Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
UNA FONTE PPE: “L’ITALIA NON SIEDE IN PRIMA FILA, MA NEMMENO AL POSTO DEI PASSEGGERI: STA NEL BAGAGLIAIO”
Fumata nera: tutto rinviato ad un nuovo vertice straordinario il 30 giugno e ai contatti informali tra i leader che in settimana saranno a Osaka in Giappone per il G20.
Il Consiglio europeo di giugno, che doveva decidere le nomine per i vertici dell’Unione nella nuova legislatura iniziata a maggio, si chiude con un fallimento.
Ma almeno serve a eliminare i nomi che per un mese hanno bloccato ogni discussione sulla presidenza della Commissione europea, la carica più delicata da cui discende il resto: la presidenza del Consiglio Ue, l’Alto rappresentante per la politica estera, la Bce.
Eliminati i capolista Manfred Weber del Ppe, il socialista Frans Timmermans, la liberale Marghrete Vestager. Eliminati però anche due nomi di peso come Michel Barnier e Angela Merkel. E ora, come è successo anche 5 anni fa, si pesca tra personalità di minore spessore cui affidare la guida delle istituzioni europee, scelta più ‘comoda’ per tutti i leader di Stato e di governo che non vogliono perdere potere nell’Unione.
Andiamo con ordine.
Via dal tavolo Manfred Weber, il capolista dei Popolari (Spitzenkandidat), bavarese, rappresentante della Csu che governa con la Cdu della Merkel in Germania, difeso fino all’ultimo da tutto il Ppe e — obtorto collo – dalla Cancelleria.
Non poteva fare altrimenti anche perchè alle europee la Csu è andata meglio della Cdu. Ma sul no a Weber ha vinto Emmanuel Macron, che dall’inizio cerca di rafforzare la sua leadership con il gioco delle nomine.
Il presidente francese ha affossato subito Weber. Con lui i Liberali del nuovo gruppo europeo Renew Europe (cioè Alde più gli eletti de La Republique en marche) e i socialisti.
Risultato: il primo giro di consultazioni del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk con gli altri leader europei all’Europa Building si conclue con nessuna maggioranza intorno a Weber.
E così è stato semplice eliminare dal tavolo anche gli altri due Spitzenkandidaten: il socialista Frans Timmermans e la Liberale Marghrete Vestager. Sul primo, sostenuto anche lui fino all’ultimo dalla sua famiglia politica, Tusk ha compiuto un altro giro di consultazioni: per bruciarlo, si sapeva che anche lui non aveva la maggioranza. E allora?
E’ da qui che inizia il vero risiko. Perchè con Weber cade anche Michel Barnier, il negoziatore europeo sulla Brexit, lunga esperienza nelle istituzioni europee nonchè al governo a Parigi, francese del Ppe ma sostenuto da Macron. I tedeschi si sono imputati: se si dice no a Weber, non si può accettare un francese.
Merkel è molto irritata per come è andata: irritata dal comportamento di Macron. Tra i due i rapporti sono al minimo storico delle relazioni da sempre forti tra Francia e Germania.
Raccontano fonti del Ppe, che la Cancelliera ha resistito fino all’ultimo per non incontrare faccia a faccia il presidente francese. Lo ha dovuto fare ieri con Tusk presente. Incontro a tre per un nulla di fatto.
E c’è un’altra cosa che lei non ha gradito: la scelta di Macron di buttare il nome della stessa Cancelliera nel risiko dei ‘top jobs’, come presidente della Commissione o del Consiglio. Lo lascia capire in conferenza stampa: “Non sono interessata a una carica europea e tutti dovrebbero tenere in conto le mie parole”. Punto.
I rapporti con Macron? “Ci rispettiamo. La Germania non farà scelte contro la Francia, confido che la Francia non ne farà contro la Germania”.
L’affare nomine è così aggrovigliato che ieri intorno alla mezzanotte, Tusk decidere di chiudere: è il segnale che si va verso un rinvio in extremis. E c’è poco tempo.
Fino al weekend prossimo, i leader sono impegnati al G20 in Giappone. Il 2 luglio si riunisce l’Europarlamento per eleggere il presidente: prima pedina di un gioco che i leader vogliono comunque controllare.
Urge decidere prima che il Parlamento faccia in autonomia. Anche perchè le elezioni di maggio hanno partorito un quadro frammentato: una maggioranza a tre o quattro, Ppe, socialisti, liberali e forse anche Verdi.
Ed è per questo che ora che il gioco si stringe, i primi tre tendono a eliminare il quarto nella speranza di risolvere la situazione e anche perchè nel Ppe c’è molta contrarietà ad un’alleanza con i Verdi (a partire da Forza Italia). Non c’è intesa su temi come i cambiamenti climatici, come testimonia anche l’ennesimo mancato accordo in Consiglio su questo argomento.
L’esclusione dei Verdi potrebbe essere l’altra ‘chicca’ di questo vertice. Ma ora starà a Tusk incontrare i leader dei gruppi in Parlamento per portarli alla conclusione che nemmeno loro sanno trovare una maggioranza sul presidente della Commissione (tutte le cariche europee devono passare dal voto dell’aula di Strasburgo).
Così in Parlamento non potranno ‘lamentarsi’ del fatto che i leader hanno fatto fuori tutti gli Spitzenkandidaten, cioè i capolista alle elezioni, candidati legittimati dalle urne a guidare le istituzioni.
Il presidente del Consiglio europeo ha già incontrato di nuovo oggi i capigruppo Weber (Ppe), Dacian Ciolos e Guy Verhofstadt di (Renew Europe), Philippe Lamberts (Verdi) e Iratxe Garcàa (S&D). Lunedì nuovo giro di incontri. E quando saranno conclusi con un altro nulla di fatto, parola di nuovo ai leader: tra Osaka e il vertice del 30 giugno.
Dunque chi guiderà la Commissione? Nella chiacchierata notturna al bar dell’hotel Amigò a Bruxelles tra Conte, Merkel, Macron e Bettel, di nomi ‘veri’ non ne sono usciti. In questa fase, nessuno li fa per non bruciarli. Ma si definisce l’indentikit del prossimo presidente della Commissione: sarà uno del Ppe.
Macron e il socialista Pedro Sanchez hanno chiesto ai Popolari di fare un nome alternativo a Weber. E ora gira il nome del premier croato Andrej Plenković o della presidente della Croazia Kolinda Grabar-Kitarović.
In ogni caso, si guarda a uno dei paesi dell’est. Una volta fatto il presidente della Commissione, la presidenza del Consiglio potrebbe andare al belga Charles Michel (amico di Macron) oppure all’olandese Mark Rutte (tra i più ‘falchi’ dell’Unione). Ai due Spitzenkandidaten eliminati, Weber e Timmermans, andrebbero le vice-presidenze della Commissione. Ma Sanchez chiede di più.
“I negoziati sono più complicati di cinque anni fa — dice il premier spagnolo — perchè siamo più famiglie politiche, ma per noi l’importante è che i socialdemocratici siano rappresentati in modo visibile nelle istituzioni comunitarie”. I socialisti e democratici considerano loro territorio anche l’Alto rappresentante per la politica estera, incarico finora affidato all’italiana Federica Mogherini. Ma puntano anche alla presidenza del Parlamento
Invece Macron non molla la Bce. I nomi: la francese Christine Lagarde, attualmente al fondo monetario, ma anche Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia, o Benoit Coeure, già membro del board esecutivo della Bce (per quest’ultimo c’è un problema di doppio mandato).
Però c’è chi guarda al nord: il finlandese Erkki Liikanen. Ad ogni modo, sembra chiaro, il governatore che prenderà il posto di Mario Draghi (che scade a fine novembre) non dovrà contraddire il suo ‘Whatever it takes’.
La maggioranza dei leader europei la pensa così. Il Quantitative easing alla fine ha fatto comodo a tutti: ha aiutato i paesi più in difficoltà per la crisi economica e rassicurato di conseguenza anche i falchi che in prima battuta lo aveva osteggiato. E’ per questo che oggi Draghi all’Eurosummit a Bruxelles incassa applausi.
Mentre non va avanti la corsa del falco tedesco Jens Weidmann per la Bce, nonostante le sue ultime conversioni su una linea meno rigorista: non ci crede nessuno. Su di lui Macron si diverte: “Sono molto felice che i membri che si sono opposti alle decisioni di Mario Draghi si siano convertiti, forse un po’ tardi…”.
Il no ad un falco alla Bce rompe di fatto l’isolamento dell’Italia, anche se Conte non lo dichiara esplicitamente per non urtare i tedeschi di cui ha bisogno per tentare di sventare la procedura per debito eccessivo.
Per il resto, il premier si augura la frammentazione del quadro politico dia maggiori possibilità all’Italia di giocare un qualche ruolo.
Per ora, Roma è marginale. “L’Italia non siede in prima fila, ma nemmeno al posto dei passeggeri: sta nel bagagliaio”, ci dice spietata una fonte del Ppe.
Conte intanto si augura che il prossimo presidente della Commissione metta mano alla riforma delle regole…”. E si diverte a pensare che esiste un modo per bloccare una nomina sgradita. “Bastano tre paesi che rappresentino almeno il 35 per cento della popolazione europea per formare una minoranza di blocco — ci dice chiacchierando con la stampa all’hotel Amigò – La Gran Bretagna si astiene, perchè in procinto di lasciare l’Ue, l’Italia ha 60 milioni di abitanti, ne basta un altro”.
In realtà , le regole Ue parlano di almeno 4 membri del consiglio che rappresentino oltre il 35 per cento della popolazione. Ma il senso di una trattativa difficile che chiunque può bloccare ci sta tutto.
“E’ più rapida l’elezione del Papa che riempire questi incarichi europei”, dice il primo ministro irlandese, Leo Varadkar. Parole sante, è il caso di dire.
Ma sembrerebbe che i leader non tireranno fuori dal cilindro le personalità forti di cui l’Unione avrebbe bisogno per rafforzarsi e riformarsi. Puntano invece su personalità di seconda o terza fascia: la migliore garanzia che gli Stati nazionali continueranno a esercitare la loro golden share sull’Unione, ognuno a seconda dei propri interessi e non di quelli comunitari.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
L’IMMAGINE DI CASALINO AL VERTICE CON I LEADER EUROPEI E’ L’EMBLEMA DI COME E’ RIDOTTA L’ITALIA
Succede che una è Angela Merkel, cancelliere della Germania. Succede anche che un altro sia Emmanuel Macron, l’odiatissimo Macron al quale l’Italia leghista vorrebbe dichiarare guerra ma che al momento è il presidente della Francia
Succede anche che al tavolo ci sia Giuseppe Conte, ossia il sottosegretario di due
premier e che nella compagnia sia il re Travicello.
Ma soprattutto succede anche che nella tavola in cui si discute di nomine Ue ci sia Rocco Casalino che, certo, saprà il tedesco per i suoi anni di immigrato in Germania ma che con il consesso c’entra ben poco.
E così il web si è scatenato:
-Mandiamo Rocco #Casalino allo stesso tavolo di Angela #Merkel e poi ci sorprendiamo dello spread..
-Perchè perchè mi ha ricordato che #Casalino è il portavoce del Presidente del Consiglio…E che guadagna più del PdC stesso. Soldi pubblici. Perchè.
-Vedere Casalino al tavolo dei potenti d’Europa significa che l’Italia è finita. Non esiste più neanche come espressione geografica. Speriamo che ci invadano gli alieni e ci cancellino.
-#Casalino al tavolo con Merkel … poi non stupiamoci se il prossimo Ministro degli Esteri sarà #DiBattista.
-Sarà che #Conte non puo’ essere lasciato solo, ma un governo che manda al tavolo dei potenti rocco casalino a me fa solo paura
-Trovandosi lì per caso, prendere un megafono e gridare: “Rocco Casalino subito in confessionale”! Con lui che per riflesso condizionato si alza in piedi dicendo che i poveri hanno un odore diverso dai ricchi, simile a quello dei neri, e che i romeni puzzano di cavolo.
-A me la cosa che più mi inquieta è lo sguardo di Casalino fisso su Conte…lo marca ad uomo gli conta ogni respiro che fa….Prof.Conte perchè ha accettato tutto questo? È ancora in tempo…può liberarsi da questo incubo!
-Vedere nella stessa foto Angela Merkel e Rocco Casalino è il miglior indicatore del reale potere dell’Italia ai tavoli europei. Peccato, stiamo dilapidando un enorme capitale umano e culturale.
(da Globalist)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
IERI NOTTE L’ATTESA AL BAR NELLA VANA SPERANZA DI UN SEGNALE DA PARTE DEGLI ALTRI LEADER EUROPEI
“Il negoziato è molto difficile, ma la trattativa andrà avanti fino all’ultimo”.
Provato in volto per la notte in bianco passata prima al vertice formale con i leader e poi a quello informale con Angela Merkel, Emmanuel Macron e il lussemburghese Xavier Bettel al bar dell’hotel Amigò a Bruxelles, Giuseppe Conte traccia un bilancio di questa due giorni di Consiglio europeo e si arrende.
La procedura per debito eccessivo è “pendente”, diceva preoccupato ieri notte parlando con i giornalisti in hotel. Prima, non lo aveva capito.
Ora sa che la procedura, percorso obbligato di riduzione del debito, è lì pronta a scattare all’Ecofin del 9 luglio e va evitata a tutti i costi.
“Io ho una strategia costruttiva, insieme a Tria. Spero siano costruttivi anche gli altri nel governo”, dice il premier. Il riferimento è a Matteo Salvini che da Roma invece chiede garanzie sulla flat tax: “Non voglio tornare al voto, ma la manovra 2020 va fatta entro fine estate”.
Conte si presenta in conferenza stampa con oltre un’ora di ritardo: “Ho dormito poco, mi sono dovuto rinfrescare dopo il Consiglio”, ammette.
Ma gli incontri della notte erano necessari per stringere relazioni: tentare il tutto per tutto per scongiurare ciò che al momento sembra una tragedia ineluttabile. “Gli incontri informali sono utili”, dice.
Al suo arrivo all’hotel Amigò dopo il vertice, Conte e i suoi non si ritirano in camera, sebbene siano già le due del mattino, ma si intrattengono al bar. Sicuri che prima o poi anche gli altri ‘vip’, ospiti fissi di quello stesso albergo, sarebbero arrivati.
A quel punto, parlare con loro sarebbe stato inevitabile. E infatti, arriva Merkel, che si siede con la sua delegazione a un tavolo più in là .
Poi Macron: con lui il premier italiano ha 40 minuti di confronto. In questo momento, li accomuna il no al ‘falco’ tedesco Jens Weidmann alla Bce, sebbene Conte non lo dica esplicitamente per non urtare Merkel.
Macron invece si diverte con le stilettate: “Sono molto felice che i membri che si sono opposti alle decisioni di Mario Draghi si siano convertiti, forse un po’ tardi…”, dice in conferenza stampa. Conte racconta che Draghi “è stato applaudito da tutti oggi all’Eurosummit”. Al tavolo dell’italiano e del francese si uniscono Bettel e poi la Cancelliera.
Una chiacchierata notturna di ben due ore con gli altri leader, davanti a qualche bicchiere di birra. Non si parla di procedura contro l’Italia, racconterà oggi il premier. Si è parlato in maniera generica dei problemi di una Unione bloccata sul meccanismo dell’unanimità in Consiglio, si apprende da fonti italiane.
Il punto è che ora Conte, a distanza di un anno dal suo primo Consiglio europeo in cui, fresco della nomina al governo, si presentò bellicoso sul dossier immigrazione, ha cambiato strategia e cerca il contatto con gli altri leader per trattare: forse fuori tempo massimo.
Il fatto che l’argomento procedura non venga toccato significa che non c’è trattativa in corso: un brutto segnale.
Si tace ciò che il ‘falco’ olandese Mark Rutte dice in chiaro oggi: “Sta alla Commissione europea muovere i prossimi passi. Si tratta di un percorso molto preciso. Sono certo che la Commissione garantirà che l’Italia attui in modo rapido ciò che deve essere fatto o procederà ”.
Ecco perchè per Conte non è il momento di ultimatum all’Europa. Semmai è tempo di avvertimenti a Salvini. Il premier gli ‘annacqua’ anche la flat tax. “Io sono molto ambizioso, forse più di tutti. Per risolvere l’inefficienza e l’inequità del nostro sistema occorre una riforma forte e complessiva. Non mi accontento dell’abbassamento dell’aliquota, voglio un patto fiscale tra fisco e contribuenti italiani… Si tratta di sedersi intorno a un tavolo, aspetto proposte concrete”.
Invece Salvini chiede garanzie ora: teme che le promesse e i dati che mercoledì il consiglio dei ministri consegnerà a Bruxelles per evitare la procedura, ammazzino il progetto di taglio delle aliquote.
“I numeri reali ce li abbiamo noi, la Commissione ha delle stime”, insiste Conte che comunque non chiamerà mai ‘manovra correttiva’ ciò che stanno mettendo in campo nel governo per sventare la procedura. “Noi i numeri li portiamo, la Commissione li legge e li può verificare”.
Sono i numeri del Tesoro: i 2 miliardi già congelati nell’accordo di dicembre con la Commissione, bloccati perchè non sarà rispettato l’obiettivo del 2,04 per cento di deficit; i tre miliardi di risparmi da reddito e quota cento più le entrate da fatturazione elettronica; un miliardo da cassa depositi e prestiti.
Insomma, il governo sta raggranellando soldi per evitare la procedura.
La mission di un Conte alla ricerca di sponde continuerà la prossima settimana in Giappone: il G20 di Osaka potrebbe essere occasione di altri incontri con i leader. Lo fu il G20 in Argentina, lo scorso autunno, cornice di un’importante colazione di lavoro con Juncker e Moscovici nel bel mezzo dello scontro tra Roma e Bruxelles sulla manovra economica.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
CAPI DI STATO E DI GOVERNO ACCOLGONO CON CALORE IL PRESIDENTE ITALIANO ALLA GUIDA DELLA BCE DAL 2011 CHE A NOVEMBRE LASCERA’ L’INCARICO
Una ‘standing ovation’ dei leader europei per Mario Draghi al suo (probabile) ultimo Eurosummit: quasi a dimostrare che il presidente della Bce, allo scadere del mandato a fine ottobre, rischia di essere un ‘padre ingombrante’ per il suo successore.
E che, per il momento, i leader europei guardano indietro, agli ultimi otto di guida Draghi sotto cui la Bce si è presa il fardello di assicurare la tenuta dell’euro, piuttosto che in avanti, sciogliendo il nodo delle nuove nomine.
Le ricostruzioni dicono che i capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles hanno accolto con grande calore l’arrivo dell’italiano alla guida della Bce dal 2011.
Molti hanno preso la parola per elogiare il suo lavoro, dal premier italiano Giuseppe Conte al presidente francese Emmanuel Macron a quello della Commissione Jean-Claude Juncker.
E al termine del suo intervento si sono alzati per un lungo applauso in piedi, dopo che Draghi ha salutato il suo ultimo summit a Bruxelles.
“Ha ricevuto gli applausi di tutti all’Eurosummit e ciò mi ha reso molto orgoglioso come italiano”, dirà poi Conte.
Strette di mano, pacche sulle spalle, Draghi che si sofferma a parlare con il presidente francese Emmanuel Macron (che dirà : “voglio rendere omaggio all’azione e al coraggio di Mario Draghi” ricordando “un giorno d’estate nel 2012, quando disse quelle parole ‘whatever it takes’ e ciò è ancora luminoso”).
Strette di mano un po’ con tutti, con Juncker, con il premier spagnolo Sanchez e quello portoghese Antonio Costa.
C’è quella frase, drammaticamente famosa, nei ricordi (che si concretizzerà con una misura chiamata ‘Omt’ poi mai attivata che mette in campo le risorse illimitate della banca centrale).
C’è il quantitative easing (2015) che Draghi, giusto questa settimana a Lisbona, ha detto di poter riattivare se l’economia non migliora.
C’è curiosità per quell’uscita a Lisbona che ha galvanizzato i mercati arrivando a evocare un nuovo taglio dei tassi.
E c’è l’attacco di Donald Trump, che ha accusato Draghi, stracciando ogni diplomazia, di pilotare l’euro al ribasso. Nel complesso, una leadership che la Bce si è trovata a dover indossare al posto di una politica recalcitrante.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
MAGISTRATI “MODERATI” IN RITIRATA DOPO ESSERE STATI TRAVOLTI DALLO SCANDALO
Con il capo cosparso di cenere e lo sguardo rivolto al presidente della Repubblica. I consiglieri del Csm si sono presentati al plenum straordinario, presieduto da Sergio Mattarella, con la consapevolezza che l’istituzione deve ripartire dopo lo scandalo che ha fatto precipitare la magistratura nel suo periodo più buio, nella sua “notte”, per usare le parole utilizzate nel suo discorso di insediamento dal neopresidente dell’Anm Luca Poniz.
Tutti i consiglieri che sono intervenuti dopo Mattarella, a prescindere dall’appartenenza a questa o a quell’altra corrente, hanno professato quello che suona come un mea culpa e sottolineato la necessità di ricominciare daccapo.
E quello che da domani si impegna a cambiare, a “voltare pagina”, come ha chiesto di fare il Capo dello Stato nel suo discorso, è un Csm dalla geografia molto diversa rispetto a quello insediatosi da appena un anno.
Le correnti centriste e moderate – dopo la bufera scatenata dall’inchiesta di Perugia – hanno perso pezzi, a favore di Autonomia & Indipendenza. I togati della corrente di Piercamillo Davigo, nata nel 2017 dopo la scissione da Magistratura Indipendente sono raddoppiati: prima che lo scandalo delle procure scoppiasse erano due.
Sono diventati quattro con l’insediamento di Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, che sono subentrati a Gianluigi Morlini di Unicost e a Corrado Cartoni di Magistratura Indipendente.
Area, invece, il cartello dei magistrati progressisti, non ha, per ora, acquistato nuovi membri, ma il peso dei suoi quattro consiglieri è aumentato, dal momento che, di fatto, i membri effettivi del Csm sono attualmente 13.
Tanti resteranno fino a quando l’unico consigliere ancora autosospeso, Paolo Criscuoli di Magistratura Indipendente, non scioglierà la riserva.
Se dovesse decidere anche lui di lasciare gli subentrerebbe Bruno Giangiacomo di Area. A ottobre, invece, saranno eletti i due togati che dovranno subentrare ad Antonio Lepre e a Luigi Spina, entrambi pm, il primo di Magistratura Indipendente e il secondo di Unicost.
Per sostituirli è stato necessario convocare le elezioni suppletive, perchè tra i non eletti non c’erano altri pubblici ministeri.
Spina è stato il primo a dimettersi, perchè indagato insieme con Luca Palamara e accusato di avergli rivelato informazioni che, dato il suo ruolo, avrebbe dovuto tenere segrete. Gli altri che hanno detto addio all’istituzione, invece, avevano partecipato agli incontri ‘segreti’ con Palamara per decidere a tavolino – secondo i pm di Perugia – le nomine dei vertici delle procure rimaste vacanti.
Sergio Mattarella ha indetto le elezioni di ottobre e ufficializzato l’insediamento dei due nuovi togati, ma la sua presenza al plenum era dettata da ben altre esigenze. Prima tra tutte quella di stigmatizzare la condotta “sconcertante e inaccettabile” dei magistrati coinvolti nell’inchiesta di Perugia e di chiedere, con forza, un nuovo corso. E a una fase nuova, nettamente diversa, guardano anche i consiglieri togati che hanno preso la parola dopo il suo intervento.
Giuseppe Cascini di Area, sentito da Huffpost, definisce il richiamo di Mattarella “una condizione indispensabile per restituire all’istituzione giudiziaria e al suo organo di governo autonomo la credibilità e la fiducia che le recenti vicende hanno incrinato. Condividiamo – sottolinea il togato – la necessità di preservare lo statuto di autonomia e di indipendenza della magistratura, quale presidio irrinunciabile dello stato di diritto e garanzia di libertà per i cittadini”.
Nel suo discorso durante il plenum Cascini aveva sottolineato quali fossero gli effetti negativi delle ultime due riforme del sistema elettorale del Csm, realizzate nel 2002 e nel 2006. Tra queste, in primis, la brama dei fare carriera, “l’ansia di arrivare”.
E di pericoli del carrierismo ha parlato anche Piercamillo Davigo nel suo intervento all’assemblea plenaria.
Il leader di Autonomia&Indipendenza prima di ora aveva mantenuto un certo riserbo sulla vicenda del ‘mercato delle toghe’. Ha rotto definitivamente il silenzio oggi, con un intervento in cui ha chiesto un ritorno all’etica della magistratura: “Sono attonito nel vedere come l’anelito del dare giustizia, che ha ispirato gran parte dei magistrati anche nei momenti più difficili della nostra storia, sia stato sostituito da un pericoloso carrierismo, da una ricerca di ‘medagliette’”.
Uno dei due esponenti di Magistratura Indipendente rimasto tra gli scranni del Csm, Loredana Miccichè, dopo aver sostenuto di parlare a nome della “magistratura silenziosa, alacre, laboriosa, che non merita di vivere il tragico momento e la crisi di questi giorni” ha rivendicato la sua appartenenza all’area culturale dei moderati. “Intendo difendere la tradizione culturale in cui, con moltissimi colleghi, mi riconosco che si caratterizza per una visione liberale e moderata, unita però a un riformismo vivace”, ha affermato.
Poi l’invito a ricostruire sulle macerie senza escludere nessuno: “Non è il momento delle vendette e delle rivalse, nè delle rivendicazioni di superiorità morale, ma della costruzione condivisa di un percorso nuovo”.
Il rappresentante di Unicost, Marco Mancinetti, nel suo intervento ha esortato a “rendere questo momento di difficoltà un’opportunità di autentica svolta” e ad agire “con sobrietà e compostezza, ma con fermezza e rigore, che eserciteremo prima di tutto verso noi stessi”.
Già dalle ore successive all’emersione dell’inchiesta su due dei suoi associati, Palamara e Spina, la compagine centrista aveva avuto una reazione forte, chiedendo al pm romano di lasciare la corrente e garantendo che si sarebbe costituita parte civile in un eventuale processo.
Una scelta, questa, diversa rispetto a quella compiuta da Magistratura Indipendente che – in un’assemblea a porte chiuse – aveva di fatto blindato i suoi consiglieri autosospesi, chiedendo loro di tornare a vestire il ruolo di togato.
Da quel documento è nato un ulteriore scompiglio nella corrente, che ha indotto prima l’ex presidente dell’Anm Pasquale Grasso a lasciarla e poi il suo ormai ex segretario, Antonello Recanelli, a dimettersi.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
“RIFAREI IL BLITZ DI GENNAIO SE MI RITROVASSI NELLA STESSA SITUAZIONE, MI ASSOCIO ALLE PAROLE DI MATTARELLA”
Lo stallo della nave Sea Watch 3 va avanti da 10 giorni ormai. Le 43 persone a bordo sono sempre più insofferenti, non solo per l’attesa estenuante dell’indicazione di un porto sicuro, ma anche per perchè, come ha sottolineato la portavoce dell’ong Giorgia Linardi, veder scendere dalla nave 10 compagni di viaggio che sono stati salvati dalle onde esattamente come loro, ha reso meno accettabile la loro condizione di reclusione forzata.
Tra loro ricordiamo che ci sono anche minori non accompagnati, e il più piccolo ha appena 12 anni.
Non è la prima volta che Sea Watch deve fronteggiare un muro contro muro con le autorità italiane e con gli Stati europei.
A fine gennaio di quest’anno Sea Watch 3 era rimasta alla fonda al largo di Siracusa per giorni. Il 27 gennaio alcuni parlamentari salirono a bordo della nave, per verificare con i loro occhi le condizioni di salute dei 47 migranti.
I primi a salire furono Riccardo Magi (+Europa), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) e Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), che inaugurarono una staffetta portata avanti, il giorno dopo, da Maurizio Martina e Matteo Orfini (Pd). Per il loro gesto di protesta la Capitaneria di Porto di Siracusa ha comminato una multa da duemila euro, per illecito amministrativo.
A far scalpore in quel caso fu soprattutto l’immagine della 52enne deputata azzurra Prestigiacomo, che pilotando il piccolo gommone sembrava guidare la spedizione dei parlamentari verso la Sea Watch (La delegazione era accompagnata da due avvocati, un medico un membro dello staff di Mediterranea, e dalla portavoce di Sea Watch Italia).
Un gesto di ribellione allo stop imposto alla nave umanitaria, che però costò alla parlamentare di Forza Italia pesanti insulti sessisti sui social. Ma non solo.
La deputata siciliana fu travolta anche dalle critiche dei vertici del suo stesso partito, che in quell’occasione bollarono l’iniziativa come “autonoma e non concordata”, sebbene lo stesso Silvio Berlusconi si fosse mostrato favorevole allo sbarco.
Adesso lo rifarebbe?
“Assolutamente sì — ha detto Stefania Prestigiacomo, raggiunta telefonicamente da Fanpage.it — Se dovessi ritrovarmi nella stessa situazione, con una tragedia umana a pochi passi da me, mi comporterei allo stesso modo, avvalendomi delle mie prerogative parlamentari. Non abbiamo violato alcuna legge”.
Per tornare alla vicenda di quest’ultima settimana, che soluzioni si possono trovare? Francamente io mi associo alle parole pronunciate ieri dal Capo dello Stato Sergio Mattarella — ha detto la deputata — Nessun Paese può farsi carico da solo di questo problema. Ma la questione può essere affrontata anche coniugando l’umanità con il rigore, pretendendo la collaborazione degli altri Stati Ue”.
Mattarella ieri, in occasione della giornata mondiale del rifugiato, ha infatti ricordato come l’Italia abbia l’obbligo di offrire assistenza a coloro che scappano dalle persecuzioni, secondo quanto afferma la nostra Costituzione, ricordando però che “L’Unione deve essere protagonista per sviluppare una politica comune che riesca a mitigare i conflitti e sostenere le esigenze di sicurezza e sviluppo dei popoli più esposti alle crisi umanitarie, attraverso un partenariato strutturato con i Paesi e le comunità che ospitano rifugiati e richiedenti asilo”.
(da FanPage)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
E CRITICA LA CHIUSURA DEI PORTI E I RESPINGIMENTI CHE METTONO A RISCHIO LA VITA DEI MIGRANTI RIPORTANDOLI NEI LAGER LIBICI… CHE SBERLA PER SALVINI
«Il governo italiano non soddisfa pienamente il minimo standard per l’eliminazione del traffico degli esseri umani”
È il giudizio con cui il dipartimento di Stato americano ha declassato il nostro Paese nella lotta contro la tratta, facendolo scendere al livello 2 nel “2019 Trafficking in Persons Report”.
Il testo, presentato ieri dal segretario di Stato Pompeo, sottolinea che gli atti compiuti da Roma «non sono stati importanti, e non al livello del rapporto dell’anno scorso».
Quindi aggiunge che “c’è stato un calo nel numero degli arresti e delle indagini sulla tratta, rispetto al precedente periodo di riferimento».
Ma le critiche toccano direttamente le politiche del governo relative alle relazioni con la Libia, la chiusura dei porti, e le procedure per rimandare indietro i clandestini.
Roma, infatti, non ha tenuto nel dovuto conto «i rischi per le potenziali vittime prima delle procedure di rimpatrio forzato e di espulsione», e «non è stata fornita la protezione legale per gli atti illeciti che le vittime hanno commesso sotto costrizione dei trafficanti».
In altre parole, non si possono semplicemente chiudere i porti e rimandare i migranti in Libia, senza chiedersi perchè si sono comportati come hanno fatto, e cosa succederà loro al ritorno.
Il giudizio dunque è severo, e colpisce ancora di più perchè è stato espresso appena tre giorni dopo l’incontro a Washington tra il vice premier e ministro degli Interni Salvini, e il segretario di Stato Pompeo.
Questi rapporti vengono redatti dai tecnici, basandosi sui fatti, le leggi e i principi, senza tenere conto delle implicazioni politiche.
E’ possibile che Pompeo non si sia accorto di cosa diceva il rapporto sull’Italia, ma è più probabile che non abbia ritenuto di dover intervenire per bloccarlo o cambiarlo.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
CHE TRISTE FINE, ORA SONO DIVENTATI I VIGILANTES DEI LEGHISTI… UN RAGAZZO CATTOLICO QUINDI E’ STATO PICCHIATO DAI SEDICENTI CATTOLICI AL SERVIZIO DI CAPITAN NUTELLA
E adesso si scopre che a ‘vigilare’ sull’iniziativa dello scorso 3 giugno di Capitan Nutella (che è anche ministro dell’Interno) c’erano alcuni estremisti di sedicente destra che – evidentemente e come mostrano i video – si sono sentiti autorizzati ad aggredire un giovane che civilmente esponena un cartello di dissenso.
Due esponenti di Forza Nuova sono stati infatti denunciati dagli agenti della Digos di Cremona per violenza privata durante un comizio del leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini.
Gli attivisti del movimento sono ritenuti responsabili dell’aggressione avvenuta nella serata del 3 giugno nel corso di un intervento del ministro dell’Interno nel cuore della città lombarda, in piazza Roma.
Un ragazzo cremonese di 26 anni aveva esposto una sorta di sciarpa con la scritta “Ama il prossimo tuo”.
Alcune persone avevano iniziato a insultarlo tentando di sfilargli la sciarpa e di allontanarlo dalla piazza. In due l’avevano strattonato e colpito con un pugno ed uno schiaffo al volto e con un calcio nel fondoschiena.
Una terza persona poi lo aveva colpito con una manata al volto.
L’intervento di alcuni agenti della Polizia Locale liberi dal servizio aveva consentito alla vittima di allontanarsi dal luogo e di ricevere le prime cure. Oggi la denuncia a due esponenti di Forza Nuova. Una terza persona è in via di identificazione.
L’aggredito, contattato dagli agenti della Digos ha riferito di non aver riportato lesioni e, a oggi, non ha formalizzato querele. Le indagini sono comunque proseguite e la visione di un video amatoriale consegnato da un testimone ha consentito di individuare due giovani cremonesi, uno di 19 anni, iniziali G.B., e uno di 23 anni, A.M.G., come i responsabili dell’aggressione (se fosse stato un immigrato avrebbero pubblicato i nomi per esteso…)
Sono comunque ancora in corso accertamenti per identificare la terza persona che ha partecipato all’aggressione in strada.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
COSA DICE DAVVERO IL SONDAGGIO? E’ VISTO POSITIVAMENTE DAL 19% DEI FRANCESI, MA NEGATIVAMENTE DAL 43%… CONTE 18%, DI MAIO 15%, MA POCO CONOSCIUTI PER VEDERLI IN MODO NEGATIVO
In varie testate italiane è emerso che Matteo Salvini sarebbe il politico più popolare in Francia. In realtà , le risposte negative su di lui sono il doppio di quelle positive
Risulta essere preferito soltanto in termini relativi rispetto a Conte e Di Maio
I titoli non sono sempre esaustivi. Ieri abbiamo scoperto che — secondo alcune testate e secondo alcuni influencer sui social network — Matteo Salvini sarebbe il politico italiano più popolare in Francia.
Il dato è stato desunto da una ricerca Ipsos realizzata dal 5 al 13 giugno con il contributo di EDF e Edison e la supervisione del politologo Marc Lazar.
Ma, al di là del titolo su Matteo Salvini amato dai francesi, bisogna avere un quadro complessivo dello studio per capire che, in realtà , questa prospettiva deve essere molto ridimensionata.
Innanzitutto, occorre analizzare il campione di persone che è stato consultato: 1000 francesi
Poi, le domande sono state fatte su Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, ovvero i tre uomini copertina di questo governo giallo-verde.
Non sono stati presi in considerazione nè altri leader storici, nè personaggi dell’opposizione politica (probabile che, se in questo quadro fosse stato inserito Berlusconi, ad esempio, il risultato sarebbe stato diverso).
Dunque, si diceva, Matteo Salvini sarebbe il leader più amato dai francesi, con il 19% delle risposte positive sul suo conto. Le risposte positive su Giuseppe Conte si fermano al 18%, mentre quelle su Di Maio al 15%.
C’è un ma che rovescia completamente l’esito del sondaggio.
Nel test erano inserite anche le reazioni negative: e il 42% dei francesi pare avere una opinione decisamente negativa di Matteo Salvini. Per quanto riguarda Conte e Di Maio, a differenza del leader della Lega, i francesi dicono di non avere abbastanza elementi a disposizione per esprimersi.
Nella tara complessiva, sebbene Matteo Salvini possa vantarsi del fatto di essere più conosciuto in Francia rispetto a Giuseppe Conte e a Luigi Di Maio, non può proprio cantare vittoria rispetto al fatto di aver convinto la maggioranza dei francesi. Le risposte negative sul suo conto sono più del doppio rispetto a quelle positive.
(da agenzie)
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