchè per Berlusconi schierarsi con Hillary è complicato, vuoi per l’appartenenza assimilabile al centrosinistra dell’ex segretario di Stato, vuoi per le legnate che l’aministrazione democratica nel 2010 ha regalato all’allora presidente del Consiglio tramite Wikileaks ed al recente racconto nel quale Hillary ironizzava su un Berlusconi in lacrime nel momento in cui lei si scusava per la gaffe diplomatica.
E così anche Forza Italia appare disorientata dalla mancata presa di posizione del leader e dalla rottura con gli amici repubblicani.
Da un lato Brunetta parla di “candidati poco credibili” e confida che le istituzioni Usa siano capaci di trasformare in un buon presidente chiunque venga eletto, dall’altro Giovanni Toti si schiera con Trump: “Spero che vinca lui, la Clinton sarebbe fallimentare”.
Povero Toti, come si è ridotto per mantenere lo stipendio da governatore della Liguria, un vero maggiordomo della Lega.
(da agenzie)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
OBAMA COMMENTA: “SE TWITTA ALLE TRE DI NOTTE SOLO PERCHE’ UN GIORNALE LO CRITICA, FIGURARSI SE SAPREBBE GESTIRE NUCLEARE”
Troppi tweet esagitati. Lo staff di Donald Trump toglie al candidato repubblicano la gestione
dell’account Twitter.
Lo riporta il New York Times in un articolo sottolineando che il candidato repubblicano usava il profilo in “maniera colorita e spesso controproducente”. L’articolo della testata newyorkese riassume gli ultimi giorni di campagna presidenziale sottolineando la gestione un po’ confusa dei suoi collaboratori, i contrasti e il fatto che lo staff gli abbia tolto “finalmente” la gestione di Twitter.
A poche ora dalla fine di una delle battaglie per la Casa Bianca più accese di sempre, lo staff del tycoon prende qualsiasi precauzione.
La decisione nasce dalla preoccupazione che l’imprenditore possa scrivere qualcosa di “inappropriato”, che potrebbe costargli qualche voto.
Per il Nyt si tratta di un modo per togliere a Hillary una delle “armi più potenti” dei suoi comizi: gli insulti o le dichiarazioni di “cattivo gusto” che Trump dispensa sulla rete.
Pronta la risposta del presidente uscente. “Se qualcuno non sa gestire un account Twitter, figuriamoci i codici nucleari”, commenta Barack Obama.
“Apparentemente – continua Obama durante un comizio in Florida – la campagna gli ha tolto il suo Twitter. Negli ultimi due giorni, hanno avuto così poca fiducia nel suo self-control, che gli hanno detto: ‘Ti togliamo il tuo profilo’. Ora se qualcuno non sa gestire un account, figuriamoci i codici nucleari. Se qualcuno inizia a twittare alle tre di notte perchè SNL (Saturday Night Live, la trasmissione tv satirica con Alec Baldwin che impersonifica un Trump più vero del vero) ti prende in giro, non è in grado di gestire i codici nucleari”.
Intanto Hillary Clinton avrebbe tre punti di vantaggio a livello nazionale su Trump, nel sondaggio finale condotto da Bloomberg, pubblicato alla vigilia dell’election day. La rilevazione assegna il 44% delle intenzioni di voto alla candidata democratica per la presidenza contro il 41% per il rivale repubblicano.
Il sondaggio è stato effettuato tra venerdì sera e domenica pomeriggio, concludendosi prima che l’Fbi annunciasse di non aver trovato elementi per aprire una nuova indagine sul ‘caso email’ riguardante Clinton. Quindi il vantaggio della Clinton sarebbe destinato ad aumentare.
Dal sondaggio emerge che la candidatura di Trump si basa con forza sul sostegno che si è guadagnato negli Stati meridionali, mentre Clinton è in vantaggio nel Midwest, nel nordest e sulla costa occidentale degli Stati Uniti.
Clinton ha 15 punti di vantaggio tra le donne e tra gli under 35, 37 punti di margine tra gli elettori non bianchi, 25 punti tra i latinoamericani e 15 punti tra i laureati. Trump ha 8 punti di vantaggio tra i non laureati, 25 punti di margine tra i bianchi e 30 punti tra gli abitanti delle zone rurali.
Il vantaggio di Hillary Clinton è confermato anche da un nuovo sondaggio condotto da Cbs News. Secondo l’inchiesta, svolta tra il 2 e il 6 novembre interpellando 1.753 elettori americani, la candidata democratica guida con il 45% delle preferenze contro il 41% del repubblicano.
Per la Cnn Hillary Clinton è in testa in New Hampshire e Pennsylvania, due Stati decisivi per garantirle la conquista della Casa Bianca, ma che venivano considerati in bilico nei giorni scorsi.
In New Hampshire Clinton ha tre punti di vantaggio, 44% contro 41%, mentre un sondaggio dell’Università statale gliene dava addirittura 11 ieri. In Pennsylvania sempre secondo l’emittente di Atlanta, Clinton ha cinque punti di vantaggio, 47% contro 42%.
(da “agenzie”)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
RACCOLTA DI FIRME PER GIUDICARE L’OPERATO DEI 5 CONSIGLIERI REGIONALI GRILLINI CONSIDERATI “POCO TRASPARENTI”… FONDI PER GLI ALLLUVIONATI MAI ARRIVATI
Il sentimento di rivolta ribolle sotto le acque della Laguna.
Da mesi si susseguono riunioni e assemblee non ufficiali alle quali partecipano centinaia di attivisti veneti del Movimento 5 stelle.
Al centro dei loro pensieri più neri ci sono i cinque consiglieri grillini eletti in Regione, rei — dicono — di aver tradito uno dei valori fondanti del Movimento: la trasparenza.
Per i cinque, i frondisti hanno avviato una raccolta firme per il «recall», vale a dire la possibilità di istituire una votazione con cui giudicare l’operato dei propri consiglieri ed eventualmente ottenerne la rimozione prima che termini il mandato.
Sarebbe il primo recall della storia del Movimento.
Le voci sempre più alte del dissenso interno arrivano fino alle orecchie di Beppe Grillo.
Il leader segue da lontano il successo della raccolta firme e prima che si arrivi a quota 500, sufficiente ad attivare il voto, decide di intervenire nello scontro.
Il rischio che il caso possa deflagrare a livello nazionale è alto.
Da Genova arrivano ai frondisti poche telefonate ma con una richiesta precisa: «Ho capito i vostri problemi e troveremo una soluzione – rassicura Grillo – Ora, però, state tranquilli. Abbiamo cose più importanti a cui pensare».
La reazione è quella sperata. Si prende tempo e viene siglata una fragile tregua.
«Lo sappiamo benissimo che nei pensieri di Beppe ora c’è il referendum costituzionale – spiega uno degli attivisti che preferisce mantenere l’anonimato – ma se l’attesa sarà troppo lunga, faremo le nostre valutazioni. Siamo pronti ad abbandonare il Movimento».
Deposte le armi, resta evidente la scollatura tra la base e i vertici.
E in questi giorni tornano ad essere numerosi i messaggi sui social e nelle chat interne dove tengono banco i temi del dissenso.
Primo fra tutti, il mancato arrivo dei soldi raccolti e destinati alle famiglie colpite dal tornado in Riviera.
Il fondo, accusano dai Meet up, sarebbe ancora fermo sul conto corrente gestito da uno dei consiglieri, Simone Scarabel.
Conto che sarebbe riconducibile ad una «Associazione Movimento 5 stelle Veneto», di cui Scarabel è il tesoriere, creata da quattro dei cinque consiglieri regionali e che, nel suo statuto, prevede «la possibilità di raccogliere tra i soci e i non soci, fondi, riserve o capitale».
La questione, distante secondo gli attivisti dal valore della trasparenza, è motivo di altri mal di pancia.
Prima di Grillo, avrebbe tentato di sedare il malcontento anche il referente del Movimento in Veneto, l’europarlamentare David Borrelli, «chiedendo ai consiglieri di evitare altri passi falsi e di riferirsi a lui prima di prendere delle decisioni. Praticamente li ha commissariati», riferisce un altro attivista.
Anche lui, come gli altri, chiede di mantenere il riserbo sulla sua identità : «C’è quasi il terrore a fare il proprio nome. La deriva che sta prendendo il Movimento a molti di noi non piace e vorremmo aiutarlo a tornare sulla strada originaria, ma se uscissimo allo scoperto riceveremmo insulti, attacchi informatici e persino minacce.
È già successo», racconta. «Così, ci lamentiamo tra di noi, sempre con la premessa di non farlo sapere in giro. Nel Movimento, chi non segue il pensiero unico, vive nella paura».
Federico Capurso
(da “La Stampa”)
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