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“NAPOLI FOGNA INFERNALE”: IL SINDACO DI CANTU’ INSULTA LA CITTA’ PARTENOPEA

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

E CRITICA SALVINI PER ESSERCI ANDATO… E QUESTO SAREBBE UN SINDACO DELLO STATO ITALIANO?

«Napoli per me resta una fogna infernale». Le parole – che hanno scatenato un putiferio sui social network – sono di Claudio Bizzozero, sindaco di Cantù, in provincia di Como, che in un post sulla sua pagina Facebook attacca Matteo Salvini, leader della Lega Nord, che qualche giorno fa si trovava proprio nella città  partenopea.
«Fossi stato presente (nella trasmissione “Quinta Colonna” a cui era stato invitato, ndr) gli avrei semplicemente detto che casa mia invece è Cantù e la Lombardia è la mia terra, mentre Napoli per me resta una fogna infernale (emblema dell’intera “ItaGlia”) dalla quale mi tengo ben lontano».
Bizzozero, che si firma «Sindaco libero e fieramente lombardo del Comune departitocratizzato di Cantù», è il fondatore di “Lavori in Corso”, la lista civica con cui ha vinto le elezioni a sindaco e recentemente ha anche dato vita al “Fronte di Liberazione Fiscale”, con cui si presenterà  alle Regionali del 2018.
Nel post lamenta anche il fatto che ieri avrebbe dovuto partecipare, proprio insieme a Salvini, a “Quinta Colonna”, ma «mentre già  ero a metà  del viaggio per Roma, mi hanno telefonato dalla redazione per dirmi che sarei slittato nella seconda metà  della trasmissione (cioè dopo la comparsata salviniana). Vi sembra un caso? A me per niente».
Per Bizzozero Salvini è «un piccolo insignificante leaderuccio naziunal partenopeo che ha paura dei confronti pubblici con chi sa che lo metterebbe in difficoltà . Che un personaggio così insignificante rappresenti Napoli e la fogna italica non mi sorprende. I napoletani fanno benissimo a votarlo: è perfetto per loro. Che rappresenti invece noi lombardi. mi sembra invece una nostra gravissima responsabilità  e sorprendente che alcuni fra noi ancora lo votino».
Nei commenti ai suoi post hanno risposto centinaia di napoletani giustamente indignati e arrabbiati per le sue parole e qualcuno gli ha anche chiesto di dimettersi. Da Salvini, intanto, nessuna risposta.

Chiara Baldi
(da “La Stampa”)

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MACRON SALE ANCORA E STACCA MARINE LE PEN: 26% A 24,5%, FILLON SCENDE AL 17%, MELANCHON 13,5% SUPERA HAMON ALL’11,5%

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

FILLON SOMMERSO DAGLI SCANDALI, I SOCIALISTI CHIEDONO IL SUO RITIRO

Il candidato della destra, Francois Fillon, denuncia un “complotto” e violazioni del “segreto istruttorio” con fughe di notizie, organizzate dai “servizi dello Stato”.
“Ogni settimana – ha detto Fillon – ci sono fughe (di notizie, ndr) contro il segreto istruttorio organizzate dai servizi dello Stato. E casualmente il Partito socialista, Macron, Hollande, si fiondano su queste pseudo-rivelazioni nella pretesa che non ci siano candidati di Destra. La verità  – ha ammonito l’ex uomo forte dei Rèpublicains – è che la gauche è nell’incapacità  di vincere questa elezione e che ormai ha solo una possibilità  di riuscirci: non avere avversari a destra”.
Quanto alle dimissioni di Bruno Le Roux, il ministro che in meno di 24 ore ha lasciato il governo dopo lo scoop sugli impieghi alle figlie in parlamento, Fillon ha detto: “Non sono ministro dell’Interno, sono candidato all’elezione presidenziale.
Una “Repubblica esemplare” impone che su “chi esercita le più alte funzioni o punta alle più alte cariche” non debba pesare “alcun sospetto”, aveva detto poco prima, in Consiglio dei ministri, Franà§ois Hollande, dopo le dimissioni di Le Roux e le ultime rivelazioni di Le Monde e Le Candard Enchainè su Fillon.
Mosca smentisce Le Canard su Fillon
Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, smentisce le informazioni del settimanale francese Le Canard Enchainè secondo cui Francois Fillon avrebbe fatto da intermediario per organizzare nel 2015 un incontro fra il presidente russo Vladimir Putin, un miliardario libanese e l’amministratore delegato di Total, Patrick Pouyannè. “Per quanto riguarda gli incontri con il presidente – ha affermato Peskov, secondo quanto riporta France Info – vengono organizzati dal protocollo presidenziale ed è escluso che un intermediario possa svolgere un ruolo”. Putin non ha bisogno di “intermediari”, ha tagliato corto il portavoce di Mosca, bollando le informazioni del Canard come “false”.
“Si ritiri”.
L’appello dei socialisti a Fillon. “Si ritiri signor Fillon, ne va della democrazia, della Repubblica e della Francia”: è l’appello dei socialisti francesi, che oggi invitano il candidato della Destra indagato per il PenelopeGate, Francois Fillon, a lasciare l’incarico, prendendo esempio dall’ex ministro Bruno Le Roux, che ieri si è dimesso in meno di 24 ore dopo le rivelazioni sugli impieghi in parlamento alle figlie minorenni. Un caso simile a quello di Fillon, con la differenza che quest’ultimo resta aggrappato alla candidatura, mentre l’altro ha lasciato. Ieri, la procura finanziaria che indaga sul candidato dei Rèpublicains avrebbe appesantito il fascicolo giudiziario con nuovi capi d’accusa, tra cui falso e truffa aggravata.
Sondaggio, Macron va.
Emmanuel Macron distacca Marine Le Pen dopo il primo dibattito fra i candidati all’Eliseo di due sere fa.
Secondo la rilevazione Elabe per BFM TV, il candidato di ‘En Marche!’ guadagna mezzo punto nelle intenzioni di voto ed è ora davanti alla presidente del Front National (che ne perde mezzo) di 1,5 punti: 26% per Macron, 24,5% per Le Pen.
Scende di un altro mezzo punto anche Francois Fillon, il candidato della destra ormai al 17%. Nello scontro fra le sinistre, Jean-Luc Melenchon (France Insoumise, sinistra radicale) è ormai al quarto posto (13,5%), 2 punti davanti al candidato uscito dalle primarie socialiste, Benoit Hamon (11,5%).

(da agenzie)

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LA MALEDIZIONE DI VIA POLI, LE BOTTEGHE OSCURE DEI CENTRISTI

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

LA STRADA DOVE I GRUPPI POLITICI NASCONO E MUOIONO: DALLA MARGHERITA A FUTURO E LIBERTA’, DA SCELTA CIVICA A VERDINI

Un indirizzo, un destino. Via Poli. Tutti i partiti che a Roma vanno ad aprire i loro uffici pagano un incantesimo.
È la strada dove i gruppi politici nascono e muoiono. Così fu nell’ordine per la Margherita, i Club della Libertà , Futuro e Libertà  (Fli) Scelta Civica e oggi Ala, il gioiellino di Denis Verdini, stampella di salvataggio del governo di Matteo Renzi.   Via Poli è una striscia ubicata nel pieno centro della Capitale, tra via del Tritone e via del Pozzetto, a pochi passi da Fontana Trevi.
Il bello è che questa volta glielo dissero a Verdini. Ma il vecchio leone di Fivizzano preferì accendersi una Marlboro rossa e scrollare le spalle: «Ma quale jella, io sono Verdini, mica Fini».
La storia ormai si ripete da più di due lustri.
Era infatti l’inizio del 2000 quando Francesco Rutelli, fresco di sconfitta con Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 2001, trova per la sua Margherita una sede proprio a via Poli, di fronte gli uffici della Camera di Palazzo Marini.
Il passaggio da questa maledetto indirizzo segna le sorti del partito di Rutelli.
Che di lì a poco si sposta nella vicina via sant’Andrea della Fratte fino a fondersi nel 2007 con i Ds per far nascere il partito democratico.
Dal 2012 la Margherita è definitivamente scomparsa dalla geografia politica dei palazzi. Lo scandalo del tesoriere Lusi, arrestato per aver sottratto denaro alla Margherita, ne determina lo scioglimento e la messa in liquidazione.
Eppoi come dimenticare il 6 ottobre del 2010 quando in via Poli, nel medesimo edificio, al quinto piano nasce Futuro e Libertà , il contenitore finiano che determina lo strappo definitivo fra l’ex presidente della Camera e il Cavaliere di Arcore:
«Oggi non ci accingiamo a fare una An in piccolo, ma il Pdl in grande». Gli archivi di cronaca politica raccontano che quel giorno a causa della ressa di cronisti e telecamere Gianni Letta rimase intrappolato nel traffico con la sua Maserati prima di raggiungere il suo ufficio a Largo del Nazareno.
Fu l’inizio del declino di Gianfranco Fini. Alle elezioni politiche del 2013 Fli infatti non supera la soglia di sbarramento e non accede in Parlamento.
E sempre qui a via Poli nel medesimo palazzo, allo stesso piano, svanisce il sogno di Mario Monti e della sua Scelta Civica.
Lo avevano preso a chiamare «Super Mario» perchè avrebbe dovuto salvare l’Italia dal default e dall’incubo spread.
Nel 2013 dopo la breve esperienza del governo tecnico il professore si candida a guidare il Paese benchè sia “convinto” che sarebbe sicuramente “più comodo” restare nel suo studio di senatore a vita a palazzo Giustiniani.
Di Monti e della sua Scelta Civica non resta praticamente più nulla. I suoi si sono divisi in mille rivoli. C’è chi è andato con Pierferdinando Casini, chi ha fatto nascere in Parlamento i “Civici e gli Innovatori”, e chi è andato con Denis Verdini.
Già , Verdini. L’ex berlusconiano non perde tempo quando rompe con il Cavaliere. Mette alla luce Ala, Alleanza Liberal popolare Autonomie. Con una sede nuova di zecca, ovviamente in via Poli.
Da quel dì, come osano ripetere i suoi, «il partito di Denis ha donato sangue senza ricevere alcunchè». Non ha ottenuto alcun ministero o posto di sottogoverno nè da Matteo Renzi nè da Paolo Gentiloni.
Nessun riconoscimento politico da parte Pd, nonostante Ala abbia salvato in Senato più volte la maggioranza. Il 2 marzo scorso è poi arrivata la condanna a 7 anni ai danni di Verdini per il processo sul Credito cooperativo fiorentino.
E così fra qualche settimana anche Ala dovrebbe lasciare la sede di via Poli. Riferiscono alla Stampa che abbiano già  trovato un immobile a piazza San Lorenzo in Lucina. A pochi passi da quella che fu l’ultima sede di Fi.
«Almeno lì — riferisce un fedelissimo di Denis — ci dicono non porti sfiga».
Sarà  così?

Giuseppe Alberto Falci
(da “La Stampa“)

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CASO M5S GENOVA, LA PENOSA STORIA DEL PROCESSO ALLA STREGA CASSIMATIS IMBASTITO SU PROVE FASULLE

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

I PROCESSI PER ERESIA CHE DIVENTANO OPERAZIONI MANIPOLATIVE

A settant’anni suonati non immaginavo di dovermi imbattere nel revival di alcuni tra i più indecenti e meschini orrori novecenteschi; coniugazioni di protervia e servilismo, seppure nel canonico passaggio dalla tragedia alla farsa.
Che altro sono se non una riedizione della caccia alle streghe le pratiche retrostanti l’affermazione del Torquemada-garante Grillo che “la democrazia ha le sue regole”?
Nel caso variabili a piacere, per criminalizzare chicchessia secondo capriccio o convenienza.
Di che altro si tratta se non di logiche da processo staliniano il baluginare di accuse infamanti, eppure indicibili e mai specificate, con cui il Grande Inquisitore Grillo ha condannato al rogo la molesta Marika Cassimatis?
Sulla base del singolare assunto giuridico “fidatevi di me”.
Che altro sono se non “compagnos de route” da Guerra Fredda i commentatori che hanno legittimato il repulisti sulla base di prove inoppugnabili (seppure non controllabili), loro assicurate da autorevoli colonnelli del Movimento?
Anche se un tempo gli aderenti alla congrega degli allineati alla verità  ufficiale si chiamavano Jean Paul Sartre e Gyà¶rgy Lukà cs, mentre i loro odierni epigoni esibiscono un retroterra culturale ben più modesto (e magari pop).
Essendo concittadino della strega destinata alle fiamme (seppure virtuali, ma non per questo meno ustionanti) mi sento in dovere di testimoniare in suo favore.
Non perchè abbia niente a che spartire con lei, ma per amore di verità . E di decenza, visto che non è tollerabile far passare la tesi giustificazionista dello scempio di umanità  in corso, sostenendo spudoratamente che la Cassimatis sarebbe un’infiltrata dell’ultima ora; quando milita nel Movimento da un lustro, con una dedizione che in altri tempi mi spinse perfino a litigarci.
Dunque, la solita tecnica del processo imbastito su prove fasulle che ci riporta indietro di mezzo millennio, al clima che lo storico Carlo Ginzburg descrisse nel suo celebre studio “Il formaggio e i vermi”: i processi per eresia che diventavano immense operazioni manipolative delle psiche dei coinvolti, compresa quella del processato.
Che alla fine si convinceva lui stesso di essere colpevole delle malefatte ascritte.
Lo stesso massacro di verità , attuato nell’Unione Sovietica anni Trenta, con la messinscena delle grandi purghe descritte nel suo “Buio a Mezzogiorno” dallo scrittore dissidente Arthur Koestler.
Lo schema mentale è ancora e sempre lo stesso, seppure riproposto in maniera farsesca. Difatti — a quanto ne so — la presunta adepta del Satana-Pizzarotti non intende aderire a nessuna altra lista per le prossime amministrative genovesi, annichilita da quello che i suoi carnefici morali potrebbero eccepire al riguardo.
Anche se — a quanto si dice — starebbe valutando di tutelare il proprio onore battendo la strada che più di tutte lo Staff M5S paventa: l’azione giudiziaria con richiesta di danni.
Ma è lo spirito aleggiante sull’intera vicenda che andrebbe combattuto con forza (non strumentalizzato, come dimostrano di voler fare le code di paglia lunghe un chilometro dei renziani).
Per questo bisognerebbe recuperare lo spirito battagliero di un Voltaire (non quello totalitario di un Rousseau, cari Casaleggi), contro la caccia alle streghe e l’oscurantismo. Le rinascenti superstizioni secolarizzate.
“Il superstizioso sta un furfante come lo schiavo al tiranno” scriveva nel suo Dizionario filosofico il grande illuminista.

Pierfranco Pellizzetti
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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“I GRILLINI MI HANNO TRADITO”: LO SFOGO DI MARRA DAL CARCERE

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

L’EX BRACCIO DESTRO DI RAGGI: “INCOMPETENTI, ALTRO CHE QUATTRO AMICI AL BAR”

Tre mesi di carcere non gli hanno minimamente piegato l’orgoglio.
«Sto bene», ripete, poi aggiunge «fisicamente sto bene» ed è come se quell’avverbio fosse un’ancora a cui aggrapparsi per non mostrare cedimenti, per ostentare una forza che non vuole curvarsi nell’umiliazione. Innanzitutto di essere stato abbandonato da quelli che considerava gli amici, sì proprio i famosi «4 amici al bar» che comandavano in Campidoglio con lui, su tutti Virginia Raggi che a poche ore dal suo arresto aveva già  scaricato il fedelissimo braccio destro come «solo uno dei tanti 23 mila dipendenti…».
«Si è visto che amici erano…», «incompetenti» ripete Raffaele Marra che veste la sua dignità  di uomo costretto in una cella da quasi cento giorni di fronte a Roberto Giachetti. Proprio lui, che era stato l’avversario di colei che chiamava «la mia sindaca» ben prima che Raggi venisse eletta.
Ma Giachetti non è solo l’ex candidato del Pd e il vicepresidente della Camera: è un politico che frequenta le carceri dove ama tornare per raccogliere i disagi di chi è condannato a vivere in condizioni spesso fuori norma e sotto tagli di risorse costanti.
A Regina Coeli ci sono 900 detenuti, il 60% stranieri ma la capienza è di 725 unità . «Siamo sotto almeno del 40% per impiegati alla sicurezza e alla vigilanza… per fortuna ci sono i volontari» racconta a Giachetti la dirigente che lo accompagna tra le sezioni del carcere.
La Seconda è dedicata ai reparti psichiatrici, e anche qui il personale che deve assistere i potenziali suicidi, 24 ore su 24, è poco.
Nella sezione dei detenuti impiegati nei lavori, Giachetti è investito dallo sfogo di chi come Vincenzino lamenta di non riuscire a comunicare con il magistrato di sorveglianza.
Nella Sesta sezione, quella dei reati comuni, incontra Marra.
Su due ore di visita sono pochi minuti. Ma decisivi per capire come sta e cosa pensa l’ex capo del personale della giunta Raggi, sul quale si è scatenata la più feroce faida mai vista all’interno del M5S.
Marra condivide la cella con un detenuto marocchino e uno romano. Giachetti lo ha già  incontrato a Natale, ma allora erano passati meno di dieci giorni dal suo arresto, il 16 dicembre, quando Marra venne prelevato dalla sua abitazione con l’accusa di corruzione assieme all’immobiliarista Sergio Scarpellini per una mazzetta di 370 mila euro che il dirigente del Campidoglio avrebbe ricevuto nel 2013 dall’imprenditore per l’acquisto di un appartamento.
Oggi i giorni di detenzione sono molti di più. «Novantasei per la precisione – risponde Marra, quasi fiero -. Li ho contati uno per uno. È una vergogna».
Lo dice non sapendo che qualche ora dopo la Cassazione avrebbe confermato la custodia cautelare stabilita dal Riesame per pericolo di recidiva e di inquinamento delle prove se fosse rimesso in libertà  o ai domiciliari.
Ancora troppo «solido» il suo ruolo nell’amministrazione, secondo i giudici, e presente «la rete di solidarietà  professionale e familiare».
Marra è uno che guarda dritto negli occhi quando parla e dissimula una resistenza dietro la quale Giachetti intravede una sofferenza che non è solo fisica.
È dimagrito, certo, ma ben vestito. Indossa un golf grigio scuro, jeans e scarpe di camoscio, come se dovesse ricevere delle visite, ma gli altri detenuti dicono che è «sempre molto teso e nervoso e si sente che vomita spesso».
Ha scelto di non farsi vedere in carcere dalla moglie e dai tre figli ancora minorenni che vivono all’estero.
Ma è dura stare tre mesi senza vedere nessuno, con i pensieri che non ti danno tregua e corrono verso i vecchi amici.
Nessuno dei 5 Stelle, la sindaca Raggi, l’ex vice sindaco Daniele Frongia, si è fatto vivo. «Non ho sentito più nessuno di quelli, altro che quattro amici al bar – dice con amaro riferimento al nome della chat con Raggi, Frongia e l’ex capo-segreteria della sindaca Salvatore Romeo – Si è visto che amici erano…».
Marra si sente scaricato, tradito.
«Ha visto le chat? – chiede a Giachetti – Ha visto che roba e ha visto le mie risposte. Ho fatto l’errore di affidarmi a gente incompetente… Incompetenti, incompetenti» ripete con sdegno, deluso.
Giachetti ne approfitta per stemperare la tensione ricordandogli che era lui il «Robertino» che Marra chiedeva ai vecchi amici di «sputtanare» cercando qualcosa nel suo passato. Ma Marra non sorride, chiuso nella gravità  dei suoi pensieri: «Sì, sì, ma ha visto le mie risposte».
Vorrebbe ma non può dire di più su come i magistrati stanno gestendo il suo processo: «96 giorni, una vergogna. Mi hanno tolto la dignità . Aspetto di uscire per rivedere la mia famiglia. Qui dentro non voglio. Sanno che sono innocente. Li rivedrò quando avrò riacquistato la mia dignità ».

Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)

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LONDRA, L’ATTENTATORE INDICATO IN UN PRIMO TEMPO NON E’ QUELLO GIUSTO: E’ ANCORA IN CARCERE

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

QUATTRO MORTI PER IL SUV SULLA FOLLA, MA L’ATTENTATORE NON HA ANCORA UN NOME…. SCOTLAND YARD: “FINO A PROVA CONTRARIA PENSIAMO A UN ATTO DI TERRORISMO”

Un suv piomba sulla folla, lasciando una decina di persone a terra. Si odono spari nel cortile del Parlamento. L’assalitore viene ucciso, non prima di aver accoltellato a morte un poliziotto.
E’ cominciato poco dopo le 15.30 italiane il pomeriggio di terrore di Londra, 12 anni dopo gli attacchi di Al Qaeda nella metropolitana e a una anno esatto dall’attacco dell’Isis nell’aeroporto di Zaventem, a Bruxelles.
L’edificio è stato posto in lockdown e i lavori della Camera dei Comuni sono stati sospesi. Il primo ministro Theresa May è stata evacuata. Scotland Yard ha fatto sapere che l’attentatore ha agito da solo, le vittime sono 4 (compreso il killer), i feriti 20 e che l’attacco viene trattato “come un evento terroristico“.
Secondo una prima ricostruzione, il suv di colore nero è piombato sulla folla su Westminster Bridge.
L’uomo al volante è sceso “armato di coltello“, è riuscito a entrare nel cortile del Parlamento, dove ha avuto una colluttazione con due agenti. Ne ha ferito uno, mentre l’altro è riuscito ad allontanarsi per chiamare i rinforzi.
Due agenti in borghese avrebbero quindi freddato l’assalitore.
Secondo il Daily Mail, la polizia ha sparato ad “un uomo che impugnava un coltello” all’interno dell’area dell’edificio, dopo che un’auto aveva falciato diverse persone sul vicino Westminster Bridge, prima di andare ad urtare contro le balaustre.
Il tabloid riporta che l’autista del mezzo è poi sceso armato di coltello tentando di fare irruzione nel compound. Diversi i colpi di arma da fuoco uditi intorno alle 14.35 (ora locale), dopo che è stato udito un forte rumore all’interno dell’area del Parlamento.
Il grande interrogativo che tutti si pongono subito dopo l’attentato è uno solo: l’assalitore è un terrorista di estrazione islamica?
Ipotesi che pare essere verificata la tv inglese Channel 4 diffonde il nome di Trevor Brooks, noto come Abu Izzadeen.
Imam di Clapton, di origini giamaicane ma nato nell’East London, Brooks è considerato un “predicatore d’odio“. Un vero e proprio schiaffo per l’intelligence britannica, visto che Brooks era noto alle autorità  fin dal 2006, come   portavoce di Al Ghurabaa, organizzazione musulmana messa fuori legge nello stesso anno.
Nel 2015 aveva fatto perdere le proprie tracce, prima di essere arrestato dalla polizia ungherese su un treno diretto a Bucarest, in Romania, e quindi rispedito in patria. Passano poche ore, però, è la notizia viene smentita: non è Abu Izzadeen l’attentatore di Westminster Bridge. Secondo la stessa Channel 4, che cita l’avvocato e il fratello dell’uomo, Brooks è ancora in prigione.
E in attesa che venga diffusa l’identità  dell’assalitore il premier Teresa May ha parlato alla nazione. “Il nostro livello di sicurezza è stato rafforzato”, definendo “l’attacco terroristico come un atto disgustoso e odioso”, visto che “è stato colpito il cuore della nostra capitale”. “Ogni tentativo di sconfiggere i nostri valori è destinato al fallimento”, ha concluso.

(da agenzie)

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ATTACCO A WESTMINSTER, AUTO SU FOLLA, UOMO TENTA DI ENTRARE IN PARLAMENTO CON COLTELLO, UCCISO

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

ALMENO UNA DONNA MORTA, DODICI I FERITI… SI SOSPETTA UN ATTO DI   TERRORISMO DA PARTE DI UN LUPO SOLITARIO

Dodici anni dopo l’attacco dei kamikaze islamici nel metrò, il terrorismo torna a colpire sotto il Big Ben.
Questa volta letteralmente: un’auto ha investito una dozzina di passanti sul ponte di Westminster, a pochi metri dalla torre dell’orologio che sormonta il parlamento britannico.
Una donna è morta e altre persone sono state ferite, alcune in modo molto grave, il bilancio non ufficiale dal St Thomas Hospital.
Sull’auto c’è un solo uomo, vestito di nero, con barbetta e tratti asiatici. quando l’auto si fracassa contro il cancello, esce dalla macchina e raggiunge di corsa l’entrata del parlamento   a poche decine di metri di distanza.
Un testimone riferisce che impugna due coltelli, tenendoli in mano con la cosiddetta “presa a martello”, con questi assale uno dei poliziotti di guardia all’ingresso, ferendolo gravemente, prima di essere ucciso da due agenti in borghese.
Il primo ministro Theresa May, che si trovava all’interno del palazzo, è stato caricato d’urgenza su una Jaguar e rapidamente allontanato, come prescrivono le misure di sicurezza in questi casi.
“Stiamo trattando l’incidente come un attacco terroristico” è il primo commento di Scotland Yard, che ha ordinato di fatto ai deputati di barricarsi dentro il parlamento e ha chiuso l’intera zona al traffico, incluse le più vicine stazione della metropolitana.
L’allarme scatta alle 2:45 del pomeriggio, ora di Londra, quando un fuoristrada grigio proveniente dalla riva sud del Tamigi sale all’improvviso sul marciapiede adiacente il parlamento di Westminster e falcia i pedoni che a quell’ora sono come sempre numerosi.
Tra le vittime ci sono molto probabilmente turisti, perchè sono in particolare i visitatori stranieri a frequentare l’area per scattare foto ricordo con il Big Ben sullo sfondo.
L’auto va a fracassarsi contro i cancelli esterni del palazzo. A quel punto, secondo una prima ricostruzione, uno degli occupanti esce dal veicolo e raggiunge a piedi l’ingresso della camera dei Comuni, a poche decine di metri di distanza.
Al cancello stazionano sempre un paio di poliziotti: l’uomo, vestito di nero, ne assale uno con un lungo coltello, lo ferisce e lo fa cadere al suolo.
Un secondo poliziotto va a chiamare soccorsi. L’assalitore si allontana ma sopraggiungono due agenti in borghese, che prima gli intimano di fermarsi e alzare le mani, poi, visto che lui ignora il comando, gli sparano con le pistole una, due, tre volte, abbattendolo.
Quasi contemporaneamente agli spari, la Jaguar su cui viaggia Theresa May parte sgommando dal cortile del parlamento, con la premier caricata precipitosamente a bordo e scortata dalle sue guardie del corpo.
Destinazione: la vicina Downing Street, in cui anche un carro armato farebbe fatica a passare, trasformata in un bunker da quando la minaccia del terrorismo ha cambiato l’esistenza di tutti, compreso il capo del governo.
Messo al sicuro il primo ministro, le autorità  si preoccupano dei parlamentari: nel timore di complici fuggiti dopo che l’automobile ha investito i passanti o sopraggiunti in un secondo momento nell’ipotesi di un’azione coordinata, ai deputati viene ordinato di chiudersi dentro l’edificio, insieme a commessi e personale di servizio.
La seduta che era in corso nell’aula dei Comuni era stata già  sospesa: i legislatori stavano discutendo, quando hanno udito distintamente gli spari dalla strada.
I corpi anti terrorismo di Scotland Yard e dei servizi segreti prendono in mano la risposta all’attacco e le prime indagini: in questi casi la priorità  è identificare gli assalitori, scoprire dove vivono e perquisirne le abitazioni.
Di certo c’è che, dopo almeno mezza dozzina di attentati sventati dall’intelligence britannica soltanto negli ultimi tre anni, un attacco è riuscito a evadere la rete preventiva e a fare vittime.
Il bilancio e le motivazioni diventeranno noti nelle prossime ore. Ma, come in Germania, in Francia, in Belgio, anche la Gran Bretagna è finita nel mirino. Di nuovo, come nel luglio 2005, quando quattro attentatori suicidi fecero 60 morti e 500 feriti facendosi esplodere nell’Underground e su un bus.

(da “La Repubblica”)

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SALVINI VAI A LAMPEDUSA SU UN BARCONE, COSI’ CAPISCI QUALCOSA DELLA VITA

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

LA ZECCA LEGHISTA CON IL TRAVELGUM VA A FARE UN COMIZIO NELL’ISOLA, “SEMPRE CHE IL MARE NON SIA AGITATO”, ALTRIMENTI LA RIVOLUZIONE E’ RINVIATA

Matteo Salvini sabato prossimo “celebrerà ” l’anniversario dei Trattati di Roma a Lampedusa.
Andrà  fino all’isola simbolo degli sbarchi per tenere un comizio e lanciarsi in un nuovo attacco all’Europa dell’accoglienza, in nome del becerume xenofobo che rappresenta.
Lo farà  “mare permettendo”, come se i rivoluzionari fossero condizionabili dalla presenza o meno di un moderno aliscafo.
Non pretendiamo che faccia come il suo sodale populista e futuro alleato Beppe Grillo che ha attraversato a nuoto lo stretto, ma almeno abbandoni per una volta gli agi familiari garantitegli da un padre dirigente con seconda casa a Recco e da uno stipendio di parlamentare europeo di 12.000 euro al mese, e raggiunga la meta in ogni caso.
Magari affittando uno di quei barconi sequestrati agli scafisti, affinchè possa capire cosa vuol dire rischiare la vita per fuggire a guerre, fame e miseria, invece che lucrare sulla pelle di poveri e disperati.
Da scafista dell’odio indirizzi la prua verso Lampedusa, città  esempio dell’umanità  del Meridione, dell’accoglienza senza se e senza ma, della solidarietà  e del rispetto della vita umana.
Magari ascoltando   le storie e i drammi di chi ha saputo rischiare per garantire un futuro ai propri figli, senza farsi accompagnare da esperte che hanno costruito la carriera usando l’hobby della fotografia.
Il mantenuto dall’Europa che combatte l’Europa fino al 26 del mese, perchè il 27 riscuote lo stipendio in eurini.
Il combattente contro “i banchieri”, segretario di un partito la cui banca Credieuronord è stata salvata dal fallimento grazie al banchiere Fiorani della Banca popolare di Lodi.
Roba da mal di mare, può salvarlo solo il Travelgum.

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TRATTATO DI ROMA, MATTARELLA NE CELEBRA I 60 ANNI, SOLITA CIALTRONATA DELLA LEGA CHE ESCE, BOSSI SI SIEDE E SI DISSOCIA: “MATTARELLA SI ASCOLTA”

Marzo 22nd, 2017 Riccardo Fucile

PRESENTI LE PIU’ ALTE CARICHE DELLO STATO

Celebrazioni per il 60esimo anniversario dei Trattati di Roma nell’aula della Camera. La cerimonia vede la partecipazione delle massime cariche dello Stato, dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ai presidenti Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. Presenti, tra gli altri, i ministri Graziano Delrio, Beatrice Lorenzin e e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. Con loro anche l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
I deputati della Lega Nord hanno messo in atto la solita cialtronata non partecipando all seduta attuando un   un sit-in in piazza Montecitorio contro l’Europa “dei banchieri”.   Quelli che a suo tempo salvarono la banca leghista dal fallimento, per capirci.
Ma disattende la linea del partito Umberto Bossi: il senatur è entrato nell’emiciclo mentre parlava la presidente della Camera e si è accomodato al posto che gli è stato lasciato libero da Gianfranco Chiarelli (Cor): quello a cui Bossi normalmente si siede era infatti occupato.
“Preferisco sempre sentire le cose per poi ragionarci”, ha spiegato Bossi ai giornalisti. Sull’assenza dei colleghi leghisti, il senatur ha detto: “È sbagliata”.
“Non ci si deve arrendere ad una narrazione negativa che indica l’Unione europea come esperienza fallimentare e capro espiatorio di tutti i problemi attuali. Problemi ve ne sono e non serve negarli”, ha detto Boldrini durante il suo intervento nell’aula di Montecitorio.
“Credo che sia comune a molti la convinzione che, di fronte alle sfide interne ed esterne cui dobbiamo tutti rispondere, il lungo cammino dell’integrazione non possa arrestarsi e che è necessario adesso un nuovo slancio, fondato sulla cooperazione rafforzata in certe materie condivise e nell’attuazione di politiche il più possibile unitarie. In gioco sono il futuro del continente e gli equilibri geopolitici globali”, ha dichiarato Grasso.
Mattarella: “Europa incerta e ripiegata, serve coraggio”
“Oggi l’Europa appare quasi ripiegata su sè stessa. Spesso consapevole, nei suoi vertici, dei passi da compiere, eppure incerta nell’intraprendere la rotta. Come ieri, c’è bisogno di visioni lungimiranti, con la capacità  di sperimentare percorsi ulteriori e coraggiosi”, ha detto Mattarella che è stato accolto da un lungo applauso.
Il capo dello Stato ha sottolineato l’importanza dell’euro. “L’euro, grazie alla politica della Bce, ha provocato il forte abbassamento dei costi del credito, tutelando i risparmi delle imprese e delle famiglie”. E poi ancora: “Capovolgendo l’espressione attribuita a Massimo d’Azeglio verrebbe da dire ‘Fatti gli europei è ora necessario fare l’Europa’. Sono le persone, infatti, particolarmente i giovani, che già  vivono l’Europa, ad essere la garanzia della irreversibilità  della sua integrazione. Verso di essi vanno diretti l’attenzione e l’impegno dell’Unione”.
Mattarella ha anche rilanciato la “sfida” della riforma dei Trattati. “Le prove alle quali l’Unione Europea è chiamata a tenere testa – oltre a quella finanziaria e a quella migratoria, quelle ai confini orientale e mediterraneo dell’Unione e l’offensiva terroristica – pongono con forza l’esigenza di rilanciare la sfida per una riforma dei Trattati; ineludibile, come ha osservato il rapporto del Comitato dei saggi presentato nei giorni scorsi alla Presidenza della Camera”, ha affermato il capo dello Stato.

(da agenzie)

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