Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
NON HANNO INTENZIONE DI FARE PIU’ SCONTI ALL’ITALIA… E DICONO LA VERITA’: “VI RENDETE CONTO CHE AVETE PORTATO GLI INTERESSI SUL DEBITO ALLA STESSA CIFRA CHE PAGATE PER L’ISTRUZIONE? FATE POCO PER LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE E AL LAVORO NERO, NON INVESTITE IN RICERCA E INFRASTRUTTURE, LA CRESCITA E’ FERMA”
“La mia porta è aperta”. Quando Pierre Moscovici scandisce in italiano questa frase, nel bel mezzo della conferenza stampa più dura nei rapporti sempre tesi tra Roma e Bruxelles, cerca di dare voce alla parte più dialogante della Commissione europea, quella dei socialisti che in campagna elettorale hanno indossato la maglia della critica all’Europa dell’austerity.
Ma oggi, quando il collegio dei commissari si è riunito a Palazzo Berlaymont, nemmeno la parte dialogante si è spesa per fermare una macchina già in corsa.
Saldi alla mano, per il 2018 e 2019, l’Italia ha violato il criterio del debito. Dunque la Commissione Juncker, benchè in scadenza a fine ottobre, decide l’inevitabile: sulla base dell’articolo 126.3 del trattato sul funzionamento dell’Ue, raccomanda l’apertura di una procedura di infrazione sul debito, ventilata già a novembre dell’anno scorso, rimandata sulla scorta di un accordo poi raggiunto con Roma, di fatto tenuta in caldo per dopo le europee. Eccola qui: potrebbe scattare già all’Ecofin del 9 luglio prossimo e sarebbe la prima in tutta la storia dell’eurozona. Triste primato, sarebbe italiano.
A Bruxelles è cambiato il vento. Decisamente.
C’era una volta una Commissione che negoziava con Roma, sulla manovra per il 2019, tira e molla sul deficit, alla fine ridotto dal 2,4 al 2,04 per cento.
C’era un tempo pre-europee, in cui la valutazione politica finale della Commissione Juncker fu quella di rimandare la procedura di infrazione per debito eccessivo a dopo il voto, benchè già a novembre la ritenesse “giustificata”.
E ora c’è un tempo post-europee, con una Commissione che lavora alla luce di un dato elettorale chiaro: in Parlamento ci sono i numeri per una maggioranza tra Popolari, socialisti e liberali, maggioranza che deciderà le nomine per i vertici dell’Ue di questa legislatura, a partire dal presidente della prossima Commissione.
Esclusi i sovranisti, pericolo sventato: è questa l’aria che si respira a Bruxelles. La prossima Commissione avrà un’impostazione in continuità con quella di Juncker o comunque di certo non ne ribalterà le decisioni: non sulla procedura raccomandata per l’Italia.
Il governo gialloverde, nazionalisti e populisti insieme, primo caso tra i paesi fondatori dell’Ue, finisce spalle al muro, fuori da accordi europei che possano garantire un minimo di negoziato, fuori dalle maggioranze, senza possibili alleati in Consiglio europeo sui quali far leva per cercare almeno di rallentare la macchina.
Roma non può sperare nemmeno in Madrid, che pure ha avuto e ha ancora problemi con i conti, finita nelle cure della Troika, potenzialmente alleata di chi critica l’austerity. Ma non di Roma, non ora: proprio oggi la Spagna viene di fatto ‘premiata’ dalla Commissione per gli sforzi fatti, lo stesso pacchetto di primavera che suggerisce la procedura per l’Italia, decide di chiudere la procedura per deficit aperta in Spagna.
Sia il vicepresidente della Commissione responsabile per l’Euro Valdis Dombrovskis che lo stesso Moscovici si congratulano con il socialista Pedro Sanchez.
E che dire della Francia? Anche Parigi aveva ricevuto la lettera di avvertimento della Commissione, ma non si becca la procedura. Graziata, perchè, spiega Dombrovskis recitando il rapporto approvato oggi, “due criteri del debito e del deficit sono rispettati. Il deficit ha superato il tetto del 3 per cento nel rapporto con il pil, ma limitato al 3,1 per cento e solo il 2019”. ‘Graziati’ anche il Belgio e Cipro, anche loro erano nel mirino.
La macchina punitiva per l’Italia invece va avanti all’impazzata. In Commissione insistono a dire che adesso non c’è un “negoziato” con Roma, perchè non si sta discutendo di una manovra in corso d’opera, come a dicembre scorso.
Adesso ci sono dei saldi che chiedono una correzione subito, almeno di 3-4 miliardi di euro. Tradotto: una manovra correttiva, anche se ufficialmente la Commissione non si sbilancia. “Non siamo qui a dire che il governo deve fare questo o quello”, dice Moscovici che però qualche giorno fa ha parlato esplicitamente di manovra correttiva.
E poi però l’Ue chiede a Roma anche una legge di stabilità di oltre 30 miliardi di euro per il 2020, insieme al rafforzamento della lotta contro il lavoro nero e l’evasione fiscale, riorientamento degli investimenti verso la ricerca, innovazione e qualità delle infrastrutture, ridurre la durata dei processi e ristrutturare le banche medie-piccole: sono le 5 raccomandazioni sfornate oggi.
Tutto questo se si vuole evitare la procedura, una catena al collo delle finanze italiane che, una volta scattata, resterebbe lì per anni. La palla passa a Roma. Intanto qui la macchina va avanti.
Martedì il Comitato economico e finanziario dell’Ue sfornerà il parere sulla base delle raccomandazioni della Commissione (per l’Italia sarà presente il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera). Quindi entro due settimane al massimo, a Palazzo Berlaymont prepareranno un’altra raccomandazione in tre capitoli, per specificare che tipo di procedura chiedono agli Stati membri per l’Italia, quanto lunga, 5 o 10 anni, a quali condizioni.
E’ in questa fase che magari si potrebbe riaprire la discussione tra ‘falchi’ e ‘colombe’, rigoristi e critici dell’austerity, in sostanza: l’asse liberali-Popolari, da un lato, e i socialisti, dall’altro. Ma tutto questo si incastra anche con le decisioni sulle nomine Ue ancora tutte da definire. In ogni caso, si prevedono colpi di scena almeno a livello di clamore mediatico.
Perchè la presentazione di questa seconda raccomandazione più specifica potrebbe coincidere con l’insediamento del nuovo Parlamento di Strasburgo: il 2 luglio prossimo, una settimana prima dell’Ecofin del 9 luglio (almeno sette giorni sono necessari perchè gli Stati membri abbiano il tempo di leggersi le carte della Commissione).
Potrebbe ripetersi insomma la stessa scena verificatasi il 23 ottobre scorso, quando Moscovici bocciò la prima proposta italiana di manovra economica in conferenza stampa a Strasburgo, in coincidenza con la plenaria mensile dell’Europarlamento, di fronte alla stampa di tutta Europa e mezzo mondo. Boom.
E’ questa la trafila del prossimo mese. A meno che il premier Giuseppe Conte, il ministro Giovanni Tria, il ministro Enzo Moavero Milanesi, cioè la parte dialogante del governo gialloverde, non riescano a rallentare un ritmo davvero accelerato.
Ad oggi non si vede come possa succedere. Intanto Tria avrà un primo confronto con i colleghi dell’Eurogruppo il 13 giugno prossimo nella riunione a Lussemburgo. La decisione finale sarà però presa dall’Eurogruppo dell’8 luglio e poi dall’Ecofin del 9 luglio. Il tempo corre ed è poco.
Dombrovskis, capofila dei ‘falchi’ in Commissione, è impietoso. “Tutti gli indicatori macroeconomici sono in rosso — dice – Quando guardiamo all’economia italiana vediamo i danni che stanno facendo le recenti scelte politiche”.
Ce l’ha con quota cento e reddito di cittadinanza, le misure bandiera di Lega e M5s, ma anche con tutto l’impianto della manovra economica 2019 e con le promesse non mantenute, a partire dalle “privatizzazioni mancate”.
“Politiche che hanno prodotto spese per interessi nel 2018 pari a 2.2 mld di euro in più — continua – Oggi l’Italia paga in interessi sul debito tanto quanto spende per il sistema istruzione, un onere di 38.800 euro per abitante con costi in interessi di circa mille euro a persona”.
E ancora: “La crescita si è interrotta. Nel 2019 e 2020 dovrebbe esserci un aumento del debito pari a 135 per cento del pil, con un divario tra tassi di interesse e crescita che produce il cosiddetto effetto palla di neve”. Ma, conclude: “C’è un modo per rimediare: attuare uno sforzo di riforma e non spendere di più se non c’è lo spazio fiscale per poterlo fare”.
Ora la scelta è a Roma, che comunque la si metta, non ha alcun margine di contrattazione rispetto alle correzioni richieste.
Deve farle o prendersi la procedura. In entrambi i casi, la scelta rischia di costare tanto in termini di consenso sia alla Lega che al M5s. Ma, da quello che trapela a Bruxelles, molto molto ufficiosamente, c’è un modo per fermare la macchina europea: se il governo Conte dovesse cadere, a Bruxelles si farebbe largo quanto meno una valutazione politica sull’opportunità di aspettare nuove elezioni per far scattare la procedura. Paradossale, ma vero.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
DICONO NO AL GRUPPO CON LUI FARAGE, ORBAN, KACZYNSKI, GLI OLANDESI DI BAUDET, GLI SPAGNOLI VOX… PERSINO AFD IN DUBBIO
Proprio nel giorno in cui gli sarebbe servito mostrare i muscoli in Europa, nel giorno in cui la Commissione europea ‘spara’ sull’Italia la procedura di infrazione sul debito da decidersi all’Ecofin di luglio, Matteo Salvini colleziona una sfilza di no per la formazione del suo agognato ‘gruppone’ sovranista.
Solida l’alleanza con Marine Le Pen, ma non basta a convincere nuovi affiliati.
Oggi gli arriva il no ufficiale del leader dello Brexit Party Nigel Farage, da sommare al no del polacco Jaroslaw Kaczynski, di Viktor Orban che non ha intenzione di lasciare il Ppe e anche dei nazionalisti olandesi di Thierry Baudet, quelli che hanno superato Gert Wilders, il sovranista presente con Salvini sul palco elettorale di Milano ma punito dalle urne: nemmeno un eletto.
Declinano l’invito anche i nazionalisti spagnoli di Vox. E pure l’ultradestra tedesca, Afd, benchè alleata della Lega in campagna elettorale, non si sta sbilanciando sull’ingresso nel nuovo gruppo, non ancora.
Dopo tanti tira e molla, l’ungherese Orban ha rotto gli indugi ieri con un’intervista al tedesco Die Welt in cui non solo annuncia di restare nel Ppe ma si dice addirittura pronto a governare l’Europa con Socialisti&Democratici e Alde.
Quella tra Popolari, socialisti e liberali è l’alleanza che sta per formarsi all’Europarlamento e che deciderà le cariche apicali dell’Unione per questa legislatura. Un nazionalista come Orban che resta nel Ppe è magari fonte di imbarazzo per i socialisti, ma intanto i 12 eletti di Fidesz non andranno a fare gruppo con Salvini-Le Pen, sovranisti che non riescono ad andare oltre i 73 eurodeputati.
Resteranno fuori dai giochi di maggioranza. E sempre che Afd non decida di mollarli: i tedeschi ancora non si sbilanciano, nella passata legislatura il loro unico eletto era nel gruppo Efdd (lo stesso del M5s), in Parlamento gira voce che vorrebbero restarci, insieme a Farage appunto. Loro per ora non si esprimono.
Scontato il no degli spagnoli di Vox: sono nazionalisti, franchisti, acerrimi nemici degli indipendentisti catalani, non dimenticano le simpatie leghiste per le rivendicazioni della Catalonia nei confronti di Madrid.
Ed è per questo che non hanno mai pensato di entrare nel gruppo sovranista di Salvini, malgrado in Italia la Lega ci sperasse, il vicepremier ne ha anche parlato con la stampa. Niente, nessuna connessione con gli spagnoli che invece avrebbero deciso di entrare anche loro nel gruppo dell’Ecr, i Conservatori e riformisti che comprendono, tra gli altri, gli eletti di Fratelli d’Italia e i polacchi di ‘Diritto e giustizia’ e d’ora in poi anche gli olandesi di Thierry Baudet.
Andiamo con ordine.
Anche per questa legislatura appena nata, Kaczynski non fa traslocare i suoi 26 eletti (praticamente ha portato in Parlamento la metà dei seggi previsti per la Polonia, 51) fuori dall’Ecr.
Con Salvini, dice il leader polacco, “c’è un problema: vuole creare un nuovo gruppo con una formazione che non siamo in grado di accettare”. A Kaczynski non è mai andato giù il legame di Salvini con Putin. Non lo possiamo accettare”, insiste.
E che dire di Farage? Oggi il no più pesante è il suo. Pare che il ‘Brexiteer number one’ sia anche arrabbiato perchè i leghisti hanno dato per fatto un accordo che per lui non è mai stato certo. E oggi infatti Farage annuncia che non entrerà nel gruppo con Salvini e Le Pen.
“Ho preso una decisione — spiega all’Europarlamento – Ho già detto dell’incontro privato che ho avuto la scorsa settimana e posso dirvi che loro (esponenti dell’Enf, ndr.) si sono comportati malissimo. Io sono molto all’antica credo nella fiducia, nell’onore, nelle strette di mano, e le conversazioni fatte davanti un caffè non devono essere di pubblico dominio”, ed è “quello che l’Enf ha fatto”.
Quindi: “Non ho mai preso l’impegno di unirmi a loro, ho avuto una conversazione preliminare amichevole che loro hanno deciso di utilizzare in modo politico e direi piuttosto disonesto”.
Il gruppone sovranista insomma non decolla. Stretto all’angolo dalla procedura di infrazione, Salvini, finora la parte più agguerrita del governo gialloverde nella critica verso Bruxelles, non riesce a incidere fuori dai confini italiani.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
UNA RAGAZZA CHE VOLEVA ASCOLTARE PER CURIOSITA’ IL COMIZIO DI SALVINI A FORLI’ BLOCCATA DALLA POLIZIA PER LA BORSA DI TELA CON LA SCRITTA “TE NE DEVI ANDARE”… MA E’ UNA NORMALE BORSA IN VENDITA DEL GENERE POST-IRONICO SENZA RIFERIMENTI ALLA POLITICA… LA LUNGA TRATTATIVA CON LA DIGOS E’ SURREALE
Ieri Matteo Salvini era a Forlì per un comizio a sostegno del candidato sindaco. L’ultima volta, esattamente un mese prima, Salvini si era affacciato su Piazza Saffi dal balcone dal quale prima di lui si era affacciato Mussolini.
Questa volta — complice anche il bel tempo — il ministro dell’Interno ha potuto rimanere con i piedi per terra.
La serata si è svolta come da programma: discorsetto di Salvini, cori e fischi dI oltre contestatori, un paio di saluti romani da fasci da avanspettacolo (quelli che nel Ventennio sarebbero finiti a zappare la terra )
Tutto nella norma, o quasi.
Una ragazza che — per curiosità — voleva assistere al comizio ha raccontato su Facebook che l’accesso alla piazza le è stato impedito dalla Polizia.
Motivo? Aveva con sè mazze e pietre? Sventolava un’enorme bandiera dell’Unione Sovietica o uno striscione sui 49 milioni della Lega? No.
Era uscita di casa con una borsina di tela che porta sempre dove su un lato è stampata la scritta TE NE DEVI ANDARE e dall’altra la scritta FASTIDIO.
Si tratta di una borsa che è liberamente acquistabile online e che non ha alcuna connotazione politica (semmai è del genere postironico).
Al di là del messaggio stampato, che non è rivolto a nessuno in particolare, la borsina di tela non sembra essere il prototipo di oggetto contundente atto ad offendere. Certo, qualcuno potrebbe interpretarlo male. Ma non è detto che tra i fan del Capitano quel messaggio non possa essere letto come un “te ne devi andare” rivolto a stranieri, clandestini, immigrati, radical-chic o buonisti.
Insomma l’interpretazione è aperta.
Un agente di Polizia però ritiene che la ragazza con la borsa di tela non possa entrare. Perchè? L’autrice del post spiega che è proprio la borsa (e non il suo contenuto) il problema: «p​otrebbe essere interpretata male».
La ragazza non vuole certo creare problemi, e prova a proporre delle soluzioni alternative: girare la borsa al contrario, in modo da non far leggere le scritte oppure infilare la borsetta in quella dell’amica, in modo da farla sparire completamente dalla vista.
Non è la prima volta che la Polizia si occupa di censurare messaggi tutto sommato innocui.
Il caso più eclatante era stato quello raccontato da Diego Bianchi a Propaganda Live quando la Digos placcò due ragazzi che si aggiravano per Piazza del Popolo durante un comizio di Salvini con un cartello con scritto “Ama il prossimo tuo”. Evidentemente anche un messaggio evangelico (citato dallo stesso Salvini al Senato) rappresenta un problema. Questo nonostante Salvini sia un gran baciatore di rosari, immagini votive e vangeli. Sarà perchè forse Fontana ha un’idea tutta sua sul concetto di “prossimo”?
Non vanno bene.
Spiega un agente in borghese che così non ci sono lo stesso le premesse per garantire l’accesso: «beh certo, così entri dentro e la rigiri con le scritte ben in vista». E per bene in vista immaginiamo che si intenda alla vista delle due o tre persone che si trovassero a fianco della ragazza in mezzo alla folla. Ma niente non funziona.
La ragazza prova a spiegare che non è sua intenzione causare alcun genere di problema: «guardi, mi faccio fare cento foto, video, instastories, tutto ma le giuro che questa borsa non la girerò e nasconderò le scritte». Non basta.
Il poliziotto replica a muso duro: «f​a​cciamo allora che lei mi da il documento, se poi io la vedo o vedo dei filmati con la sua borsa girata la vengo a prendere». ​
Ed è stata quest’ultima affermazione (o minaccia) a far scattare qualcosa.
Perchè il problema per la ragazza della borsetta di tela non era quello di non poter entrare con la sua borsa. Non era nemmeno quello che la borsa (al pari di certi striscioni) venisse considerata pericolosa.
Anzi è lei stessa ammette di aver commesso una leggerezza (dettata in fondo dall’abitudine di usare quella che descrive come la sua borsa preferita).
Il problema è stato quello di sentirsi rispondere che qualora avesse “girato” la borsa qualcuno sarebbe andato a prenderla.
Letto così, dalla distanza, questo botta e risposta non è altro che quello tra un funzionario di pubblica sicurezza e un cittadino. Ma in quel momento preciso invece quella stessa frase sul “ti vengo a prendere” assumeva connotazioni (e sfumature) ben diverse e inquietanti. Questa criminalizzazione a priori dei cittadini italiani non è un bel segnale.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
ENNESIMA CAPRIOLA DEL GOVERNO: PER ABBASSARE IL DEFICIT AL 2,1% ANCHE TAGLI AL WELFARE (COME DICEVA LA BOZZA DI TRIA FATTA POI PASSARE PER FARLOCCA)
Scrive Giovanni Tria, diffonde Giuseppe Conte. Sono le 16.39 quando da palazzo Chigi il premier fa partire una lunghissima nota piena di numeri, puntellati da termini, sigle e acronimi da economisti puri.
All’affondo di Bruxelles, che ha aperto la strada alla procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per debito eccessivo, il governo decide di rispondere con i numeri. Non c’è spazio per considerazioni politiche apocalittiche.
Matteo Salvini e Luigi Di Maio, riferisce una fonte di primo livello dell’esecutivo, hanno detto sì alla linea della responsabilità che unisce Conte, Tria e il Quirinale. Questi numeri dicono due cose.
La prima: per evitare la manovra correttiva estiva da 3-4 miliardi bisogna fare una capriola e sconfessare, ancora una volta, la già ondivaga strategia sui conti pubblici messa in campo dal governo nel suo primo anno di vita.
La seconda: va pagato un pegno. E questo pegno va a colpire le misure bandiera del Contratto di governo, cioè il reddito di cittadinanza e la quota 100.
Messa giù in forma diversa, ma in sostanza no ed è questa la cosa che conta, quel “taglio al welfare” che aveva fatto sollevare i 5 stelle contro Tria e la prima versione della lettera (poi modificata) da inviare a Bruxelles, c’è.
La prova del nove del fatto che Di Maio e Salvini hanno detto sì alla linea di Conte e Tria è qui. Palazzo Chigi e il Tesoro hanno lavorato gomito a gomito per mettere a punto una nota che è la base di partenza della lunga e delicata trattativa che Conte e Tria porteranno avanti a Bruxelles.
I tempi sono strettissimi: nel giro di un mese, tra una riunione degli sherpa economici e una dell’Ecofin, si deciderà se la procedura d’infrazione partirà .
Una volta partita, i giochi sono fatti. Ecco che bisogna giocare coi tempi giusti e nasce così il comunicato stampa.
Capriola e pegno si diceva.
La capriola, che letta in chiave governativa è un impegno, è quello di portare il deficit dal 2,4%, come scritto nel Def meno di due mesi fa, al 2,1 per cento. Memo: il 27 settembre scorso Di Maio si affacciò dal balcone di palazzo Chigi e annunciò che il deficit era stato portato al 2,4%. Sfondamento in direzione Bruxelles. Manovra di dicembre: per evitare la procedura d’infrazione il deficit fu collocato al 2,04% dopo una lunga ed estenuante trattativa con la Commissione europea. Frenata. Def dello scorso aprile: di nuovo acceleratore e quindi deficit al 2,4 per cento. Oggi inversione: deficit al 2,1 per cento.
I numeri dicono, più di ogni altra considerazione, quanto la strategia del governo sia risultata indecisa. Debole.
E poi c’è la parte del pegno. Per portare il deficit dal 2,4% al 2,1% bisogna principalmente rinunciare ai risparmi previsti dal reddito e dalla quota 100: andranno ad alleviare i conti in malora, non saranno spendibili per il decreto famiglia, caro ai 5 stelle, o per altre misure di governo. Andranno a Bruxelles di fatto.
Qualcosa come circa 1,3 miliardi. Altra sfaccettatura che mette in crisi il già fragile disegno economico del governo. Si dice che si vuole spingere la crescita, ma di soldi ce ne sono sempre meno. Come finanziare i sogni di gloria che corrispondo, ad esempio, al nome di flat tax?
E così, nei primi due passaggi che daranno via alla trattativa economico-politica con Bruxelles, cioè la riunione degli sherpa e poi quella dell’Ecofin, il direttore generale del tesoro Alessandro Rivera e Tria porteranno avanti questa linea.
L’impegno è quello di arrivare a fine 2019 con un deposito di 3,5 miliardi tale da impattare positivamente sul deficit per lo 0,2 del Pil. E questo impegno viene anche preso per il 2020, proprio dove si sono concentrate alcune delle critiche più feroci di Bruxelles in merito alla strategia portata avanti da Lega e 5 stelle.
Anche per il prossimo anno è previsto quindi di mettere da parte 3,5 miliardi. Il pegno del 2019 sale così a 5,5 miliardi: 2 miliardi, infatti, erano stati già congelati e non saranno rimessi in campo.
Significa, quindi, che questi soldi non andranno all’uso per cui erano stati pensati e cioè incentivi alle imprese, sostegno alle Forze armate, sviluppo della mobilità locale, diritto allo studio. Non vanno. Quindi tagli.
Ma è nel nuovo pegno, quello appunto dei 3,5 miliardi che si promette di raccogliere entro la fine dell’anno, che puntano Tria e Conte.
Il punto di partenza, come si diceva, è portare il deficit dal 2,4% (per la Commissione è al 2,5%) al 2,1 per cento. Come? Parte l’elenco.
Oltre al miliardo sottratto a reddito e quota 100 per arrivare all’importo indicato nella nota e “assicurare la conformità al Patto di stabilità e crescita”, ci sono maggiori entrate tributarie e contributive, più entrate non tributarie, cioè utili e dividendi. Aggiungendo previsioni economiche più rosee e considerando anche le stime di output gap della Commissione, ecco che il deficit, arrivato nel frattempo al 2,2%, riesce a scendere al 2,1 per cento.
Di conseguenza migliora anche il saldo strutturale, quello a cui Bruxelles guarda con più attenzione quando deve giudicare sullo stato di salute dei conti pubblici dei Paesi membri dell’Unione europea. Questo dicono i numeri.
Questo dice il tentativo del governo di evitare di imboccare un percorso severo, fatto di una multa ma soprattutto del taglio ai fondi strutturali e di pegni da pagare per parecchi anni.
Ci si prova così.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
MAGGIORANZA ASSOLUTA DI 90 SEGGI SUI 179 DEL PARLAMENTO… SOVRANISTI DIMEZZATI
I socialdemocratici hanno vinto – secondo i primi exit poll – le elezioni politiche in Danimarca.
I socialdemocratici avrebbero tra il 25,3 e il 25,9% dei voti. Secondo gli exit poll delle emittenti pubbliche TV2 e DR resi noti alla chiusura delle urne, il blocco di sinistra avrebbe la maggioranza assoluta di 90 seggi sui 179 del Parlamento.
Il centro-sinistra socialdemocratico prenderà così il posto del governo che è stato del Partito liberale per 14 degli ultimi 18 anni ed è attualmente al governo con il premier Lars Lokke Rasmussen.
I socialdemocratici sono guidati da Mette Frederiksen, 41 anni, e dovrebbe così formare un nuovo governo con una maggioranza assoluta dei seggi, una rarità in Danimarca, dove di solito si alternano governi di minoranza.
Per la prima volta, la questione del clima ha sostituito l’immigrazione come prima preoccupazione dei cittadini.
Un elettore su tre di età compresa fra 18 e 35 anni pensa che il prossimo governo debba dare priorità alla lotta contro il riscaldamento globale.
Incoraggiati da una congiuntura economica favorevole, i socialdemocratici promettono di fermare i tagli al budget in sanità e istruzione.
La Danimarca gode di una crescita robusta (2,2% nel primo trimestre rispetto all’anno precedente), di finanze pubbliche sane e di una situazione di quasi impiego (meno del 4% di disoccupazione).
Il Partito popolare danese, rappresentante di una destra anti-immigrazione ed euroscettica è sceso dal 21,1% al 10,7%.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
CI SONO 500.000 EURO DI DEBITI, COMPRESA LA TUTELA LEGALE PER GRILLO… 176.000 VANNO VIA IN STIPENDI
Conti in attivo per l’Associazione Rousseau nel 2018. Secondo l’ultimo bilancio, quello chiuso il 31 dicembre scorso (il terzo in ordine di tempo), la piattaforma digitale del Movimento 5 Stelle ha concluso l’esercizio con un avanzo di gestione pari a 57mila 573 euro e un “patrimonio netto positivo” per 2.188 euro.
L’Associazione presieduta da Davide Casaleggio è molto ‘liquida’: i depositi bancari e postali, infatti, ammontano a 404mila 558 euro, cui vanno aggiunti 86 euro in ‘denaro e valori in cassa’, per un totale di 404mila 644 euro. Un vero e proprio tesoretto, che però viene ‘superato’ dal totale dei debiti, pari a 497mila 754 euro.
Tra le passività spiccano i ‘debiti verso fornitori’ stimati in 352mila 96 euro, rispetto ai 129mila 406 euro di ‘debiti tributari correnti’.
Nella relazione al rendiconto sottoscritta da Casaleggio vengono citati alcuni “fatti di rilievo” verificatisi dopo la chiusura dell’esercizio. In particolare si segnala “la pubblicazione di una nuova piattaforma di voto nel mese di marzo per aderire alle richieste privacy e alle richieste di volumi di partecipazione degli iscritti”: sistema che “è stato utilizzato per il voto delle europarlamentarie”
In seguito alla pubblicazione del nuovo sistema “il Garante della Privacy – si legge sempre nella relazione – ha ritenuto di inviare una sanzione di 50mila euro per irregolarità individuate lo scorso anno”.
A marzo “è stato inoltre completato il prototipo per il voto su blockchain messo a disposizione della comunità di sviluppatori perchè possa essere testato e valutato”. Per quanto riguarda il futuro, “durante il 2019 si prevedono investimenti ulteriori per il miglioramento dell’infrastruttura sul fronte della sicurezza e della scalabilità ed il rilascio di nuove funzionalità a supporto degli iscritti”.
Un milione 124mila 54 euro. Questa la cifra incassata dall’Associazione Rousseau nell’anno 2018 sotto forma di “contributi da persone fisiche”. Un vero e proprio ‘tesoretto’ dove spiccano i circa 700mila euro versati da deputati e senatori.
È quanto riferisce l’AdnKronos dopo aver letto la relazione al rendiconto firmata da Casaleggio, presidente e tesoriere dell’Associazione che gestisce la piattaforma web del Movimento 5 Stelle.
Ammontano a 119mila 800 euro, invece, i contributi “da associazioni, partiti e movimenti politici” ricevuti dalla no-profit di Via Gerolamo Morone.
E se i proventi delle “attività editoriali, manifestazioni e altre attività ” si attestano a 2mila 731 euro, i contributi da “altri soggetti esteri” (che riguardano le donazioni da persone fisiche di valore inferiore a 5mila euro) toccano quota 7mila 446 euro: dagli Stati Uniti, ad esempio, sono arrivati 2mila 870 euro, mentre proviene dal Belgio una donazione di 2mila e 11 euro.
Nel bilancio si legge nel dettaglio che “i contributi da persone fisiche” riguardano principalmente “il contributo per le piattaforme tecnologiche per l’attività dei gruppi e dei parlamentari” ed “il contributo per lo Scudo della rete avviato nel 2018”. Solo grazie ai versamenti dei parlamentari – che, come prevede il regolamento interno, sono tenuti a sborsare 300 euro a testa ogni mese per sostenere la piattaforma Rousseau – l’Associazione presieduta da Casaleggio ha incassato 699mila 844 euro.
Il contributo per lo Scudo della rete – funzione che ha come obiettivo quello di fornire la difesa legale a iscritti ed eletti M5S dalle cause intentate contro di loro – raggiunge la cifra di 257mila 992 euro.
Nella relazione è inoltre specificata l’entità delle donazioni inferiori a 5mila euro (154mila 800 euro) e di quelle superiori (11mila 391 euro) e viene chiarita la natura delle “contribuzioni da associazioni, partiti e movimenti politici”: quest’ultima voce riguarda la “devoluzione del residuo fondo del Comitato eventi nazionali creato nel 2017”, pari a 119mila 800 euro.
Dal raffrescatore all’estintore, al mouse. Ci sono anche queste ‘voci’ tra le spese 2018 dell’Associazione Rousseau. Spulciando l’ultimo bilancio, quello chiuso il 31 dicembre scorso, si scopre che tra i costi per ‘impianti e attrezzature’ della piattaforma digitale del Movimento 5 Stelle figurano la ‘struttura Mouse’ (47mila 464 euro), tensostruttura gonfiabile utilizzata nelle varie tappe del Rousseau City Lab; un raffrescatore (1.846 euro); un estintore (83 euro). E ancora: oltre 8mila euro per ‘computer e telefoni’ più 1.199 euro per ‘altre apparecchiature ufficio’.
L’Associazione presieduta da Davide Casaleggio spende per servizi telematici 144mila 838 euro e circa 90mila euro per attività editoriali, di informazione e comunicazione, a cominciare dal nuovo Blog delle Stelle, stimato 17mila euro.
Nel dettaglio, 26mila 245 euro sono stati investiti per il ‘Sistema Ocr’, mentre costano 12mila 300 euro il ‘Sistema gestione selezione’ e 976 euro il ‘Sito Academy’. Per la ‘nuova infrastruttura software’ sono stati spesi 33mila euro. Rousseau sborsa per l’affitto dei locali in uso 29mila 780 euro (tecnicamente si tratta di ‘affitti passivi’), mentre versa quasi 5mila euro per ‘altri noleggi’ e 230mila 676 euro per il ‘personale dipendente’.
In particolare, gli stipendi rappresentano un onere di 176mila 74 euro.
272mila 972 euro. Questa la cifra spesa nel 2018 dall’Associazione Rousseau come supporto legale “a tutela del garante Beppe Grillo”, dell’Associazione Movimento 5 Stelle e della stessa Rousseau. È quanto si legge nelle slide a corredo dell’ultimo bilancio presentato dalla no-profit guidata da Casaleggio.
Nel dettaglio, questi costi comprendono le voci ‘spese legali’ (176mila 651 euro), ‘accantonamenti per rischi’ (70mla euro), ‘contributi per Associazione Movimento 5 Stelle e Comitati’ (26mila 321 euro). Spulciando il rendiconto, si apprende che le spese ‘per infrastruttura’ toccano quota 220mila 318 euro, mentre quelle per ‘comunicazione e organizzazione eventi’ si attestano a 87mila 858 euro.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
L’AMBULANZA LE INFILA UN REFERTO NEI PANTALONI E SE NE VA
Tre ore riversa sull’asfalto rovente. Oggi, nelle ore più calde, tra le 11,40 e le 14,30. Davanti al cancello di una villetta di Castrolibero, diecimila persone a Ovest di Cosenza, ormai la sua periferia residenziale.
E’ una donna straniera, sulla cinquantina, probabilmente rumena, quella avvistata dai passanti priva di sensi.
A quell’ora a Castrolibero ci sono trenta gradi. I residenti di Via della Resistenza devono passarle fazzoletti bagnati sul volto per abbassarle una temperatura del corpo diventata pericolosa.
Una prima ambulanza, allertata a mezzogiorno, arriva sul posto dopo mezz’ora, ma i tre militi, vista la donna che non dà cenno di riprendersi, compilano rapidamente una “scheda equipaggio di primo soccorso” con “x” e “y” alla voce nome e cognome, lo infilano nell’elastico dei pantacollant della donna e se ne vanno. Senza alcun soccorso, nè una constatazione delle condizioni.
Daniela Spinelli, una cuoca che abita vicino alle villette, è stata una delle prime soccorritrici. Racconta: “La donna era a testa in giù, aveva rimesso. Non era semplice aiutarla, viste le condizioni. Io sono incinta e non potevo sollevarla, ma gli uomini del soccorso sono lì per aiutare una persona in difficoltà cliniche. Non si lascia sul bitume rovente neanche un cane, i militi si sono limitati a incastrare un referto nelle mutande”.
E’ stato il marito Luca Di Sanso, anche lui cuoco, a dare l’allarme al “118”. Ora racconta: “Ho chiesto alla centrale operativa perchè l’avevano abbandonata sul marciapiedi, mi hanno risposto che non avevano un medico a bordo. Ho chiesto, allora, perchè non avevano avvertito un altro mezzo provvisto di medico, ancora qualche minuto e quella donna sarebbe spirata. Era rosso fuoco in volto, cotta dal sole. Non mi hanno risposto”.
Diversi passanti, in quelle ore, sono intervenuti. Tra loro un medico donna. Quindi, i vigili urbani di Castrolibero. “Sono andata a prendere mio figlio a scuola, sono tornata a casa e la donna era ancora sul marciapiedi”, racconta un’altra testimone.
Solo alle 14,30 è arrivata una seconda ambulanza. E ha prestato soccorso alla donna straniera senza nome nè cognome partendo per l’ospedale Annunziata di Cosenza.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
I COMPLOTTISTI FILO-GOVERNATIVI DENUNCIANO CHE PARAGONE HA SPESO MOLTO PER SPONSORIZZARSI SU FB E VEDONO OSCURE TRAME
Gianluigi Bombatomica Paragone e Alessandro Di Battista costituiscono un asse nel MoVimento 5 Stelle contro Luigi Di Maio.
Lo racconta oggi Federico Capurso su La Stampa, spiegando che i grillini cominciano a temere per la tenuta del governo al Senato:
In un partito come il Movimento, anche i punti di vista diversi, però, vengono spesso considerati pericolosi. E al Senato i «cani sciolti» — così li chiamano i collaboratori di Di Maio — sono otto. Abbastanza per far cadere il governo. Ci sono Elena Fattori e Paola Nugnes, ormai ai margini del gruppo, e poi lo stesso Mantero, Virginia La Mura e Lello Ciampolillo, considerati invece poco affidabili. Sono stati annotati come troppo indipendenti, infine, Primo Di Nicola, Nicola Morra e Gianluigi Paragone. Tra questi, è Paragone a fare più paura.
Insomma, nel M5S sono talmente terrorizzati da aver paura di Paragone. E già farebbe ridere così. Se non fosse che c’è di più.
Ovvero che lui e Di Battista vengono considerati gli unici in grado di dare vita a una rivolta interna contro Di Maio.
L’asse con Dibba — secondo quanto sostengono i “mandarini” del leader — è stato già stretto. L’immagine dei due che vanno via insieme in motorino, dopo il vertice dello stato maggiore M5S indetto per analizzare la catastrofe delle Europee, è il simbolo di questa nuova fronda.
Una corrente ancora in costruzione, ma che avrebbe già radunato i favori di numerosi parlamentari, anche tra quelli che prima non si riconoscevano nel Movimento troppo “di sinistra” voluto da Fico.
Non è sfuggito il lavorio di Paragone per contestare Di Maio durante le assemblee interne e a mezzo stampa. Così come quello più nascosto, per accrescere la propria visibilità : «Abbiamo notato quanto ha investito per sponsorizzare le sue pagine sui social network negli ultimi due mesi», fanno notare dai piani alti del Movimento. Ed è per questo che le apparizioni di Paragone in tv sarebbero state limitate.
Insomma, Paragone si permette di spendere per le sponsorizzazioni su Facebook. Fa di certo tutto parte di un piano diabolico per sprecare soldi pubblici a fare quello che fa anche l’ufficio comunicazione di Di Maio e del M5S. Chissà cosa c’è dietro.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
IL WEB SI SCATENA DI FRONTE ALLA RIDICOLA PROPOSTA: “ALL’INTERNO METTICI UN TRONO DI SPADE”… E LUI RITIRA IL POST
“Bisogna caratterizzare l’immagine della città per chi viene dal mare o dall’aria. Occorre costruire un nuraghe alto 300 metri che identifica la nostra terra come la torre Eiffel a Parigi, il Colosseo a Roma o la sirenetta a Copenaghen. Questo è solo l’inizio!”.
Questa la proposta lanciata via Facebook da Michele Poledrini, avvocato candidato con la Lega alle comunali di Cagliari l’ha raccontata l’Unione sarda.
Qualche utente sposa l’ipotesi, con commenti entusiasti (“Grande”, “In bocca al lupo”).
Altri invece ironizzano: “Io credo che il nuraghe gigante vada costruito in prossimità dei nuovi 6 aereoporti” e “All’interno un trono di spade”.
E così, dopo un paio di giorni, il candidato ha deciso di modificare il post originario, avanzando una proposta molto più semplice e meno impegnativa.
Ovvero: “Modificare il sistema della raccolta differenziata a Cagliari”, istituendo “delle piccole isole ecologiche in cui posizionare i mastelli con chiave di pertinenza di ogni civico così da consentire il conferimento in ogni momento della giornata, il che permetterebbe di eliminare quelli più piccoli che invadono i marciapiedi”.
(da agenzie)
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