Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL RISTORATORE DI LODI CHE HA UCCISO CON UN COLPO ALLE SPALLE UN RUBA-TABACCHI E’ GIA’ SULLA STRADA DELLA SANTIFICAZIONE LEGHISTA… TUTTI A CENA DAL PISTOLERO CHE NON SAPEVA CHE SI POTEVANO CHIAMARE I CARABINIERI
Mario Cattaneo, il ristoratore che ha ucciso, dopo una colluttazione, un ladro che si era introdotto nel locale sottostante alla sua abitazione con alcuni complici, è tornato a lavorare.
A cena, ieri, c’era anche Matteo Salvini all’Osteria dei Amis, dove la notte tra giovedì e venerdì è andata in scena la tragedia.
Puntuale arriva il post dello sciacallo italico:
“A cena a Casaletto Lodigiano all’Osteria dei Amis del signor Mario, brava persona aggredita – scrive su Twitter Salvini -. Ha difeso se stesso, la sua famiglia, i suoi nipotini: non merita un processo ma comprensione e solidarietà “.
Peccato che le cose stiano in modo un po’ diverso:
1) i rapinatori non si sono introdotti a casa sua, ma nel suo negozio che alle 3,30 di notte è chiuso. Quindi non ha “difeso se stesso e la sua famiglia” che sarebbero stati al sicuro se fossero rimasti a casa loro, chiamando le forze dell’ordine come accade nei Paesi normali, ma solo la proprietà delle stecche di sigarette che i ladri volevano rubare.
2) In caso di omicidio volontario chiunque merita un processo, la medaglia si dà in altri casi. E sarà il processo a stabilire se il comportamento del ristoratore rientra nell’eccesso di legittima difesa o se sparare alle spalle è stato un atto volontario.
3) Nello Stato di diritto sono le forze dell’ordine gli organi preposti a intervenire, nessuno è autorizzato a farsi giustizia da solo, quindi evitiamo di invocare il “santo subito” nei confronti di tutti gli aspiranti pistoleri in circolazione.
Tanto più che, ricostruzione dei fatti tutti da verificare, la cosa più intelligente, anche se tardiva, l’ha detta proprio il ristoratore-tabacchino (non certo Salvini): “avrei dovuto rimanere a casa e chiamare i carabinieri”.
Appunto.
Soprattutto avrebbe evitato di avere Salvini a cena per la foto ricordo.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
MARIA TERESA DOLCE, DOCENTE DI DIRITTO: “IO C’ERO E POSSO GARANTIRE CHE QUEI VIOLENTI ERANO ESTRANEI AL CORTEO, CI SONO STATE INFILTRAZIONI ESTERNE, POTEVANO ESSERE FERMATI MA NON E’ STATO FATTO”
Di Maria Teresa Dolce, moglie del sindaco di Napoli Luigi de Magistris, e presenza a sorpresa nel
corteo di sabato contro Salvini, fino a oggi si è sempre parlato e saputo pochissimo, nè lei ha mai fatto nulla per conquistarsi la scena mediatica.
Un paio di interviste – una al Mattino, confluita poi in un libro di Maria Chiara Aulisio, e una a Vanity Fair — sempre in qualità di moglie.
E poi una polemica con il sito Dagospia, che adombrava una corsia preferenziale quando lei ottenne la cattedra di Diritto (incarico di ruolo) in una scuola superiore di Napoli («Ero informata di tentativi di trovare qualcosa di losco nella mia vicenda professionale, come del resto fanno da anni nelle nostre vite. Non trovate niente. Potete solo fare allusioni ed insinuazioni»).
Per il resto solo qualche foto durante le feste in occasione delle due elezioni del marito e nient’altro.
Fuori dai riflettori
È solo per questo che sorprende che sabato abbia scelto di partecipare al corteo, come almeno altre cinquemila persone estranee agli scontri e alla violenza: perchè lei in passato aveva sempre preferito stare fuori dagli appuntamenti politici.
Ora però qualcosa è cambiato. Maria Teresa Dolce non è più solo la professoressa che a Catanzaro, quando ancora faceva pratica in uno studio legale, conobbe l’allora pm Luigi de Magistris, se ne innamorò e poi lo sposò nel 1998 a Soverato, e infine lo seguì a Napoli dopo la sua elezione a sindaco.
Oggi Maria Teresa Dolce è una aderente all’associazione e futuro movimento politico DemA, di cui sabato era la rappresentante al corteo.
Assente il sindaco, assente suo fratello Claudio, che di DemA è il segretario, c’era lei. Che, come gli assessori e la gran parte dei consiglieri comunali che pure hanno sfilato per le strade di Fuorigrotta, si è allontanata prima che la manifestazione fosse travolta dalla violenza di un gruppo piccolo ma molto agguerrito e attrezzato.
«Black bloc estranei al corteo»
Lei dalla sua pagina Facebook attacca quel gruppo ma anche altri, evidentemente i responsabili dell’ordine pubblico: «Corteo pacifico, i black bloc li abbiamo visti e non erano nel corteo. Potevano essere fermati prima che si infiltrassero. Perchè non è stato fatto? Sempre la stessa storia, ma non provate a stravolgere la Storia: il corteo non era violento e, se lo è diventato, è stato per infiltrazioni esterne. Questi sono i fatti, io c’ero».
Lei c’era e, giustamente, difende il diritto di esserci.
Ma anche il (presunto) diritto di non volere che ci fosse Salvini: «La libertà di manifestazione del pensiero è tutelata dall’ art. 21 della Costituzione Repubblicana, certamente, ma con dei limiti. È giusto che nel nostro Paese si possa ridere del diritto alla vita altrui, solo perchè di colore della pelle diverso? È giusto non rispettare la dignità della persona umana? Per me no».
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
A POMEZIA CONSULENZE PER 170.000 EURO ALL’ASSISTENTE DI UNA CONSIGLIERA REGIONALE
Lorenzo D’Albergo su Repubblica Roma di oggi racconta la storia di Luigi Leoncilli, avvocato e assistente di Valentina Corrado in Regione Lazio ma anche, e soprattutto, consulente per il comune di Pomezia guidato dal grillino Fabio Fucci.
Trentaquattro dossier affidati dal primo cittadino del comune laziale a partire dal gennaio 2015, con un compenso complessivo molto interessante:
Così Luigi Leoncilli è diventato uno dei consulenti legali più in vista del comune di Pomezia, proprio lo stesso da cui proviene la consigliera Valentina Corrado: per ricorsi al Tar e più pratiche costituzioni di parte civile, si legge sulle tabelle pubblicate in rete, l’avvocato ha guadagnato 59mila euro nel primo semestre del 2015, 74mila nel secondo e 39mila tra gennaio e giugno 2016. Nulla di penalmente rilevante, ovvio. Ma comunque una serie di casualità più da “vecchia” politica che da Movimento 5 Stelle.
Anche perchè i grillini in Regione, a parti invertite, hanno sempre denunciato casi simili: è del 13 novembre 2013 l’interrogazione firmata da tutti gli eletti – tranne, altra curiosità , Corrado – per chiedere conto al governatore Nicola Zingaretti dei casi affidati all’avvocato amministrativista Gianluigi Pellegrino e non all’avvocatura regionale.
Altro punto oscuro: navigando le pagine in cui i consiglieri pentastellati danno conto degli stipendi restituiti ai cittadini del Lazio, il conto relativo a Valentina Corrado si ferma ad agosto.
Gli altri suoi colleghi, invece, sono sul pezzo: l’ultimo aggiornamento per loro è datato dicembre.
Un totale di 172mila euro per un caso di opportunità politica. C’è da ricordare che Virginia Raggi si lamentò pubblicamente ai tempi delle liti su AMA per i compensi a Pellegrino, che aveva vinto in giudizi che prevedevano penali da novecento milioni di euro portandosi a casa quasi un milione.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
RENZI RIPARTE DA MARCHIONNE E GARANTISMO MA RIMANDA PROGRAMMA E ALLEANZE
Nell’ultimo giorno del Lingotto renziano a Torino le sedie arrivano fino alla porta d’ingresso. Ne hanno
aggiunte a centinaia nel tentativo di accomodare tutti.
Per la chiusura, affidata a Matteo Renzi esattamente come l’apertura di venerdì, si presentano in migliaia (5 mila dicono gli organizzatori) e molti restano in piedi.
Il Padiglione 1 è strapieno. Ma la kermesse di presentazione della mozione congressuale di Renzi si chiude senza proposte precise.
La stesura della mozione è rimandata alla “prossima settimana”, dice il leader. Rimandato il tema spinosissimo delle alleanze: “Nessuno sa se ci sarà il maggioritario o il proporzionale…”
I tre giorni di Torino servono però a rafforzare la direzione già nota: sul lavoro, fra i lavoratori e i datori di lavoro, o per semplificare tra Landini e Marchionne, Renzi sceglie ancora il secondo.
Proprio lì, nei locali che una volta ospitavano gli operai che votavano Pci. Sulla giustizia, col caso Consip ancora aperto e Luca Lotti sulla graticola, ribadisce il garantismo.
Non è poco, mentre il dibattito su contenuti e alleanze agita la platea del Lingotto e polarizza le tensioni tra Orfini e Martina da una parte e i centristi di Franceschini dall’altra. Convitati di pietra: Ncd, Pisapia e finanche Mdp.
Renzi tenta faticosamente di stare al centro. Elogia l’a.d. di Fiat, il suo amico Marchionne: “Il fatto che ci siano degli stabilimenti Fiat in Italia non significa la vittoria del capitalismo, ma che ci sono donne e degli uomini che sono tornati in fabbrica. Dieci anni fa non era scontato che la Fiat potesse avere insediamenti importanti in Italia”.
Attacca gli scissionisti del Pd e l’amarcord di sinistra: “Non si crea lavoro cantando Bandiera Rossa o facendo il pugno chiuso…”. Li attacca anche nel loro richiamo all’Ulivo. Questa è per Massimo D’Alema: “Sento parlare di Ulivo da parte di chi lo ha segato dall’interno, avverto apoteosi intorno all’Ulivo da parte di chi ha contribuito a far finire anticipatamente l’esperienza di Romano Prodi”.
E mentre la platea si scatena, lui prova a continuare: “Se Prodi fosse stato anche capo del partito oltre che del governo non sarebbe andata così… Alcuni sono più esperti di xylella che di Ulivo”.
Renzi non attacca Pisapia con cui immagina di poter dialogare, anche in nome dell’unica cosa che per ora li avvicina: il garantismo.
“Giustizia e non giustizialismo!”, scandisce dal palco. Luca Lotti, il ministro e braccio destro indagato per l’inchiesta Consip, lo ascolta in prima fila, seduto accanto a Martina, che corre in ticket con Renzi per la segreteria.
“Un cittadino è innocente fino a sentenza passata in giudicato sempre e non a giorni alterni!”.
Gli applausi anche qui crescono e lui si galvanizza: “I processi si fanno nei tribunali e non sui giornali, devono giudicare i giudici e non i commentatori; gli articoli sono quelli del codice penale e non quelli dei giornali!”. Fa sul serio tanto da inviare un “messaggio di solidarietà a Raggi indagata, perchè noi non facciamo come il Movimento 5 Stelle.
Anzi, Di Maio e Di Battista: rinunciate all’immunità e prendetevi le querele, venite in tribunale e vediamo chi avrà ragione e chi torto. Vi aspettiamo con affetto… e con gli avvocati”.
Marchionne e garantismo. Sono le due direzioni di marcia che – non si sa come – stabiliscono un qualche ordine nel caos di contraddizioni del Lingotto. C’è chi ci sta comodo e chi meno. Ma tanto di proposte concrete, oggi non se ne parla.
“La partita inizia adesso — dice Renzi – la mozione sarà scritta la prossima settimana, ma c’è il progetto per il Paese. Noi non sappiamo se il futuro è maggioritario o proporzionale, abbiamo le nostre idee, ma dopo il 4 dicembre quel disegno di innovazione istituzionale è più debole, la forza delle nostre idee è il confronto con gli altri e allora vincerà chi sarà più forte in termini di progetti e proposte”.
In platea c’è il premier Paolo Gentiloni. Standing ovation per lui quando Renzi lo cita e lo ringrazia dal palco.
Eppure alla fine è stato proprio il premier a svuotare il Lingotto. Nel senso che Gentiloni avrebbe chiesto all’organizzatore dei contenuti, Tommaso Nannicini, di evitare proposte precise in materia di economia.
Sarebbero servite solo a peggiorare la vita del governo, in quanto la tre giorni del Lingotto è di una parte del Pd, una parte dell’alleanza di governo.
Meglio non mettere carri davanti ai buoi insomma, proprio nel periodo che serve a preparare il Def. E pazienza se, nelle intenzioni originarie di Renzi, il Lingotto doveva servire a elaborare le ricette di green economy studiate nel recente viaggio in Silicon Valley.
Il Lingotto serve invece a rilanciare la vecchia proposta renziana di “primarie per la scelta del presidente della Commissione europea: dal primo maggio chiederemo questo al Pse.
Il prossimo presidente sarà scelto dal popolo: è un passaggio rivoluzionario e lo porterà il Pd”, dice Renzi. Ma soprattutto il Lingotto è servito a risollevare una leadership caduta in disgrazia. I sondaggi lo vedono in testa, saldamente, alle primarie del Pd.
“Vedo molto bene Matteo e Maurizio Martina insieme”, avverte il ministro Marco Minniti, uno dei più applauditi. Ma un partito moderno è un partito che ha una leadership forte: non c’è leader senza partito ma anche non c’è partito senza leader”. Sulla stessa linea Graziano Delrio: “I napoletani non avevano paura che Maradona giocasse troppo la palla: erano una squadra, ma senza Maradona non vincevano lo scudetto”.
E’ chiaro chi ha lo scettro del comando. O meglio: della sintesi. Perchè dalla sconfitta referendaria in poi “tutto è cambiato”, ammette una fonte renziana. Non a caso, ogni corrente ha approfittato del Lingotto per piantare paletti intorno a Renzi.
“Ma lui non ragiona ideologicamente come fanno Orfini e Martina”, spiega una fonte dell’area di Franceschini, “Renzi ragionerà con realismo. Oggi non ci sono più le condizioni che hanno dato vita al Pd. Abbiamo provato a sconfiggere i populismi con il bipolarismo ma non ci siamo riusciti. Ora si ragiona in termini proporzionali”. Insomma la ‘santa alleanza’ contro Lega e M5S.
Ma Renzi è cauto, non si scopre a sinistra per non alimentare le sirene dell’avversario Andrea Orlando. “Il passato è il futuro”, dice un renziano di prima fascia quando il Lingotto si è già svuotato, al termine della convention. “La Dc aveva al suo interno sinistra e destra, con un capo a fare sintesi”. Il progetto è questo, con Renzi segretario del Pd. Pure premier? Chissà , col proporzionale nulla è scritto, figurarsi le regole dello Statuto dem.
Per tutto il resto, bisognerà aspettare.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
INDAGINI DI TRE PROCURE: CHI HA ALZATO I PREZZI DEGLI AFFITTI E DELLE MERCI PER GLI SFOLLATI
Gli sciacalli son tornati. Anzi, non se ne sono mai andati.
Si aggirano ancora sulle macerie del terremoto, frugando nella disperazione per tirarne fuori lucro.
Non si tratta più dei ladri che, dopo le scosse, si infilavano nei palazzi pericolanti per grattare l’argenteria. Gli sciacalli, ora, hanno il volto di chi vive a Roma eppure si finge terremotato per rubare allo Stato i 600 euro mensili per l’autonoma sistemazione. Hanno la sfacciataggine di chi utilizza il nome di Amatrice per vendere braccialetti o magliette con la promessa di fare beneficenza, salvo poi tenersi l’incasso.
C’è poi l’aspetto di chi alza i canoni degli affitti perchè “così impone il mercato, signori”.
Ma nei giorni immediatamente successivi alle scosse del 24 agosto erano stati individuati alcuni distributori di benzina che avevano aumentato del 30 per cento il costo del carburante. Lo stesso è avvenuto a novembre nelle Marche.
Anche sugli insaccati, risorsa economica soprattutto sul versante umbro, c’è stato chi ha provato ad approfittare: a Norcia hanno fatto incetta di prosciutti e salumi a basso costo da quelle aziende che, per colpa del sisma, non avevano più le cantine dove conservarli e rischiavano di vederli deperire.
Il terremoto come business, Amatrice come brand.
Sta accadendo anche questo. E gli appetiti maggiori si devono ancora scatenare sui finanziamenti per le ristrutturazioni e gli adeguamenti.
L’esperienza de L’Aquila, con i processi che hanno permesso di recuperare decine di milioni di euro, insegna.
Il cratere del centro Italia, vista la vastità , impone un’attenzione maggiore: saranno circa 120mila, secondo le stime, le abitazioni considerate inagibili o comunque gravemente lesionate al termine delle verifiche. A L’Aquila erano 75mila.
In via preventiva la Protezione civile ha siglato un accordo con la Guardia di Finanza. “Servirà a garantire legalità e correttezza alle popolazioni colpite dal terremoto”, promette il comandante generale, Giorgio Toschi.
È stata creata una banca dati unificata per condividere le informazioni e velocizzare il monitoraggio.
“Perchè – sostiene il capo del Dipartimento di Protezione Civile Francesco Curcio – lo sforzo straordinario che stiamo facendo serve anche per prevenire e contrastare la speculazione sul terremoto”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO L’AUSTRIA, ANCHE L’OLANDA MERCOLEDI POTREBBE DARE UNO SCHIAFFONE AL CANDIDATO RAZZISTA… SONDAGGI: IN TRE MESI DA + 12 SEGGI A – 3 RISPETTO AL PARTITO POPOLARE DI RUTTE
Mercoledì si vota in Olanda e gli occhi di mezza Europa sono puntati sui seggi elettorali. I Paesi Bassi
aprono infatti la stagione elettorale europea che proseguirà poi con la Francia e in autunno con la Germania (e forse anche con l’Italia).
Sul campo di battaglia si sfidano l’ex premier conservatore, Mark Rutte, e il leader della destra xenofoba ed euroscettica, Geert Wilders.
I sondaggi danno Wilders in caduta libera
I sondaggi, che nelle settimane passate avevano dato il Pvv di Wielder in ascesa costante, ora rilevano una flessione del consenso.
Tutti gli istituti di sodaggi sembrano essersi allineati: il VVD del premier lberal-popolare Rutte è il primo partito con un consenso che oscilla tra 24 e 26 seggi e ha sorpassato il PVV di Wilders di 2-4 lunghezze. Fino a un paio di mesi fa il partito xenofobo era davanti di ben 12 seggi.
Come mai questa flessione del supporto all’euroscettico Wielders?
Il motivo va ricercato, dicono gli analisti olandesi, nella voglia di esprimere un voto utile. Il sistema elettorale dei paesi Bassi è infatti un proporzionale puro.
A causa della frammentazione del panorama politico il futuro governo, qualunque sia il partito che prenda la maggioranza, dovrà fare alleanze per governare e nessuna formazione ha ventilato l’ipotesi di coalizzarsi con Wielders.
Si dovrebbe tornare cosà al voto o formare un governo eludendo il Pvv. Gli olandesi stanno dunque convergendo sulle formazioni in grado di formare alleanze di governo.
Una clamorosa sconfitta di Wilders potrebbe dare il via ad un effetto domino che porterebbe danneggiare anche Marine Le Pen all’Eliseo in Francia e il partito Alternativa per la Germania
Il vero exploit potrebbe venire dal giovane verde Klaver. Il suo partito, GroenLinks, attualmente ha 4 seggi: secondo i sondaggi arriverebbe a prenderne 17.
Secondo il centro di ricerche Bruges Group il 39% degli olandesi è favorevole a rimanere all’interno dell’Unione europea mentre il 23% sarebbe disposto a votare per l’Uscita. A fare la differenza è quel 27% che non ha ancor deciso.
Le prospettive di Wilders di andare al potere all’Aia sono praticamente nulle. L’esito delle elezioni olandesi dovrebbe semmai confermare il trend della frammentazione politica in Europa, che rende sempre piu’ difficile la formazione di governi politicamente stabili e coerenti.
L’Olanda e’ ben lontana dall’astensionismo greco (44 percento) e italiano. Anzi, si prevede per quest’anno l’aumento dell’affluenza alle urne, gia’ alta la scorsa tornata, al 75 percento. Per il resto pero’ il paese e’ all’avanguardia.
(da agenzie)
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