Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DI UNA LAVORATRICE STAGIONALE NEGLI HOTEL DELLA ROMAGNA CI RACCONTA QUESTO MONDO DI ABUSI
Premetto che quello che scrivo non vale per tutti gli Hotel, ma per la maggior parte di essi sì, e sono dinamiche vissute in prima persona e in differenti tipologie di alberghi, ed ovviamente esperienze di chi ha condiviso queste situazioni con me.
“Quindi siamo d’accordo? Saranno sette, otto ore al massimo, tutti i giorni, perchè purtroppo (purtroppo lo dicono solo gli albergatori più gentili, o quando intuiscono dalla tua espressione che stai figurando i mesi a venire dovendo lavorare sempre, giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno…) qui funziona così. Dappertutto sai? Non è che un altro hotel ti può dare il giorno libero”.
Mentre tu stai riflettendo su quando potrai rivedere i tuoi cari per mezza giornata, o più semplicemente la luce del sole, l’albergatore continua: “Non preoccuparti, noi siamo ben organizzati, il lavoro non è che sia poi così impegnativo”.
La tua perplessità non gli fa battere ciglio, l’atteggiamento anche in fase embrionale è infatti sempre quello di chi ti sta facendo un favore a darti un lavoro, come se non si trattasse di un normale scambio prestazione professionale – pagamento, ma di un atto di altruismo che viene condensato con uno scaltro rimando alla crisi, un arguta constatazione del fatto che sono in tanti a cercare lavoro e che ha come risultato questa morale: ti conviene accettare le condizioni proposte perchè sei un privilegiato se vieni assunto al posto di quei molti che si suppone siano in una presunta fila alla loro porta.
Atteggiamento che oltre a stimolarti un impeto di gratitudine immotivata, serve anche a giustificare l’entità del pagamento. Subdolo, sì, ma efficace.
I tre punti ricorrenti infatti quando si arriva a parlare di paga sono i seguenti: come accennato sopra, crisi, quindi stimolare il senso di colpa per aver scelto te per lavorare lasciando per strada chissà quanti altri disgraziati.
Punto due: l’esperienza. L’esperienza che tu possiedi infatti è inevitabilmente diversa da quella che necessitano in quell’Hotel, se sei cameriere ed hai già esperienza in strutture dello stesso livello, sicuramente il servizio viene fatto in modo completamente diverso, se sei cuoco e hai lavorato anche in hotel di pari categoria è certamente tutto un altro discorso nell’albergo di chi ti sta proponendo il lavoro. Allo stesso modo, se lavori in segreteria e conosci lo stesso programma utilizzato dall’azienda, non farti prendere da quell’iniziale entusiasmo: “Qui lo usiamo in maniera diversa”. Non solo, lavorare per noi ti qualifica. Hai già esperienza? Non importa, dopo aver lavorato qui puoi lavorare ovunque.
Questa tattica mascherata in un altro slancio di bontà che significa: non sei quello che cerchiamo, non sei preparata esattamente per le nostre esigenze, ma noi chiudiamo un occhio, perchè siamo caritatevoli e ti vogliamo fare lavorare, dopo aver lavorato nel nostro Hotel allora sì che saprai lavorare.
Il terzo immancabile argomento al momento della conversazione sulla paga, è, a mio avviso, il più ignobile di tutti. Il pianto dei soldi da parte dell’albergatore.
Non si lavora più come una volta, la stagione è corta, il cambiamento climatico incombe, non stiamo dentro nelle spese (ma continuiamo a farlo ogni anno perchè ci piace impoverirci), non dico che andiamo in perdita ma siamo a quel livello.
L’obiettivo è la tua empatia: dopo essersi reso ai tuoi occhi umano e debole,la carrellata delle difficoltà esposte ti predispone a una pacca sulla spalla col significato sottinteso di “ce la faremo”. E sei fregato.
La proposta del salario dopo tutte queste considerazioni è detta a voce anche spavalda, come facesse un eccezione per te ed arrivasse addirittura alla cifra che ti sta proponendo che nonostante il tentativo eseguito magistralmente e il tuo stato d’animo intortato è talmente ridicola che spalanchi comunque gli occhi pensando: “Sono due euro all’ora, non si può”.
L’hai sottovalutato, è pronto a questa reazione. Prima che tu possa parlare, passa al contrattacco: “Poi 50 euro in più, magari non in busta, se sei bravo… non è detta…poi c’è la possibilità di vitto e alloggio, in quel caso decurtiamo qualcosina altrimenti non andiamo in pari…”.
Se ti serve un lavoro e non hai mai fatto prima le stagioni in riviera, accetti con tanti dubbi. Se l’hai già fatta, perchè devi lavorare, accetti con la morte nel cuore. Saranno sette-otto ore. Sono dieci, dodici ore.
Il tuo lavoro non è così impegnativo. Il tuo lavoro sfianca, manca il personale, sei solo e devi coprire il lavoro di più persone, ogni giorno, per mesi.
Ufficialmente riposi un giorno a settimana, quello immaginario in cui vedi la luce e fai le lavatrici, in realtà sei costretto a stabilire un finto giorno libero, dichiarato ovviamente anche in busta paga, e la raccomandazione è che di fronte all’ispettorato del lavoro se sei presente il giorno che dovresti essere libero è per un esigenza improvvisa dell’azienda, ma tu di solito quel giorno riposi.
Vitto ed alloggio. Il vitto, non occorre dirlo, il più delle volte, è costituito da avanzi di avanzi. Stessi cibi ricucinati dallo stato liquido al solido all’aeriforme conditi con il grasso per poter essere commestibili. Poi dipende, chi ti toglie un euro se prendi un caffè dopo 10 ore che sei in piedi, chi acqua gratis in bottiglia quindi non del rubinetto, solo a dei reparti, quindi ad una sola parte di personale.
C’è anche chi semplicemente offre gli avanzi del giorno prima e in quel caso sei fortunato, anche a casa capita di mangiare cose del giorno prima, non che faccia per forza male.
L’alloggio stimola in me ricordi dolorosi, esseri umani dopo il lavoro massacrante stipati in cuccette nell’afa dei sottotetti ad agosto, e non vado oltre, mai visto qualcosa che assomigli a una sistemazione per i più dei lavoratori.
Il fatto è che è quell’avidità atavica che impedisce ai titolari di mettere per esempio tramite l’associazione alberghiera della cittadina di pertinenza una quota irrisoria per un impresa di quella portata, per affittare un vecchio stabile, una struttura modesta per i dipendenti.
Del resto è anche vero che avere la donna ai piani alle 23 che dorme in Hotel può sempre essere utile per rifare una camera all’ultimo e tentare di vendere una camera per una notte, così come una segretaria che per pranzare o cenare deve spostarsi all’interno dell’hotel si può convocare nella pausa per permettere all’altra turnante di mangiare, così che nessuno abbia una vera pausa. Solo due esempi.
La tua mansione è… tutto. Carenza di personale in ogni reparto. Le segretarie fanno il lavoro d’ufficio, il bar, la manutenzione, il back office, i conti, gestiscono fornitori e personale sempre in un turno da sole, e devono fare tutte le cose contemporaneamente, fino a che non fanno il caffè con il telefono e mostrano la camera al fornitore mentre scrivono alla mail di Booking.com che servono 4 chili di pane bianco per l’indomani.
Il cuoco corre. Carenza di personale significa se gli va di grazia ha un tuttofare che tra il lavare i piatti e le pentole, il parcheggiare le auto, dare l’intonaco e togliere la muffa gli taglia qualche verdura (ma non è detto, dipende dalle disgrazie della giornata).
E il cuoco corre. Sviene normalmente per secondo, i giorni prima di ferragosto, di solito dopo la donna ai piani di costituzione più esile che si sente mancare qualche settimana prima.
Le donne ai piani faticano perchè per carenza di personale devono pulire contemporaneamente un numero di stanze e poi di piatti che per rendere l’idea normalmente lo fanno con le lacrime agli occhi dalla fatica, e all’occorrenza diventano cameriere.
I camerieri lavorano dalle sei del mattino a mezzanotte circa, ristorati da due pause di un ora in cui possono buttarsi vestiti nelle loro brande. Giorno dopo giorno, ogni giorno.
Tfr, ferie, tredicisima, tutti fittizi figurano nella busta paga come parte della paga percepita. La paga, avendo letto delle cifre lontane dalla realtà queste giorni, è la seguente (ho lavorato in differenti hotel e dovevo archiviare i contratti, chiedere proroghe quando necessario ecc. qui prendiamo in considerazione un hotel di categoria media e per gli altri il parametro di riferimento è simile): Cameriere da 800 a 1100, se con molta esperienza o responsabile di sala può arrivare a dai 1400 ai 1800, solo se lavora da molti anni con la stessa azienda e ha stabilito un legame con una clientela abituale, c’è una per quanto rara possibilità che guadagni di più.
Cuochi: più sei giovane, più fai, meno ti pago. Sembra questa la logica per questo ambito. I cuochi più maturi, non arretrano dalle paghe dei tempi che furono, cioè quelle dignitose rispetto alle ore e all’impegno, forse anche perchè nel tempo hanno acquisito qualche sicurezza economica in più.
I giovani, anche se con esperienza, devono adattarsi perchè hanno bisogno ancor di più di lavorare, per potersi costruire una vita. In questo ambito l’escamotage è di non assumere, o sostituire quelli più navigati con persone più giovani. Un cuoco, per dodici o tredici ore tutti i giorni, e fare un lavoro fisicamente e psicologicamente pesantissimo, prende intorno ai 1800 o 2000 euro. Se fortunato, o con la minaccia di andarsene qualora i clienti siano abituali ed apprezzino la sua cucina, può percepire una cifra maggiore.
Donne ai piani, per dieci o dodici ore di lavoro fisico tutti i giorni, da 800 a 1000 euro. Ricevimento, quindi gestione di tutti i reparti e di tutta la responsabilità economica, dai 900 ai 1300. Se con esperienza e con clienti fidelizzati, questo aspetto è importante perchè nel caso che sia un hotel in cui i clienti sono abituali e quindi in confidenza con il personale, il titolare può decidere di aumentare un po’ la paga per assicurare lo stesso personale e trattamento al cliente che si ripresenta.
Ovviamente se l’hotel non punta sul ritorno degli stessi clienti non vale questo discorso, e sono tanti perchè il turismo fidelizzato è una realtà quasi estinta. Specifico che parlo in questi termini della riviera romagnola solo relativamente alla circoscritta realtà degli albergatori, e non riguarda affatto il buon spirito dei romagnoli in genere. Tutti sanno che funziona così.
Penso che accuserei i dipendenti dell’ispettorato del lavoro di una ottusità che non credo gli appartenga, penso che provino qualche volta a spaventare con delle multe ma che quando si chiudono le porte degli hotel alle spalle sanno di avere a che fare con un sistema malsano e una situazione più grande di loro.
Quale situazione è questa? Quella di ordinaria, implicita, accettata illegalità all’italiana. Se non lavori tu a queste condizioni, lo farà qualcun’altro.
Non sono una fan del reddito di cittadinanza e in generale dello Stato assistenziale, ma ritengo che almeno forse un buon risultato c’è stato ed è stato quello, mi auguro, di gettare un occhio di bue su un microcosmo lavorativo degradato, lavori forzati per arricchire i pochi, senza discutere della qualità della famigerata accoglienza romagnola e di quanto ci perde in credibilità stagione dopo stagione.
La cosa buffa è che quando si conclude la stagione, anche se involontariamente si fanno sfuggire che non si sono poi così impoveriti, buttano là delle cifre, magari chiacchierando tra loro, e tu sai che è la metà di quello che hanno realmente guadagnato. Lo sai perchè conosci le spese e le entrate, di tutti i tipi.
Concludo prendendo in prestito le parole di una lungimirante e geniale canzone: sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi a far promesse senza mantenerle mai se non per calcolo,il fine è solo l’utile, il mezzo ogni possibile, la posta in gioco è massima, l’imperativo è vincere e non far partecipare nessun altro nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro, niente scrupoli o rispetto verso I propri simili. Perchè gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili.
(da “L’Espresso”)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
SONO MILIZIE LEGATE AL GOVERNO… LA GUARDIA COSTIERA LIBICA E’ COLLUSA E LEGATA AI TRAFFICANTI E GUADAGNA DUE VOLTE RIPORTANDO I PROFUGHI NEI LAGER
Da quando il governo italiano ha impedito alle navi umanitarie che operavano nel Mediterraneo di far sbarcare i migranti salvati in mare sulle sue coste, un anno fa, più di 10mila persone hanno provato comunque a fuggire dalla Libia, e in questo tentativo 1.151 hanno perso la vita.
Gli altri sono stati riportati indietro dalla cosiddetta guardia costiera libica, proprio nei luoghi in cui le torture e le pratiche disumane nei confronti delle persone sono all’ordine del giorno, nei centri di detenzione.
Ma chi controlla veramente i centri e rende la vita al loro interno un inferno, al punto che i detenuti preferiscono rischiare la morte in mare pur di non restarci dentro?
Secondo quanto riporta un portavoce della Libyan Organization for Human Rights (Lohr), una Ong che dal 2012 si occupa di monitorare quotidianamente quello che succede in 17 dei circa 34 centri di detenzione presenti in tutto il Paese, i guardiani e gli operatori dei centri sono Katiba, civili che hanno impugnato le armi dopo la caduta di Muammar Gheddafi, hanno iniziato a gestire la presenza dei migranti in Libia in modo informale e sono stati poi inglobati nel corpo amministrativo del governo.
Quest’ultimo sarebbe, infatti, ufficialmente responsabile dei centri attraverso il Dipartimento per il contrasto all’immigrazione illegale del ministero dell’Interno (Dcim) ma, di fatto, non può e non riesce a imporre alcuna regola al loro interno.
Vicini alle milizie locali del Paese, i responsabili dei centri hanno rapporti con i funzionari del ministero, sono pagati dal governo, ma liberi dall’effettivo controllo statale.
Godono di un potere incontrastato, e impongono violenza, sfruttamento e ogni tipo di tortura o abuso in modo indiscriminato.
“Fino a qualche mese fa era attivo un centro a ovest di Tripoli, quello di Sormon, controllato da un militare e gestito da un civile affiliato alla milizia locale. Qui ci vivevano 220 donne e 25 bambini. Lo sfruttamento sessuale era una politica sistematica, facilmente rilevabile al più ingenuo degli osservatori. Solo ospiti sub-sahriane, minorenni e in buona salute”, racconta l’attivista della Lohr, che descrive scene in cui le donne venivano condotte di sera in una tenda allestita vicina al centro, adornata di narghilè, per intrattenere alcuni ospiti.
Questo centro è stato chiuso in seguito a uno scandalo che ha messo in imbarazzo le autorità , e le donne sono state trasferite in altri siti, ma 15 di queste sono scomparse. Nel frattempo, gli altri centri di detenzione, in cui accadono sistematicamente simili episodi di abuso, continuano a rimanere aperti, nonostante lo stesso direttore del Dcim, Mohamed Bashir, abbia chiesto la chiusura di una decina di questi.
Il modello dei centri di detenzione per migranti irregolari in Libia è nato nel 2010, quando Muammar Gheddafi era a capo dello Stato e con una legge stabilì che ogni persona che arrivava illegalmente nel Paese doveva essere imprigionata. In Libia, infatti, l’immigrazione è considerata reato anche quando chi arriva avrebbe diritto a ricevere l’asilo per via dei rischi da cui fugge nel Paese di origine.
La legge 19 del 2010 prevede la detenzione, i lavori forzati e l’espulsione, una volta scontata la pena, per tutti gli stranieri sprovvisti di visto o documenti, a prescindere dalla situazione di partenza e dai motivi per cui si trovano nel Paese.
Non essendo la Libia firmataria della Convenzione di Ginevra delle Nazioni Unite, che obbliga gli Stati a garantire l’asilo politico a chi si qualifica come rifugiato, il reato d’immigrazione clandestina colpisce indistintamente tutti gli stranieri irregolari.
“Chiunque arriva in Libia ottiene un ordine di espulsione, tutti i migranti ce l’hanno pendente”, spiega un rappresentante della Libyan Organization for Legal Aid, una Ong locale nata nel 2013 da un gruppo di avvocati per monitorare le ripetute violazioni di diritti nel Paese.
Dopo la caduta del regime nel 2011, le ex milizie di Gheddafi e quelle che nel frattempo si andavano costituendo per approfittare del vuoto di potere e accaparrarsi il controllo del territorio, hanno preso in mano anche la gestione del flusso di migranti in aumento, raggruppando le persone in centri di raccolta.
Questi sono stati poi resi ufficiali dal ministero dell’Interno dopo la formazione del governo di unità nazionale di Fayez Al Sarraj.
Ma, aldilà dell’apposizione dei cartelli con i loghi all’esterno dei siti e del loro finanziamento, il governo di Tripoli non ha fatto nulla per imporre degli standard minimi di rispetto dei diritti umani: il modus operandi al loro interno è rimasto invariato, e il controllo nelle mani degli uomini che c’erano prima.
I quali ora abusano dei migranti e ne gestiscono il traffico in modo pressochè impunito, in cooperazione con le milizie e con la guardia costiera.
Un esempio di questa situazione è il centro di detenzione di Zawiya, una città costiera che si trova a circa 40 chilometri a ovest di Tripoli, capoluogo dell’omonimo distretto, hub principale del traffico di migranti in Libia e sede della raffineria di Zawiya.
Qui, a fine aprile, sono stati condotti 325 detenuti evacuati dal centro di Qasr Ben Gashir, assediato durante un combattimento tra le forze del Governo di accordo nazionale e quelle dell’Esercito nazionale libico.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, a Zawiya il rischio per gli ospiti sarebbe stato “ridotto”, eppure, stando a quanto descrivono gli attivisti della Lohr, qui ci sarebbe addirittura una stanza per commettere abusi sessuali.
“Il reclutamento delle giovani minorenni da portare nella sala avviene dopo le ore d’ispezione, di solito di sera”, dichiarano i membri dell’organizzazione libica, che hanno visionato alcune immagini ricevute direttamente dal centro.
Anche in questo caso, durante il trasferimento dei migranti da un luogo all’altro, sei persone sarebbero scomparse.
Un rapporto delle Nazioni Unite del 2017 rivela che ad aprire il centro di Zawiya è stato il capo della brigata Al Nasser, Mohamed Khushlaf, un multimilionario che controlla la raffineria di Zawiya, fonte di tutto il diesel esportato dalla Libia, che fornisce carburante ai trafficanti e gestisce un mercato di prostituzione dall’Africa sub-sahriana e dal Marocco.
Mohamed Khushlaf rientra nella lista delle Nazioni Unite dei sei trafficanti sottoposti a sanzioni a luglio del 2018, di cui fa parte anche il capo della Guardia Costiera di Zawiya, Abdul Rahman Milad, detto Al Bija, compagno in affari di Khushlaf per quanto riguarda il business di carburante, e membro della sua stessa tribù.
Sempre secondo i racconti della Lohr, i membri della guardia costiera libica sono ufficialmente stati reclutati attraverso bandi pubblici, ma di fatto fanno tutti parte della stessa famiglia allargata. Sia a Al Bija che a Kushlaf è stato imposto il divieto di uscire dal Paese e il blocco dei conti corrente, ma non sembra che questo abbia intralciato le loro attività , anzi. E questo anche grazie alla complicità delle istituzioni europee.
“Non c’è mai stato così entusiasmo tra le milizie come quando sono iniziati i finanziamenti alla guardia costiera libica”, dichiara il membro dell’organizzazione per i diritti umani.
Il guardiacoste Al Bija avrebbe ricevuto una delle 12 motovedette che l’Italia ha concesso gratuitamente alla guardia costiera ad agosto del 2018, un mese dopo che il Consiglio di Sicurezza aveva deciso l’imposizione delle sanzioni contro i membri della lista nera.
E secondo il rapporto delle Nazioni Unite del 2017, il personale della guardia costiera di Al Bija avrebbe anche partecipato alla formazione organizzata nell’ambito dall’operazione navale dell’Unione Europea Eunavfor Med.
È sempre questa guarda costiera, che fa capo a Al Bija, a riportare i migranti intercettati a poche miglia dalla costa nel centro gestito dal suo collega a Zawiya, conosciuto anche come centro di al-Nasser, dal nome della milizia che lo controlla, comandata da Khushlaf.
Qui sarebbe rispedita la maggior parte dei migranti intercettati nella cosiddetta zona di ricerca e soccorso di competenza libica.
Secondo un portavoce del Cairo Institute for Human Rights Studies per la Libia, il senso d’impunità diffuso tra i responsabili di questo business fa sì che gli abusi, il traffico e lo sfruttamento continuino senza limiti.
“I responsabili sanno che non dovranno fare i conti con la giustizia, per la debolezza del sistema politico e giudiziario in Libia, dovuta in parte alla presenza delle milizie. Le persone si sentono al di fuori di qualsiasi forma di persecuzione”, dichiara il portavoce. “Bisognerebbe rompere questa idea d’impunità attraverso tentativi di persecuzione nei fori internazionale e nei Paesi in cui c’è la possibilità di condannare i reati”, conclude.
Ma fino a quando lo stesso governo italiano considererà legittima l’esistenza della guardia costiera libica e suggerirà alle poche navi umanitarie rimaste nel Mediterraneo di riportare i migranti salvati in mare nei centri di detenzione, come sta avvenendo in queste ore, la sensazione delle milizie di poter sfruttare la situazione di caos senza subire conseguenze, sarà solo rinforzata.
(da TPI)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
LOTTE AL MINISTERO E POTERE ALLE REGIONI CHE DECIDONO SUL RILASCIO DELLE AUTORIZZAZIONI AD AZIENDE CHE FINANZIANO LA LEGA
L’indagine di Fanpage.it sulla SESA di Este mirava a fare chiarezza sulla gestione dell’impianto di compostaggio e sulla destinazione di decine di migliaia di tonnellate di un prodotto nel quale le analisi di laboratori indipendenti hanno riscontrato alti livelli di zinco, rame e idrocarburi pesanti.
Dalla pubblicazione dell’inchiesta, la Guardia di Finanza sta verificando le segnalazioni, sono state annunciate delle interrogazioni parlamentari e Fabrizio Ghedin, il dipendente SESA che aveva organizzato l’incontro con direttore e capo della cronaca di Fanpage.it, ha rassegnato le dimissioni da consulente del sottosegretario all’Ambiente leghista Vannia Gava.
Quello che non è stato raccontato, però, è il contesto in cui è stata pubblicata l’inchiesta di Sacha Biazzo e del team Backstair.
Per uno strano gioco del destino, infatti, l’inchiesta è stata pubblicata poche ore dopo che nell’Aula di Palazzo Madama si era scritta la parola “fine” a un lungo braccio di ferro che da mesi vede su fronti contrapposti proprio Lega e (parte del) Movimento 5 Stelle. Sul campo dei rifiuti, appunto, e sul business milionario che ruota intorno a tale universo.
Dobbiamo fare un passo indietro e andare al febbraio del 2018, quando viene pubblicata la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, che è un vero e proprio terremoto nel campo del trattamento dei rifiuti. I giudici intervengono sulla definizione dei criteri “end of waste”, che stabiliscono in sostanza quando termina il ciclo dei rifiuti.
Spiega Riciclanews.it:
I criteri “end of waste” sono i parametri che stabiliscono quando i materiali generati da un processo di trattamento possano essere considerati “fine rifiuto”, cioè materia prima seconda tout-court alla stregua di un normale prodotto. Ad oggi risultano disciplinati in maniera puntuale dall’Ue solo rottami ferrosi, vetro e rame, mentre l’Italia ha disciplinato i combustibili da rifiuto, il fresato d’asfalto e i prodotti assorbenti.
Troppo pochi, considerando la diversità dei materiali prodotti dal processo di riciclo dei rifiuti; dunque, è opinione comune che sia urgente e necessario stabilire criteri ulteriori per gli EoW, immaginando di disciplinare anche il cosiddetto “caso per caso”, come procedura necessaria per il rilascio delle autorizzazioni agli impianti.
Secondo il Consiglio di Stato spetta allo Stato e non alle Regioni il potere di “individuare, sulla base di analisi caso per caso e ad integrazione di quanto già previsto dalle direttive comunitarie, le ulteriori tipologie di materiale da non considerare più come rifiuti ma come materia prima secondaria a valle delle operazioni di riciclo”. Il punto centrale della sentenza, insomma, è che a disciplinare la “cessazione della qualifica di rifiuto” non possano essere le Regioni ma solo lo Stato, in ossequio la normativa comunitaria (che appunto prevede la possibilità per gli Stati di valutare i casi specifici).
La sentenza, insomma, avrebbe dovuto impedire alle Regioni di approvare singoli indirizzi operativi per la definizione dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuti.
E rimandare tutto alla definizione di un regolamento da parte del ministero per l’Ambiente (una serie di decreti, su cui basare il caso per caso), che avrebbe agito in ottemperanza a normative comunitarie.
La Regione Veneto, la Lega e gli interessi delle aziende
La cosa paradossale è che tutto ruota intorno alla Regione Veneto. È il Veneto a negare l’autorizzazione ordinaria al riciclo all’impianto sperimentale del consorzio Contarina (che ricicla gli assorbenti con un processo industriale unico al mondo, in grado di ricavare cellulosa, plastica e polimeri e di ridurne di un terzo la parte di “rifiuto”), con una decisione da cui parte l’iter che arriverà al Consiglio di Stato. Ed è sempre la Regione amministrata dal leghista Luca Zaia a muoversi autonomamente per la definizione “caso per caso” dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto.
Lo fa, pochi giorni prima della sentenza del Consiglio di Stato, con una delibera con cui “si intende fornire alcune specifiche indicazioni di carattere tecnico e operativo alle Amministrazioni provinciali e alla Città Metropolitana di Venezia che rilasciano autorizzazioni ad impianti di recupero rifiuti ai sensi dell’art. 208 del D. Lgs. n. 152/2006”. In sostanza, la Giunta Zaia definisce i criteri per l’end of waste in base ai quali sarebbe stato poi possibile rilasciare le autorizzazioni per i singoli impianti sul territorio regionale. L’atto viene varato su una interpretazione di una circolare del ministro Galletti del 1 luglio 2016, con cui si stabilisce che “ in via residuale, le Regioni — o enti da queste individuati — possono, in sede di rilascio dell’autorizzazione prevista agli artt. 208, 209 e 211, e quindi anche in regime di autorizzazione integrata ambientale (A.I.A), definire criteri EoW previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma 1 dell’art. 184-ter, rispetto a rifiuti che non sono stati oggetto di regolamentazione dei succitati regolamenti comunitari e decreti ministeriali”.
È chiaro che su questi criteri si gioca una partita che vale decine, centinaia di milioni di euro e la Giunta leghista prova a confezionarseli in casa. La delibera è del 20 febbraio, pochi giorni dopo arriva la sentenza del Consiglio di Stato, che dovrebbe cambiare tutto.
Già , dovrebbe. Perchè chiaramente tocca al Parlamento intervenire e alla politica dipanare una matassa molto intricata (perchè nel frattempo il rischio è di bloccare tutto). E qui comincia il braccio di ferro tra Lega e Movimento 5 Stelle.
La partita al ministero dell’Ambiente
Al ministero dell’Ambiente c’è il generale Sergio Costa, che non ci pensa proprio a lasciare alle singole Regioni la possibilità di definire “caso per caso” i criteri sugli EoW.
La linea del ministro di area 5 Stelle è confortata non solo dalla sentenza del Consiglio di Stato, ma anche dall’orientamento di Parlamento e Commissione UE sull’economia circolare: un piano ambizioso la cui gestione e monitoraggio non possono che avere come centrale il ministero dell’Ambiente. Chi non è proprio allineata alle idee di Costa è la sottosegretaria della Lega Vannia Gava, che ha come consulente proprio Fabrizio Ghedin, dipendente della SESA.
La Lega, infatti, ritiene strategica la presenza al ministero dell’Ambiente, proprio per tutelare c coltivare alcuni ben definiti interessi. Il problema, come ci confermano fonti del Carroccio, è che Costa ha altre priorità e altre idee, non solo per quanto concerne le questioni strettamente connesse allo smaltimento dei rifiuti.
Il primo vero terreno di scontro tra la sottosegretaria e il ministro è sulla questione della trasparenza, delle istituzioni come “casa di vetro”, un tema caro proprio a quell’area del M5s critica nei confronti dell’alleanza con la Lega e che ha in Costa un punto di riferimento. Il ministro il primo agosto vara un decreto che dispone, tra le altre cose, l’obbligo per i vertici degli uffici di diretta collaborazione di pubblicare con aggiornamento settimanale la lista degli incontri con i portatori di interessi.
Insomma, Costa vuole che tutti sappiano chi entra e chi esce nelle stanze del ministero: lobbisti, collaboratori, rappresentanti di aziende e gruppi di interessi. La leghista non ci pensa proprio e per mesi si rifiuta di rendicontare i suoi incontri e le sue attività , nonchè di aggiornare la pagina “amministrazione trasparente” sul sito del ministero.
Nelle settimane calde delle polemiche sulle trivelle, la questione riesplode in seguito a una serie di incontri che la sottosegretaria avrebbe avuto e di cui il ministro non è a conoscenza. Il 5 marzo il capo di Gabinetto di Costa, Pier Luigi Petrillo, scrive al capo segreteria della Gava, Fabrizio Penna, ricordandogli l’obbligo di pubblicare la lista di incontri e invitandolo a ottemperare alle direttive del ministro entro dieci giorni:
Gava fa finta di nulla e lascia cadere l’invito del ministro. Di fatto, nessuno è al corrente degli incontri e delle azioni che compie in qualità di sottosegretario per mesi, fino alla pubblicazione dell’inchiesta, quando il ministro Costa reitera la richiesta alla Gava, chiedendo stavolta che vengano messe a conoscenza anche le attività del suo collaboratore, Fabrizio Ghedin:
Sul sito ufficiale, al momento, risulta solo uno striminzito elenco di richieste di appuntamento, senza alcuna documentazione
Gava, raggiunta telefonicamente da Fanpage.it, nega ogni addebito e spiega di aver visitato la Bioman (una delle aziende riconducibili a Mandato, oggetto dell’inchiesta di Fanpage.it) perchè gruppo che “lavora bene” e smentendo di avere alcun tipo di legame clientelare con aziende che operano nel campo dei rifiuti.
Circa Ghedin (“mio collaboratore che aveva un contratto di collaborazione di comunicazione web e che ha ritenuto di dare le dimissioni per tutelare la sua immagine”), spiega di non essersi mai fatta influenzare dalla posizione che occupava in altre aziende, anche se non chiarisce come e perchè abbia assunto proprio lui, che aveva già incarichi proprio in una azienda di smaltimento: “Io vado a visitare tutte le aziende che lavorano in ambito di raccolta e selezione dei rifiuti. Io ho una mia idea di economia circolare che non va ad agevolare qualcuno”.
L’emendamento della discordia (che vale centinaia di milioni di euro)
Ecco, si torna alla madre di tutte le questioni: l’economia circolare e il giro di affari milionario sullo smaltimento dei rifiuti.
Torniamo per un attimo in Parlamento, a questo punto. Perchè al Senato è in discussione il cosiddetto decreto Sblocca Cantieri, in realtà un provvedimento complesso, che contiene una serie di misure di vario tipo (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici”).
È il momento per dipanare anche la questione dell’end of waste e tra Costa e la Lega le distanze restano ampie, almeno inizialmente. Dopo settimane di trattativa, si arriva a una sintesi, affidata a un emendamento della leghista Pergreffi, l’1.7, che viene approvato nella sua seconda versione. Il maxiemendamento al comma 24 modifica proprio il comma 3 dell’articolo 184-ter del dl 152 del 2006:
Cosa significa? Semplicemente che per ora le Regioni continueranno a decidere autonomamente sui codici, sui parametri delle emissioni, sulla tipologia, sulla provenienza e sulla quantità di rifiuti ammissibili negli impianti cui si rilasciano le autorizzazioni (facendo riferimento ai decreti sul recupero agevolato, che andranno adattati alle innovazioni tecnologiche).
Tutto in attesa delle linee guida del ministero dell’Ambiente, che devono tener conto anche del parere comunitario e che dovranno essere applicate da tutte le Regioni.
Senza scendere ulteriormente nel dettaglio, si tratta di una soluzione di compromesso, che Costa considera una “non sconfitta”, perchè conta di lavorare in tempi strettissimi alle linee guida e dunque di imporre vincoli stringenti a Regioni e province, proprio adottando con celerità i decreti ministeriali di cui si parla nell’emendamento.
La Lega, invece, la rivendica come un successo, proprio perchè nel frattempo consente di adottare maglie più larghe nelle autorizzazioni. E di portare a casa un ulteriore tassello verso quell’autonomia che si auspica anche a livello generale.
Come del resto ci confermava anche Leonardo Tresoldi, amministratore della Biogreen, società che ha finanziato con 30mila euro la Lega.
“Ho fatto un finanziamento per 30mila euro perchè nel nostro territorio c’è l’indipendentismo”: parole che, contestualizzate nel campo dello smaltimento, significano “fare un po’ come ci pare”, sfruttando il monocolore leghista in Regione, province e comuni in Veneto.
È lo stesso timore espresso anche dalla senatrice De Petris nel corso del dibattito parlamentare, proprio nel chiedere che sia il ministero a esprimersi sempre sulle autorizzazioni: “Per fare un’operazione seria, avreste dovuto prevedere non soltanto che tutte le autorizzazioni rilasciate dalle varie autorità e dalle Regioni debbano essere inviate al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma anche che quest’ultimo possa intervenire e correggere per fare in modo che nel nostro Paese ci sia un’applicazione omogenea delle norme sui rifiuti e non legata alle diverse Regioni e autorità che rilasciano le autorizzazioni”.
E che la questione riguardi in maniera decisiva le aziende del Nord lo conferma anche Alessandro Bratti, ex parlamentare del Partito Democratico ora a capo dell’ISPRA, che esprime parere favorevole all’emendamento e chiede che si lavori alacremente sul caso per caso.
Le cifre di cui parliamo, del resto, sono abbastanza interessanti. Nell’aprile scorso, in un convegno al Senato, il CIC (consorzio di cui fa parte anche la Bioman) parlava di 1,3 miliardi di euro solo dalla filiera del bio-metano, chiedendo come interventi normativi quello di “favorire solo le filiere virtuose che trasformano un rifiuto in un prodotto” (proprio la questione dell’end of waste). Sul tema del biometano prodotto dai rifiuti, in effetti, c’è uno sponsor agguerrito, in Parlamento e al Ministero. Ecco:
Le domande che nessuno sembra porsi sono però tante: possiamo fidarci del controllore se è finanziato dal controllato?
Può una Regione governata dalla Lega decidere sul rilascio di autorizzazioni ad aziende che finanziano la Lega, che operano in Comuni governati dalla Lega, con dipendenti che lavorano anche per parlamentari della Lega e che in alcuni casi hanno nel loro consiglio di amministrazioni parlamentari della Lega?
Chi vigila sulle commistioni tra livello istituzionale, politico, economico e criminale?
(da “FanPage”)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
IL BLOG DELLE STELLE SOMMERSO DA UNA PIOGGIA DI CRITICHE DELLA BASE GRILLINA
“Sono liberisti solo con i problemi degli altri. E così #RadioRadicale (o Radio Soros se preferite) incassa altri 3 milioni delle tasse degli italiani grazie a un regalo di tutti i partiti. Ovviamente il MoVimento 5 Stelle si sottrae a questo giochino”.
In un duro post pubblicato sul Blog delle stelle e rilanciato sui social, il M5s sferra un nuovo attacco alla storica emittente, dopo il sì della Lega ieri in commissione Bilancio alla proposta del Pd di salvare la radio con un finanziamento pubblico di 3 milioni di euro. Emendamento bocciato invece dai cinquestelle che hanno votato no, provocando una spaccatura della maggioranza.
“I soldi pubblici per noi vanno impiegati per migliorare i servizi ai cittadini – su legge ancora nel post – Perchè l’intervento dello Stato serve e forte” anche “per supportare le piccole imprese e proteggere i diritti e i salari soffocati dal liberismo sfrenato tanto caro a Soros & co. Non – ripete il M5s – per lanciare salvagenti a chi loda il mercato a giorni alterni e poi chiede i soldi ai cittadini. Noi non saremo mai complici”.
Ma il post si trasforma ben presto in un boomerang, a giudicare dalla quantità di commenti negativi ricevuti dagli utenti di Twitter.
“Il M5S (o Mov. Putin) paga 5 milioni di Euro degli italiani a Casaleggio per garantirvi la candidatura. Radio Radicale vi spaventa tanto perchè documenta puntualmente la vostra inettitudine”, scrive ad esempio Giorgio F.
“E voi siete garantisti solo coi problemi e i desiderata di Salvini. Che squallore poi parlare complicità con chi lanci salvagenti. Fate schifo”, commenta invece Adriana Spappa.
@La_manina conclude: “Comunque quando il vostro momento di gloria sarà terminato (sempre troppo tardi) avete la strada spianata come account satirico. Ormai è evidente!”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
LA VERITA E I NUMERI CHE DI MAIO NON CITA, RADIO RADICALE NON HA MAI RUBATO NULLA E DA 20 ANNI GARANTISCE QUELL’INFORMAZIONE CHE LA RAI NON FA
È durata molto poco la tregua tra i partiti di maggioranza del Governo. Nella mattinata di giovedì 13 giugno l’ennesimo scontro politico ha fatto deflagrare la polemica tra Lega e Movimento 5 Stelle. Al centro della diatriba, questa volta, un emendamento proposto dal Pd e sostenuto da Lega e Forza Italia per il salvataggio di Radio Radicale.
In Commissione Bilancio della Camera, è stato infatti approvato un emendamento del Pd — proposto dagli onorevoli Sensi e Giachetti — che prevede la concessione di un finanziamento di altri 3 milioni di euro per il 2019, somma che eviterebbe la pressochè immediata chiusura dell’emittente radiofonica. Tutti i partiti hanno votato a favore della norma in Commissione, eccetto il Movimento 5 Stelle.
Il vicepremier Luigi Di Maio si è detto molto deluso dal comportamento dell’alleato di governo e su Facebook ha tuonato: “Oggi la maggioranza di governo si è spaccata, per la prima volta. È stato così, è inutile nasconderlo. Si è spaccata su una proposta presentata dai renziani del Pd che prevede di regalare altri 3 milioni di euro di soldi pubblici, soldi delle vostre tasse, a Radio Radicale. Negli anni sono stati dati circa 250milioni di euro di soldi pubblici a Radio Radicale, che è una radio privata. Ripeto: 250 milioni di euro di soldi pubblici!!! Eppure, non si sa come, Radio Radicale oggi dice che gliene servono altri. In questi casi chi fa politica dovrebbe farsi alcune domande: dove sono finiti questi 250milioni? Che ci hanno fatto? Perchè sono stati dati tutti questi soldi a un’azienda privata? E poi, cari cittadini, troverete anche 3 milioni di euro in più delle vostre tasse donati a Radio Radicale, una radio privata che ospita giornalisti con stipendi da capogiro di anche 100mila euro l’anno. Tutti pagati con i vostri e i nostri soldi, da sempre”.
Le cose stanno come raccontato dal vicepremier Di Maio? Non esattamente, anzi quasi per nulla.
Radio Radicale, come altre testate giornalistiche ed emittenti radiotelevisive, ha goduto sì di finanziamenti pubblici ma quei 3 milioni al centro dell’emendamento approvato stamane da tutti i partiti si riferisce a qualcosa che ben poco ha a che fare con le presunte regalie descritte da Di Maio.
Da oltre vent’anni, infatti, Radio Radicale fornisce un servizio pubblico, regolato da una convenzione rinnovata ogni anno, che prevede l’obbligo di trasmettere nel corso dell’anno almeno il 60 per cento delle sedute delle due Camere nella fascia oraria che va dalle 8 alle 21.
Il servizio è stato affidato a Radio Radicale nel 1994 in seguito a una gara pubblica a cui la sola Radio Radicale ha partecipato. Da quel giorno, Radio Radicale segue, registra e archivia tutto ciò che attiene all’ambito di pubblico interesse, dalle sedute parlamentari, alle sedute in commissione, ai maggiori processi come ad esempio quello su Mafia Capitale, alle sedute del Csm e chi più ne ha più ne metta.
Nonostante le richieste avanzate dagli stessi Radicali, dal 1994 non è più stata bandita alcuna gara per l’affidamento del servizio. Come spesso capita quando il Movimento 5 Stelle affronta un argomento complesso, il post diffuso da Luigi Di Maio è pieno zeppo di omissioni, imprecisioni e in qualche caso di vere e proprie bugie, elementi che chiaramente servono a portare “l’acqua al proprio mulino” e a corroborare una versione dei fatti da pura propaganda.
Ma andiamo con ordine. I 250 milioni di euro di cui parla il vicepremier nel post sono stati percepiti da Radio Radicale nel corso degli ultimi 25 anni, dal 1994.
Si parla di una media di 10 milioni di euro lordi in media all’anno, divisi tra il corrispettivo per la convenzione per il servizio pubblico erogato e i contributi pubblici legati al fondo per l’editoria.
Di Maio, inoltre, cita la somma corrisposta al lordo di Iva, ma Radio Radicale è tenuta a versarla nelle casse dello Stato e inoltre da circa tre anni, per effetto del cosiddetto “split payment” riceve direttamente la cifra netta e l’Iva viene scorporata e versata all’erario a monte.
Di Maio, così come il sottosegretario Crimi, spesso descrivono Radio Radicale come una radio privata, quasi come fosse un’emittente commerciale che vive di pubblicità al pari di Radio 105 o Radio Deejay per citarne due a caso.
In realtà , Radio Radicale è definita dalla legge 230 del 1990 come “impresa di informazione di interesse generale” perchè eroga un servizio pubblico che è stato riconosciuto essere di interesse generale, cosa ben differente dall’essere una “radio privata” o commerciale che dir si voglia.
Terzo punto: “Dove sono finiti questi 250 milioni di euro”? Rispondere a questa domanda è molto semplice e proprio Di Maio potrebbe agevolmente trovare la risposta andando a scartabellare tra la documentazione che ogni anno Radio Radicale è tenuta a depositare presso la presidenza del Consiglio dei Ministri.
“Essendo Di Maio vicepremier e Crimi sottosegretario con delega all’editoria, dovrebbero sapere che noi ogni anno dal 1986 presentiamo bilanci certificati da una società indipendente di revisione dei conti alla presidenza del Consiglio”, spiega a TPI Paolo Chiarelli, amministratore delegato di Radio Radicale.
“Avendo loro i bilanci sanno e dovrebbero sapere che cosa abbiamo fatto di quei soldi. Inoltre, sempre parlando di come abbiamo speso questi soldi, se loro ritengono che l’archivio della Radio, come hanno scritto nella mozione, abbia un valore inestimabile dovrebbero capire che noi per creare quel valore inestimabile abbiamo speso fino all’ultimo centesimo per le produzioni e l’archiviazione del materiale”.
“Noi registriamo le sedute parlamentari e di commissione, ma anche il Csm, le riunioni sindacali e tutto quello che siamo riusciti a documentare e che abbiamo ritenuto essere di interesse pubblico. La Rai, che sarebbe il soggetto deputato a svolgere questo tipo di servizio e prende 1 miliardo e 700 milioni di euro l’anno per fare servizio pubblico, spesso non è presente a documentare questi eventi e nel 100 per cento dei casi non ne mantiene memoria perchè non esiste un archivio pubblico Rai di questi eventi”, sottolinea Chiarelli.
“Dopo aver stanziato nuovamente per il 2019 ben 9 milioni di euro (già questo per noi è assurdo), oggi il Pd ne ha persino chiesti altri 3 (4 milioni anche per il 2020)”, scrive Di Maio nel post. Anche questo punto contiene numerose imprecisioni e omissioni.
Nel 2018, stando all’ultimo bilancio approvato, Radio Radicale ha avuto costi per 12 milioni e 150 mila euro circa. Questi costi sono stati coperti dai circa 10 milioni lordi della convenzione, poco più di 8 milioni netti, più i 4 milioni di euro del fondo per l’editoria. Questa somma copre i costi per rete — che conta 285 impianti in tutta Italia — personale, produzioni e archiviazione del materiale.
A oggi, 13 giugno 2019, Radio Radicale non ha ancora percepito un euro dallo Stato perchè la convenzione con il Mise è stata rinnovata per il primo semestre, che si è concluso il 20 maggio — la convenzione va da novembre a maggio — e i 4 milioni e 100 relativi a questo periodo dovrebbero essere incassati nelle prossime settimane.
Per quanto riguarda i 4 milioni di euro per l’editoria per il 2019, la domanda verrà inoltrata a gennaio 2020 perchè sono contributi che coprono costi dell’anno precedente e verranno incassati a dicembre 2020.
I 3 milioni approvati in commissione portano quindi questo contributo a 11 milioni e 100 mila euro, circa 1 milione e centomila euro in meno rispetto all’anno precedente.
In più, i tre milioni, non essendo stato ammesso l’emendamento per la prosecuzione della convenzione con un secondo semestre, passano come contributo straordinario per l’editoria che verrà incassato anch’esso a dicembre 2020.
“L’effetto finanziario, dunque, porta Radio Radicale a dover chiedere alle banche di anticipare sia i 4 milioni del fondo per l’editoria che questi 3 milioni di euro, che dovrà poi corrispondere degli interessi per almeno 300 mila euro”, spiega Chiarelli.
“Rispetto al fatto che siano congrui i 12 milioni per il servizio, si apre un altro discorso: le rare volte in cui sono riuscito a parlare con qualche esponente dei 5 Stelle, ho posto una domanda: visto che non dobbiamo licenziare, posto che i licenziamenti nell’immediato avrebbero effetti sui costi per effetto di Tfr, mancato preavviso o prepensionamento dei dipendenti, come riduciamo i costi?”.
“Per quanto riguarda la rete, i costi non possono essere ridotti in nessun modo perchè non dipendono da noi. Energia elettrica, manutenzione degli impianti, affitti e sostituzione di apparati non dipendono da noi, non sono controllabili. Quattro milioni di euro, invece, coprono i costi per il personale e i restanti coprono i costi generali e la voce di produzione dei programmi e di archiviazione”.
“Io più volte ho chiesto, in ottica di contenimento costi, di dirci che cos’avremmo dovuto smettere di registrare e archiviare perchè magari non ritenuto di interesse pubblico. Ma questo taglio dei servizi deve essere richiesto dal governo, vorremmo evitare di farlo autonomamente noi di Radio Radicale perchè noi svolgiamo un servizio pubblico. Se il governo vuole questo servizio, il servizio ha questi costi, ma non perchè noi ci guadagniamo sopra. Se vogliono ridurre i costi, ci dica che cosa tagliare e cosa dovremmo smettere di registrare”, conclude Chiarelli.
Capitolo stipendi da capogiro da 100.000 euro annui. Anche qui Di Maio scrive inesattezze: lo stipendio medio dei dipendenti di Radio Radicale è pari a 2000-2500 euro netti al mese a seconda dell’anzianità di servizio, per un costo aziendale annuo di circa 50.000 euro.
Solo due dirigenti percepiscono stipendi che superano i 100.000 euro di costo aziendale — quindi non solo al lordo, ma comprensivi di quota contributiva dell’azienda e altri elementi.
Inoltre, gli stipendi sono stabiliti dal contratto nazionale giornalistico FNSI-FIEG che Radio Radicale deve applicare per legge.
Per fare un paragone: la Rai, finanziata con 1 miliardo e 700mila euro di fondi pubblici, ha compensi medi pari a 200mila euro annui con un tetto massimo pari a 340mila euro l’anno. Di Maio, infine, sembra far passare il messaggio che Radio Radicale sia l’unica radio privata ad avere accesso a contributi pubblici.
In realtà , come già spiegato, Radio Radicale non può essere considerata una radio privata e commerciale per legge, ma inoltre esistono moltissime radio locali che percepiscono fondi pubblici erogati dal Mise in base al numero dei dipendenti, contributi che arrivano fino a 600.000 euro all’anno. Inoltre, esiste un fondo per le tv locali che prevede contributi con punte che arrivano fino a 3 milioni di euro l’anno.
(da TPI)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
ANDREA CRIPPA, CAPO DEI GIOVANI PADANI, FIGLIO DI UN MOBILIERE DELLA BRIANZA
È noto alle cronache per aver avuto l’idea, nel 2018, di intasare il centralino del museo egizio di Torino per protestare contro sconti e promozioni a favore dei visitatori di lingua araba.
Andrea Crippa, già portaborse di Matteo Salvini a Bruxelles e segretario dei “Giovani padani”, poi tra i neo-eletti a Montecitorio, oggi è stato nominato dal leader leghista vicesegretario della Lega.
Lo ha annunciato lo stesso Salvini durate una conferenza stampa al temine del Consiglio federale del Carroccio che si è svolto nella sede di via Bellerio, a Milano. Una nomina attesa per dare un segno di rinnovamento del partito. “Qui accanto a me c’è il parlamentare che da oggi è mio vice segretario federale con delega all’organizzazione, da Nord a Sud”, ha detto il vicepremier.
Originario della Brianza (nato a Monza ma vive a Lissone, di cui è stato consigliere comunale di opposizione), 33 anni, Crippa affiancherà gli altri due vice – tra i consiglieri più ascoltati di Salvini, Giancarlo Giorgetti e Lorenzo Fontana –
Prima dell’esperienza con Salvini, Crippa ha collaborato con il papà mobiliere nell’azienda di famiglia in Brianza.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE EUROPEA METTE GIA’ LE MANI AVANTI SUI PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA’
Dopo settimane di rinvio il Consiglio dei ministri ha approvato l’11 giugno il tanto discusso decreto Sicurezza bis
Cavallo di battaglia della Lega, il via libera al testo aveva creato nuove frizioni tra gli alleati di Governo e lo stesso Quirinale aveva posto dei dubbi sulla sua costituzionalità .
Dopo la sua approvazione da parte del Cdm, però, anche la Commissione europea ha mosso delle critiche alla riforma, sottolineandone la possibile incompatibilità con le leggi dell’Unione.
Come spiegato da una dei portavoce, Natasha Bertaud, la Commissione provvederà a verificare la “compatibilità ” del decreto Sicurezza bis con la legislazione dell’Ue.
“Si tratta di una bozza e non commenteremo un decreto quando è ancora un progetto”, ha detto Bertaud. Tuttavia “la Commissione mantiene la sua prerogativa di verificare la compatibilità di questa legislazione una volta adottata”.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI RASSICURA ARCORE MA BENEDICE LA SCISSIONE DI TOTI… LA RIUNIONE DI TOTI CON I PARLAMENTARI FORZISTI… L’ITALIA E’ LA PATRIA DEI TRADITORI E DEI BABBEI
C’è un motivo se Silvio Berlusconi ha spiegato ai suoi, parlando dell’eventualità del voto: “Ho parlato con Matteo. Lui sa che ha bisogno dei nostri voti al Sud, i rapporti tra noi sono ottimi”. E c’è un motivo se Giovanni Toti, il suo ex delfino che sta per mettersi in proprio, giovedì pomeriggio ha spiegato a un gruppo di parlamentari di Forza Italia, riuniti nella sede romana della regione Liguria: “Dobbiamo stare pronti per quando si vota, che non penso sarà a breve, e creare il nostro contenitore moderato, alleato con Salvini, perchè è chiaro che non si alleerà mai più con Berlusconi”.
La politica è anche gioco su più tavoli, simulazione e dissimulazione.
E Salvini deve averne imparato tutte le malizie in questa manovra tesa a rassicurare Berlusconi, dando al tempo stesso mandato a Toti di asfaltare Forza Italia.
Ha parlato sia col primo che col secondo, ma è col secondo che si è confrontato sul punto vero. E cioè che nelle sue intenzioni, per come lo abbiamo conosciuto, il centrodestra non c’è più, ma il come sarà è ancora un cantiere aperto.
Andare da solo è un rischio, con questa legge elettorale, ma nel novero delle ipotesi non c’è neanche un tandem tutto sovranista con Giorgia Meloni perchè avrebbe un effetto troppo legittimante su alleato che vive come un potenziale rivale, capace di erodere un pezzo di elettorato di destra-destra.
È un elemento non di poco conto, il “come” presentarsi al voto, in questa riflessione solitaria del capo della Lega, di fronte a un partito, il suo, che lo pressa per “rompere subito”.
Ed è proprio il terminale di tutte le trame, Giancarlo Giorgetti, che parlando con qualche vecchio amico, ha così vaticinato: “Al 50 per cento il governo cade entro un mese, al 100 per cento si vota entro marzo dell’anno prossimo”.
Non è un mistero che, fosse per lui, la crisi si dovrebbe aprire domani. Ma in quel 50 per cento per cui il governo va avanti c’è anche il vero punto di discrimine tra Salvini e i suoi, che non vivono in modo così urgente il problema Berlusconi.
Alla riunione con Toti, quella vecchia volpe di Francesco Aracri, ex An, una macchina di voti nel Lazio, ha capito bene il tratto dell’uomo che ha in mano in paese: “Quello (Salvini, ndr) culturalmente è un grillino di destra, che col centrodestra non c’azzecca niente. Pensa che l’alleanza con i Cinque Stelle in questo anno gli ha dato una patente di novità e presentabilità politica. Del resto, finchè cresce…”.
Che è poi la tesi che ripete Stefano Buffagni ai parlamentari pentastellati che vivono le urne anticipate come i tacchini vivono il Natale: “Matteo sa che se torna con Berlusconi perde voti, e non vi vuole tornare, mica i sondaggi li abbiamo solo noi. Per questo non dobbiamo dargli alibi”.
È proprio quel che sta accadendo. Ne hanno piena consapevolezza anche ad Arcore, dove è rientrato l’allarme da elezioni anticipate, scattato un paio di settimane fa: “Quelli gli stanno facendo passare tutto pur di chiudere la finestra elettorale di luglio, non gli danno occasione per un incidente”.
Nell’euforia delle chiacchierate degli ultimi giorni, con Salvini e con Giorgetti, il Cavaliere si sente tornato al centro del gioco, sottovalutando l’imminente scissione del suo partito.
Alla riunione nella sede della Regione Liguria c’erano parecchi parlamentari di Forza Italia, almeno una quindicina: il pugliese Luigi Vitali, il campano Franco Cardiello, qualcuno vicino a Gaetano Quagliariello, tre-quattro lombardi meno noti, pronti a seguire il governatore della Liguria nel suo strappo, ormai annunciato, nell’iniziativa del 6 luglio: “Ci sarà — ha detto Toti mostrando gli elenchi – un mare di gente. Consiglieri regionali, sindaci… La consapevolezza che lì dentro è finita è diffusa”.
È una decisione maturata, proprio perchè condivisa con Salvini, che prescinde da tutta la discussione dentro Forza Italia, su congresso, regole, coordinatore primarie, perchè, al netto di tutto, il punto è che dentro Forza Italia non è in discussione la leadership di Berlusconi e quella leadership impedisce un dialogo su basi nuove con Salvini: “Ma siamo seri — ha detto Toti – non è che facciamo le primarie per scegliere il maggiordomo di Arcore. Le primarie sono per un progetto politico, per un leader che ha piene deleghe, che deve essere percepito interprete di un progetto serio alle spalle”.
Il logo Italia in crescita vuole espressamente evocare quello di Macron Republique en marche, da mettere in campo prima che analoghe iniziative vengano prese sull’altro fronte da Calenda o chi per lui.
E il modo in cui Berlusconi ha impostato il congresso del suo partito, tutto fondato sula cooptazione, deve aver accelerato la frana se Giovanni Toti ha raccontato di aver avuto qualche scambio anche con la Carfagna: “Un po’di idee di Mara coincidono con le nostre. Si è smarcata, adesso vediamo dove porta il suo malessere. Se resta lì è la migliore dei peggiori, se viene con noi costruisce qualcosa di nuovo”.
Lo schema del 6 luglio sarà il lancio di una costituente, aperta, tutta fondata sulle primarie, da offrire alla Meloni e a chi ci sta di Forza Italia e valutare le risposte che arrivano. Se, come presumibile, nessuno scioglierà l’esistente per la nuova avventura comunque il movimento andrà avanti per dare, come dicono da quelle parti, copertura “a sinistra” a Salvini. O al “centro”, se preferite. Comunque l’ennesimo tavolo su cui giocare, simulando e dissimulando, in questo gioco che ruota tutto attorno a tutto a lui.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 14th, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI SE VUOLE FARE IL MAGISTRATO PRIMA PRENDA UNA LAUREA E POI VINCA IL CONCORSO: VUOLE ANDARE IN PROCURA AD AGRIGENTO? LO FACCIA E SI CONSEGNI ALLA GIUSTIZIA
La Sea Watch sfida Salvini: ​”Avendo ricevuto come unica indicazione il porto di un Paese in guerra – si legge un un tweet della Ong – la Sea Watch ha fatto rotta nord, verso il porto sicuro più vicino alla posizione del soccorso: Lampedusa. Restiamo in stand by a circa 16 miglia dall’isola”
Decisione ineccepibile perchè il porto piu’ vicino e sicuro era e resta Lampedusa, essendo un crimine riconsegnare i profughi alla Libia, come ricordato ancora oggi dalla commissione Ue.
La città di Rottenburg, in Germania, si è detta disponibile ad accogliere circa 50 rifugiati della Sea Watch. Il sindaco della città , Stephan Neher (Cdu) ha detto: “Se si crede davvero nell’accoglienza, bisogna farsi avanti”.
L’iniziativa di Rottenburg deve però passare per l’approvazione del Ministero dell’Interno federale. Per accogliere i migranti si era fatta avanti anche Berlino altra città che fa parte dell’alleanza “Città dei porti sicuri” fondata proprio da Naher.
Oltre a Rottenburg, l’alleanza comprende Berlino, Detmold, Friburgo, Flensburgo, Greifswald, Hildesheim, Kiel, Krefeld, Marburg, Potsdam e Rostock e si propone di fornire alloggi ai rifugiati provenienti dal Mediterraneo.
Qundi una soluzione è chiaro se ci sarebbe, salvo che per i razzisti che vogliono vedere i profughi affogare.
Capitolo a parte le menzogne e le minacce che anche oggi Salvini ha diffuso:
1) La Sea Wacht ha notificato come da legge il salvataggio a Libia, Malta, Tunisia e Italia, E’ falso che abbia mai chiesto di riconsegnare i migranti alla Libia, anzi ha precisato il contrario
2) Chi dice che dovevano essere riconsegnati alla Libia commette un reato, come ha precisato oggi la Ue
3). Salvini si chiede “perchè qualche Procura sequestri e dissequestri, sequestri e dissequestri, è la terza volta che vediamo lo stesso film. No, vado io piedi ad Agrigento a farmi spiegare perchè. Una va bene, due va bene, la terza volta no…”.
Basterebbe aver dato qualche esame a Giurisprudenza per capire che i “sequestri probatori” hanno accertato che la Sea Watch non ha commesso alcun reato, a differenza sua, e quindi andava dissequestrata. Se vuole andare a piedi in Procura ad Agrigento lo faccia per consegnarsi alla Giustizia, come tutti i sequestratori di persona che non si rifiugiano dietro l’impunità parlamentare per sfuggire ai processi.
Vuole fare il magistrato? Prenda uno straccio di laurea e poi vinca il concorso.
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