Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
SUL TAVOLO ANCHE RIMPASTO E NOMINE UE
Il rompicapo del premier è “mi fido o non mi fido? Stanno con me o sono contro di me?”. Giuseppe Conte non ha ancora ricevuto quelle rassicurazioni piene che aveva chiesto ai due vicepremier Salvini e Di Maio nella famosa conferenza stampa dell’aut aut. In queste ore cruciali, che precedono un vertice a tre complicato da convocare e che segnano l’inizio della grande partita con l’Europa, il presidente del Consiglio cerca di decifrare le intenzioni e le mosse dei suoi vice, e di fugare i sospetti che loro nutrono nei suoi confronti.
Ovvero, come dicono in ambienti sia leghisti sia grillini, “Conte si fa forte della rete di rapporti con il Colle, con Mario Draghi e con il ministro dell’Economia Giovanni Tria per giocare una partita che non è la nostra”.
Ma dal canto suo il presidente del Consiglio rivendica per sè un mandato pieno e già lunedì incontrerà il candidato popolare alla commissione Ue Manfred Weber per parlare anche di nomine.
Così il tanto atteso vertice a tre, che dovrebbe tenersi domani sera, al massimo martedì mattina, servirà non solo a mettere a punto l’agenda di governo e in particolare le priorità ma soprattutto a capire quali sono le reali intenzioni dell’esecutivo nei confronti della Commissione europea, che ha richiamato il governo a politiche di riduzione del debito e di messa in sicurezza dei conti pubblici, e che si appresta ad avviare una procedura di infrazione contro l’Italia.
Salvini e Di Maio, pur non innalzando barricate, hanno già messo in chiaro che non intendono farsi dettare l’agenda da Bruxelles, indicando la riduzione delle tasse come priorità assoluta.
Il premier non ci sta a sentirsi commissariato da Salvini, che alza sempre più la posta come sulla questione dei Minibot per pagare le imprese che avanzano i soldi dallo Stato.
“Sarà Conte a sedersi in Europa con gli altri capi di stato e di governo per scongiurare che l’Italia entri in procedura di infrazione. Sarà lui a metterci la faccia”, è il ragionamento che circola nell’entourage del premier in queste ore: “Non andrà a rappresentare una posizione che non è la sua e in cui non crede”. Pronto al dialogo quindi con i due vicepremier purchè si resti sulla scia dell’Unione.
Il premier Conte dunque dovrà sbrogliare anche questa nuova matassa, che rischia di trasformarsi in un ulteriore terreno di scontro: la proposta dei minibot lanciata dalla Lega e già bocciata dal ministro dell’Economia, dalla Bce, ma anche dal mondo delle imprese e dei sindacati.
Lo stesso presidente del Consiglio non ha nascosto le sue perplessità , il ministro Enzo Moavero Milanesi, anche lui tra i più prudenti del governo, si è rimesso a Draghi e Tria, e durante “Mezz’ora in più” ha ipotizzato la necessità di una manovra correttiva. Manovra che secondo Tria non sarà necessaria, pur nel rispetto delle regole.
Insomma sarà questo vertice il primo banco di prova per verificare lo stato di salute del governo.
Tuttavia l’incontro non è stato ancora fissato perchè i due capi di partito si sono presi una giornata di riposo al mare e la loro agenda prossima futura dipenderà soprattutto dall’esito dei ballottaggi.
Ciò la dice lunga sulle dinaniche dell’esecutivo. Di certo si terrà prima del Consiglio dei ministri di martedì che vede al centro il decreto Sicurezza bis che ha diviso gli alleati in campagna elettorale. I due appuntamenti serviranno anche per trovare la quadra sulle misure da mettere in campo tra cui la riforma dell’autonomia e la flat tax, temi su cui punta il leader leghista a cui Di Maio sta nei fatti dando carta bianca pur di proseguire il lavoro del governo.
Altro tema ‘caldo’ sul tavolo del vertice saranno i nuovi equilibri di forza tra alleati, determinati dal risultato delle europee. Non è affatto escluso poi che Conte, Salvini e Di Maio, affrontino la questione del possibile rimpasto, con il ministero delle Infrastrutture e della Salute finiti nel mirino dei leghisti.
Nel dossier rientra anche la nomina del nuovo ministro delle Politiche Ue, casella rivendicata dai leghisti. “Se Salvini vuole che vengano sostituiti Toninelli e Grillo dovrà essere lui a chiederlo, non sarà certo il Movimento che si farà avanti”, è il ragionamento negli uffici grillini. Un modo per dimostrare che il partito attaccato alla poltrona è la Lega e non il Movimento 5 Stelle.
Sul fronte interno però martedì i pentastellati daranno il via alle cosiddette “graticole”. I rappresentanti delle varie commissioni giudicheranno i sottosegretari e i ministri competenti e ciò oltre ad aprire una battaglia interna potrebbe creare nuovi spazi nel governo e varie sostituzioni. Appannaggio della Lega che si allarga sempre di più fino ad aver invaso lo spazio del premier Conte.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
GRAZIE A SALVINI A FINE ANNO SARANNO 15.000 GLI ITALIANI TRA I 30 E I 40 ANNI, OPERATORI DEL SETTORE DELL’ACCOGLIENZA, CHE RESTERANNO SENZA LAVORO … E SENZA ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE, I MIGRANTI SONO ABBANDONATI IN MEZZO A UNA STRADA, ALTRO CHE SICUREZZA
“Sono fortunata perchè ho la mia famiglia che mi aiuterà , ma rinunciare a una casa mia, all’indipendenza che ho conquistato con tanta fatica, mi costa molto. E poi so già che non sarà facile reinserirsi nel mondo del lavoro”, sbuffa Sara Murgioni.
Laura Tullio, invece, punterà sulla resilienza, “che ho imparato dai miei studenti, i miei ragazzi”. Sara e Laura non si conoscono, ma sono unite da un destino comune.
Entrambe impiegate in strutture per l’accoglienza dei migranti, tra poco perderanno il posto per effetto dei tagli disposti dal Decreto Immigrazione e Sicurezza, altrimenti noto come Decreto Salvini
A otto mesi dall’entrata in vigore della legge, sono già circa 5000 gli esuberi coi quali sta facendo i conti solo la Cgil. Il Decreto Salvini si sta abbattendo come una scure su quel segmento del mercato del lavoro legato all’accoglienza e all’integrazione dei migranti, nel quale in Italia, secondo una stima fornita dall’Anci, sono impiegate circa 36.000 persone, senza contare psicologi, avvocati, insegnanti di italiano, formatori e, più in generale, quanti “non sono direttamente impiegati dalle associazioni che gestiscono le strutture di accoglienza – si legge in un recente rapporto pubblicato dalla Ong Oxfam Italia – ma che offrono i loro servizi professionali sulla base di accordi o convenzioni”.
“Prima gli italiani”.
Per lo più italiani e di età compresa tra i 30 e i 40 anni, in tanti hanno già ricevuto o stanno per ricevere la lettera di licenziamento. “Salvini ripete “Prima gli italiani” ma in questo settore siamo in gran parte italiani e stiamo perdendo il lavoro sulla base di una legge voluta da lui – dice Sara ad HuffPost – allora vuol dire che neanche noi italiani siamo tutti uguali”.
Sara e Laura, così lontane così vicine. Trentatrè anni, Sara è nata e vive ad Alessandria e da ottobre aveva il lavoro dei suoi sogni, “il mio posto nel mondo”, sospira.
Finalmente dopo un passato da precaria era stata assunta dall’associazione “Serenity 2000 srl” come educatore professionale nel CAS, il centro di accoglienza straordinaria per migranti, dell’Ostello cittadino. Aveva iniziato a ottobre, ora dovrà lasciare.
“Mi sento vecchia, soprattutto se penso che le agevolazioni per entrare nel mondo del lavoro sono riservate in gran parte agli under30 – sospira – Dovrò reinventarmi, lo so, ma non sarà facile, io questo lavoro lo avevo scelto”.
Laura usa le stesse parole. Puntualizza di non voler fare polemiche, ma non nasconde l’amarezza. “Come mi sento a dover accettare la perdita del posto di lavoro? È chiaro che non è facile dover trovare un nuovo impiego, a maggior ragione per una donna di 43 anni come me – scandisce – Ma dai miei ragazzi ho imparato la resilienza, i miei studenti mi hanno insegnato che abbiamo la forza di affrontare tutto. In qualche modo ce la farò. Io dico che le persone sono come l’acqua, non riesci a fermarla. In questo momento mi sento come una goccia, io come tanti altri, in un fiume deviato da un’altra parte”.
Pugliese, arrivata a Roma per l’Università , ha dieci anni più di Sara, e da novembre 2016 un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con Croce Rossa Italiana Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale.
Laura è una docente di italiano per stranieri L2. Per sei anni ha insegnato nelle strutture di accoglienza dei migranti, negli ultimi due e mezzo in tre CAS gestiti da Cri di Roma. Tra meno di due settimane si ritroverà senza impiego: per “cessazione dei servizi” c’è scritto nella lettera di licenziamento che ha ricevuto giorni fa. Il 19 giugno sarà il suo ultimo giorno di lavoro. Il contratto sarebbe scaduto il 31 dicembre e, chissà , forse le sarebbe stato pure rinnovato.
Ma nel frattempo è arrivato il Decreto Salvini e nella selva di paletti insuperabili e muri invalicabili – via la protezione umanitaria, richiedenti asilo esclusi dai centri Sprar e senza possibilità di iscriversi all’anagrafe, stretta sulle domande di asilo, per citarne alcuni – non c’è spazio per gli insegnanti di italiano.
Prima nei Cas erano previste figure come lo psicologo, l’insegnante di italiano, il mediatore linguistico culturale. Oggi per loro non c’è più posto mentre altre figure professionali – per rendersene conto basta paragonare le nuove tabelle con quelle del decreto Minniti – come ad esempio l’assistente sociale, si ritrovano a fare i conti con orari di lavoro ridimensionati.
Un beneficio – niente psicologo, niente insegnante di italiano – per integrare i tanti migranti che già sono arrivati e continuano ad arrivare in Italia?
“La figura della maestra di italiano – spiega Laura – è fondamentale per l’integrazione, che passa prima di tutto da uno scambio relazionale. Non bisogna dimenticare che queste persone arrivano da contesti culturalmente altri, hanno alle spalle storie difficili e in tanti casi non conoscono neanche una lingua, penso all’inglese o al francese, che possa fare da ponte con la nostra. Ragion per cui fare riferimento a una persona ”neutra”, che non c’entra col percorso burocratico legato per esempio all’ottenimento di permesso e certificati, è fondamentale. I maestri sono figure che facilitano l’integrazione, costruendo relazioni basate sullo scambio valoriale e culturale per cui coloro che arrivano, pur rendendosi conto di trovarsi in contesti molto lontani dal proprio, si predispongono ad accettarne le regole. E poi, certo, conoscere la nostra lingua consente loro di cercare un lavoro, di rendersi autonomi”.
Laura, come Sara, resterà disoccupata proprio per alcune misure previste nella legge fortemente voluta dal vicepremier leghista e pubblicata il 1 dicembre scorso al grido di “giornata memorabile” per gli effetti positivi che avrebbe avuto sull’organizzazione dell’accoglienza e la sicurezza del Paese.
Dei quali, a distanza di otto mesi, si stenta a trovar traccia.
Cinquemila esuberi. “Al momento – spiega ad HuffPost Stefano Sabato, responsabile delle Cooperative sociali della Fp Cgil nazionale – siamo arrivati a contare circa 5000 procedure di esubero, alle quali stiamo rispondendo con gli strumenti a disposizione – accordi di solidarietà , fondo di integrazione salariale – ma il nostro interesse è poter ripristinare gli ammortizzatori sociali ordinari per far fronte alla drammaticità della situazione che così rischiamo di non riuscire a gestire”.
Mentre la Uil Lazio ha denunciato che gli oltre cento ex dipendenti del Cara di Castelnuovo di Porto che, chiuso per effetto del decreto Salvini il 30 gennaio, da 120 giorni sono senza stipendio e in attesa di sapere “quando riusciranno a percepire il Fondo di Integrazione Salariale che spetta loro di diritto e che, stando agli accordi, dovrebbero percepire per dodici mesi”.
Le previsioni sono tutt’altro che rassicuranti: per la cooperativa sociale “In Migrazione” si potrebbero generare “almeno 18.000 nuovi disoccupati”, mentre Sabato ipotizza da qui alla fine dell’anno “almeno 15.000 persone in esubero, nelle more dei tempi di scadenza dei bandi” – e il dato è parziale, non comprensivo delle segnalazioni “di chi si rivolge ad altri sindacati o non lo fa affatto”.
L’accesso al Fis, il Fondo integrazione salariale, ha consentito qualche giorno fa di raggiungere un accordo per evitare il licenziamento – “collegato alla riorganizzazione imposta dalle strette maglie del decreto sicurezza”, scrivono dalla Cgil – di 351 lavoratori, impegnati nell’accoglienza ai migranti, dichiarati in esubero dalla cooperativa sociale Medihospes onlus.
“Il Fis – fa notare Sabato – consentirà di assorbire parte rilevante delle riduzioni degli stipendi, garantendo la salvaguardia dei posti di lavoro”.
Misure tampone, spiega il sindacalista: “Se da qui a 12 mesi non si riforma o modifica il Decreto Sicurezza dovremo comunque avviare procedure di licenziamento in massa”. Il rischio, preannuncia il responsabile delle Cooperative sociali della Fp Cgil, è duplice: “oltre a una massa di migranti irregolari che soggiornano sul nostro territorio, se non si interviene a cambiare la legge, tra un anno potremmo ritrovarci con migliaia di persone senza più lavoro”. Alle quali dovrà provvedere il Ministero del Lavoro.
Da cui il dubbio che il risparmio annunciato dal Viminale non si traduca, nelle misure che si dovranno predisporre nel quartier generale di via Vittorio Veneto, in un aggravio per le casse dello Stato.
“Di certo – prosegue Sabato – si sta demolendo un sistema di accoglienza che affrontava comunque la questione dell’accoglienza puntando alla buona integrazione, che è anche garanzia di sicurezza del Paese”.
Il 7 novembre Salvini ha presentato il nuovo schema di capitolato per la gestione dei centri di accoglienza, per Oxfam “un colpo mortale ai servizi di qualità e porte spalancate a chi, dalla gestione dei servizi di accoglienza vuole trarre solo un profitto”. Il riferimento è ai tagli previsti – via l’insegnante di italiano, cancellata l’assistenza psicologica, le ore di mediatori culturali e operatori legali “talmente ridotte da diventare inutili”.
E poi c’è la sforbiciata – sulla quale tanto ha insistito il vicepremier leghista – ai “famosi” 35 euro al giorno per persona accolta che, prima dell’entrata in vigore del Decreto Salvini, regolavano gli appalti delle Prefetture per i Cas. Tagli – da 19 a 26 euro al giorno per persona – commisurati al numero di migranti ospitati in ogni struttura e al tipo di accoglienza realizzata.
A beneficio dei grandi centri e a scapito di coloro che propongono l’accoglienza diffusa, delle strutture piccole, sui quali i costi del personale pesano di più. “In presenza di bandi pubblici strutturati su tali tagli molto gestori privati che lavorano sulla qualità e su centri con un numero ridotto di ospiti potrebbero non partecipare e chiudere”, preconizzava “In Migrazione” il giorno dopo la pubblicazione delle nuove linee guida. Ed è quello che sta avvenendo.
Agli inizi di maggio Croce Rossa di Roma ha annunciato l’avvio della procedura di licenziamento per circa un terzo dei suoi dipendenti, oltre 60 persone.
“Una via obbligata, non una scelta – spiegava il direttore, Pietro Giulio Mariani – la scelta di non partecipare alla nuova gara per l’accoglienza delle persone migranti, determinata dalla nuova strutturazione dei servizi previsti dal Ministero, ci impedisce di garantire gli attuali livelli occupazionali”.
E in provincia di Alessandria il numero di Enti e associazioni che dal marzo 2014 ogni anno rispondevano al bando della Prefettura, da 35 è sceso a 11. L’associazione per cui lavora Sara ha scelto di non presentare domanda “ed è una decisione che, nonostante mi costi il posto, io condivido – spiega la 33enne – perchè è impensabile lavorare alle condizioni fissate dal decreto Salvini”.
I posti messi a gara per l’accoglienza ad Alessandria e provincia sono 1200, ora li gestiranno in 11, ma non è scontato che riescano a soddisfare la richiesta del bando”, fa notare Fabio Scaltritti.
L’associazione “San Benedetto al Porto” di cui è responsabile, insieme ad altre tre – “Cambalache”, “l’Ostello” è la “Coompany&” – con cui ha lavorato in rete, portando avanti, anche in collaborazione con alcuni Comuni della zona, progetti di ospitalità e integrazione per rifugiati e richiedenti asilo – premiati da Unhcr, Onu e servizio centrale del Ministero dell’interno – ha deciso di non partecipare al bando per l’affidamento dei servizi di accoglienza.
“Ad Alessandria si è stabilita la somma al giorno per persona in 18 euro per i migranti che vivono in appartamento, in 21 per quanti vivono in strutture di oltre 50 posti”. Scaltritti, l’indice puntato contro il decreto Salvini, è un fiume in piena. Anche loro probabilmente dovranno licenziare.
“Delle 9 persone impiegate nei nostri progetti CAS, 2 sono a rischio. Le altre 7 cercheremo di reimpiegarle in altri servizi”, va avanti. E aggiunge: “Non è una questione economica, anche se fossero rimasti i 35 euro non avremmo partecipato. Come si fa a prevedere, come nel capitolato della Prefettura, la presenza in una struttura che ospita fino a 50 persone, di un operatore per 8 ore al giorno e di meno di 5 minuti alla settimana per persona di mediazione culturale? Si svilisce solo il lavoro degli operatori e non si fa integrazione”.
Soprattutto, Scaltritti mette in evidenza come le linee tracciate dal decreto Salvini e dallo schema per gli appalti, nei fatti, contraddicano gli obiettivi che il vicepremier leghista ha dichiarato di voler centrare.
“Con la riduzione del numero di operatori nelle strutture e delle ore di lavoro quale controllo potrà esserci su gruppi di persone che per la maggior parte hanno alle spalle storie difficili? E quale integrazione potrà realizzarsi, se questi uomini e queste donne non potranno più avere residenza, tessera sanitaria, carta di identità per cui non potranno partecipare a corsi o essere inseriti in percorsi lavorativi mentre aspettano la risposta della Commissione per sapere se hanno ottenuto o meno lo status di “rifugiato” o di “profugo”?”. In media, dice Scaltritti, per conoscere gli esiti dell’esame di una pratica, oggi “da noi passano due anni e mezzo, il che vuol dire che queste persone rimarrebbero sul nostro territorio senza fare niente. Chiedo: così aumenterà la sicurezza, che Salvini annovera tra i suoi obiettivi principali?”.
Quale sicurezza? Timori espressi già a novembre da “In Migrazione”, che, numeri alla mano, alla luce dei tagli introdotti dalle linee guida di Salvini, aveva segnalato “il rischio di trasformare questi centri (i Cas, ndr) in vere e proprie occupazioni e in luoghi di degrado”. Mentre per le persone ospitate “il vuoto di servizi fondamentali non potrà che accrescere il rischio di arruolamento da parte dalle malavita (italiana e di connazionali stranieri), nello sfruttamento più bieco nelle campagne (caporalato), nell’accattonaggio e nella micro delinquenza”.
Mentre dinanzi a operatori e altri professionisti impiegati nei centri per l’accoglienza si spalancano le porte della disoccupazione. Vite sospinte sul baratro della precarietà . Come Sara. Come Laura, che non intende rassegnarsi.
“Mi piacerebbe continuare a lavorare in questo ambito – dice – a contatto con persone che provengono da culture altre. Ho conseguito il titolo di counselor relazionale quindi vorrei provare a fare il formatore e a far confluire in quello che scriverò ciò che ho imparato in questi anni. Non è la prima volta che perdo il lavoro, ho sviluppato resilienza, punterò su quello”. Mentre Sara non si dà pace e ripete: “Prima gli italiani? Ma dove, ma quando? Mi sento figlia di uno Stato che non mi rappresenta”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
“PER TRE SETTIMANE IL MEDITERRANEO CENTRALE E’ RIMASTO SENZA NAVI CIVILI DI SOCCORSO”
Torna operativa la nave dell’ong Sea Watch, diretta verso la zona Sar libica. L’imbarcazione era stata sequestrata dalla Procura di Agrigento dopo lo sbarco di 47 immigrati — soccorsi in acque libiche — a Lampedusa e poi era stata dirottata a Licata. La scorsa settimana, il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e il pubblico ministero Cecilia Baravelli (che hanno iscritto nel registro degli indagati, per l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il comandante Arturo Centore) ha disposto il dissequestro dopo avere concluso perquisizioni e controlli.
“Per oltre tre settimane — commenta la Ong — il Mediterraneo centrale è rimasto senza nessuna nave civile di soccorso pronta a salvare le persone in fuga dalla Libia”.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
TRAINATI IN PORTO DALLA GUARDIA COSTIERA
Trentotto migranti su una piccola barca di legno, forse portati fino a poche miglia da Lampedusa da una imbarcazione più grande.
Ancora uno sbarco sull’isola delle Pelagie, come ieri, come due giorni fa. Ma questa volta la piccola imbarcazione arriva direttamente dalla Libia: a bordo 20 uomini, 17 donne e una bambina. Alcuni di loro disidratati per la lunga permanenza in mare. Costa d’Avorio, Guinea e Tunisia le nazionalità dei migranti.
Il barchino è stato intercettato da un gommone della guardia costiera di Lampedusa a poche miglia dall’isola, ormai in acque italiane.
E dunque, anche questa volta, la Guardia costiera non ha potuto fare altro che prendere a bordo i migranti e portarli a terra trainando il barchino. Perchè – come dice ormai da mesi il sindaco Totò Martello – a Lampedusa il porto non è mai stato chiuso e si continua tranquillamente ad arrivare. Piccoli sbarchi autonomi che, con l’arrivo dell’estate, sono destinati ad aumentare.
Ed è proprio osservando le nazionalità dei migranti che sono riusciti a sbarcare in Italia nel 2019 che si ha la prova di quali siano le due rotte in cui si riesce ad arrivare indisturbati: quella dalla Tunisia su Lampedusa ( e infatti i tunisini sono i più numerosi, 398 su 1878) e quella dalla Turchia verso la Calabria sulla quale viaggiano soprattutto pakistani, che si piazzano infatti al secondo posto tra le nazionalità d’arrivo con 306 migranti.
Sul nuovo arrivo a Lampedusa Salvini non ha nulla di dire: oggi era al mare e ha preferito postare la foto dell’asciugamano degli ultras del Milan adagiato sul lettino prendisole.
Anche oggi gli uffici del Viminale sono in spiaggia…
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
GIUSTO RIBELLARSI AGLI EQUIPAGGI ITALIANI CHE COMMETTONO UN ILLECITO SE RIPORTANO I MIGRANTI IN LIBIA
Altro che tabaccaio che spara al ladro per evitare che gli rubi qualcosa. Tutti i migranti in fuga dalla Libia potrebbero legittimamente ribellarsi, per legittima difesa, agli equipaggi che cercano di riportarli nelle mani della Guardia Costiera libica.
Lo si legge nelle motivazioni della sentenza del giudice Piero Grillo che manda assolti dopo dieci mesi di carcere i due migranti, uno sudanese e uno ghanese, accusati di una serie di reati; ma, sostanzialmente, di aver capeggiato la rivolta nei confronti dell’equipaggio della nave Vos Thalassa, battente bandiera italiana, che dopo averli salvati li stava riportando verso la Libia.
Era già notevole il ricorso alla legge della legittima difesa.
Ancora più ampia e notevole è la motivazione della sentenza, di ben 70 pagine, appena uscita, che nel motivare la decisione presa di assolvere i “ribelli” mette sotto accusa i comportamenti adottati negli ultimi anni nella cosiddetta Sar libica.
Per il Tribunale di Trapani i due imputati possono sì avere commesso i fatti, per quanto riguarda minacce o financo violenze (ma non c’è prova di lesioni) nei confronti dell’equipaggio; ma il fatto non costituisce reato.
La condotta dell’equipaggio che li conduceva verso la Guardia Costiera libica era una aggressione nei loro confronti, o meglio nei confronti dei loro diritti. Una difesa proporzionata all’aggressione è pienamente legittima.
Il comandante dell’imbarcazione aveva ricevuto quella disposizione dal cosiddetto comando della Sar libica alla quale da Roma gli avevano detto di conformarsi. Era in buona fede, dice il giudice Grillo, quindi la sua condotta era “non giusta, ma semplicemente scusata”.
Qui c’è un passo ulteriore importantissimo nella sentenza.
Il memorandum tra Italia e Libia del febbraio 2017 (formato da Paolo Gentiloni e Fayez al-Sarraj, ispirato da Marco Minniti) è da ritenersi non legittimo, perchè non rispetta i diritti umani e la Convenzione di Amburgo, e non valido perchè non è stato mai ratificato dal Parlamento, come dovrebbe essere ogni accordo internazionale.
Dalla lettura delle motivazioni di questa sentenza si evince chiaramente che equipaggi e navi italiane non possono riconsegnare migranti alla Guardia Costiera libica.
E sembra di capire che anche le iniziative italiane di rafforzamento dei pattugliamenti libici sono legalmente discutibili.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
FATECI CAPIRE: MA IN PIAZZA SAN MARCO IL DIVIETO DI ENTRATA E’ PER TUTELARE I LOCALI CHE FANNO PAGARE 20 EURO UN BICCHIERE D’ACQUA?
Adesso arriveranno le denunce, parola di prefetto. Ventidue anni dopo la presa del Campanile di San Marco da parte dei Serenissimi con il Leone marciano, le cui immagini fecero il giro del mondo con il Tanko che girava per la Piazza, come il panzer di una forza d’occupazione. Da allora era scattato il divieto.
Ventidue anni dopo, altre bandiere hanno sventolato nel luogo proibito, interdetto a ogni manifestazione politica. Sono le bandiere dei No Grandi Navi che volevano esprimere lì il loro dissenso, una settimana dopo l’incidente del Canale della Giudecca, perchè davanti a quella riva ogni giorno transitano i bestioni del mare carichi di turisti che fotografano un’incantevole Venezia dall’alto.
E ogni nave che passa, lo fa “in deroga” al divieto del decreto Clini-Passera, che risale ormai al 2012. Sette anni di deroghe.
Ma per un giorno ai No Navi la stessa deroga non era stata concessa per entrare nel salotto buono del capoluogo lagunare.
Alla fine ce l’hanno fatta. Ma dal rappresentante del governo arriva l’annuncio di denunce a raffica, per non aver rispettato l’ordine, per aver violato l’accordo.
Questa è la cronaca di un pomeriggio di tensione, di un braccio di ferro durato quattro ore tra diecimila manifestanti e il palazzo prefettizio.
Battaglia di logoramento e di simboli, da esibire o da negare. Venerdì 7 giugno il Comitato per l’ordine e la sicurezza aveva impedito l’accesso alla piazza, limitando il percorso del corteo dalle Zattere a Campo Sant’Angelo, passando per Accademia e campo Santo Stefano.
Ma alle 16 di sabato, quando una folla di diecimila persone si è snodata per le calli, è cominciata una febbrile consultazione.
Tommaso Cacciari, uno dei leader dei No Navi, lo ha urlato al microfono: “Andiamo a San Marco”. Dalle forze dell’ordine è venuto in extremis un via libera (dopo consultazioni tra Prefettura, Comune e Questura) almeno parziale, limitato all’accesso della piazza.
“Il prefetto ci ha concesso di andare a San Marco. È una vittoria” hanno urlato i manifestanti, forzando la mano dell’accordo. In realtà , l’entrata in Piazza rimaneva proibito.
Il serpentone variopinto, ma pacifico, a Santo Stefano ha deviato verso la prefettura, poi ha raggiunto San Moisè e, attraverso calle Vallaresso, la Riva degli Schiavoni, lungo il Bacino. Così è arrivato in un punto da loro considerato strategico e comunque soddisfacente, almeno per quanto riguardava la riuscita dell’adunata.
“Volevamo andare lì, sotto Palazzo Ducale, perchè lì transitano le Grandi Navi che umiliano ogni giorno Venezia”, ha spiegato Cacciari.
La Piazza ha tanti accessi. Un veneziano li conosce. E gli agenti non potevano chiedere i documenti a tutti, discriminando turisti e anti-navi. Così molti sono entrati in piazza alla spicciolata, portando le loro barriere.”. Ce l’hanno fatta sul far della sera, poco prima delle 20. Almeno un migliaio di persone hanno approfittato del cordone delle divise che si era allentato. Missione compiuta, sotto gli occhi delle telecamere delle televisioni di mezzo mondo, cantando in coro: “Mai più, mai più navi. La laguna paura non ne ha”.
Il prefetto Zappalorto, prima ha dichiarato: “La manifestazione è stata un successo, sia per loro che per le forze dell’ordine. È finita in riva degli Schiavoni come avevo prescritto e autorizzato. Poi, se un gruppo ha voluto andare a San Marco a farsi il selfie rompendo la legalità è un altro conto”.
Quindi ha minacciato: “Se un gruppetto vuole infrangere la legge, come è nel loro dna, non è che li bastoniamo col manganello. Certamente, però, cercheremo di identificarli e, nel caso, di denunciarli”.
Messaggio molto chiaro. “Non hanno mantenuto la parola che avevano dato, vorrà dire che la prossima volta la riva degli Schiavoni se la sognano. Anzi, quando chiederanno di manifestare, non autorizzeremo nulla a Venezia. Andranno in terraferma a protestare contro le navi. L’importante per noi è aver mantenuto l’ordine pubblico, che non ci siano stati feriti nè danneggiamenti”.
Difficile che ci fossero feriti, visto che la manifestazione era pacifica. Nessuno ha danneggiato nulla. I bar della Piazza hanno potuto tranquillamente continaure a lucrare sui turisti.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
“NO A LETTA COME COMMISSARIO EUROPEO”, MA L’EX PREMIER ERA STATO INDICATO COME PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO: CI FOSSE UNA VOLTA CHE DI MAIO SAPESSE DI COSA PARLA
Luigi Di Maio confonde i ruoli all’interno della macchina istituzionale europea
Dice il suo no alla candidatura di Enrico Letta come commissario europeo, ma l’ex premier è tra i nomi per un altro ruolo. Sarebbe stato, infatti, indicato come presidente del Consiglio Europeo
A furia di etichettare come ‘burocrati’ tutto quello che riguarda l’Unione Europea si finisce per fare confusioni anche tra i ruoli e le cariche diverse che si snodano all’interno del sistema politico del Vecchio Continente.
E così Luigi Di Maio si produce in una gaffe sulla notizia che vorrebbe l’ex premier italiano Enrico Letta alla guida del Consiglio Europeo. Il leader penstastellato, però, ha confuso questa carica con quella di presidente della Commissione UE e — di conseguenza — ha scritto un post Facebook senza nè capo nè coda.
«Tutta la mia solidarietà , mai venuta meno, all’ex presidente del Consiglio Enrico Letta (e sapete a cosa mi riferisco…), ma nel ruolo di commissario Ue per l’Italia no, grazie — scrive Luigi Di Maio su Facebook, dando il via a una serie di equivoci su ruoli, competenze e modalità di elezione all’interno dell’Unione Europea -. Lo preciso perchè oggi su qualche giornale viene riportata questa curiosa e bizzarra fantasia».
La precisazione è d’obbligo, ma del tutto fuori contesto dato che le varie indiscrezioni parlano di un Enrico Letta presidente del Consiglio Europeo e non di commissario. Insomma, non è mai stato indicato il nome dell’ex premier come successore di Jean-Claude Juncker.
E questa è l’esegesi della gaffe di Luigi Di Maio che, per questo motivo, è destinata a scorrere via come una pallina su un piano inclinato: «È bene mettere subito le cose in chiaro: se dobbiamo mandare qualcuno a rappresentare il nostro Paese, ci mandiamo una persona che l’Italia l’ha sempre difesa, una persona che abbia a cuore le nostre imprese, i diritti dei lavoratori, che abbia a cuore la sanità e gli investimenti. I vari Letta e con lui Renzi, Monti e Gentiloni possono dormire sonni tranquilli. Nessuno li pensa, nemmeno gli italiani!».
Prima gli italiani, ma forse è meglio prima una lettura approfondita delle indiscrezioni e una ripassata sui meccanismi della macchina Europea.
Come spiega anche la giornalista Marianna Aprile su Twitter, il ruolo di commissario UE è ben diverso da quello di presidente del Consiglio Europeo sia per compiti sia per modalità di elezione.
Per nominare, eventualmente, Enrico Letta non servirà l’appoggio dell’Italia dato che la scelta sarà in base al parere dei capi di Stato e di governo di tutti i Paesi Ue. Si metta l’anima in pace Luigi Di Maio: l’Italia avrà voce in capitolo sulla questione come fosse una goccia nell’oceano.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
IN GERMANIA E’ IL PRIMO PARTITO VOTATO DAGLI IMPIEGATI, IL SECONDO DAI DISOCCUPATI
Il Sole 24 Ore riepiloga oggi in un’infografica i risultati dei partiti Verdi nei paesi europei. La vittoria alle elezioni europee di Die Grà¼nen, che conquistando il 20,5% dei voti per la prima volta nella storia a livello federale è diventato il secondo partito in Germania prima dei socialdemocratici, è stata definita di portata epocale, come la rivoluzione giovanile del ’68, tale da poter stravolgere lo scenario politico tedesco: oggi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera la co-presidente del partito tedesco Annalena Baerbock ha detto che il partito è stato capace di innovarsi e di sfidare sulle grandi questioni: «Non ci siamo chiusi in noi stessi. Ci misuriamo con le grandi questioni. Facciamo proposte, indichiamo una prospettiva: come tenere insieme l’Europa? Come portare la Germania fuori dalla dipendenza energetica dai combustibili fossili offrendo nuove prospettive a chi ci lavora?»
Quel che i Verdi in Germania devono riuscire a fare ora è trasformare la vittoria delle europee, coronamento di alcune importanti conquiste regionali, in una vittoria federale tedesca.
L’intenzione è quella di coniugare al meglio gli obiettivi noti del movimento ambientalista con i grandi temi economici della Germania che ha il più grande Pil in Europa, ma infrastrutture arretrate e un’economia in rallentamento.
La radiografia di chi ha votato verde alle elezioni europee in Germania consiglia al partito di muoversi su questo doppio binario: «Siamo stati il secondo partito più votato dai disoccupati, alle europee, non è vero che siamo il partito dei ricchi. E siamo stati il partito più votato dagli impiegati, la categoria degli “Angestellte”.” — sottolinea Franziska Brantner, capogruppo dei Grà¼ne per i temi europei al Parlamento federale.
(da “NextQuotidiano“)
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Giugno 9th, 2019 Riccardo Fucile
E IN PARLAMENTO VANTA L’1,4% DI PRESENZE… I PRECEDENTI DELL’ASSENTEISTA: IN CONSIGLIO COMUNALE A MILANO APPENA IL 18,1% DI PRESENZE, AL PARLAMENTO EUROPEO IL 6%
Anche il Fatto Quotidiano decide di movimentare la giornata del ministro dell’Interno Matteo Salvini contando i giorni e i tempi fuori dal Viminale, come aveva fatto Repubblica qualche tempo fa.
Lorenzo Giarelli nota che il Capitano ha girato l’Italia come una trottola con ritmi da far impallidire chi, nello stesso periodo, gareggiava in sella alla bici: 75 tappe e altrettanti comizi da Nord a Sud.
Mettendo insieme i tragitti per spostarsi da una piazza all’altra si arriva a 13.341 chilometri, al netto di deviazioni verso Roma o Milano: si tratta di due volte la distanza tra Lisbona e Baku (o tra Roma e New York) e di quasi quattro volte la lunghezza totale del Giro (quello dei ciclisti, appunto), oltrechè, per gli amanti della scienza, di un migliaio di chilometri in più del diametro terrestre.
Il Fatto ricorda che sulla vicenda ci sono molti precedenti
Le prime polemiche sull’assenteismo del leader leghista arrivano dopo l’elezione al Parlamento europeo cinque anni fa: nel 2014 è stato presente al 44% delle sedute, nel 2015 al 24% e nel 2016 soltanto al 6%.
Una situazione denunciata dal Fatto Quotidiano fin dal 2015, e per cui Salvini perde il processo per diffamazione contro il segretario generale della Fim, Marco Bentivogli, colpevole di avergli detto: “Lei è il più grande assenteista di Bruxelles ”
Neanche come consigliere comunale di Milano (carica che ha mantenuto per 14 anni) non è stato un habituè: ad esempio, a Palazzo Marino, dal 7 luglio 2016 al 30 settembre 2018, il leader della Lega ha collezionato solo 29 presenze su 160 sedute. Sua la percentuale di presenze più bassa di sempre al Consiglio meneghino: solo il 18,13%
Un vizio che non ha perso: su 4200 votazioni elettroniche tenute dall’inizio della legislatura, come componente del Parlamento italiano, Salvini ha collezionato solo l’1.40% di presenze, giustificando le assenze come “missioni ”.
Missioni che in realtà includono anche la partecipazione al Festival del Cinema di Venezia e la finale della Coppa del mondo a Mosca. Tanto che anche Berlusconi lo bacchetta: “Ha fatto 300 comizi in giro, stia di più al Viminale”
(da agenzie)
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