Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
IN PIAZZA ROSSA PER IL SOLITO SPOTTONE FOTOGRAFICO SROTOLA UN MANIFESTO “RENZI A CASA”, MA NELLA DEMOCRATICA RUSSIA DEL SUO AMICO PUTIN E’ VIETATO SENZA AUTORIZZAZIONE
“Arrestato per il Milan!”. Matteo Salvini si è messo a scherzare quando questa mattina, in Piazza Rossa, ha visto arrivare verso di lui alcuni agenti della polizia russa, dopo che si era fatto fotografare “per il figlio” con la maglietta del Milan, in puro stile Fantozzi in gita aziendale.
A far scattare l’allarme delle forze dell’ordine, che pattugliano regolarmente il punto più sensibile della capitale, era stato il fatto che poco prima Salvini aveva srotolato un manifesto piuttosto vistoso.
“Io voto No – c’era scritto – a dicembre Renzi a casa”.
In queste ore il leader della Lega Nord si trova, infatti, a Mosca per far valere le ragioni del No al referendum sulle riforme costituzionali del prossimo 4 dicembre. Un’occasione per spiegare agli italiani che vivono all’ombra del Cremlino perchè votare contro le riforme di Renzi..
La legge russa, però, vieta di esporre striscioni con slogan politici senza previa autorizzazione.
E così la polizia ha chiesto spiegazioni a uno dei membri della delegazione leghista, l’imprenditore italiano, che lavora in Russia, Bruno Giancotti, il ragionier Filini della situazione.
Prima di srotolare lo striscione in Piazza Rossa Salvini aveva incontrato alcuni deputati alla Duma, la Camera bassa del Parlamento russo.
Si era poi diretto in Piazza Rossa per le foto di rito.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
AI DELEGATI GRILLINI AMPIO SPAZIO DALL’AGENZIA DI STATO, SALVINI SOLO CONTATTI CON QUALCHE DEPUTATO, VALENTINI DA SEMPRE AMBASCIATORE DI SILVIO… L’INTERESSE DI PUTIN A DESTABILIZZARE L’EUROPA
L’Internazionale populista in Europa ha trovato il suo leader: Vladimir Putin.
Uno degli effetti della vittoria di Donald Trump è stato rianimare le forze anti-establishment del Vecchio Continente, tutti interlocutori in cerca di amicizia con l’uomo forte del Cremlino. Tra loro, diversi partiti anche in Italia, dove sembra essere esplosa la moda del putinismo.
Il viaggio a Mosca dei 5 Stelle, accolti dall’agenzia di Stato Ria Novosti, ha scatenato il corri corri verso Mosca.
A breve arriverà Valentino Valentini, uno di casa da queste parti, da sempre ambasciatore per conto di Silvio Berlusconi presso Putin, che con l’ex Cav non ha mai interrotto il dialogo.
Ufficialmente i 5 Stelle sono sbarcati per un evento del comitato del No al referendum degli italiani di Russia. Per lo stesso motivo oggi è qui Matteo Salvini.
Tra i putiniani d’Italia il leader della Lega è forse quello più appassionato. Attraverso il suo emissario in terra russa, l’ex deputato Claudio D’Amico, Salvini aveva contattato gli stessi organizzatori dell’incontro con i 5 Stelle. E di fronte al loro rifiuto non ha demorso.
Il capo del Carroccio è voluto esserci a tutti i costi prima del voto
In missione a Mosca, per la quarta volta in due anni, Salvini, a differenza dei grillini, sfrutta il viaggio per ritrovare i vecchi amici di Russia Unita, il partito del presidente. Vedrà una delegazione, casomai si fossero scordati che è lui il primo figlio di Putin in Italia, non i grillini.
Sono tutti protagonisti di un domino geopolitico che trova in Putin uno spettatore e un attore interessato.
Per smontare le architravi europee e spostare l’asse verso l’Unione Eurasiatica a guida russa, lo zar soffia sulla rabbia antiglobalizzazione che ha travolto Hillary Clinton e e ha trascinato i britannici verso la Brexit.
I partiti populisti ovunque e spesso hanno il sostegno dei russi.
Con alcuni paradossi anche: perchè le stesse voci che da Mosca si alzano sdegnate contro «le milizie fasciste» che ci sarebbero dietro le rivolte di Maidan in Ucraina, sono spesso quelle che difendono le simpatie tra il Cremlino e partiti xenofobi e di estrema destra.
Secondo fonti di intelligence americane citate dalla stampa inglese, la Russia addirittura starebbe condizionando molti partiti europei.
Come? Finanziandoli? Non ci sono le prove.
Ce ne sono ampiamente invece della visibilità offerta al M5S e alla Lega su tutto il network mediatico che da Russia Today a Ria Novosti a Sputnik ruota attorno a Putin. Oltre che delle attenzioni e dell’accoglienza che la diplomazia russa riserva ai 5 Stelle. A Mosca, come a Roma, dove a giugno, durante il ricevimento all’ambasciata russa, è stato notato come un ospite più degli altri ricevesse gli onori di casa: il grillino Alessandro Di Battista, contento per la vittoria di Roma.
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
GRILLO CHIEDE TARDIVAMENTE AGLI INDAGATI UN PASSO INDIETRO
Otto parlamentari e attivisti del Movimento 5 Stelle sono indagati con l’accusa di violazione del testo unico 570 del 1960, per la vicenda delle firme false a sostegno della lista presentata nel 2012 alle elezioni comunali di Palermo.
Saranno interrogati dalla settimana prossima, dal pool coordinato dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e dal pm Claudia Ferrari, che si avvalgono delle indagini svolte dalla Digos. Lo riporta l’agenzia di stampa Agi.
È stato l’incrocio delle dichiarazioni dei tre testimoni poi divenuti indagati – la deputata regionale Claudia La Rocca, che ha ampiamente collaborato, e due attivisti, che hanno fatto una serie di ammissioni – con quelle del superteste Vincenzo Pintagro e con il disconoscimento delle firme da parte di coloro che avevano appoggiato la lista, a indurre la Procura a sentire le versioni di coloro che materialmente avrebbero coordinato le operazioni di ricopiatura, la notte del 3 aprile 2012, dopo che gli attivisti grillini si erano resi conto dell’errore materiale su un luogo di nascita di un candidato.
Nel timore che tutto si perdesse e che la lista fosse respinta dal Tribunale, competente a vagliare la regolarità formale degli atti, fu decisa la sostanziale falsificazione delle firme, cosa ammessa da numerosi dei presenti.
Chi indaga, visto che la lista non ottenne nemmeno un consigliere comunale, ipotizza però che una serie di persone si sarebbero giovate comunque dei falsi, perchè la candidatura alle elezioni comunali, secondo le regole dettate dal leader e garante politico del Movimento, Beppe Grillo, consentiva di candidarsi successivamente alle elezioni regionali e politiche, in cui il sistema elettorale ha consentito a una serie di militanti di diventare deputati e senatori.
La La Rocca, che ha annunciato ai compagni del M5S di volersi sospendere, ha chiamato in causa chi avrebbe copiato assieme a lei: fra gli altri, Claudia Mannino, Samantha Busalacchi, Loredana Lupo e ha detto che il candidato sindaco di Palermo, Riccardo Nuti, sapeva.
Dalla sua e dalle altre audizioni sono venuti fuori pure, come presenti o più o meno partecipi e consapevoli, fra gli altri, i nomi di Giulia Di Vita e Chiara Di Benedetto.
Tutti, a parte la Busalacchi, sono stati eletti nel Parlamento nazionale.
La consapevolezza e l’ “uso” degli atti falsificati possono giustificare la contestazione del reato. E proprio riguardo alla consapevolezza, è giallo sul fatto che Grillo fosse stato o meno informato delle intenzioni della La Rocca di parlare con gli inquirenti: secondo indiscrezioni, la parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana avrebbe telefonato al leader prima di andare dai pm.
Il fondatore dei Cinque Stelle ha negato però la circostanza.
Tra i candidati al Comune di Palermo e che poi, proprio grazie a questa candidatura, fu inserita come gli altri nella lista presentata nel 2013 alla Camera, c’ era anche Azzurra Cancelleri, sorella del candidato presidente della Regione (nel 2012 e oggi) grillino, Giancarlo Cancelleri.
La donna fu poi eletta alla Camera, nel 2013.
Al leader siciliano del M5S, vicino a Luigi Di Maio, mercoledì sentito come testimone in Procura, è stato chiesto se la sorella fosse a Palermo, nei convulsi giorni della presentazione della lista e della ricopiatura delle firme.
E lui ha risposto di no: “Noi viviamo a Caltanissetta”.
La mossa tardiva di Grillo
“Chiediamo a tutti gli indagati nell’inchiesta di Palermo di sospendersi immediatamente dal MoVimento 5 Stelle non appena verranno a conoscenza dell’indagine nei loro confronti a tutela dell’immagine del Movimento e di tutti i suoi iscritti”. E’ quanto chiede il blog di Beppe Grillo in un post scriptum appena pubblicato.
“L’avvenuta sospensione – viene chiarito sul blog – deve essere comunicata attraverso una mail all’indirizzo listeciviche@movimento5stelle.it”.
Nel pomeriggio il primo effetto concreto: la deputata regionale Claudia La Rocca, che ha collaborato con i pm autoaccusandosi di avere copiato le firme, si è autosospesa.
E Matteo Renzi va all’attacco: “Pensate a quelli che volevano scardinare tutto e ora – dice il premier – sono a difendere le firme false. Gridavano ‘onestà , onestà ‘ e ora hanno cambiato due lettere: omertà , omertà ‘”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
SEQUESTRATI CONTI CORRENTI PER 2 MILIONI DI EURO…GDF: “600.000 EURO TRAMITE BARE FISCALI”… LA MELONI NON COMMENTA
Un vortice di fatture sospette, di passaggi di soldi tra società decotte, di bilanci truccati.
Ancora una volta il Latina calcio al centro delle indagini, con il suo presidente Pasquale Maietta che — dopo la richiesta di arresto inviata nei giorni scorsi alla Camera — si trova ora ad affrontare un nuovo guaio giudiziario.
Questa volta le indagini sono condotte dalla Guardia di finanza di Latina, che ha eseguito un decreto di sequestro preventivo di conti correnti per 2 milioni di euro.
Una costola nata dall’inchiesta “Olimpia”, arrivata ad una prima conclusione lunedì scorso con 16 arresti.
Di conti Maietta se ne intende. E’ un commercialista molto noto a Latina, dove gestisce i bilanci di decine di società di media importanza.
Per Fratelli d’Italia, nelle cui fila è stato eletto deputato nel 2013, gestisce i conti del gruppo della Camera dei deputati.
E’ infine uno dei soci di riferimento del Latina calcio, società sportiva entrata in serie B tre anni fa, che ora si trova al centro di una serie di inchieste. Sarebbe lui “l’ideatore e l’organizzatore” di una serie di operazioni sospette — secondo gli investigatori della Guardia di finanza — che vedono come terminale la società di calcio.
Il nuovo filone vede tra gli indagati — oltre a Maietta — Paola Cavicchi, imprenditrice e socia del Latina Calcio, un giovane avvocato, Fabrizio Colletti, il commercialista Salvatore Di Raimo e alcuni prestanomi utilizzati, secondo l’accusa, nelle operazioni finanziarie sospette.
L’indagine è nata da due segnalazioni dell’ufficio antifrode dell’Agenzie delle entrate (una del dicembre 2015 e l’altra del gennaio 2016) attivato a sua volta nel corso delle indagini dell’operazione “Olimpia”.
Pasquale Maietta e Paola Cavicchi vengono accusati, tra l’altro, di aver predisposto un aumento di capitale del Latina calcio solo apparente: i 600mila euro versati — spiegano i finanzieri — nel 2014 per ricapitalizzare la società poco prima dell’iscrizione al campionato di serie B sarebbero poi ritornati ai due soci attraverso alcuni passaggi tra conti correnti.
Per la procura — l’indagine è stata affidata ai pm Claudio De Lazzaro e Luigia Spinelli — la società sportiva avrebbe poi ricevuto soldi fuori dalla contabilità ufficiale attraverso il ricevimento di fatture per operazioni inesistenti, realizzate da alcune società gestite contabilmente dallo stesso Pasquale Maietta.
In alcuni casi il parlamentare di Fratelli d’Italia avrebbe utilizzato — secondo l’accusa — società decotte (definite nel provvedimento come “bare fiscali”, ditte ormai arrivate sull’orlo del fallimento) come contenitori per fare transitare diverse centinaia di migliaia di euro verso i conti del Latina calcio.
In un caso, ad esempio, una cooperativa in difficoltà finanziaria, amministrata da un cittadino polacco senza una specifica professione, con diversi precedenti di polizia (e che, secondo gli elenchi pubblicati sul sito della provincia di Latina, aveva anche chiesto negli anni scorsi di accedere ad alcuni contributi per disoccupati), inviava circa 600 mila euro al Latina calcio per l’acquisto di quote della squadra.
Un’operazione senza un senso imprenditoriale per i finanzieri, che tra l’altro si concludeva senza un rilascio di azioni del Latina calcio.
Appena 11 giorni dopo il bonifico a favore della squadra, la cooperativa — la Edil Service soc. coop. — veniva messa in liquidazione, trasferendo la sede sociale da Latina a Roma.
Dall’analisi dei flussi realizzata dagli investigatori della finanza si è scoperto che quella cifra di oltre 600 mila euro era in realtà partita da un’altra società di trasporti, riconducibile ad un imprenditore del settore di Latina (soggetto che non risulta al momento indagato).
Con questo filone d’indagine la posizione di Pasquale Maietta si aggrava, dopo la richiesta di arresto inviata dal Gip di Latina alla giunta per le autorizzazioni a procedere.
IlFattoQuotidiano.it ha chiesto un commento sul caso a Giorgia Meloni, che ha preferito non rispondere.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL NETWORK SPECIALIZZATO NEL DIFFONDERE NOTIZIE FALSE… IL WASHINGTON POST HA SCOPERTO CHE UNO DEI PRINCIPALI AUTORI DI FAKE NEWS LO FACEVA PER DENARO
In questi primi dieci giorni trascorsi dalla vittoria di Donald Trump alle Presidenziali USA in molti hanno cercato di capire come mai Trump è riuscito a sconfiggere Hillary Clinton e perchè ben pochi analisti lo avevano previsto.
Tutto questo analizzare, verificare, certificare si traduce nella ricerca di uno o più colpevoli e per il momento ne sono stati individuati due, entrambi decisamente molto consolatori per gli elettori del Partito Democratico.
Da una parte c’è il solito discorso sull’ignoranza (e il razzismo) dell’elettore di Trump, dall’altra il dibattito sulle responsibilità dei social network (se non dell’intera Internet) nella diffusione di notizie false che sono state utilizzate per alimentare il motore della campagna elettorale di Trump.
In tutti e due i casi grazie a queste due spiegazioni quelli che non hanno votato per il candidato repubblicano, o coloro che all’estero non si riconoscono nelle sue posizioni, possono tirare un sospiro di sollievo perchè qualcuno (giornalisti, esperti di Internet e trolling) hanno certificato la loro superiorità morale (e intellettuale) rispetto agli elettori e simpatizzanti di Trump che non solo sono razzisti ma nemmeno sono in grado di riconoscere il vero dal falso.
Inoltre il fatto che la responsabilità venga addossata ad quell’entità misteriosa che è l’Internet (o malvagia, come ad esempio è Facebook) contribuisce a farci sentire migliori — perchè l’uomo deve essere per forza superiore alla macchina — e impotenti al tempo stesso.
Per la serie, che ne sarà di noi ora che grazie a Facebook possono essere elette persone come Donald Trump?
Sembra sfuggire ai più — quelli che per spiegarci come funziona la macchina infernale propaganda parlano di “plebe” e citano direttamente Goebbels — che persone come Donald Trump sono state elette anche senza l’aiuto dei social network.
Fra qualche tempo forse potremo guardare con più distacco questa elezione americana e accorgerci che Trump non aveva bisogno della Rete per mentire o per inventare storie fantasiose, lo faceva già benissimo da solo perchè il suo obiettivo non era dire le cose come stanno o come avrebbero potuto essere ma intrattenere il pubblico.
In tutto questo i social network non hanno fatto altro che amplificare a dismisura (nel senso che evidentemente non siamo stati in grado di coglierne la portata) il suo messaggio.
Si è parlato molto dell’armata di troll (anche qui si ricorre ad un termine che evoca malvagità ) che ha consentito a Trump di stabilire il suo dominio sull’Internet, e qualcuno si è spinto anche più in là nello spiegarci che hacker e altri oscuri soggetti del cyberspazio erano direttamente al soldo di Trump proprio con lo scopo di inventare, pubblicare e diffondere notizie false e contenuti virali.
Se pensiamo che poco più di 15 anni fa George W. Bush è riuscito a farsi eleggere “solo” con l’aiuto di Fox News viene da sorridere.
Anche in Italia a quanto pare esiste una centrale della propaganda del genere, almeno è quello che si evince dall’inchiesta giornalistica condotta da Jacopo Iacoboni per La Stampa che ha sostenuto di aver trovato nell’account Twitter di una certa Beatrice Di Maio la prova che la Struttura Delta della Casaleggio Associati utilizza degli account per fare propaganda su Twitter.
È interessante notare che l’esistenza della Struttura Delta, una sorta di “staff dello Staff” è stata rivelata a Iacoboni da un ex Casaleggio, Marco Canestrari.
Forse anche su quello ci sarebbe da indagare, magari come ha fatto il Washington Post che è andato ad intervistare Paul Horner, la persona che sta dietro molte delle fake news virali che hanno messo benzina nel motore della campagna elettorale di Trump.
Horner, che da una vita si occupa di scrivere, pubblicare e diffondere notizie false non lavorava per il Comitato elettorale del Presidente anzi nell’intervista concessa al Washington Post rivela che il suo intento, nel pubblicare notizie come quella degli Amish che annunciano di voler votare per Trump e soprattutto quella dei manifestanti anti Trump pagati 3.500 dollari per andare a protestare fuori dai comizi del candidato repubblicano, era esattamente l’opposto.
O meglio, lo scopo principale era quello di farci un sacco di soldi, perchè Horner si è accorto che quel genere di notizie che strizzano l’occhio all’elettorato repubblicano gli consentiva di incassare parecchio denaro tramite Google Adsense.
Una storia simile l’abbiamo avuta anche da noi con il sito anti immigrati Senzacensura.eu.
Horner però è decisamente più metodico: ad esempio per la storia dei manifestanti pagati, che è stata ripresa anche dall’Huffington Post, ha pubblicato un finto annuncio su Craiglist per fornire la “prova” che la notizia era vera e poi l’ha pubblicata su un sito di sua proprietà la cui veste grafica rispecchia quella dell’ABC News per renderla più autorevole.
Ma perchè proprio quel genere di notizia?
Paul Horner sostiene di aver semplicemente colto l’opportunità che si stava presentando: la voce che circolava tra i sostenitori di Trump era quella che i manifestanti anti-Trump fossero pagati, quindi il “terreno” per così dire era già fertile e pronto a credere in quella notizia.
Quante volte in Italia abbiamo sentito la storia del partito o del sindacato che carica sulla corriera i manifestanti offrendo loro panini e da bere e pagando il viaggio in modo da portare più gente in piazza?
Horner non è un politico, non è un agente disturbatore pagato dal Partito Repubblicano: è un uomo d’affari, un impresario delle notizie false del Web che agisce solo per il profitto. Ha visto l’esistenza di un mercato decisamente ampio, composto a suo dire da persone che non fanno “fact checking” e che condividono e cliccano qualsiasi notizia che confermi quello che già pensano o già sono disposti a credere, un fenomeno noto fin dagli Anni Sessanta con il nome di Confirmation Bias.
Non servono raffinate ricerche per scoprirlo: è lo stesso metodo utilizzato da Donald Trump nei suoi comizi (diversi giornali si sono dedicati al fact checking delle sue affermazioni, smascherando le numerose menzogne).
Funziona nel mondo “reale” e perchè non dovrebbe funzionare anche in quello “virtuale”?
Sono le persone, non le reti, a credere alle notizie false o alle bufale. La storia di Horner dimostra che le motivazioni che spingono i creatori di fake news a pubblicarle solo in parte coincidono con gli interessi di gruppi politici o “Strutture” che magari semplicemente sfruttano quello che c’è già .
Ad esempio la storia dei manifestanti pagati era stata condivisa anche da Corey Lewandowski che all’epoca era il manager della campagna di Trump.
Sì ma c’è sempre il fact checking, diranno i più intelligenti.
Molti lettori (e commentatori addirittura) si limitano a leggere il titolo di un articolo. Il lettore che “fa il fact checking” delle notizie semplicemente non esiste (e spesso nemmeno il giornalista lo fa).
(da “NextQuotidiano“)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
LE MINACCE DI BORIS JOHNSON AL PRODOTTO ITALIANO NON HA SOLLEVATO LE PROTESTE DEI PATACCARI NOSTRANI CHE SI RIEMPONO LA BOCCA DI SOVRANITA’ NAZIONALE, SALVO POI TRADIRLA NEI FATTI
Forse non è poi così vero quello che diceva Marx, ovvero che tutto nella storia si presenta sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa: per quanto riguarda la Brexit abbiamo saltato direttamente la fase tragica e siamo passati fin da subito ad una fase di profondo imbarazzo a tratti ridicola.
Fin dal giorno dopo la vittoria del Leave al referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è apparso evidente come i fautori della Brexit non avessero la benchè minima idea di come gestire una situazione che era chiaro non sarebbe stata facile.
Ma il fatto che condurre il Paese fuori dalla UE, su una strada che non è mai stata percorsa e che non è stata adeguatamente studiata, sia un compito arduo non significa che il Governo britannico possa avere un alibi per non avere un piano di qualsiasi genere.
In questi mesi si è parlato di Hard Brexit, di Soft Brexit ma mai di un vero e proprio piano d’uscita.
Quello che si sa, ma si sapeva anche prima, è che una volta attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona il Regno Unito e la UE hanno due anni di tempo per concludere i negoziati per il divorzio.
Theresa May ha promesso in più di un’occasione che la procedura sarebbe stata attivata entro marzo 2017, in modo da far uscire la Gran Bretagna dall’Unione entro il 2019; ma non è così.
Il Governo britannico non ha un piano concreto — e sensato — per attuare la Brexit, quello che manca è un “piano del governo” e una “strategia complessiva per negoziare l’uscita” della Gran Bretagna dall’Unione europea.
Ci sarebbero, secondo il documento, cinquecento progetti da analizzare e ci vorrebbero 30mila persone da mettere al lavoro per i piani operativi.
Lo ha rivelato qualche giorno fa il Times che ha spiegato che al Gabinetto della May manca una visione strategica d’insieme, colpa anche dei due schieramenti opposti interno al Governo che vedono da una parte il ministro degli Esteri Boris Johnson con il ministro per la Brexit David Davis e il ministro per il Commercio internazionale Liam Fox.
Mentre dall’altra ci sarebbero il Cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond con il ministro del Commercio Greg Clark.
A questo va aggiunto il fatto che una recente sentenza — alla quale il Governo probabilmente presenterà ricorso — dell’Alta Corte di Londra ha stabilito che il Parlamento britannico debba esprimersi con un voto sull’avvio o meno della procedura di uscita dalla Unione Europea.
I leader europei dal canto loro non sembrano particolarmente ben disposti e comprensivi nei confronti della May; c’è da capirli visto che lo spauracchio della Brexit era stato agitato come arma ricattatoria da David Cameron in sede di trattative con l’Unione per ottenere maggiori privilegi per il Regno Unito e che tra i vari ricatti britannici c’era quello della May (all’epoca Ministro dell’Interno) che voleva rimandare in Europa tutti i richiedenti asilo.
Matteo Renzi ha detto che gli inglesi non potranno avere più diritti e privilegi dei cittadini dell’Unione mentre il Presidente francese Francois Hollande ha detto chiaramente che se la May vuole una Hard Brexit allora anche i negoziati saranno altrettanto duri.
Sulla posizione di Hollande c’è anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel. e Presidente del Parlamento Europeo Donald Tusk ha usato una metafora dicendo che si rifiuta di pensare ad un’Unione dove TIR e prodotti finanziari sono liberi di attraversare le frontiere mentre le persone non è concesso.
Incredibilmente la notizia non deve essere giunta all’orecchio del Ministro degli Esteri Boris Johnson che ieri si è reso protagonista di un imbarazzante battibecco con il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.
In sostanza Johnson dalla Brexit vuole una sola cosa: la possibilità per il Regno Unito di continuare ad accedere al Mercato Unico, senza però concedere la libera circolazione dei cittadini europei (che è un punto fondamentale per la UE).
Per farlo non ha trovato soluzione migliore che minacciare Calenda (e il nostro Paese) dicendo che qualora l’Italia si opponesse ad una simile soluzione vedrebbe ridursi le esportazioni di Prosecco verso l’Inghilterra.
Insomma “ci converrebbe” appoggiare la proposta del Regno Unito per non perdere l’accesso al mercato britannico.
A raccontare la vicenda è stato lo stesso Calenda a Bloomberg: «Di fatto Johnson mi ha detto: non voglio la libera circolazione delle persone, ma voglio il mercato unico, gli ho risposto “non se ne parla”. La sua risposta è stata: ok, ma tu vendi un sacco di Prosecco in Gran Bretagna, e ce lo permetterai perchè non vuoi perdere l’export di Prosecco».
Al che Calenda ha risposto: «D’accordo, ma tu venderai meno fish and chips. Solo che io venderò meno Prosecco in un solo Paese, tu ne venderai meno in 27, ma mettere le cose su questo piano è un po’ offensivo».
Tutto lo scambio rappresenta la punta dell’iceberg della farsa che sta andando in scena sulla Brexit.
Non solo Johnson continua a chiedere una cosa che sa di non poter ottenere (ma d’altra parte la proposta è una condizione quasi peggiorativa di quella che vede il Regno Unito nella UE) ma dall’altra Calenda — pur rispondendo con una battuta — non coglie il punto che gli interessi delle esportazioni britanniche non riguardano il fish&chips ma soprattutto i prodotti finanziari e servizi.
Quella di Johnsonn è una minaccia (anche se scema), la risposta di Calenda però non riesce ad essere altrettanto minacciosa.
Ma parlando di cose nostrane chissà come avrà preso il ricatto sul Prosecco Matteo Salvini, il leader di quel movimento politico che nelle terre dove si produce il Prosecco ha sempre ottenuto risultati spumeggianti e che crede che la Brexit sia un colpo mortale alle lobby e una grande notizia per l’Italia.
Chissà invece cosa avrebbe risposto Luigi Di Maio, uno che sulla Brexit ha le idee così chiare da essere disposto ad accettare tutte le condizioni richieste da Johnson, perchè non è sua intenzione punire il popolo britannico ed anzi auspica che “i singoli stati membri possano continuare ad avere fiorenti relazioni economiche con il Regno Unito” pur accettando il fatto che Londra possa “avere il diritto di regolare i flussi migratori altrimenti non sarebbero più stati sovrani”.
Ora che Johnson ha gettato la maschera magari qualcuno dei tifosi italiani della Brexit capirà che al Governo inglese non interessa il bene dei cittadini italiani o della nostra economia e che quindi non ha senso stare dalla parte di Johnson visto che sta nella squadra opposta.
Per fortuna che è cosa nota che i neo presunti “nazionalisti” italiani non sono mai stati bravi a difendere gli interessi italiani ma solo i loro.
Ed è per questo forse che nè Di Maio (che pure è in giro per l’Europa a fare campagna elettorale grazie alla libertà di circolazione garantita dalla UE) nè Salvini commentano l’uscita di Boris Johnson e le minacce al “nostro” Prosecco.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
LA GDF STA ESEGUENDO CONTROLLI IN 13 SEDI COLLEGATE ALLA METHORIOS
La Guardia di Finanza sta eseguendo diverse perquisizioni in 13 società collegate alla Methorios Capital spa, un’azienda direttamente riconducibile all’ex candidato sindaco di Roma Alfio Marchini e presso le abitazioni degli amministratori.
I reati ipotizzati nei confronti degli amministratori sono quelli di associazione per delinquere e false comunicazioni sociali delle società quotate.
Secondo gli investigatori del Nucleo di Polizia valutaria della Guardia di Finanza gli indagati avrebbero condotto operazioni finanziarie sospette per importi rilevanti che hanno interessato la Banca Popolare di Vincenza e la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio.
Le perquisizioni, complessivamente 19, sono state disposte dalla procura di Roma nell’ambito dell’operazione denominata ‘Scacco matto’.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
INEFFICIENTI ED INESPERTI, HANNO DISATTESO ASPETTATIVE E PROMESSE, A COMINCIARE DALLA TRASPARENZA
Se i sondaggi hanno ancora un senso (dopo l’effetto Trump) questo che pubblichiamo oggi è un campanello d’allarme per il Campidoglio.
A cinque mesi dal voto, gli elettori che avevano scelto Raggi & Co. (67 per cento al secondo turno), ora vacillano e solo la metà si dichiara soddisfatta.
La luna di miele è finita. Del resto l’amministrazione Raggi sembra aver fatto di tutto per mettere a dura prova i propri sostenitori.
Qualche esempio? La defezione dell’assessore al Bilancio e del capo di gabinetto logorati dal braccio di ferro con l’ingombrante staff della sindaca; l’andirivieni di assessori, nominati e poi rimossi; la vicenda legata ai trascorsi da consulente Ama dell’assessore più contestato, Paola Muraro; il ruolo di Raffaele Marra traghettato dall’entourage di Alemanno direttamente a fianco del nuovo sindaco e poi a capo del Personale. Per non dire degli errori tecnici nella gestione della città e delle scelte al limite della comprensione.
Insomma, finora non hanno brillato per decisionismo e quando lo hanno fatto spesso hanno preso delle cantonate.
Infine questo avvio di legislatura si ricorderà per la fila dei no detti. A tutti, su tutto.
A cominciare dalle Olimpiadi, dalla nuova Fiera, dallo stadio della Roma, dalla Metro C e tanti altri ancora.
Ma Raggi e la sua squadra hanno soprattutto disatteso le aspettative e le promesse, a cominciare dalla trasparenza e dalla coerenza con i principi del Movimento sbandierati in campagna elettorale.
Hanno probabilmente perso in questi mesi il consenso di chi aveva creduto alla possibilità di dare un calcio al sistema dei vecchi partiti, alle logiche spartitorie e alle clientele.
Gli esasperati della politica, attratti dalle sirene M5Stelle, avevano dato fiducia a questa strana compagnia guidata da Beppe Grillo.
I grillini al potere nella capitale d’Italia hanno però presto imparato che non basta essere contro, governare è un’altra cosa. All’inizio la loro inesperienza, al limite della goffaggine, faceva quasi tenerezza. Con il passare del tempo è diventata inaccettabile. I trasporti perennemente in tilt, con le auto in sosta che bloccano per ore il traffico e non possono essere rimosse perchè non funziona il servizio carroattrezzi; i frigoriferi abbandonati che restano lì perchè non è più attiva la raccolta.
I romani abituati al peggio perdonano, ma fino a un certo punto.
La città non è governata e l’effetto boomerang ha tagliato il 30 % dei consensi.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL DATO ALLARMANTE: TRA CHI HA VOTATO CINQUESTELLE SOLO IL 50,8% LA PROMUOVE, ADDIRITTURA UN 29% LA BOCCIA SENZA APPELLO
Continua a scendere il gradimento di Virginia Raggi e dell’amministrazione grillina nel suo complesso.
Un lento ma progressivo declino, fotografato dal sondaggio realizzato da Izi spa tra il 7 e l’11 novembre su un campione di 1.011 interviste, a due mesi esatti dall’ultima rilevazione.
La brutta notizia, per la sindaca e per gli assessori cinquestelle, è che il giudizio negativo nei loro confronti non cresce solo nella città , ma anche tra gli elettori del Movimento.
Tra questi, i favorevoli all’operato dell’inquilina del Campidoglio restano maggioranza per un soffio (uno su due ancora la apprezza), però la percentuale dei delusi (ormai uno su tre) fa registrare un aumento piccolo ma significativo, specie se comparato al breve lasso di tempo nel quale si è verificato: quasi due punti in appena 60 giorni.
Come pure salgono gli scontenti fra tutti i romani, con numeri assoluti però molto più alti: la Raggi non piace a 6 cittadini su 10. E la giunta ancora meno.
“È la prova che se lo zoccolo duro dei pentastellati ancora regge, al netto del malcontento diffuso per i tanti inciampi e per la guerra intestina tra le varie anime del Movimento”, spiega Giacomo Spaini, amministratore delegato di Izi spa, “ad essere in libera uscita sono i voti “in prestito”, quelli ottenuti in virtù della speranza di cambiamento, di rottura con il passato, che la candidata cinquestelle ha incarnato in campagna elettorale”.
Ma guardiamo i dati nel dettaglio.
Alla domanda: “A oggi, come giudica l’operato della sindaca Virginia Raggi?”, il 59,3% dei romani ha risposto “male” (a settembre erano il 56,6), “bene” il 30,6, mentre i “non so” restano pressochè stabili al 10,1%.
Superiore, ma di poco, la percentuale degli insoddisfatti dall’amministrazione comunale: valutata negativamente dal 61,1% dell’intero corpo cittadino (due mesi fa era il 58) e positivamente dal 27,5.
“Numeri che fanno pensare che chi a giugno ha scelto la Raggi per votare “contro”, oggi forse non lo rifarebbe più”
Analogo andamento, anche se di dimensioni diverse, si rileva pure fra gli elettori pentastellati.
L’azione della sindaca viene infatti promossa dalla metà dei grillini (il 50,8% contro il 53,5 di due mesi fa), bocciata dal 28,9%, mentre un sostenitore su quattro sospende il giudizio.
Ancora meno lusinghiera l’opinione sugli assessori: lavorano bene solo per il 42,7% dei militanti cinquestelle, male per il 30,5, mentre il 26,8 non sa: non riesce a esprimere un parere sull’operato della giunta. E chissà se e quanto hanno pesato le polemiche degli ultimi mesi
(da “La Repubblica“)
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