Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
“IL PIU’ SCORRETTO? GIULIO TREMONTI”… LA GRANDE GIORNALISTA D’INCHIESTA SALUTA REPORT TRA LACRIME E ABBRACCI
Non c’è alcuna esitazione in lei. Dopo 20 anni dice addio alla sua trasmissione d’inchiesta che non ha
mai risparmiato nessuno.
Molti i nemici (“il peggiore Tremonti”), ma anche molte le medaglie che si sono trasformate in altrettanti premi giornalistici.
E per salutarla è arrivato anche un sms del presidente della Bce, Mario Draghi.
Milena Gabanelli lascia senza rimpianti, perchè il lavoro verrà portato avanti dalla squadra di sempre. Di certo Report le mancherà . “Moltissimo”.
Come moltissimi sono stati i momenti difficili: “Ho convissuto 20 anni con un dubbio notturno: “sarò nel giusto?”. Poi certo, il giorno in cui ho deciso di tagliare il cordone non è stata una passeggiata”.
Ci racconti l’inizio.
“Era il 1982, Rai3 regione Emilia Romagna, ed era un filmato di 30 minuti sulla musica popolare in Giuseppe Verdi”.
E il primo scoop, se lo ricorda?
“Un’intervista al generale vietnamita VൠNguyàªn Già¡p”.
Poi è arrivato “Report”…
“Sì, a settembre 1997, raccogliendo i talenti nati attorno a un programma sperimentale di videogiornalismo voluto da Giovanni Minoli, a cui devo molto”.
Il vostro è sempre stato un lavoro “fastidioso”. Chi in azienda vi ha ostacolato?
“Qualche componente del vecchio Cda, ma non ha senso rivangare, anche perchè l’abbiamo sempre spuntata”.
Però hanno anche cercato di togliervi la tutela legale.
“Fino al 2007 non avevamo alcuna tutela legale. Poi, con Cappon direttore generale, ci venne concessa. Provò nel 2009 Masi a toglierla, ma alla fine ci ripensò”.
I più grandi sostenitori?
“Certamente tutti i direttori di rete dalla nascita del programma a oggi, ma lo è stato anche Gubitosi e lo sono Campo Dall’Orto, Carlo Verdelli, i capistruttura della rete, Valerio Fiorespino, la responsabile risorse tv Chiara Galvagni e sicuramente ne dimentico. Sono molti i nostri sostenitori dentro la Rai”.
Coi lavori d’inchiesta ci si creano molti nemici: chi è stato il più scorretto?
“L’ex ministro Tremonti, che per ben due volte mi denunciò (invano) all’AGCOM”.
Era più bello fare le inchieste ai tempi di Berlusconi o oggi con Renzi?
“Fare inchieste non è mai facile in Italia perchè i politici (ma anche molti manager di imprese pubbliche) preferiscono frequentare i talk show in diretta dove rispondono quello che vogliono. Fanno fatica a concepire l’idea che se parlano per mezz’ora senza rispondere mai nel merito, di quella mezz’ora magari andranno in onda solo 30 secondi. Come succede in tutti i programmi d’inchiesta del mondo”.
Dovesse pensare a un politico, con chi andrebbe a cena?
“Non ho frequentazioni, difficile dire con chi andrei a cena; certo, siccome il tempo è oro, magari non saprei tanto cosa dire a Razzi. Di sicuro non rifiuto per principio di dialogare anche con chi ho poco in comune, se c’è un motivo.
E con Renzi che rapporto ha?
“Ci siamo incontrati una volta, è stato cordiale, e io ho sostenuto la mia battaglia sulla riduzione dell’uso del contante”.
L’inchiesta più bella?
“Più d’una, però quelle sui prodotti derivati, su Cremonini, Geronzi, Eni, Alitalia, Tanzi e il biologico hanno lasciato un segno”.
Cosa significa smettere per lei?
“Darsi un tempo, e se poi la squadra c’è, lasciare che vada avanti con le proprie gambe”.
Alla fine che giudizio dà della Rai?
“È il luogo dove nessuno mi ha mai impedito di dire ciò che ho ritenuto giusto e doveroso”.
Qual è il suo modello di televisione pubblica?
“La tv che non è costretta a censurarsi perchè criticando il tal investitore poi quello toglie la pubblicità “.
E se lei fosse al posto di Campo dall’Orto, cosa farebbe?
“Per fortuna non sono al suo posto”.
Ora cosa farà ?
“Resterò nei paraggi, m’interessa molto lo sviluppo del data journalism”.
Come voterà al referendum?
“Andrò a votare ma “cosa” non glielo dirò mai”.
Walter Galbiati
(da “La Repubblica“)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
TANTA OMERTA’: ACCUSATORI DI COMPLOTTI ORA SONO FINITI AL CENTRO DELL’INDAGINE… RESA DEI CONTI A PALERMO DOVE ALL’INTERNO DEL M5S C’E’ UNA TALPA NON ANCORA INDIVIDUATA
La regola è quella del silenzio. Davanti ai magistrati e ai poliziotti che interrogano e davanti agli attivisti che chiedono spiegazioni.
Il Grillo di Palermo, ovvero il meetup da cui provengono Riccardo Nuti, Claudia Mannino, Giulia Di Vita e gli altri implicati nella vicenda di Palermo, finisce smembrato dalle decisioni del collegio dei probiviri: quattro sospensioni, oltre ai due autosospesi, e nonostante l’ultima manifestazione organizzata sabato per dire al referendum del 4 dicembre, quando erano scesi in piazza attivisti ancora vicini a Nuti & Co. e i “nuovi”, che vogliono la testa dei tutti e che si proceda nella candidatura per il comune di Palermo.
L’indagine su Giulia Di Vita, l’ultima tegola di ieri, spinge il collegio dei probiviri formato da Riccardo Fraccaro, Nunzia Catalfo e Paola Carinelli, a sospendere i primi quattro.
Nella decisione giocano fattori importanti a carico degli “imputati”, ovvero essersi rifiutati di autosospendersi quando gli è stato chiesto dalla Comunicazione in Parlamento (come invece hanno fatto Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio) ma anche la scelta di fare scena muta davanti ai magistrati che chiedevano di fornire la propria versione dei fatti agli indagati.
I deputati 5 stelle indagati nell’inchiesta sulle firme false per le Comunali 2012 si rifiutano anche di rilasciare un “saggio grafico”.
Il procuratore aggiunto Dino Petralia e la pm Claudia Ferrari avrebbero voluto confrontare la loro scrittura con alcune delle firme al centro dell’indagine. Non sarà possibile.
Tace pure il marito di Mannino, Pietro Salvino: c’era anche lui quella notte del 3 aprile di quattro anni fa, la notte del grande pasticcio.
Una sua email lo chiama in causa e diventa uno dei riscontri più importanti alle dichiarazioni della prima persona che ha rotto il muro del silenzio sulla notte del giallo al meetup di via Sampolo.
«Su 12 persone presenti – scriveva alle 3,35 – in tre eravamo a conoscenza di tre firme non valide, tanto per fare un esempio…».
E adesso salgono proprio a 12 i grillini indagati dalla procura di Palermo: un avviso di garanzia è stato notificato dalla Digos alla parlamentare Giulia Di Vita e a Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo, che presentò le liste al Comune. Saranno interrogati nei prossimi giorni.
Dodici indagati più il cancelliere Giovanni Scarpello, che attestò la regolarità delle firme: anche lui si è avvalso della facoltà di non rispondere. La stessa scelta di Francesco Menallo.
Il marito della Mannino Pietro Salvino, che nei servizi delle Iene pretendeva di non essere inquadrato dalle telecamere perchè stava portando a passeggio il figlio e sul suo profilo facebook riempie di insulti i giornalisti e presenta strane teorie complottiste per giustificare l’indagine dei magistrati, ieri ha scelto il silenzio.
Salvo Palazzolo su Repubblica invece racconta la testimonianza della La Rocca:
Dice Claudia La Rocca, nel verbale di venti giorni fa, che c’era una stata un’animata discussione il pomeriggio del 3 aprile.
«Nuti era molto nervoso», aveva litigato con Samanta Busalacchi, per un errore nella compilazione della lista, il luogo di nascita di uno dei candidati (Giuseppe Ippolito, oggi indagato): Palermo invece di Corleone.
Ma quel pomeriggio Claudia La Rocca non sa ancora il motivo di tanta agitazione. «All’improvviso – dice – partono le telefonate per una convocazione urgente in via Sampolo». È l’inizio del grande pasticcio.
Quando La Rocca arriva, c’è fermento attorno al tavolo, e qualcuno già ricopia le firme. Ci sono Claudia Mannino, Samanta Busalacchi, Alice Pantaleone. «Nuti entrava e usciva», mette a verbale La Rocca.
In una stanza attigua c’erano altri incontri politici.
Mentre alcuni ricopiano le firme, parte un tamtam via email per raccogliere altre adesioni. Sono le 2,25. Uno chiede: «Com’è che era tutto a posto e adesso c’è questa urgenza?». Risponde Salvino: «Durante la riunione Claudia con Alice hanno controllato le firme facendo una stima di quelle che sono assolutamente perfette, e sono circa 850, ma consideriamo che di queste alcune potrebbero non essere valide perchè già magari avevano firmato».
E qui il passaggio sui «12 presenti». Scrive: «Io e Claudia abbiamo dato quasi il massimo, considera siamo come se fossimo una sola persona, siamo riusciti a raccogliere poco meno di 80 firme».
Racconta il fatto che Salvino, la sera del 13 ottobre, due giorni dopo l’apertura dell’inchiesta in Procura, scriveva su Facebook: “Anche se non posso dire a cosa e chi mi riferisco in questo momento, come sfogo mi sento attorniato da tantissimi moderni Dorian Gray, che nascondono in soffitta il quadro orrendo e terribile che descrive la loro anima putrefatta. Ora devo pensare ai miei cari, non posso dire altro ma verrà il momento in cui si potrà dire pane al pane e vino al vino”.
Purtroppo Salvini ha scelto invece di stare in silenzio davanti ai giudici, senza spiegare chi ci sia dietro il complottone che immaginava.
Rimane che il tutto diventa oggi il prologo di una resa dei conti ormai non più rimandabile all’interno del Grillo di Palermo.
Un gruppo in cui erano tutti amici, di più: erano tutti parenti. E questo non può non aver contato:
Quel familismo che – denunciano da anni gli avversari interni – ha contraddistinto il gruppo di Riccardo Nuti. Familismo che ispirava le scelte a Palermo, che si insinuava nelle liste: Salvini e Mannino, Ricciardi e Loredana Lupo erano candidati tutti insieme alle “parlamentarie” del 2013. Con loro c’erano pure Francesco Lupo (fratello di Loredana e dunque cognato di Ricciardi), l’eletta Azzurra Cancelleri (sorella del candidato governatore Giancarlo), Chiara Di Benedetto (anche lei oggi alla Camera) con il compagno Mauro Giulivi, l’uomo che teneva le preziose chiavi del blog del “Grillo di Palermo” dove finivano i comunicati che piacevano a Nuti e venivano censurati quelli di dissenso. Come quello di una cinquantina di attivisti che, nella primavera del 2013, contestavano l’espulsione dei senatori Campanella e Bocchino. Ora quel sito è stato oscurato. Chi ne digita l’indirizzo viene rimandato al blog di Grillo.
Parlano, invece, gli attivisti “nuovi”: quelli che con il gruppo storico non hanno nulla a che fare.
L’avvocato Ugo Forello, fondatore di Addiopizzo, è in Procura, racconta Repubblica, quando arrivano Mannino e Nuti.
Resta alla larga e fa fatica a nascondere la sua scarsa inclinazione a partecipare alle attività del Movimento finchè queste saranno animate dagli indagati per le firme false. Su Facebook il poliziotto Igor Gelarda cita Cromwell: «In nome di Dio, andatevene! Il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie e siete voi ora l’ingiustizia! Basta!». In più i grillini, prima di affrontare le comunarie, dovranno risolvere un altro problema: chi è la talpa del MoVimento 5 Stelle?
La storia è venuta fuori grazie all’elenco con le firme false inviato alla trasmissione tv di Mediaset, a Luigi Di Maio via mail e alla procura.
Ma niente è accaduto per caso: chi si è mosso lo ha fatto con il chiaro intento di danneggiare i parlamentari “romani” e la loro “corrente” in occasione delle comunarie di Palermo.
Per questo in tutto questo bailamme rimane ancora aperta la domanda: chi ha materialmente inviato i fogli che stanno mandando a puttane le Comunarie e il M5S? E visto che un documento del genere non può non essere posseduto da un “interno” al gruppo che forse già era interno nel 2012, quale convenienza ne ha avuto o ne avrà ?
(da “Nextquotidiano”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO SOSPESO IN RITARDO DAI PROBIVIRI DOPO AVER RIFIUTATO DI FARLO DI SUA INIZIATIVA…. ALL’ORIZZONTE L’AVVIO DELLA ESPULSIONE “PER AVER DANNEGGIATO L’IMMAGINE DEL MOVIMENTO”… SI CHIUDE LA STALLA QUANDO I BUOI SONO SCAPPATI
Mentre si allarga l’inchiesta sul caso delle firme false utilizzate per presentare la lista Cinque Stelle alle amministrative 2012 a Palermo, che vede ora coinvolte tredici persone tra cui le deputate Giulia Di Vita e Claudia Mannino e l’ex capogruppo alla Camera del M5S Riccardo Nuti, sia la Mannino che Nuti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere davanti ai PM che lo avevano convocato per interrogarlo sulla vicenda.
Nuti inoltre si è rifiutato anche di di rilasciare il saggio grafico richiestogli dai magistrati.
A Montecitorio “volano gli stracci” nel gruppo M5S
Ma al di là dei risvolti giudiziari e l’eventuale corso delle indagini sulla questione pesano anche la decisione dei tre deputati di non auto sospendersi dal MoVimento 5 Stelle, decisione che poi è stata presa in serata direttamnete dai probiviri.
AdnKronos rende noto che all’interno del gruppo parlamentare del MoVimento stanno montando rabbia e amarezza non tanto per la decisione di non rispondere alle domande per gli inquirenti quanto per il fatto che i tre avrebbero dovuto sospendersi settimane fa.
Sabato era stato il direttivo M5S di Montecitorio (capogruppo, vice, presidente, delegati d’Aula e tesoriere) a chiedere ai tre un passo indietro ma Nuti, Mannino e Di Vita avrebbero risposto accusando il direttivo di essere al servizio dei vertici del MoVimento (vale a dire la Casaleggio Associati).
La sospensione, secondo le nuove regole del MoVimento, non è una espulsione ma una forma cautelativa di sanzione nei confronti dell’iscritto al partito di Grillo.
Agli accusati resta invece la possibilità di ricorrere al Comitato d’appello presentando una memoria difensiva.
Ma è fuori di dubbio che, garantismo a giorni alterni o meno, la vicenda giudiziaria che vede coinvolti i tre deputati siciliani sta creando un grande danno all’immagine del MoVimento e quindi potrebbero esserci addirittura gli estremi per un’espulsione, l’ennesima della breve e tormentata storia della permanenza dei pentastellati a Montecitorio.
Nel frattempo tutti cercano di capire l’atteggiamento della base del MoVimento e valutarne le reazioni.
Ieri Nuti era a Palermo per la manifestazione a favore del No al referendum costituzionale di domenica ma a quanto pare sulla pagina Facebook del deputato più che sulle votazioni del 4 dicembre i commentatori si concentrano sulla richiesta di auto sospensione.
Come sempre accade in questi casi è difficile stabilire se tutti quelli che dicono di essere attivisti del M5S lo sono realmente o meno, quindi lasciano il tempo che trovano.
Soprattutto perchè la base degli elettori grillini non conta sostanzialmente nulla (ed in ogni caso non viene consultata via Facebook). Così come la provocazione del senatore ex Cinque Stelle Bartolomeo Pepe che invita il suo ex compagno di partito ad essere onesto.
Ma mentre Nuti si guarda bene dal rispondere agli attivisti e agli utenti che commentano sulla sua pagina, Giulia Di Vita non smette di difendere la sua innocenza e cerca di spiegare al popolo a Cinque Stelle che lei non ha nulla da nascondere, anzi, che ha parlato per un’ora e mezza con gli inquirenti.
In qualche modo gli utenti sembrano essere più comprensivi nei suoi confronti, forse proprio perchè ha raccontato di aver accettato di parlare con gli inquirenti (non è chiaro però se quando l’ha fatto era già indagata o una semplice testimone, che quindi non può rifiutarsi di rispondere).
Per Nuti e Mannino invece la musica è leggermente diversa.
Nel frattempo dieci giorni fa sul gruppo Facebook “M5S Palermo, gruppo aperto attivisti e cittadini” qualcuno ha aperto un sondaggio per chiedere il recall (ovvero la procedura di sfiducia della base) degli attivisti coinvolti nella vicenda sulle firme false. Siamo però davvero ben distanti dai numeri necessari per poter ottenere il recall dei portavoce eletti.
Qualcun altro invece ha caricato su YouTube un video dove si rinfaccia a Nuti l’ipocrisia di alcuni interventi fatti in passato a Montecitorio sul tema dell’onestà e della trasparenza che contraddistingue i cittadini onesti del MoVimento.
(da “NexrQuotidiano”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
UNA OPERAZIONE PER AMPLIARE IL GOVERNO… IPOTESI ACCORDO CON BERLUSCONI SU LEGGE ELETTORALE: META’ SEGGI CON COLLEGI UNINOMINALI, META’ CON IL PROPORZIONALE CON LISTINO BLOCCATO, PREMIO DI MAGGIORANZA DEL 15% A CHI FA PRIMO
Palazzo Chigi ha formalmente smentito con un comunicato di tre righe in cui invita a concentrarsi
sul referendum gli articoli di giornale che oggi riportavano la decisione del premier Matteo Renzi di dimettersi anche in caso di vittoria del sì al referendum.
Ne hanno parlato il Giornale e il Corriere della Sera in un articolo a firma di Maria Teresa Meli:
A Palazzo Chigi, dove stanno arrivando nuovi sondaggi che vengono esaminati con grande attenzione, si sta valutando una nuova ipotesi. Cioè che Renzi si dimetta anche nel caso di una vittoria del sì.
Già , pure con un risultato del genere il premier sarebbe pronto a salire al Quirinale e a dare le proprie dimissioni.
Con un’argomentazione ben precisa: questo governo è nato, nel 2014, con il chiaro e inequivocabile mandato di Napolitano di realizzare una riforma istituzionale, e ora che la riforma è realtà , l’esecutivo considera esaurito il compito.
È chiaro che in questo caso non sarebbero dimissioni per andarsene, ma piuttosto per rafforzare sia il proprio ruolo che il governo con una nuova fiducia, e per allargare la maggioranza e mettere nomi nuovi in alcuni dicasteri. Il che non significa, ovviamente, che la componente di Verdini sarebbe rappresentata nell’esecutivo, ma che farebbe il suo ingresso ufficiale in maggioranza.
Però l’idea è quella di «sparigliare», per usare un termine caro a Renzi, cioè di riaprire i giochi anche nella sinistra, quella interna e pure quella di Sel, dove la linea oltranzista di Nicola Fratoianni viene sempre più criticata.
Una vittoria del Sì, secondo i renziani, provocherebbe uno smottamento pure in quell’area.
Ma il realismo induce Matteo Renzi e i suoi a vagliare anche il cosiddetto piano B.
In questo caso tutto dipende dalle proporzioni della sconfitta. Se dovesse perdere di un’incollatura inevitabilmente il presidente del Consiglio rimarrebbe al centro della scena politica. E gli sarebbe difficile rifiutare un reincarico per costituire un governo che si porrebbe come obiettivo principale quello di varare una riforma elettorale.
Del resto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con più di un interlocutore non ha mai nascosto il suo pensiero. Secondo il capo dello Stato bisogna arrivare sino alla fine della legislatura e bisogna farlo con questo governo.
La discussione però finisce per intrecciarsi con un tema all’orizzonte che potrebbe essere più cogente: quello della legge elettorale.
Sulla quale, racconta sempre il Corriere, si sarebbe giunti a un accordo guidato da Denis Verdini: «una legge che prevede metà seggi assegnati con i collegi uninominali e metà con il proporzionale (senza preferenze ma con un listino bloccato), e con un premio di maggioranza attorno al 15 per cento per la lista o coalizione che prende più voti».
È un modello sul quale ci sarebbe il «via libera» anche di Silvio Berlusconi perchè permetterebbe all’ex presidente del Consiglio, da una parte, di mettere insieme un’alleanza con Lega e Fratelli d’Italia e, dall’altra, di presentare ancora il simbolo di Forza Italia.
Denis Verdini, che di Berlusconi è stato il braccio destro e sinistro, e che di leggi elettorali si è occupato in tutte le sue trattative per conto del Cavaliere (nella scorsa legislatura con Pier Luigi Bersani e poi con Matteo Renzi) è convinto che il leader di Forza Italia accetterà una riforma di questo tipo.
Nel Partito democratico, al di là delle aperture della destra, ritengono che con un sistema elettorale simile il Pd potrebbe dare vita a un’alleanza con i centristi di Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini, con Scelta civica ed Ala e con la sinistra di Pisapia e Zedda.
Nel proporzionale ognuno andrebbe per conto proprio, ma sull’uninominale si unirebbero le forze.
(da “Nextquotidiano”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
ISTITUTO CATTANEO: PER VINCERE RENZI HA BISOGNO DELL’ELETTORE MERIDIONALE DI FORZA ITALIA
L’elettore che sarà decisivo per l’esito del referendum costituzionale ha l’accento meridionale e in tasca la tessera di Forza Italia.
Ed è colui che il premier Matteo Renzi sta cercando di convincere in tutti i modi a votare Sì domenica prossima.
Dalla spedizione renziana guidata dal sottosegretario Luca Lotti nel sud Italia, senza disprezzare i feudi dei ras delle clientele, si intuisce quale sia la strategia del Governo per vincere la partita decisiva.
La missione nel Meridione però non è affatto marginale, e lo dimostrano i dati dell’Istituto Cattaneo che l’Huffington Post ha consultato per avere un quadro esaustivo degli scenari in vista del voto.
Il presidente del Consiglio qualche giorno fa ha fornito i suoi numeri della vittoria: “Serve il 60% di affluenza e 15 milioni di voti”.
L’obiettivo è ambizioso e mai è stato raggiunto nei due precedenti referendum costituzionali. Nel 2006 la partecipazione fu del 52,4%, nel 2001 addirittura del 34,1%.
Ma è proprio sul terreno della partecipazione che saranno decise le sorti del referendum.
“Lo schieramento che riesce a portare al voto l’elettore di centrodestra al Sud diventa il vero ago della bilancia. E’ lì che si può alzare il livello di partecipazione fino al 60%. Ma la sfida è di quelle complesse: si deve convincere quell’elettorato di Forza Italia che al sud è difficilmente mobilitabile e soprattutto ha dimostrato di essere slegato dalle indicazioni del partito”, afferma Marco Valbruzzi del Cattaneo.
Il ricercatore ha redatto uno studio sulla differenza tra l’affluenza ai due precedenti referendum costituzionali e le corrispettive elezioni politiche.
“Guardando i dati si registra un divario tra le regioni del Centro Nord e le regioni del Sud, quantificabile in circa il 6% di partecipazione in meno”.
Questo scarto è dovuto, prosegue Valbruzzi, “agli elettori meridionali che alle politiche hanno votato centrodestra e che però non si sono mobilitati nel caso di referendum costituzionali. In numeri, circa il 50 per cento degli elettori di Forza Italia nelle regioni del Sud poi non è andato alle urne per le consultazioni referendarie”. Una bella fetta di elettorato che fa gola, in primis allo schieramento del Sì.
Un dato su tutti è emblematico: “A Napoli il 70% di chi aveva votato FI non è andato a votare al referendum del 2006, pur trattandosi di una riforma costituzionale voluta e approvata dal governo di centrodestra”, afferma Valbruzzi.
Al di là quindi dei rispettivi elettori dei principali schieramenti del Sì (Pd) e del No (M5S) che si andranno a contare nelle urne, sarà il pendolo di Forza Italia a decretare il vincitore quanto più alta sarà la partecipazione al voto.
Analizzando il comportamento degli elettori dem e grillini si delineano scenari più prevedibili, secondo il Cattaneo. Il Movimento 5 Stelle ha dimostrato nel caso del referendum sulle trivelle di aprile di riuscire a portare alle urne, secondo l’orientamento dato dai vertici del partito, circa 3 elettori su 4: “I grillini sono stati capaci di far votare i loro ‘supporter’ in un modo uniforme rispetto all’indicazione del Movimento”.
Il Cattaneo, va precisato, ha fatto riferimento alla consultazione di aprile dato che nei precedenti referendum costituzionali il M5S non era ancora nato come forza politica.
Discorso simile, ma per certi aspetti più complesso, per il Pd. “Anche i dem hanno portato al voto in media il 75% dei loro elettori ai referendum sulle modifiche alla Costituzione”, continua Valbruzzi.
Un dato che conferma come l’elettore di sinistra si mobiliti in maniera pressochè analoga alle elezioni politiche quando c’è in ballo la Costituzione.
C’è tuttavia un’altra considerazione da fare. “Si tratta di un partito diverso dall’Ulivo del 2006 e dai Ds nel 2001. Allora la Ditta mobilitava gran parte dei suoi aderenti. Nel caso del referendum di domenica è legittimo aspettarsi che non sarà così”.
Secondo il ricercatore del Cattaneo bisogna tener conto che una parte dell’elettorato del Partito Democratico, pur restando fedele ai dem, non gradisce poi così tanto la riforma costituzionale approvata da questo governo.
“Il Partito di Renzi non riuscirà a portare tutti i suoi elettori al voto, e comunque non secondo le indicazioni del premier. Perchè per la prima volta il principale movimento di centrosinistra si presenta fortemente diviso al referendum costituzionale”, prosegue Valbruzzi.
Secondo il ricercatore, al 20% del voto democratico che si disperde – come già avvenuto nelle precedenti consultazioni tra astensionismo e voto difforme – va aggiunto un altro 10% di voto contrario o comunque mancante all’appello finale.
“Si può stimare un 30% circa di preferenze in meno rispetto all’elettorato di riferimento. Un terzo quindi”, conclude Valbruzzi.
Il Pd, partendo da questo deficit, dovrà quindi compensare l’ammanco di voti nel proprio bacino elettorale convincendo il più alto numero possibile di indecisi. Appurato l’identikit dell’elettore che risulterà decisivo per alzare l’asticella dell’affluenza, è chiaro anche dove saranno concentrati i maggiori sforzi negli ultimi giorni di campagna elettorale: direzione sud, con svolta a Destra.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
ECCO I SEI PROBLEMI CHE L’ANGOSCIANO E IL RISCHIO DI ELEZIONI ANTICIPATE
La Brexit è una sfida sempre più pensante per la premier britannica Theresa May, così tanto che
non la fa dormire la notte.
Lo ha detto lei stessa in un’intervista apparsa sul Sunday Times, dove ricorda che in gioco ci sono “questioni molto complesse” da affrontare al fine di “ottenere il miglior accordo possibile” con Bruxelles per il Paese.
Il primo ministro quindi non perde la sua convinzione di potercela fare nei tempi previsti ma deve comunque mettere in conto altre notti in bianco passate alla sua scrivania di Downing Street a cercare soluzioni per le difficoltà e gli attriti in patria e a livello internazionale.
I possibili ostacoli potrebbero essere rappresentati dalla Bank of England (Boe), con il governatore Mark Carney che chiede un periodo di transizione post-Brexit per evitare scossoni all’economia nazionale.
Fra le proposte quella di estendere la permanenza all’interno del mercato unico europeo, nel caso in cui Londra opti per l’uscita anche da quello, di due anni, in modo da consentire alle imprese del Regno di adattarsi al cambiamento.
Idea che viene vista come fumo negli occhi a Downing Street che auspica invece di avviare l’articolo 50 entro il prossimo marzo e di chiudere l’iter di divorzio con l’Europa nella primavera del 2019. Con i piani della BoE invece ci sarebbero strascichi fino al 2021, quindi oltre le prossime elezioni politiche del 2020.
Resta inoltre l’incognita della Corte suprema che si dovrà pronunciare sull’appello dell’esecutivo dopo la sentenza dell’Alta Corte per la quale per attivare la Brexit serve un voto del Parlamento di Westminster.
Di sicuro il sonno della May è turbato da un’altra ragione di attrito col mondo del business e la banca centrale inglese: le norme restrittive in fatto di governance societaria e stipendi d’oro che la premier deve lanciare con un ‘libro verde’ nei prossimi giorni.
I due punti che piacciono meno alla City sono l’obbligo per le multinazionali di rendere pubblico il divario salariale tra gli stipendi dei boss e quelli dei dipendenti, e il diritto degli azionisti di votare in modo vincolante sui cospicui pacchetti remunerativi dei top manager.
In questo caso la polemica è doppia. La stampa del Regno ha infatti rilevato, con una certa ironia, che si tratta di una sorta di ‘scippo’ di politiche che erano state presentate nel suo programma elettorale dall’ex leader laburista Ed Miliband, duramente sconfitto alle elezioni politiche del 2015 proprio dai Tories.
Lo stesso Miliband ha scagliato una freccia da Twitter: “Nuove idee marxiste contro il business. Questi conservatori…”.
Anche il Sole 24 Ore ha riepilogato sei incognite sulla Brexit ancora sul tavolo.
La prima riguarda la Corte suprema, che dovrà stabilire una volta per tutte se il Parlamento deve essere consultato prima dell’avvio delle pratiche di divorzio dalla Ue.
Verranno ascoltati anche i rappresentanti di Scozia e Galles. Per l’Irlanda del Nord è prevista l’audizione di Raymond McCord, attivista per i diritti del suo Paese.
Il verdetto è atteso a gennaio, ma la corte potrebbe anche chiedere un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue.
Questo allungherebbe i tempi di attivazione dell’articolo 50 da parte di Londra.
Poi ci sono i venti di indipendenza: il governo scozzese ha pubblicato una bozza di legge su un nuovo referendum per l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Una consultazione pubblica è ora in corso e si concluderà l’11 gennaio. L’esito però non è scontato: al referendum indetto nel 2014 prevalsero i fedeli a Londra con il 55 per cento.
Non solo Scozia però: il divorzio dalla Ue ha rilanciato il dibattito su un possibile “opt out” nordirlandese all’uscita dall’Unione, preservando uno status particolare.
A favore della Ue sono il movimento indipendentista Sinn Fèin, i socialdemocratici del Sdlp e i Verdi.
Poi c’è il rischio urne: se la Corte suprema dovesse stabilire che è necessaria la consultazione parlamentare potrebbe innescarsi una crisi politica con il rischio di elezioni anticipate che allungherebbero ulteriormente l’iter.
Secondo i sondaggi più recenti, i Tories restano in vantaggio, mentre il Labour è al 27 per cento.
Infine c’è il dilemma principale quello sulla hard o sulla soft Brexit: non è ancora chiaro quale tipo di relazione avrà Londra con la Ue. È probabile un accordo ad hoc senza seguire un modello prestabilito.
La questione chiave è se la Gran Bretagna resterà nel mercato unico e a quali condizioni.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 29th, 2016 Riccardo Fucile
ATTACCO DI PARANOIA DEI FRATELLI ORFANI: “IL NO ASSOCIATO A UN UOMO DI COLORE E’ UN MESSAGGIO SUBLIMINALE A FAVORE DEL SI'”… E LA CROCE SUL SI’ SAREBBE PIU’ GRANDE: IL SENSO DELLA MISURA A LA RUSSA MANCA DA TEMPO, ORA ANCHE QUELLO DELLA MISURAZIONE
La campagna elettorale sul referendum si sta rivelando sempre più delirante.
Oggi è la volta del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, che denuncia il presunto razzismo in uno degli spot istituzionali sul referendum trasmesso sulle reti Rai dall’inizio di ottobre.
Si tratta di un video predisposto dalla presidenza del Consiglio nel quale i cittadini vengono informati sulla data del voto e sul quesito cui saranno chiamati a rispondere Sì o No.
Il gomplotto del messaggio subliminale a favore del Sì
Nello spot c’è un problema, secondo FdI, è razzista (il che , detto da loro, fa già sorridere di suo)
In uno dei primi frame infatti si vedono infatti due persone camminare in mezzo ad una strada trafficata. Una indossa una camicia bianca, tipica “uniforme renziana” dicono loro che sono esperti in messaggi subliminali, l’altra invece un completo scuro e soprattutto ha la pelle nera, quindi è malvagio (sempre secondo i fratellini)
Subito dopo compaiono in sovraimpressione i due cartelli con le opzioni di voto (Sì/No), il Sì sta “dalla parte” sinistra (come nella scheda elettorale) e quindi “dalla parte” dell’uomo in camicia bianca, il No sulla destra e quindi “dalla parte” dell’uomo nero.
Secondo Ignazio La Russa il significato nascosto è che si vuol fare associare l’uomo bianco al Sì sfruttando la paura per l’uomo nero per convincere gli elettori a non votare No.
Il che, se pensate che a dirlo è uno dei politici che ha militato in tutti quei partiti di destra che da sempre hanno agitato lo spauracchio dell’immigrato e dell’uomo di colore associandolo a criminalità e degrado la cosa risulta anche parecchio divertente. Per La Russa quindi lo spot è uno spot razzista
La Russa va anche oltre, a dire il vero, e ci spiega che sul facsimile della scheda elettorale vengono apposte “croci di grandezza diversa” a seconda che si voti Sì o No. Un altro complotto accuratamente predisposto per convincere a votare Sì e dare più importanza a quel tipo di voto (per tacere di coloro che hanno problemi di vista che non vedono la croce sul No).
Nella realtà delle cose però, le due croci sono della stessa dimensione e hanno la stessa visibilità , basta misurarli.
Secondo La Russa infine anche la chiusura dello spot non va bene, il giovane che guarda l’orizzonte mentre compare l’invito ad andare a votare evocherebbe la voglia di cambiamento e quindi di votare Sì.
Certo, potrebbe essere anche visto come uno che vuole guardare avanti e lasciarsi alle spalle, dal cinque dicembre, le analisi di La Russa sui messaggi subliminali dello spot.
Secondo Giorgia Meloni «Questa campagna referendaria si sta svolgendo con strumenti che ricordano la Corea del Nord di Kim Jong-Un», ed è per questo che Fratelli d’Italia ha presentato tre settimane fa ricorso contro la pubblicità occulta nello spot.
Peccato che la Meloni abbia sbagliato pure l’autorità a cui rivolgersi, infatti il Comitato di Controllo della Pubblicità , cui FdI ha fatto ricorso, ha detto che non è compito loro stabilirlo.
E la ministra Boschi ha avuto buon gioco a ricordare alla Meloni che lo spot aveva superato il vaglio preventivo dell’Autorità garante che ha dato parere favorevole.
Una serie di brutte figure che oggi raggiungono l’apice con il “gomblotto” di ‘Gnazio, l’uomo che non ha il senso della misurazione, oltre che della misura.
Regalategli una lente d’ingrandimento per Natale.
(da agenzie)
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