Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
FINANZIAMENTI ALLA LEGA, SENATORI LEGHISTI CON RUOLI DIRIGENZIALI NELLE SOCIETA’, UNA MUNICIPALIZZATA CON UN GIRO DI AFFARI DI 90 MILIONI DI EURO FONDATA DA UN IMPRENDITORE VENETO ARRESTATO PER ‘NDRANGHETA… E L’OFFERTA DI 300.000 EURO PER UNA CAMPAGNA PUBBLICITARIA SU FANPAGE PER “VEDERE IN ANTEPRIMA I RISULTATI” DELLA NOSTRA INCHIESTA
Il nostro viaggio nella terra del compost parte da Este, una cittadina veneta a pochi chilometri da Padova. È qui che sorge la Società Estense Servizi Ambientali, più conosciuta con l’acronimo S.e.s.a., un’azienda di rifiuti che ogni anno fa utili per otto milioni di euro.
Cifre importanti per una municipalizzata di un paese con poco più di 16 mila anime. La fortuna di questa società è stata lanciarsi più di 20 anni fa in un business che prometteva lauti dividendi: il compostaggio industriale, ovvero la trasformazione in terriccio della frazione umida dei rifiuti solidi urbani.
Questo processo permette di guadagnare due volte dagli stessi rifiuti, non solo smaltendo ingenti quantità di umido, ma anche dalla produzione di energia tramite il biometano.
“Il processo di formazione del compost noi lo dobbiamo immaginare — ci spiega il professore universitario Gianni Tamino, esperto in biologia — come la digestione che avviene nel nostro intestino, solo che al posto dello stomaco qui vengono utilizzati degli enormi digestori anaerobici”.
Il business è semplice: più rifiuti raccogli, più compost produci e più guadagni.
Non è un caso che dalle 386 mila tonnellate del 2011, i rifiuti in ingresso in Sesa sono saliti a 473 mila in cinque anni, con una produzione nel 2018 di 68 mila tonnellate di compost per un fatturato di più di 96 milioni di euro.
Per produrre tutto questo materiale non bastano i rifiuti della bassa padovana, per questo Sesa ha chiuso accordi per importare rifiuti urbani da mezza Italia: in particolare con le aziende della Campania dove la mancanza di impianti di compostaggio fa sì che il 95% della raccolta differenziata debba emigrare fuori regione con un inevitabile levitamento dei costi.
Quando si nomina Sesa non diciamo solo comune di Este, che ne detiene il 51% delle quote, ma anche un privato, Angelo Mandato, veneziano, classe 1966, che, tramite la holding Finam, ne detiene il 49%.
Mandato arriva nella società estense nel 1995 insieme ad uno dei fondatori, un personaggio molto conosciuto negli ambienti malavitosi dei rifiuti: Sandro Rossato, soprannominato “il Calabrese” per via dei suoi contatti con la ‘ndrangheta, nonostante fosse purosangue veneto.
E’ nel nord est che Rossato aveva costruito un impero tramite società di rifiuti, dove lo stesso Mandato inizia la sua carriera che lo porta alla nomina di amministratore delegato di quella che sarebbe diventata una delle più grandi aziende d’Europa attive nel mercato della raccolta differenziata e delle bioenergie.
Nel 1995, infatti, quando Rossato diventa il vicepresidente della Sesa, Mandato viene chiamato come consigliere, per poi diventare qualche anno dopo amministratore delegato. Sandro Rossato per nove anni condivide con Mandato la pianificazione degli affari della società estense prima di lasciare l’incarico di vicepresidente nel 2004, pochi anni prima dell’inizio dei guai con la giustizia.
Nel 2006, “il Calabrese” viene arrestato per la prima volta insieme ad alcuni membri delle famiglie ‘ndranghetiste.
Rossato si salva con un proscioglimento, ma nel 2014 viene arrestato di nuovo all’interno della stessa indagine con l’accusa di essersi aggiudicato con le cosche degli Alampi-Libri appalti illeciti a Reggio Calabria.
Secondo gli inquirenti calabresi che hanno indagato sugli affari del fondatore della Sesa, “Rossato in qualità di proprietario della Rossato Fortunato Srl (e di altre aziende) si poneva al costante servizio dell’associazione mafiosa per la realizzazione dei suoi fini illeciti ricevendo disposizioni”.
L’indagine calabrese gli costa l’eliminazione delle sue aziende dalla “White list”, per decisione del prefetto di Venezia . Una delle sue società viene dunque eliminata dalla lista dei fornitori di servizi perchè non considerata immune dal tentativo di infiltrazione mafiosa.
Sandro Rossato muore nel 2015 prima della conclusione del processo. La Sesa rimase esclusa dalle vicende giudiziarie, anche perchè “il Calabrese” non aveva più nessun ruolo nella società , mentre la Finam di Mandato si sostituisce nel 49% delle quote di Sesa che prima erano riconducibili a Rossato.
L’holding di Mandato è la capostipite di un castello di società che hanno un comune denominatore, l’indirizzo di Mirano, via Stazione, 80. È in questo anonimo civico situato nell’area industriale in provincia di Venezia che trovano sede legale tutte le aziende legate in qualche modo al patron del compost.
La Finam che possiede il 49% di Sesa e che è posseduta al 45% da Mandato. La Biogreen con proprietà per l’80% di Vallette, società al 45% di Mandato, oltre ad altre quattro aziende tutte legate alle biomasse e al compostaggio: la Bioman, di cui oltre il 50% è di Finam, la Agriman, controllata sempre da Finam, la Agrival, al 100% di Agriman e la già citata Vallette.
È scartabellando nella mole gigantesca di documenti raccolti intorno a queste società che prende forma l’intreccio tra il maleodorante mondo dei rifiuti e quello della politica.
Mentre lavoriamo sulla Sesa scopriamo che un assistente personale di Mandato, Fabrizio Ghedin, classe 1971, oltre ad essere il responsabile delle relazioni esterne della Sesa, è anche consulente del governo gialloverde di Giuseppe Conte.
Nel dicembre 2018, infatti, ha firmato un contratto di collaborazione con la sottosegretaria del Ministro per l’ambiente e la tutela del territorio, la leghista Vannia Gava.
Per questo incarico, come si può leggere dal sito del Ministero delle politiche ambientali, oggi Ghedin gode di uno stipendio di 40 mila euro di soldi pubblici in qualità di suo assistente per la comunicazione.
In un video istituzionale pubblicato dalla stessa sottosegretaria si sente il suo spin doctor Ghedin ringraziarla per il suo operato a nome dell’intera categoria: “Lei sta svolgendo un’opera di cui tutto il comparto le è riconoscente per aiutare la messa in atto del decreto sul biometano”
Chissà se il Ministro dell’ambiente, il generale Sergio Costa (vicinissimo al Movimento 5 Stelle), è a conoscenza che a consigliare la sua sottosegretaria sulle politiche ambientali è un consulente che nei video istituzionali parla non nell’interesse pubblico, ma a nome delle aziende private per cui lavora.
Ghedin quando non è nelle aule ministeriali, infatti, è responsabile delle relazioni esterne non solo della Sesa, una delle più grandi aziende europee che investono risorse proprio nel biometano, ma anche della Bioman.
I legami con la Lega di Matteo Salvini
La sottosegretaria Gava e il suo spin doctor non hanno nascosto il loro interesse nel business dei rifiuti, lo si evince anche da un video pubblicato sui social in cui Fabrizio Ghedin accompagna l’esponente leghista allo stabilimento Bioman di Maniago: “Ho visitato un impianto meraviglioso all’avanguardia. Io credo che questo sia un fiore all’occhiello in Friuli Venezia Giulia e in tutto il territorio nazionale. Dobbiamo guardare in questa direzione se vogliamo considerare il rifiuto non più un problema ma una risorsa”.
La Bioman di Pordenone, con sede sempre nella famosa via di Mirano, produce energia pulita tramite il recupero dei rifiuti che arrivano dalla raccolta differenziata e ha tra i suoi più importanti azionisti la Finam di Angelo Mandato.
Leggendo i nomi del board del gruppo non ci si meraviglierà a questo punto che un esponente di spicco della Lega vi abbia ricoperto la carica di vice presidente fino a qualche settimana prima delle elezioni europee: il trevigiano Gianpaolo Vallardi, oggi presidente della Commissione agricoltura e produzione agroalimentare in Senato.
Vallardi non è nuovo nel settore green visto che già nel 2012 dagli scranni dell’aula aveva spinto per incentivare gli investimenti nel settore del compost e della produzione elettrica ottenuta utilizzando il biogas
I legami tra la Lega del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini e il sistema dello smaltimento dei rifiuti nel Nord Est non si fermano solo alle poltrone di Roma. Perchè oltre agli incarichi istituzionali ci sono anche i soldi che si muovono dal Veneto
La Biogreen, un’azienda agricola che produce biomasse in Veneto, con sede in via Stazione 80 a Mirano, nell’inverno del 2018 ha donato alla Lega 30 mila euro.
Anche dietro questa società spunta l’ingegner Angelo Mandato che tramite “Vallette” detiene l’80% di Biogreen. Quando abbiamo chiesto se l’ingegner Mandato fosse a conoscenza del finanziamento alla Lega, il suo amministratore unico, Leonardo Tresoldi, si è rifiutato di rispondere, adducendo come motivazione quella di essere un “sostenitore dell’indipendentismo”.
E infine il nome della Lega ritorna nelle elezioni della sindaca di Este, Roberta Gallana, che nel 2016 fu sostenuta nella corsa a uno dei municipi più floridi d’Italia da Lega e Forza Italia e che oggi nel ruolo di primo cittadino si ritrova a possedere il 51% della Sesa, motivo per il quale sarebbe la persona più titolata a parlarne.
A lei avremmo voluto portare le istanze che i suoi concittadini le hanno mosso in questi anni, ma si è tirata indietro di fronte ad una nostra richiesta d’intervista, così come gli altri vertici della società .
La Sesa prova a “controllare” la nostra inchiesta
Ghedin, però, proprio mentre chiedevamo interviste ai responsabili della Sesa, organizza un incontro con la direzione di Fanpage per avanzare un’offerta commerciale con l’obiettivo di controllare la pubblicazione della nostra inchiesta.
Un’offerta commerciale intavolata alla presenza di Angelo Mandato, che conclude il suo discorso passando il testimone al suo sottoposto: “Spero che siamo stati abbastanza chiari, per tutto il resto segue Fabrizio (Ghedin, ndr)”, sono le parole esatte con cui viene lasciata carta bianca a Ghedin per continuare la trattativa.
E, infatti, ecco Ghedin ritornare qualche giorno dopo, liberatosi dai suoi impegni istituzionali, per proporre a Fanpage una campagna da 300 mila euro, in cambio — ci tiene a precisare — “vogliamo solo vedere l’inchiesta prima della pubblicazione, l’importante è che non pensiate che vogliamo comprarvi”.
(da “Fanpage”)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
C’E’ CHI VUOLE CHE SIA “MANDATO AL CONFINE”, TALMENTE COGLIONE DA NON SAPERE CHE SI DICE “AL CONFINO”… POI QUANDO LI IDENTIFICANO PIAGNUCOLANO
Non piace a sovranisti e patridioti il PM di Agrigento Luigi Patronaggio. Non piace da quando hanno scoperto che è stato lui ad avviare l’inchiesta su Matteo Salvini per il caso Diciotti. Non piace perchè ha aperto un’altra indagine su Salvini e sulla Sea Watch 3. Non piace insomma perchè è un magistrato che indaga sul Capitano. E sappiamo quanto sono suscettibili i fan di Salvini in questi casi.
La notizia di oggi è che a Patronaggio è stata recapitata (un’altra) busta di minacce con dentro un proiettile. Il magistrato vive già sotto scorta, la protezione gli è stata assegnata negli anni Novanta quando era in servizio a Palermo e faceva parte del pool antimafia.
Eppure ai piccoli commentatori dell’Internet la cosa suona lo stesso incredibile.
Perchè per i sovranari Patronaggio è un nemico del Paese, uno che “aiuta i muslim”. Probabile quindi che la busta se la sia spedita da solo. Una tattica tipica di quelli del PD, e ovviamente Patronaggio viene definito un magistrato “del PD”.
«Vorrà la scorta rinforzata fa molto radical chic» scrive un arguto e attento esperto di questioni di criminalità organizzata.
Questo Pm è proprio uno che non si accontenta insomma. E del resto, spiega un altro «dato che si è schierato politicamente perchè ci dobbiamo preoccupare?».
In fondo non siamo mica più negli anni Settanta, scrive. Che sottinteso vuol dire che i tempi in cui alle minacce seguivano le azioni sono ormai passate. Come spiega un altro infatti « a Terranova e Livatino, i proiettili direttamente in corpo; a Chinnici , Falcone e Borsellino direttamente tritolo» a Patronaggio invece solo minacce in busta.
È evidente che siccome il Pm agrigentino non sta “simpatico” a chi sostiene l’attuale governo allora non merita nemmeno la solidarietà d’ufficio che si è soliti esternare in questi casi.
Anzi, proprio perchè è “un giudice del PD” c’è chi propone di mandarlo al confine (ovvero al confino) assieme alla sua famiglia così da consentirgli di “riflettere e meditare sul mondialismo”.
Per altri invece è tutta una farsa, una commedia una messinscena. Partronaggio vuole continuare a fare quello che fa? Allora si candidi e si faccia eleggere, scrive una commentatrice che non ha ben chiaro il concetto di separazione dei poteri in uno Stato come il nostro.
Inquietante il commento di una che suggerisce che “il proiettile in busta non serve a nulla, nelle gambe è più efficace“.
Altri sono dello stesso avviso e parlano di “vittima” tra virgolette perchè “chi fa sul serio non manda bossoli”. Tutta la solita “sceneggiatura” fatta in modo che i soliti buonisti accorrano a difendere l’operato del magistrato.
La frase poi si fa confusa ma sembra che l’autore intenda suggerire che Patronaggio non rispetta le leggi indagando su Salvini invece che aprendo inchieste sulle terribili Ong. E anche oggi si è riversato un po’ di odio su Facebook, un altro giorno ben speso a difesa della democrazia.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
INVECE CHE PAGARE I DEBITI CON CARTA STRACCIA, BASTEREBBE INCASSARE I SOLDI DAGLI EVASORI FISCALI, INVECE CHE FARE CONDONI
Matteo Salvini ha delle idee, ma se non piacciono a Confindustria, alle aziende, alla BCE e alla Commissione Europea ne ha altre.
Dopo aver buttato lì l’ideuzza di pagare i debiti della Pubblica Amministrazione stampando “Minibot” di piccolo taglio, senza scadenza e senza interessi.
La cosa davvero bella dei minibot è che non sono soldi veri e quindi dal punto di vista concettuale è come se una persona che vi deve dei soldi decidesse di pagarvi con i soldi del Monopoli che — ha deciso — valgono tanto quanto il debito che ha con voi.
Ma siccome da che mondo è mondo è il creditore e non il debitore a decidere come e se cartolarizzare un debito la genialata della Lega non è gradita a chi quei soldi li vorrebbe (magari per usarli per pagare dipendenti e fornitori).
Ecco quindi che il nostro Capitano, Ruspa della grande pianura Padana, distruttore di Campi Rom, chiuditore di Porti e leader dell’Europa dei Popoli decide di aprire a possibili soluzioni alternative.
«Siamo disponibilissimi ad accogliere suggerimenti» dice il leader della Lega commentando i tanti mugugni e le reazioni negative su quella che pensava fosse un’idea geniale.
Salvini spiega che «c’è un problema di miliardi di euro di arretrati della Pubblica Amministrazione e vogliamo mettere i soldi nelle tasche delle imprese e dei cittadini. Noi abbiamo proposto un’idea, se ce ne sono di migliori, siamo felici. E lo dico ai “signor no”».
Il vicepremier dimostra quindi di non aver capito un concetto molto semplice: i minibot non sono soldi quindi emettere questi titoli di Stato (che hanno il discutibile vantaggio di non essere conteggiati immediatamente come debito pubblico) non significa “mettere dei soldi nelle tasche delle imprese”.
Ma Salvini non è uno che si perde in chiacchiere e tecnicismi, quello che conta per lui è il risultato. «Io bado alla sostanza e non alla forma, a me interessa l’obiettivo, noi abbiamo proposto un’idea che è nel contratto di governo, se ci sono idee migliori siamo felici», convinto come è che i minibot «sono migliaia di euro che entrano nel circuito reale dell’economia». Cosa che naturalmente è falsa visto che non si tratta di moneta, nè potrebbero esserlo.
Che si decidano: servono per mettere migliaia di euro nelle tasche degli italiani, servono per pagare i debiti della PA, servono per preparare l’uscita dall’Euro (di cui non si può parlare altrimenti ci scoprono) oppure servono per fare la vocetta grossa in Europa? Quando al governo si saranno decisi sulla questione teleologica dei minibot ci facciano sapere. Poi se riescono a pagare i debiti della Pubblica Amministrazione con soldi veri è meglio.
Basterebbe far pagare agli evasori fiscali le tasse e lo Stato avrebbe denaro in abbondanza per pagare non solo tutti i debiti, ma dare pure l’anticipo per futuri lavori.
Dimenticavano che questo è il governo dei condoni fiscali: gli evasori li premia.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
INDEGNO COMMENTO DI SALVINI DAL PALCO MENTRE DIECI DELINQUENTI SI ACCANIVANO CONTRO UN GIOVANE DELL’ORATORIO
Un ragazzo è stato picchiato dai militanti e attivisti della Lega durante il comizio di Matteo Salvini a Cremona. La sua colpa? Aver “provocato” i sostenitori del ministro dell’Interno mostrando una sciarpa bianca con scritto ama il prossimo tuo come te stesso. Schiaffi, calci, pugni e spintoni nei confronti di un ragazzo inerme che non stava inneggiando a Stalin, a Juncker o alla Boldrini con Salvini e che a quanto pare frequenta il vicino oratorio.
Tutto tranne che un pericoloso comunista o black bloc insomma, ma per Salvini è indifferente. Anzi: quel ragazzo non deve nemmeno essere uno dei sessanta milioni di figli di Salvini visto che dal Palco il titolare del Viminale si è divertito a sfottere quel “poverino” di un comunista: «lasciatelo da solo poverino, un applauso a un comunista, non ci divertiamo se non c’è almeno un comunista ai giardinetti». Bell’atteggiamento da padre responsabile.
Ma al di là dell’episodio si dimostra per l’ennesima volta come il popolo della Lega se ne freghi degli insegnamenti evangelici.
Eppure quasi su ogni palco e ad ogni intervista il leader della Lega fa bella mostra di rosari, crocefissi, icone sacre, foto di Padre Pio e copie del Vangelo. Ed è proprio in quel libro che Salvini agita in faccia alle folle adoranti come se fosse un pezzo di carne sanguinolenta da utilizzare per aizzare la sua Bestia che è contenuta la frase scritta sul “pezzo di carta igienica” mostrato a Cremona.
Una frase che aveva già fatto capolino durante la manifestazione della Lega di Piazza del Popolo a Roma nel dicembre 2018. All’epoca un altro ragazzo aveva scelto di andare in piazza con un cartello con scritto ama il prossimo tuo.
La Digos e la Polizia intervennero per portare di peso quella persona fuori dalla manifestazione. Ma davvero quella frase può essere una provocazione per i leghisti. In fondo il cattolicissimo ministro della Famiglia Lorenzo Fontana ne ha già spiegato il senso. Il prossimo non è mica il migrante, il povero o quello che vive nelle baracche dei campi Rom. No, il prossimo è quello che ti è vicino geograficamente (e culturalmente, quindi attenzione ad aiutare il vicino di casa musulmano). Insomma per i leghisti “ama il prossimo tuo” significa prima gli italiani.
Ma anche prendendo per buona questa curiosa interpretazione non si spiega come mai un ragazzo italiano sia stato identificato come nemico per il solo fatto che stava citando una frase del Vangelo.
E non si capisce bene a cosa serva giurare sul Vangelo davanti ai tuoi elettori se questi dimostrano di non conoscere e comprendere il senso del comandamento nuovo che Gesù ha lasciato ai cristiani.
Qualcuno potrebbe dire che alla fine la la lezione di Cristo può essere riassunta con poche parole: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Chi non ha capito questo può anche buttare la sua copia del Vangelo e smettere di difendere le radici cristiane da invasioni immaginarie.
Stupisce soprattutto il silenzio di cattolici coraggiosi come Simone Pillon, persone sempre pronte a denunziare casi di “oscuramento” dei simboli religiosi e a condannare “l’agire politico della sinistra anticristiana” nemica dei “nostri simboli”.
Commentando un fatto di cronaca oggi Pillon scrive che per la sinistra il crocifisso è “considerato divisivo, arcaico, demodè”. Ma il vantaggio del crocifisso è che non può parlare. Perchè se parlasse direbbe ama il prossimo tuo e probabilmente finirebbe cacciato da una manifestazione della Lega. Difendiamo le nostre radici da chi le vorrebbe cancellare riducendole a simboli vuoti senza significato, difendiamo le nostre radici da chi le usa solo per fini politici, difendiamo le nostre radici dalla Lega.
(da agenzie)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
NASCE “ITALIANI ALL’ESTERO, I DIARI RACCONTANO”: UN SITO PER NAVIGARE, STORIE DIMENTICATE DI DISCRIMINAZIONE, DOLORE, CORAGGIO E VOGLIA DI RIPARTIRE
Ci sono i transatlantici entrati nella storia della navigazione e le banchine di porti che oggi vedono solo container. C’è il coraggio di partire e c’è la voglia di raccontare come, alla fine, si è riusciti a farcela, a garantire un futuro a sè stessi e ai propri figli. C’è sofferenza e disperazione, ma anche speranza e spregiudicatezza. Ci sono generosità ed egoismo, amore e violenza.
Sono mille storie di italiani che al di là dei confini della penisola hanno cercato un po’ di quel benessere che in patria non trovavano. O che hanno soddisfatto il loro desidero di aiutare il prossimo, di vivere un’avventura, di arricchire il proprio bagaglio di esperienze.
Mille storie che da oggi, lunedì 10 giugno, sono a disposizione di tutti su un sito dal titolo semplice e diretto: “Italiani all’estero. I diari raccontano”.
Si tratta di un sito nato dalla collaborazione tra un ministero e un luogo dove da decenni si conservano i diari, le memorie e le lettere che, a oggi, novemila italiani hanno deciso di non tenere per sè ma di mettere a disposizione di chi voglia conoscere, attraverso i percorsi individuali, pezzi di storia del nostro paese.
Il ministero è quello degli Affari esteri, la Farnesina, in particolare la direzione generale che si occupa degli italiani all’estero e delle politiche migratorie.
Il luogo dei diari è l’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano fondato nel 1984 dal giornalista Saverio Tutino, per dieci anni inviato di Repubblica.
Aprendo il sito, ma verrebbe da chiamarlo scrigno per il senso di intimità e di preziosità trasmesso dai testi che contiene, ci si imbatte subito in quello che è senz’altro il principale strumento di navigazione.
La carta geografica del mondo cosparsa di tanti pallini verdi che sono le chiavi per entrare nelle mille storie dello scrigno. Centinaia in Europa e Sud America. Poi il Canada e gli Stati Uniti, l’Australia, l’Estremo oriente, l’Africa, non solo i paesi occupati nel passato dall’Italia, ma anche Congo, Ruanda, Burundi. E ancora: Yemen, Arabia Saudita, Turchia, India, Pakistan…
Per iniziare ci si può lasciar guidare, nel viaggio di scoperta che si inizia aprendo “I diari raccontano”, dalla densità delle storie. Si arriva subito nel cuore dell’Europa, nel quadrilatero più famoso e più dolente dell’emigrazione italiana: Francia, Belgio, Germania e Svizzera. I brani selezionati tra migliaia e migliaia di pagine conservate a Pieve raccontano le partenze in treni speciali dopo aver fatto tutta la trafila burocratica necessaria per ottenere un posto di lavoro.
Una volta arrivati si annotano le discriminazioni subite, le piccole e grandi umiliazioni. Ma anche i successi che a molti hanno consentito di tornare a casa meno poveri. Si annotano sul quaderno o solo dentro di sè per ritirarle fuori anni dopo, quando si deciderà di scrivere la storia della propria vita.
Poi le miniere, il sentiero di sudore e sangue che ha unito l’Italia alle viscere dei paesi ricchi di carbone. Prima di tutto il Belgio, il sentiero più recente, e di cui è emblema la tragedia di Marcinelle, la miniera in cui, nel 1956, morirono, tra gli altri, 136 immigrati italiani.
Ludovico Molari era lì e racconta quando si trova davanti alla bara del fratello “dove in un biglietto sopra il coperchio c’è il nome di Molari Antonio riconosciuto per la mancanza della prima falange del dito anulare della mano sinistra e dall’abbigliamento”.
Quasi 50 anni prima un’altra miniera e altri morti, al di là dell’Atlantico, a Cherry, Illinois, Stati Uniti d’America. Antenore Quartaroli ha seguito il sentiero del carbone ed è lì nel novembre del 1909 quando un incendio nelle gallerie uccide 259 minatori tra cui 73 italiani, per buona parte emiliani come Antenore che è arrivato nell’Illinois dalla provincia di Reggio Emilia.
Antenore resta sepolto vivo per otto giorni e racconta così il suo ritorno alla vita: “Sempre all’oscuro si siamo incaminati di nuovo fatto una cinquantina di metri vi era una volta via e arrivati in quella posizione con gran gioia abbiamo scoperto che vicino al pozzo d’usita vi era Gente che lavorava… il primo che io conobi fu mio Cognato Giulio Castelli che quel giorno era a lavorare nel lavoro di Salvattaggio”.
Lasciarsi trasportare dai pallini verdi della mappa dei “Diari raccontano” porta anche ai giorni e ai luoghi segnati nel calendario della storia.
A piazza Tienanmen il giorno della rivolta contro il regime. In Kuwait nei giorni dell’invasione irachena. A Bruxelles quando i tedeschi la invadono nel 1914. In Francia il 10 giugno del 1940 quando gli italiani che lavoravano là da amici diventano, in un minuto, i “nemici”. In Vietnam con la divisa della Legione straniera. Ma anche più indietro nel tempo. Tutto da leggere il racconto di un garibaldino nato a Vicenza che si imbarca per gli Stati Uniti e combatte la guerra di secessione americana in un reggimento di cavalleria.
La storia di emigrazione più antica conservata a Pieve è quella di Angelo Rebay, nato sulla riva del lago di Como nel 1788. Di lui non ci sono fotografie ma un ritratto fatto da una nuora. Per 11 anni, dal 1800 al 1811 cercò fortuna in Germania insieme a suo fratello per poi tornare a vivere nel suo paese, Pognana Lario.
Prima di “Gli italiani all’estero. I diari raccontano”, ideato da Nicola Maranesi e di cui chi scrive è consulente editoriale, l’archivio di Pieve Santo Stefano aveva realizzato, con L’Espresso e i quotidiani locali del gruppo, un sito che ne è sicuramente il genitore, o il prototipo: “La Grande Guerra 1914-1918”.
E così come quello dedicato alla guerra anche questo dà il via a un progetto aperto. Utilizzando un’apposita pagina del sito si potrà arricchirlo inviando le testimonianze di emigrazione personali o di propri antenati. Testimonianze che verranno pubblicate ed entreranno a far parte del patrimonio dell’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano.
(da agenzie)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
MANCANO I POSTI PER LA PRIMA ACCOGLIENZA, GRAZIE AI TAGLI DEL VIMINALE… NE ARRIVANO 15.000 L’ANNO
Sono aumentati nel 2018, e nel corso del 2019, gli arrivi di migranti e richiedenti asilo a Trieste, dalla rotta via terra dei Balcani. Un flusso che continua, invisibile e meno raccontato, con una media di presenze mensili che si attesta intorno ai 1000/1200. E che sta creando una situazione non certo emergenziale, ma di rilevante pressione sul locale sistema di accoglienza, dovuta al sottodimensionamento per ciò che riguarda la prima accoglienza. A fotografare la situazione è il report sull’accoglienza a Trieste, presentato da Ics e Caritas italiana.
A mancare, spiega il rapporto, sono posti immediatamente disponibili seppure per brevi periodi. Le conseguenze critiche di tale sottodimensionamento vengono calmierate (ma non eliminate) da un lavoro incessante fatto dagli enti di accoglienza e dalla Prefettura di Trieste per organizzare trasferimenti di richiedenti asilo in altre località della Regione e nel resto del territorio nazionale con cadenza almeno settimanale nell’arco di tutto l’anno.
Si tratta di una situazione che mette sotto costante pressione (anche in termini di risorse umane) in particolare la struttura di “Casa Malala”, divenuta in larga misura una struttura di transito.
“Abbiamo sempre più persone di quanti sono i posti disponibili in accoglienza. Ciò è dovuto al forte aumento di arrivi verificati nel corso del 2018, confermati nei primi mesi del 2019 – sottolinea Gianfranco Schiavone, presidente di Ics -. Se un aumento c’è, però, non siamo in una situazione emergenziale. Per questo motivo non vogliamo aumentare i posti ‘ordinari’ dell’accoglienza, anche perchè non si riuscirebbe a garantire l’inclusione sociale degli accolti. C’è invece bisogno di un’attenzione maggiore per garantire la prima accoglienza e i trasferimenti verso altre città meno esposte agli arrivi”.
I migranti che arrivano dalla rotta balcanica, e che provengono soprattutto da Afghanistan, Pakistan e Iraq, sono giovani: una popolazione, composta per un terzo da nuclei familiari: “E’ un’enorme ricchezza sociale – continua Schiavone – specie per un Paese che invecchia rapidamente e nel quale la forbice tra popolazione attiva e non attiva sta diventando drammatica”.
A preoccupare sono, in particolare, i tagli all’accoglienza, dovuti alle scelte del Viminale e il rischio della perdita di posti di lavoro: “I tagli sono netti e insensati. Dove mettiamo le persone? Chi le seguirà ? La politica non dà risposte e dà invece informazioni demagogiche. In tal modo non ci sarà un risparmio ma si creerà disagio, perchè le persone non spariranno nel nulla e continueranno a esserci”.
Un dato particolarmente grave – secondo le organizzazioni – è l’annullamento, con il nuovo bando, di tutte le attività di integrazione sociale e di formazione.
Il risultato è che si avranno “centri-pollaio, possibilmente di enormi dimensioni, dove “parcheggiare” le persone, producendo tensione sociale”.
Le conseguenze saranno gravi anche a livello occupazionale: “sono 278 i dipendenti che rischiano il posto di lavoro, la gran parte dei quali (241) hanno contratti a tempo indeterminato”. Schiavone precisa, che se la richiesta è di fare i “guardiani del pollaio”, snaturando completamente la natura dell’accoglienza, “non saremo noi a farlo”.
“Al momento questa città , relativamente alla presenza di rifugiati, non ha problemi di ordine pubblico – aggiunge Don Amodeo della Caritas -. Trieste è un modello civile e pacifico di convivenza, con appartamenti dislocati in tutta la città che permettono il contatto degli accolti col resto della cittadinanza”.
Infine, l’associazione dei medici volontari Don Kisciotte che ha curato la parte relativa alla salute della prima accoglienza parla di segni di violenza sul corpo dei migranti che arrivano. “Il tipo di disturbo è quello caratteristico di una popolazione che ha avuto un periodo recente in cui è stato sottoposto a stress fisico e psichico. Non si registrano rilevanti patologie infettive. In sostanza si tratta di persone in salute -spiega Andrea Collareta. “Si registrano però molti casi di violenza subita nel viaggio – aggiunge Schiavone – . Si tratta di persone ferite, talvolta con arma da fuoco, anche minori. Le violenze si verificano soprattutto in Croazia al confine con la Bosnia Erzegovina, e sono compiute sia dalla polizia che dalle bande, come testimonia anche un recente rapporto curato da Amnesty International. Trieste è il primo luogo sicuro nel quale queste persone arrivano”.
(da agenzie)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
NUMERI PARZIALI SUGLI “ARRIVI FANTASMA”, DIMENTICANDO I DATI DELLA ROTTA BALCANICA DA CUI GLI ARRIVI SONO TRIPLICATI… FLOP RIMPATRI, SONO SOLO 18 AL GIORNO
Forse dovendosi difendere dall’implacabile realtà , Matteo Salvini attraverso il Viminale fa sapere che non vi è «nessun allarmismo sui cosiddetti sbarchi fantasma, ovvero gli arrivi via mare attraverso piccole barche più difficili da individuare».
Nelle stesse ore la polizia era impegnata con due barche arrivate alla chetichella in Calabria e Puglia: 73 persone.
Quello che la nota del ministero non dice è che la totalità degli arrivi — un migliaio solo questa settimana — è paragonabile ai livelli precedenti alla crisi libica del 2011.
Per non dire degli ingressi via terra attraverso la rotta balcanica: triplicati solo a Trieste. Le mezze verità non sono certo un invenzione della comunicazione salviniana.
I fatti, però, sono lì. Come ad esempio la favola delle Ong «taxi del mare».
Per buona parte di maggio «a fare ‘salvataggi’ al largo della Libia — osserva su Twitter Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi — era rimasta solo la sua ‘Guardia costiera’».
Quindi, se le navi umanitarie fossero davvero un fattore d’attrazione, i migranti non dovrebbero partire in loro assenza. Invece: 379 migranti partiti con Ong al largo; 1.631 partiti senza nessuno a salvarli.
«A maggio, i nostri aerei hanno volato 14 giorni — spiegano da Sea Watch — e hanno individuato oltre 30 casi con più di 2.050 persone in mare: 643 persone sono arrivate in Europa, le altre sono state catturate in mare e riportate coattivamente in Libia». Soprattutto, «è impossibile sapere quanti sono i morti e i dispersi».
Le bugie hanno le gambe corte, ma alimentano le tensioni e portano un sacco di voti. Così meglio tacere che nei primi quattro mesi del 2019, rispetto allo stesso periodo del 2018, sono quasi triplicati i migranti giunti attraverso la rotta balcanica ed entrati nel circuito dell’accoglienza della sola Trieste: da gennaio ad aprile le accoglienze sono state 664, contro le 248 del 2018.
Un dato che peraltro non tiene in considerazione quanti sono invece sono sfuggiti ai controlli e proseguono la traversata.
Di questo nelle note del Viminale non c’è traccia. Piuttosto vengono segnalati i rintracci a terra in prossimità di uno sbarco: 5.371 nel 2017, 3.668 nel 2018, 737 nel 2019. Ci sarebbe da sorridere, se non ci fossero di mezzo vite umane, visto che nessuna barca, conformemente alle leggi internazionali, è stata respinta e che nessuna ordinanza di porti chiusi è stata mai emessa dal Viminale, che non a caso non l’ha mai mostrata in pubblico.
Di sicuro «dal primo gennaio al 31 maggio 2019, le richieste di asilo sono state 15.014 contro le 28.901 di un anno fa (calo del 48,05%)», rende noto il Viminale ricordando però che le istanze pendenti al 31 maggio 2019 sono 64.216.
Le nuove norme, per implicita ammissione del ministero dell’Interno, aumenteranno l’irregolarità .
Dal primo gennaio al 31 maggio «i provvedimenti di diniego rappresentano il 75%». Confermando di fatto le previsioni dell’Istituto di studi politici internazionali di Milano, secondo cui entro l’inizio del 2020 ci saranno 130mila irregolari in più.
Anche a causa del flop dei rimpatri: 18 al giorno, come nei due governi precedenti. Ma di questo il Viminale non parla.
(da “Avvenire”)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
SOLO L’INTERVENTO DEL DIRETTORE DI PRODUZIONE HA IMPEDITO CHE LO DEMOLISSERO
Nell’ansia di combattere il degrado romano, gli agenti decoro urbano della polizia della Capitale hanno rischiato di combinare un disastro ai danni di una troupe cinematografica che aveva ricostruito, per delle riprese, una baraccopoli sotto il Ponte Marconi.
Gli agenti, che lo scorso sabato avevano appena smantellato alcuni accampamenti di fortuna su lungotevere di Pietra Papa, avendo notato l’altra baraccopoli hanno deciso di intervenire: solo l’intervento di un uomo, che lavorava sul set, ha permesso di chiarire l’equivoco e di scongiurare la distruzione del set.
Con le centinaia di buche sui selciati della Capitale, i problemi di circolazione e il degrado delle periferie, il problema di Roma sono due baracche dove dei poveri disperati cercano un riparo?
E che alternative vengono fornite a questi poveracci dopo esservi accaniti contro le loro baracche?
Ma vergognarsi mai?
(da agenzie)
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Giugno 10th, 2019 Riccardo Fucile
INDAGAVA SULLA CORRUZIONE DEL SINDACO DI MOSCA, VICINO A PUTIN… GLI HANNO PIAZZATO DROGA IN CASA PER ELIMINARLO
Sono andate a ruba nelle due principali città russe, Mosca e San Pietroburgo, le copue di “Kommersant”, “Vedomosti e” RBK”, tre giornali che – ed è un primato nella storia della Russia – hanno aperto la prima pagina con lo stesso titolo “Io/Noi siamo Ivan Golunov”
Golunov è un giornalista arrestato con la ridicola accusa di spaccio di stupefacenti e al momento si trova ai domiciliari: da tempo era controllato e pedinato, e l’accusa di droga è scattata proprio mentre stava facendo un’inchiesta giornalistica su corruzione e malversazioni nel municipio di Mosca.
Una delle operazioni più maldestre della procura generale russa del discusso e intoccabile Jurij Chajka.
La corruzione dilagante è il tallone d’Achille dello zar Putin, circondato da affaristi d’ogni dimensione.
Il caso del giornalista”neurraluzzato”con una accusa costruita a tavolino sta scuotendo la Russia. E l’iniziativa della stampa, oggi, è senza precedenti, quasi a preannunciare una svolta nell’opposizione all’indiscusso Vladimir.
(da Globalist)
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