Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
LIBERO TITOLA QUELLO CHE POI NELL’ARTICOLO SMENTISCE… GIORGIA E’ UNA DELLE MASSIME ESPERTE DI DIRITTO INTERNAZIONALE E GUADAGNA UN QUARTO DI QUANTO PORTA A CASA UN DIPENDENTE DI UN MINISTRO
Sta circolando un meme con la fotografia di Giorgia Linardi, portavoce ufficiale di SeaWatch. Il post che circola è chiaramente un tentativo di denigrare l’organizzazione umanitaria minandone la credibilità con attacchi diretti ai suoi membri.
Il post è di quelli classici fatti apposta per parlare alle pance di chi a casa fa fatica a mettere insieme i soldi per l’affitto. –
Quel 5mila euro serve proprio per indignare quei soggetti. Partiamo col dire che da nessuna parte Giorgia Linardi si definisce “volontaria”, lavora nel settore umanitario da anni, e ovviamente non può farlo gratis, perchè altrimenti come potrebbe campare? Non capire questo significa partire già con pregiudizi.
I volontari delle associazioni umanitarie sono persone che per brevi periodi offrono la propria professionalità e capacità in maniera gratuita.
Il tutto avviene in forma temporanea, proprio sfruttando magari periodi di vuoto lavorativo o temporanea disoccupazione.
Alcuni addirittura scelgono di fare i volontari nei loro periodi di ferie.
Poi ci sono i professionisti, quelli che fanno andare avanti la baracca, quelli senza i quali associazioni come SeaWatch, ma anche Amnesty o Medici Senza Frontiere, non funzionerebbero.
Quelli che dedicano la loro vita a fare dell’attivismo umanitario una professione. Anche loro devono mangiare, pagare l’affitto e il riscaldamento. Anche loro hanno diritto a uno stipendio.
Sul sito di SeaWatch non c’è un bilancio, anche perchè campano solo di donazioni private, non hanno sede in Italia quindi non hanno alcun obbligo a pubblicare bilanci e spese. 5mila euro sarebbero tanto? Non conosco tutte le mansioni di Linardi e non so quale sia il suo impegno con SeaWatch, ma immagino tocchi viaggiare spesso, e che non sia proprio un classico lavoro d’ufficio da 8 ore al giorno.
Immagino possa essere stressante e faticoso, che necessiti di una preparazione specifica oltre a comportare alcuni rischi se tocca anche andare sui mezzi di soccorso. Non credo che 5mila euro lordi siano una cifra così impressionante.
Linardi è laureata in Legge, specializzata in Diritto Internazionale delle migrazioni e dei rifugiati. Insomma non un soggetto qualsiasi che si è inventata un ruolo da volontaria.
No, siamo di fronte a un’appassionata che ha studiato per arrivare dove è oggi, e secondo quanto riporta Human Rights at Sea Linardi per Sea Watch agisce da consulente legale
Avete idea di quanto costi un consulente legale? Specie se in esclusiva per un singolo committente?
5mila euro non sono una cifra eccessiva per mansioni del genere. Con le sue capacità Linardi poteva tranquillamente cercare altri lavori per aziende, non organizzazioni umanitarie, contando su stipendi più alti e maggior possibilità di fare carriera.
Ha scelto di aiutare i più deboli, è giustamente pagata per questo, o forse i nostri politici per stare comodamente in Parlamento a legiferare per noi lo fanno per spirito civico, gratuitamente.
Scrive “Libero”:
“Un volantino circolato sui social network in questi mesi denunciava gli incassi della signora: 5.000 euro al mese. Sicuramente si tratta di un’ esagerazione: effettivamente il bilancio rivela che i coordinatori hanno stanziato nel 2018 circa 60mila euro per la delegazione nel nostro paese, ovvero 5.000 ogni trenta giorni, ma in questo conto bisogna inserire anche le spese per i viaggi i telefoni e altro. “
Quindi il testo dell’articolo contraddice il titolo secondo il quale la Linardi avrebbe uno stipendio stellare che stellare non è.
Anche perchè Libero omette di dire
1) la cifra di 60.000 euro l’anno è lorda e si riferisce non solo alla Linardi ma allo staff italiano. Quindi collaboratori, spese comunicazione e viaggi. Non si arriva neanche a 2.000 euro netti
2) La Linardi è laureata e specializzata in diritto internazionale, ed è una delle massime esperte in materia immigrazione. Se fosse alle dipendenze di un ministro guadagnerebbe 4 volte tanto (vedi stipendi dei collaboratori di Di Maio e Salvini)
3) La Linardi ha fatto una scelta “di valori” che non può certo essere comprensibile agli psicopatici razzisti che schiattano alla vista di qualcuno che non pensa a lucrare, a frodare il fisco e andare a prostitute nigeriane e trans di nascosto e poi a messa la domenica con la “sacra famiglia tradizionale”.
Si accontenta di un decimo di quello che guadagnerebbe a livello internazionale solo se si dedicasse a consulenze: schiattate senza fare rumore, merde.
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
“SE FANNO I PREZIONI CHIAMATE IL COLONNELLO”… MA IL DIRETTORE SI RIFIUTA DI INDICARE LE FONTI
“Siccome potrebbero fare un po’ i preziosi e invocheranno la questione di tutelare l’eventuale
interlocutore delle interviste, consiglio a chi deve procedere di fare questo: appena arrivate, o poco prima di entrare in redazione, chiamate il Colonnello XXX, il quale conosce il reporter XXX che si interesserà di far sbrigare subito la pratica”.
La nota è firmata da un certo “R.” ed è allegata al provvedimento con cui gli uomini del Noe di Napoli, su richiesta dei colleghi di Venezia, si sono recati nella redazione partenopea di Fanpage.it per acquisire il materiale relativo all’inchiesta sulla Sesa di Este e sulle aziende attive nella produzione del compost in Veneto.
In particolare i carabinieri hanno chiesto al direttore Francesco Piccinini di avere l’intero materiale video girato e “identificare le fonti che nei video sono ‘oscurate’”.
Una richiesta alla quale la direzione “ha opposto un deciso rifiuto — si legge sul sito — spiegando di avere il dovere di tutelare le fonti del lavoro giornalistico”.
Tutto parte dell’inchiesta condotta da Fanpage sulle aziende che producono compost in Veneto. All’indomani di una richiesta di intervista ai vertici della Sesa, la società dei rifiuti del comune di Este, l’azienda aveva chiesto un incontro con il direttore del giornale con lo scopo di intavolare una trattativa per un corposo investimento pubblicitario: 300mila euro (100mila all’anno) in cambio della possibilità di poter visionare l’inchiesta prima che fosse pubblicata e di “completarla” insieme.
“Spendiamo tanti soldi sui giornali per convincere della bontà di quello che stiamo facendo”, aveva spiegato il patron Angelo Mandato ai giornalisti che si erano presentati all’appuntamento e avevano ripreso tutto con le telecamere nascoste.
“L’importante è che non ci rompete troppo le palle, capito?”, aveva aggiunto il responsabile delle relazioni esterne della Sesa Fabrizio Ghedin. Che era anche consulente per la comunicazione di Vannia Gava, la sottosegretaria leghista del ministro dell’Ambiente.
Era, perchè poche ore la pubblicazione delle scoop Ghedin si era dimesso e il passo indietro era stato subito accettato dalla sottosegretaria. E pochi giorni dopo la pubblicazione del servizio la Guardia di Finanza di Padova avevano contattato la redazione per “controllare” le informazioni contenute nelle immagini che mostravano lo spargimento di compost contenente plastica nelle campagne venete.
“Riteniamo questo atteggiamento inaccettabile — affermano in una nota Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Fnsi, Claudio Silvestri, segretario del Sindacato unitario giornalisti della Campania, e Sandro Ruotolo, presidente dell’Unione cronisti della Campania — e ricordiamo agli investigatori che la tutela delle fonti è un fondamento della professione giornalistica, soprattutto per chi fa inchieste, come quella sul traffico dei rifiuti, che hanno dei risvolti giudiziari importanti”.
“Bene ha fatto il direttore Francesco Piccinini ad opporsi — proseguono — e a proteggere coloro che hanno dato notizie riservate al giornale. Per questo domani alle 11.30 il presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, Giuseppe Giulietti, e il segretario regionale del Sindacato unitario giornalisti della Campania, Claudio Silvestri, saranno nella redazione napoletana del giornale per una conferenza stampa”.
“Non mi pare proprio che i giornalisti che fanno il loro dovere, con la schiena diritta, facciano i preziosi — commenta Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, primo firmatario di un’interrogazione parlamentare al governo sugli aspetti giudiziari e politici della vicenda. “Forse è necessario che il comandante generale dell’Arma — conclude Fratoianni — trovi delle spiegazioni plausibili per la redazione di Fanpage, ed apra subito un’inchiesta interna all’Arma”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
META’ DEI RISTORANTI ETNICI PRESENTANO IRREGOLARITA’? E’ LA STESSA PERCENTUALE RISCONTRATA NEI RISTORANTI ITALIANI… NON SOLO: DUE TERZI DI QUESTI ULTIMI HANNO LAVORATORI IN NERO (DATI ISPETTORATO DEL LAVORO)
Qualche giorno fa Luigi Di Maio s’era svegliato sovranista e così il MoVimento 5 Stelle aveva annunciato guerra dura senza paura ai negozi di cinesi e pakistani.
Negozi e ristoranti “etnici” sono da sempre nel mirino del governo del Cambiamento.
Al solito nel governo giallo-verde era stato Matteo Salvini a dare il La già qualche mese fa quando aveva definito i negozi etnici un «ricettacolo di spacciatori, di gente che beve fino alle tre di notte, che pisciano e cagano».
E che alla Lega non piacciano certi negozi, guarda caso proprio quelli gestiti da stranieri, lo dimostrano le ordinanze anti-kebab dell’ex sindaco di Padova (oggi sottosegretario al MEF)
In attesa dei controlli promessi da Di Maio i giornali e le agenzie hanno iniziato a battere le notizie sulle irregolarità riscontrate da recenti ispezioni dei NAS su ristoranti e negozi “etnici”.
Scrive ad esempio il Sole 24 Ore che la metà dei ristoranti etnici è irregolare. Si tratta per la verità di un dato non assoluto ma relativo al numero di esercizi controllati (poco più di 400).
La domanda però è un’altra: significa che hanno ragione Di Maio e Salvini e che i vari ristoranti “etnici” sono quasi tutti gestiti da personaggi senza scrupoli che non rispettano le più basilari norme igieniche? Ad una prima lettura della notizia sembrerebbe proprio così. Ma come sempre accade in quei casi in cui si concentra l’attenzione su una parte del fenomeno (i ristoranti gestiti da stranieri) ci si dimentica di quello che succede nel mondo della ristorazione.
Affrontare il problema in questo modo — su base etnica — rischia di creare una pericolosa macchia cieca.
Prima differenza: i NAS eseguono controlli ed ispezioni su tutti gli esercizi commerciali, a prescindere dalla nazionalità e dall’identità etnica del gestore.
Seconda differenza: quando i NAS controllano negozi italiani spesso e volentieri emergono importanti irregolarità . Lo stesso naturalmente vale anche per quanto riguarda i controlli dell’ispettorato del lavoro.
Pensare che si possano fare verifiche “su base etnica” oltre ad essere razzista è anche un modo per prendere in giro gli italiani (sia i lavoratori che i consumatori).
Ma davvero solo i ristoranti etnici non rispettano le norme igienico-sanitarie?
Ed è questo il dato importante che va ricordato.
Lo fa ad esempio su Facebook Lorenzo Biagiarelli che ricorda un dato fondamentale della notizia di questi giorni: quasi il 50% dei ristoranti etnici è risultato irregolare perchè i controlli di questi giorni erano concentrati solo su quel tipo di esercizi commerciali.
Il lettore però è portato a credere che i ristoranti italiani siano sicuri (e per la maggior parte lo sono, così come i ristoranti etnici) solo perchè la notizia non li menziona.
Ma il dato è diverso. Nel 2018 i Carabinieri dei NAS hanno ispezionato 11.954 esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti (su circa 23mila), con 5.245 strutture irregolari, pari al 44%.
Quotidiano Sanità riporta che complessivamente sono stati sanzionati 5.062 titolari di bar e ristoranti, con oltre 7,6 milioni di euro di violazioni amministrative pecuniarie; mentre sono stati denunciati 571 gestori per reati di frode in commercio e detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione, eseguendo il sequestro di oltre 11 tonnellate di alimenti non idonei al consumo umano.
Pensare che questi siano unicamente i locali gestiti da stranieri significa non voler vedere la realtà .
Nel 2017 i NAS hanno svolto controlli e ispezioni su circa 15mila esercizi commerciali. Di questi seimila erano ristoranti o attività nell’ambito della ristorazione. Sono state rilevate complessivamente 2.425 non conformità . Si tratta complessivamente di una minoranza di esercizi all’interno della quale si trovano sia ristoranti italiani che “etnici”.
Nel 2015 a Roma i NAS hanno rilevato che la metà degli esercizi oggetto di controlli presentava delle irregolarità . E a violare le regole non erano solo i ristoranti “etnici” (categoria che comprende ad esempio anche quelli di lusso specializzati in sushi) ma anche locali italiani.
Nel 2017 ispezioni nella Riviera Romagnola hanno rilevato diversi casi di difformità alle norme in materia della tutela della salute. Nel 2014 una maxi operazione condotta su tutto il territorio nazionale ha portato alla scoperta di irregolarità in oltre il 50% delle strutture ispezionate (ovvero mille tra ristoranti, pizzerie, bar e tavole calde).
Nell’occasione il Ministero della Salute aveva riassunto in una nota stampa le scoperte più eclatanti. Si nota come la maggior parte delle infrazioni riportate riguardi sostanzialmente esercizi made in Italy. Il che è anche sensato dal punto di vista logico visto che i ristoranti etnici, seppur in aumento, non sono la maggioranza dei locali dove si possono consumare cibi e bevante.
Le irregolarità sono diffuse, e i NAS controllano qualsiasi ristorante (qualche tempo fa andarono pure in uno dei ristoranti dello chef Cannavacciuolo). Ed è giusto così: perchè l’obiettivo è far rispettare da tutti le regole, e la cittadinanza italiana notoriamente non impedisce di commettere frodi o altri reati.
Nel 2018 i controlli svolti dall’Ispettorato nazionale del lavoro hanno rilevato che due aziende su tre sono irregolari con lavoratori completamente “in nero” o contributi evasi. Il problema insomma è diffuso su tutto il Paese, non solo nei negozi di cinesi o pakistani o nei ristoranti etnici.
Certo, prendersela con gli stranieri è più facile.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
“IL MOMENTO RICHIEDE UNITA’, NON BEGHE”
Militanti ed elettori assistono, sgomenti, allo scontro tra dirigenti. Questo è lo scenario che offre il
Partito Democratico visto dai social. La base si confronta sulle bordate arrivate dalle fila renziane sulla segreteria appena varata da Nicola Zingaretti.
“Il momento chiede unità e azione, non beghe”, scrive Viviana Desio ribadendo un concetto sottoscritto da molti: “Passiamo oltre, c’è un’Italia in agonia e come al solito dimostriamo di non sapere ascoltare”, è il pensiero di Paola, mentre Emilio Masala si rivolge direttamente ad Alessia Morani, autrice di un intervento molto duro contro il segretario: “Cara Alessia, mentre voi litigate, Salvini si mangia l’Italia”.
A Simona Malpezzi, che su twitter scrive “hanno fatto la segreteria. La loro. Buon lavoro alla segreteria di Zingaretti” risponde Maria Morello: “Cara Simona, il peccato della divisione è gravissimo in politica, non sbagliamo ancora. La diversità di idee deve essere un arricchimento per tutti”.
Ma c’è anche chi chiede “decisioni forti”: è il caso di Marco Bello che scrive “nuovo partito subito!”.
Una lancia spezzata a favore di Nicola Zingaretti arriva da Giusy Di Billy che chiede di finirla con i litigi anche perchè Zingaretti ”è stato eletto segretario per prendere delle decisioni. All’interno del Pd ci sono tante teste e tante idee, ma bisogna conviverci e trovare unità per evitare altri 20 anni di Salvini”.
Anche Gabriele Bontempi ricorda al partito che l’avversario è fuori dal Pd: “Continuiamo così e Salvini arriverà al 40%”. E Carmine Tomei: “Gli avversari sono altri! Il pd che voto è un partito che porta 1 milione e 600 persone a scegliere liberamente da chi vogliono essere guidati”.
Parla di “stillicidio” Venere Suma: “A volte si sta in maggioranza, a volte in minoranza, ma si sta insieme”, aggiunge. Lorenzo Sala ricorda ai renziani che “nemmeno un briciolo di serietà vi impedisce di scrivere quando, una volta fatto il selfie alle 7 del mattino, non si sono più viste segreterie, tantomeno unitarie”.
Il riferimento è alla gestione Renzi, quando l’organo esecutivo del partito – dopo una prima fase di riunioni all’alba – fu riunito quasi a cadenza annuale. “Potrei concludere citando l’epurazione di numerosi e bravi dirigenti del Pd nella notte delle liste, ma evito”, aggiunge Lorenzo.
Suona come una supplica la richiesta di Concetta Modaro: “Per rispetto di noi poveri elettori che ci ostiniamo a votarvi dovreste smetterla di litigare e pensare di più al bene del Paese”.: è lo scenario che offre il Partito Democratico visto dai social network, dove la base nel partito si confronta sulle bordate arrivate dalle fila renziane sulla segreteria appena varata da Nicola Zingaretti.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
NERVOSISMO TRA ALLEATI, IN BALLO LA POLTRONA DELL’EX SAVONA
Ieri il candidato in pectore a sostituire Paolo Savona al ministero degli Affari Europei, Alberto Bagnai, ha dato il consueto spettacolo da Lucia Annunziata a In 1/2 Ora in più e oggi, scrive La Stampa in un articolo a firma di Federico Capurso, si scopre che Giuseppe Conte ha più di qualche perplessità riguardo la sua nomina
Dalle parti di via Bellerio il nervosismo affiora rapidamente in superficie. Due tra i candidati più forti per quella poltrona, il presidente della commissione Finanze al Senato, Alberto Bagnai, e il sottosegretario agli Esteri, Guglielmo Picchi, sembrano muoversi già da ministro, quasi a voler sfidare il freno imposto da Conte. Bagnai rende concrete le preoccupazioni del premier con un attacco virulento alle istituzioni comunitarie, attribuendo all’Europa un possibile «atteggiamento ricattatorio, mafioso», nella gestione delle trattative per la procedura di infrazione.
Picchi, dall’altra parte, incontra alla sede dell’ambasciata della Romania 27 ambasciatori dell’Unione europea. Unico esponente del governo presente, giovedì scorso, «per parlare della posizione dell’Italia su commissione, budget, difesa comune, euro, vincoli dei trattati e procedura di infrazione», dice Picchi.
Insomma, un altro grattacapo per Conte. Più silenzioso, ma non meno accreditato rispetto a Picchi e Bagnai nella lotta per il posto da ministro ai Rapporti con l’Ue, è l’attuale ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana.
Per questo s’avanzano intanto altri candidati:
Era la sua aspirazione già un anno fa, quando il governo gialloverde si stava formando e lui, da ex europarlamentare, aveva puntato la casella del ministero con respiro europeo. La Famiglia era stato un ripiego che, per quanto lieto, Fontana adesso pare desideroso di lasciare. E Salvini, a questo punto, potrebbe accontentarlo.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
LA POLITICA ESTERA SE LA FA DETTARE DALL’INQUILINO DELLA CASABIANCA… POI TORNERA’ A STRIZZARE L’OCCHIO A PUTIN COME NELLA COMMEDIA “SERVITOR DI DUE PADRONI”
Dopo averlo scimmiottato nell’insolenza e nella volgarità politica in patria ora è andato fino negli
Stati Uniti per genuflettersi a Trump e presentarsi – da falso sovranista – come il tappetino sul quale il miliardario xenofobo potrà fare affidamento.
Così, pur senza rinnegare del tutto Putin – al quale il capo del Carroccio deve molto e al quale non si possono girare le spalle in maniera brusca – Salvini ha fatto il copia/incolla delle veline della Casa Bianca, arrivando perfino a ‘dichiarare guerra’ all’Iran, sposando in maniera unilaterale l’oltranzismo di Trump, andando contro l’Europa e facendo uno strappo con la stessa semi-inesistente politica estera dell’Italia che non si è schiarata in maniera così netta contro Tehran.
“Con l’Iran le relazioni sono già cambiate. Condivido le preoccupazioni dell’amministrazione americana sia nei confronti della Cina che nei confronti dell’Iran” ha poi detto il Ministro.
Salvini ha parlato alla stampa dopo l’incontro con il segretario di Stato Mike Pompeo e ha parlato anche degli F35: “credo che gli accordi sottoscritti non si possono rimangiare”
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
LA PROPAGANDA NON BASTA PIU’: ECONOMIA IN CRISI E LA PIAZZA PRENDE CORAGGIO
Vista dall’esterno, la Russia di Vladimir Putin può sembrare un uovo di Fabergè, il leggendario gioielliere dello zar Alessandro III, un capolavoro di oreficeria strutturato a matrioske, una più preziosa dell’altra.
Non le si negano in effetti considerevoli successi, sia sul piano strategico, sia su quello economico e geopolitico. Pensiamo solo alla stretta amicizia fra Teheran e Mosca, al privilegio della marina russa che ora scorrazza libera nel Mare Nostrum e attracca nelle basi sicure che Bashar al-Assad le ha regalato in cambio del suo ombrello militare; così come al colosso Rosneft, che ha gradatamente sostituito la Cina come principale alleato del Venezuela di Maduro (ma che con Pechino farà comunque grandi affari) e al gemello Gazprom, patron del grande progetto North Stream 2, il grande gasdotto controllato al 51% che unirà la Russia e la Germania passando per il Mar Baltico e rendendo di fatto Berlino (non a caso presidente onorario è l’ex cancelliere Gerhard Schrà¶der, che giusto l’altro ieri ha definito l’annessione della Crimea un atto dovuto e naturale e condannato le sanzioni) il tenutario del dispenser che fornirà il gas russo all’Europa.
Visto da fuori, l’uovo russo si rivela una superpotenza economica e militare, la cui immagine è amplificata dall’utilizzo dei mezzi ci comunicazione (e negli ultimi anni dai social network e da internet), la cui tradizionale perizia nella disinformacija è tuttora insuperata.
Oggi però il guscio in cui la Russia che aveva vantaggiosamente ricreato l’osmosi fra il Patriarcato e il Cremlino, fra la fede e il comune senso di appartenenza a quella Madre Russia che mai si era dissolta nel cuore profondo della gente è ben più fragile di quanto non appaia.
Gli indizi sono innumerevoli. E non è soltanto la protesta di piazza che ha fatto liberare Ivan Golunov, giornalista sgradito al potere (fra gli arrestati non mancava Alekseij Navalny, il carismatico leader dell’opposizione) a testimoniarlo, bensì un diffuso e manifesto malcontento.
Qualcuno già dice che il crepuscolo di Vladimir Putin sia già iniziato.
«Il pericolo vero — spiegano in molti — adesso sono i “millennials”. I ragazzi cioè cresciuti sotto Putin e che l’hanno votato in massa. Gli stessi che hanno visto nel corso degli anni decollare il proprio tenore di vita fino a sfiorare in certi casi il benessere del mondo che un tempo si chiamava capitalista. Ma i “millennials”, divenuti adulti nell’ovattato teatro mediatico che il Cremlino aveva predisposto per loro, una macchina del consenso senza falle che ha fornito una sorta di sacra rappresentazione della Nuova Russia, ora guardano impauriti agli scricchiolii che avvertono qua e là nella società , sul proprio posto di lavoro, nei borbottii sui mezzi pubblici.
Ma la Russia non è solo Mosca e San Pietroburgo, dove l’efficacia delle propaganda è maggiore.
La Russia è anche il regno delle cifre elargite dalla “Federal’naya sluzhba gosudarstvennoi statistiki” (Rosstat), il servizio statistico nazionale.
Cifre che in anni non lontani sarebbero rimaste nell’oblio, protette dall’omertà della nomenklatura. Cifre che invece oggi ci aiutano a capire.
Nel maggio scorso Rosstat ha rivelato che nei primi tre mesi del 2019 il Prodotto interno lordo della Federazione Russa è aumentato dello 0,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: si tratta della cifra più bassa dalla fine del 2017.
Una delusione rispetto alle aspettative del ministero dell’Economia e della Banca centrale, che aveva previsto addirittura una crescita dell’1,5%.
La spiegazione ufficiale si lega all’aumento di due punti dell’Iva (dal 18 al 20 per cento) in concorso con la discussa riforma delle pensioni varata dal governo. Risultato: un calo consistente di popolarità per Vladimir Putin, il cui tocco magico sembra scomparso.
«La forza — spiega Valerij Kasparov, ingegnere navale da tempo residente a Parigi — non basta più. O per lo meno non funziona più come un tempo. Non bastano la Siria, l’annessione della Crimea, i duelli aerei sul Baltico, le navi che si sfiorano nel Mar Cinese Meridionale » .
Mito fondativo cavalcato da Ivan il terribile, da Pietro il Grande, poi da Lenin, da Stalin, dallo stesso Breznev e infine riesumato da Vladimir Putin, la forza perde ogni giorno di attrattiva.
Al suo posto si erge oggi il fantasma della povertà che s’insinua nell’inconscio collettivo russo. Un fantasma che Putin sta pagando caro in termini di popolarità , scesa dall’86% al pur ancor ragguardevole 65%, insieme al Pil che ristagna, all’inflazione che risale e ai salari reali che si contraggono.
È questo il tuorlo dell’uovo di Fabergè. E più d’uno a Mosca -— ma di questo già ci si accorgeva all’indomani delle vittoriose elezioni del 2018 — già accarezza la prospettiva del dopo-Putin.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
CAROLA RACKETE NON SI FERMA DAVANTI A NULLA, NON E’ COME I VIGLIACCHI CHE SI NASCONDONO DIETRO L’IMMUNITA’ O DIETRO UNA TASTIERA: “PRONTA A PUNTARE SU LAMPEDUSA, DECIDERA’ IL NOSTRO STAFF LEGALE”
La capitana contro Capitan Nutella. ![](https://i.postimg.cc/sx3hZJvT/capitana.jpg)
La sfida della Sea Watch, la nave della Ong tedesca, vira anche sul personale: e la donna al timone dell’imbarcazione piazzatasi a largo di Lampedusa, Carola Rackete, trentunenne tedesca dai lineamenti duri, alla guida della nave che chiede di approdare sull’isola si dice pronta a traghettare i migranti che ha a bordo in Italia.
Ribadisce che «il porto sicuro è Lampedusa» e non retrocede neppure di una virgola…
«Restiamo a largo di Lampedusa e reiteriamo la richiesta di sbarco»: la Ong tedesca insiste attraverso il capitano della Sea Watch
E lo fa, ancora una volta, anche interloquendo con gli uomini della Guardia di Finanza che, nottetempo, hanno raggiunto l’imbarcazione e sono saliti a bordo per notificare il divieto di ingresso in acque italiane.
Insiste, con veemenza social, anche attraverso un tweet in cui, invece di annunciare un passo indietro, la capitana Rackete fa sapere di non avere alcuna intenzione di invertire la rotta ma, al contrario, di essere decisa a puntare verso le nostre coste.
Tanto che, al telefono con un giornalista fa sapere che «Per noi Lampedusa è e rimane il porto sicuro più vicino al punto dove abbiamo effettuato il salvataggio».
Una replica che suona come un avvertimento, senza possibilità di mediazione di e dialogo, quella lanciata dalla capitana della Sea Watch
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2019 Riccardo Fucile
“COLORO CHE CI AIUTANO NON SONO CRIMINALI, CI HANNO SALVATO LA VITA”
“Piuttosto che tornare in Libia, preferisco morire. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto
che essere nuovamente torturato”.
Questa la testimonianza di Hermann, uno degli stranieri salvati a bordo di Sea Watch 3, che si trova in acque internazionali, a 16 miglia circa da Lampedusa.
Una testimonianza a sei giorni dal soccorso senza avere l’autorizzazione a sbarcare. La notizia è stata riportata dall’Ansa.
“Vorrei chiedere a tutti – dice l’uomo in un ideo postato su twitter dalla ong tedesca – una cosa semplice: chi non vorrebbe essere libero nella sua vita? Chi vorrebbe soffrire per tutta la sua vita?. Se oggi ci troviamo in questa situazione non è perchè noi vogliamo esserci, ma perchè ci siamo ritrovati. Non è umano lasciare le persone morire in mare. Coloro che ci aiutano, coloro che ci salvano, non sono criminali: salvano le nostre vite. Siamo tutti figli dello stesso Dio, dovremmo vivere le nostre vite come voi. Anche noi abbiamo diritto alla libertà come tutti gli altri”.
(da agenzie)
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