Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
L’ARMA DELLO SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE COME DETERRENTE AL VOTO ANTICIPATO … ORA SALVINI DEVE DIRE COSA VUOL FARE… E UN CONTE DIMISSIONARIO VUOL DIRE SPREAD A 400
Dunque anche Di Maio è salito al Quirinale per dare assicurazioni sul destino del governo, ricevendo una richiesta di “chiarezza” perchè di buone intenzioni sono lastricati i sentieri di tante crisi.
E non si può andare avanti in una situazione di incertezza, fatta di mosse umorali, sbalzi politici ad horas, precipizi annunciati di sera sui provvedimenti, telefonate diurne, in una situazione di perdurante paralisi, da settimane, nell’azione di governo.
E senza una posizione comune, anzi con un gioco pericoloso in atto proprio sul terreno più delicato del rispetto dei vincoli europei, alla vigilia della decisione della Commissione Ue sulla procedura di infrazione. Che rischia di diventare la scintilla che fa divampare l’incendio politico, sullo sfondo di una crisi economica annunciata da tutti gli indicatori.
E alla vigilia di scelte importanti come la nomina del prossimo Commissario Ue, per cui sarebbe auspicabile secondo Mattarella una figura di alto profilo.
È chiaro che, in una situazione come questa, il capo dello Stato non può essere uno spettatore, disincantato e indifferente.
Spettatore che osserva, ascolta, tiene per sè le sue valutazioni, se qualcuno ha la buona creanza di informalo bene, altrimenti fa lo stesso. E, avanti così, pronto a notificare un percorso di questo tipo senza neanche un battito di ciglia: assistere all’apertura di una crisi di governo, procedere a consultazioni spedite, se così desidera il capo della Lega che si sente il capo del paese, regalare agli italiani il divertimento dei comizi balneari arroventati anche dal calore dello spread, alle Corti d’Appello la gioia delle liste elettorali a Ferragosto, poi le elezioni il 22 o 29 settembre, di fatto già in piena sessione di bilancio, senza contare quanto tempo ci vorrà per far nascere il nuovo governo.
Dunque, un governo sovranista che avrebbe un programma non dissimile da quello che bloccò la nomina di Paolo Savona al Mef, in nome della tutela dell’interesse nazionale, e fondato su una maggioranza che poi, a quel punto, eleggerebbe il successore di Mattarella tra tre anni.
Praticamente una mina piantata sotto l’edificio europeo, che farebbe passare alla storia l’attuale capo dello Stato come una sorta di Facta del XXI secolo, colui che ha spalancato le porte al più grande stravolgimento della collocazione geopolitica del paese nella storia recente.
Di questo si sta parlando, quando si almanacca attorno all’eventualità del “che succederà ” e “che farà ” e del “che sta facendo Mattarella”. Di questo ordine di grandezza delle cose.
Ecco, anticipiamo subito la tesi di questo articolo, frutto di chiacchierate con fonti degne di questo nome e informazioni raccolte oltre le versioni ufficiali: l’arbitro, come tutti gli arbitri, non è sugli spalti a godersi lo spettacolo trangugiando pop corn. Ma è in campo. E, al netto delle coltre di silenzio e un po’ di sana ipocrisia le tracce della sua azione indicano, tutte, una sottile opera di “moral dis-suasion”, per evitare l’eventualità che, da settimane, alimenta una sorta di psicosi della politica italiana, l’effervescenza dei mercati, le preoccupazioni di quella rete di protezione nazionale e internazionale del paese, da Bankitalia di Visco alla Bce di Mario Draghi.
Dell’opera di dis-suasion è parte integrante la richiesta di “chiarezza” a Luigi Di Maio, a cui è stata tenuta una rapida lezione di economia a proposito del “baratro” che si spalancherebbe sul paese se il governo ingaggiasse la linea di “sforamento” dei vincoli di bilancio, su cui il vicepremier però non ha dato assicurazioni.
Ma soprattutto la mossa di Conte, molto apprezzata lassù e molto valorizzata, secondo quella antica sapienza per cui sono importanti gli effetti che una mossa produce, non chi l’ha pensata.
Anzi, la vera arte è indirizzare gli eventi, nella direzione auspicata come se fosse un moto spontaneo di ragionevolezza altrui. Perchè è vero che l’avvocato del popolo è figura debole, priva di un’unzione democratica, goffa come i bizantinismi lessicali di un penultimatum, smontato da Salvini in un post veloce come un “me ne frego”, però è anche vero che l’abito rende utile il monaco e le sue dimissioni in nome del rispetto dei vincoli europei avrebbe l’effetto di far “schizzare lo spread a 400”, facendo precipitare il paese nell’emergenza.
È pronto Salvini ad assumersi questa responsabilità o la tempesta annunciata rappresenta, proprio come è accaduto l’anno scorso di questi tempi, un grande disincentivo all’azzardo?
Diciamolo: Mattarella non è Napolitano. Non lo è di indole, formazione, cultura. Non lo è per il contesto, politico e parlamentare. Nè vuole apparire come colui che esercita una supplenza o un contropotere rispetto a un governo in carica, anche perchè è consapevole che, in tempi di anti-establishment, anche un timido indirizzo verrebbe interpretato come un’indebita ingerenza (ricordate con quale inconsapevole e pericolosa baldanza fu nominata la parola impeachment?) e avrebbe l’effetto della benzina sul gran falò della propaganda dei difensori del popolo che tutto possono in nome del popolo.
Però è sbagliato pensare che, al dunque, un democristiano di sinistra sia più arrendevole di un comunista di destra e meno incline ad agire un ruolo, sia pur nell’ambito di una astuta guerra di posizione e non di movimento.
E lo dimostra proprio questo giro di “pre-consultazioni” al Quirinale e l’aver sfoderato l’arma che, nel 2013, il comunista di destra non aveva perchè gestì la crisi post voto in pieno semestre bianco: il potere di scioglimento delle Camere.
È ciò che il Quirinale sta lasciando trapelare da giorni: “Se non ci saranno alternative, il capo dello Stato non potrà che prenderne atto e sciogliere”. Il che, formalmente non fa una piega. Ed esclude l’ipotesi che già il contesto rende impraticabile, come è accaduto con Carlo Cottarelli: un governo “tecnico” o del “presidente”, pensato al Quirinale e calato sul Parlamento.
Però l’eventualità non è un auspicio, nè l’annuncio dell’inevitabilità di una ratifica. È una pressione, un ulteriore deterrente, teso a “stanare” Salvini, affinchè da subito faccia chiarezza sulle sue reali intenzioni: se vuole consentire al paese di avere un governo nel pieno della sua operatività o se davvero ha il coraggio o l’avventurismo di giocare d’azzardo, in un’ottica del tanto peggio, trascinando il paese al voto.
Se fosse una mano di poker equivarebbe a dire “vedo”.
I bluff si svelano così.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
COMMISSARI DI GARA, APPALTI INTEGRATI E OBBLIGHI DEI COMUNI: FATTO A PEZZI IL CODICE DEGLI APPALTI CON LA COMPLICITA’ DEL M5S… ESULTA LA ‘NDRANGHETA
Il codice degli appalti esce ridotto a pezzi dal faticoso compromesso tra Lega e Cinque Stelle.
Se è vero che si rinuncia alla completa liberalizzazione dei subappalti, e si introduce un tetto del 40%, che è comunque superiore al 30% in vigore finora, è vero anche che rispetto alle regole di trasparenza e di legalità che il codice aveva introdotto, si fanno almeno tre passi indietro, su altrettanti punti delicati: commissari di gara, appalti integrati e obblighi dei Comuni.
Le amministrazioni pubbliche non avranno più l’obbligo di selezionare i commissari di gara all’interno di un albo presso l’Autorità anti-corruzione, ma potranno sceglierli al loro interno, con il rischio di pesantissimi conflitti di interesse.
Tornano inoltre gli appalti integrati: le amministrazioni non dovranno più fare i progetti esecutivi prima di affidare i lavori alle ditte vincitrici dell’appalto: ci penseranno queste ultime a fare tutto, progettazione ed esecuzione. Una scelta che mette a rischio la qualità dei progetti e ci espone alla girandola delle varianti, come in passato.
Infine, i Comuni non avranno più l’obbligo di ricorrere a stazioni appaltanti centralizzate, e questo significa che in molti casi, non avendo le competenze e le risorse adeguate, avranno difficoltà , come è avvenuto in passato, a far partire i progetti e i lavori.
Inoltre, per lavori fino a 2 milioni di euro, dovrebbe tornare il criterio del massimo ribasso, secondo cui chi offre il prezzo minore vince, con effetti deleteri sulla qualità e sui possibili rialzi successivi del prezzo, in cocca con gli amministratori locali.
Infine la maggioranza si prepara a far passare una norma, contestatissima da Confindustria, che cancella la colpa grave, e il conseguente danno erariale, per i funzionari pubblici che revocano i contratti con concessionarie autostradali, purchè i relativi decreti di cessazione anticipata siano vistati dalla Corte dei Conti.
L’attacco più duro arriva dal segretario della Cgil Maurizio Landini: «Matteo Salvini lo sa che l’Italia, o almeno pezzi interi del Paese, sono nelle mani della criminalità organizzata? In un Paese dove la vera emergenza, oltre all’impressionante crescita delle disuguaglianze, è soprattutto la corruzione, che si annida proprio principalmente nel sistema degli appalti, ampiamente infiltrato dalla malavita».
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
DOMANI L’UFFICIALIZZAZIONE DELLA RACCOMANDAZIONE… LA MANOVRA CORRETTIVA RICHIESTA E’ DI 3,6 MILIARDI
Una manovra correttiva per evitare la procedura europea sul disavanzo eccessivo. Nonostante gli scongiuri di Giovanni Tria che ufficialmente l’ha sempre esclusa, l’idea viene messa nel conto nel governo alla vigilia delle raccomandazioni della Commissione Europea.
Il braccio di ferro che sta per aprirsi tra il governo Conte e l’Europa si annuncia ancora più duro di quello dello scorso autunno sulla manovra 2019.
“Spigoloso”, lo definisce con Huffpost un’alta fonte di governo. A Roma ne sono consapevoli, mentre la squadra di ‘dialoganti’ capitanata dal premier Conte, dal ministro Tria, dal ministro Enzo Moavero Milanesi e sostenuta dal Quirinale tenta di tenere la rotta ammortizzando le bordate di Matteo Salvini.
Ma nel governo si mastica anche amaro: perchè domani la Commissione chiederà conto all’Italia anche dei saldi 2018, cioè l’eredità lasciata dall’ultima manovra approvata dal governo Gentiloni nel 2017.
Domani, con l’approvazione del pacchetto di primavera, la squadra Juncker consiglierà agli Stati membri dell’Unione (al Consiglio) l’apertura di una procedura di infrazione per l’Italia per l’elevato debito pubblico, già al 132,2 per cento del pil nel 2018 e in aumento al 133,7 per cento quest’anno e al 135,2 per cento nel 2020, secondo le previsioni di Bruxelles.
Il ragionamento della vigilia viene snocciolato ad Huffpost da alte fonti dell’esecutivo. E mette in fila dati oggettivi, più che aspettative.
Domani a mezzogiorno i commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici esporranno alla stampa le raccomandazioni della Commissione per tutti i paesi della zona euro. Quelle per l’Italia chiederanno conto dei saldi 2018 e 2019: entrambi non in linea con le regole europee su deficit.
Quest’anno Bruxelles prevede un aumento al 2,4 per cento e al 3,5 per cento l’anno prossimo, 0,5 punti percentuali oltre il tetto del 3 per cento del rapporto tra deficit e pil, cifra da allarme rosso in Ue.
In sostanza, il governo attuale si trova a dover rispondere anche per ciò che non fu contestato a Bruxelles alla fine del 2017: c’erano le politiche in arrivo in Italia, la Commissione chiuse un occhio, l’ultima manovra di Pier Carlo Padoan, sotto il governo Gentiloni, fu accolta senza sanzioni e conseguenze.
Ora però i nodi vengono al pettine. Tutti. E al timone c’è Conte, con i gialloverdi, i populisti invisi ai partiti tradizionali che si preparano a governare l’Ue anche in questa legislatura escludendo i sovranisti di Salvini.
Per dire, in vista del consiglio europeo del 20-21 giugno, venerdì prossimo c’è un primo vertice a Bruxelles tra Ppe, Pse e liberali sulle nomine al vertice dell’Unione: ci saranno lo spagnolo Sanchez e il portoghese Costa per i socialisti, l’olandese Rutte e il belga Michel per i liberali dell’Alde, il croato Plenkovic e il lettone Karins per i Popolari. L’Italia non c’è.
E all’Italia, dicono fonti di governo, non resta che la manovra correttiva per evitare la procedura di infrazione.
La stessa Commissione domani potrebbe consigliarla, all’interno delle raccomandazioni oppure a latere delle sue comunicazioni.
L’entità non sarebbe elevatissima e comunque dipende da quanto l’esecutivo di Palazzo Berlaymont deciderà di affondare: si parla di un aggiustamento di 3,6 miliardi di euro.
Non è molto ma si intende quanto possa costare in termini di propaganda a qualunque partito, sopratutto ai populisti al governo: tanto.
Però, alla vigilia del calcio di inizio di una sfida a lungo rimandata, la manovra correttiva si staglia all’orizzonte come l’unico modo per evitare una procedura di infrazione, per evitare cioè una catena al collo che l’Italia sarebbe costretta a portare anche per un decennio (dipende dall’entità che verrà decisa dalla commissione), fatta di sanzioni fino ‘all’arma da fine del mondo’ come la sospensione dell’erogazione dei fondi strutturali. Tutto per far rientrare il disavanzo.
Ad ogni modo, dopo le raccomandazioni di domani, sarà il ministero dell’Economia il primo a scendere in trincea nel confronto con Bruxelles.
Martedì prossimo, alla riunione del Comitato economico e finanziario che dovrà esprimere il suo parere sulle raccomandazioni della Commissione, l’Italia sarà rappresentata dal direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera.
Toccherà a lui rispondere con i numeri del ministero di via XX Settembre che, come dice Tria oggi, promettono una crescita che impedirà di sforare i parametri Ue. “Si aprirà un negoziato — sono le parole del ministro – Ovviamente più andiamo meglio, più cresce l’economia, non c’è bisogno di sforare niente”. E aggiunge: bisogna “impedire di lasciare il debito alle future generazioni”.
Insieme al premier Giuseppe Conte, il ministro Tria è la parte dialogante del governo, la parte che si pone il problema di reggere il confronto con Bruxelles per arginare i danni.
Una squadra di dialoganti — diciamo così — fortemente sostenuta dal Quirinale, squadra che comprende anche il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, già attivo anche lui lo scorso autunno nell’interlocuzione con Bruxelles nelle settimane di scontro con i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Con la differenza che stavolta la strada è già tracciata: c’è da negoziare poco, si tratta di saldi che vengono contestati e che dunque vanno raddrizzati. Stop.
Ad ogni modo, in prima battuta, sarà Tria ad avere un primo confronto con gli altri ministri della zona euro alla riunione dell’Eurogruppo il 13 luglio a Lussemburgo, benchè non sarà questa la riunione deputata a prendere decisioni sull’Italia.
Quella utile per adottare eventualmente la procedura sarà a luglio, con una riunione dell’Ecofin il 9 luglio pronta a dare avvio formale se nel frattempo da Roma non avranno risposto in quello che in queste ore sembra l’unico modo utile per evitare il peggio: la manovra correttiva.
Un passo di certo meno doloroso della procedura di infrazione, con tutto ciò che determinerebbe sui mercati, ora tutto sommato abbastanza tranquilli, forse perchè, confidano fonti di governo, prevale la convinzione che alla fine Roma e Bruxelles riusciranno a trovare un accordo, come è successo a fine 2018.
Già : ma le europee sono passate, gli equilibri tra Lega e M5s si sono ribaltati, il governo è in condizioni di salute precarie. Chissà .
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PREOCCUPATO DALLA SITUAZIONE ECONOMICA E DAI CONTI
Il leader del M5S, Luigi Di Maio, è stato ricevuto questa mattina dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’incontro è avvenuto a mezzogiorno. Il vicepremier ha fatto il punto della situazione spiegando al Capo dello Stato che il Movimento vuole andare avanti con il governo.
Il Presidente, si apprende da ambienti parlamentari, avrebbe espresso la necessità di fare al più presto chiarezza nella maggioranza e avrebbe espresso preoccupazione per la situazione economica, rimarcando la necessità di far quadrare i conti.
Lo stesso Di Maio, in serata, ha ribadito pubblicamente la posizione del M5S. «Ora dobbiamo necessariamente affrontare il tema della legge di bilancio che non prevede solo accordi di maggioranza ma la compattezza del governo per riuscire ad affrontare una grande sfida». Per il vicepremier gli ultimi mesi sono andati come sono andati «ma adesso è arrivato il momento di dare stabilità al Paese».
Ai giornalisti, all’uscita dal tavolo sulla Whirlpool, lo stesso Di Maio ha detto: «Per me il Governo deve andare avanti per altri quattro anni, l’ho sempre detto”
Non avevamo dubbi.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
ACCESI I RIFLETTORI SULLA MINACCIA DI REVOCA DELLO SCORTA ALLO SCRITTORE
Sulla scorta a Roberto Saviano si accendono i riflettori del Consiglio d’Europa. L’ultima dichiarazione di Matteo Salvini – sul possibile ritiro della protezione al giornalista e scrittore – è stata considerata una “intimidazione” e aggiunta ai casi di allerta pubblicati sulla piattaforma per la tutela dei giornalisti.
L’episodio è stato classificato dal Consiglio d’Europa come “intimidazione attribuibile allo Stato” e inserito tra quelli di massima pericolosità per l’incolumità dei cronisti. “Un bacione a Saviano. Sto lavorando anche a una revisione dei criteri per le scorte che impegnano ogni giorno 2mila uomini”, aveva detto Salvini nel corso di una diretta facebook.
“Saviano è sotto costante scorta della polizia dal 2006, dopo aver pubblicato il libro ‘Gommora’, denunciando le pratiche della camorra, la mafia napoletana”, ricorda il Consiglio d’Europa. “Nel video – si riassume ancora nel testo – Matteo Salvini manda un bacio alla telecamera, dicendo ‘Un bacio a Saviano, sto lavorando a una revisione dei criteri per le scorte’.
Non è la prima volta che Salvini minaccia Saviano di togliergli la scorta.
Nel 2017 – prima ancora delle elezioni politiche – aveva già dichiarato di voler “valutare se ci fosse qualche rischio che giustificasse le misure di sicurezza per Saviano, per capire dove andava a finire il denaro degli italiani”.
Ma un avvertimento esplicito era arrivato anche nel giugno del 2018, quando Salvini era già al Viminale: “Valutiamo se gli serve la scorta”.
Nella polemica legata a quelle parole, lo scrittore aveva definito Salvini “ministro della Mala Vita”, evocando Giolitti. Per quelle parole il leader della Lega ha querelato Saviano, su carta intestata del ministero dell’Interno. Dietro l’angolo c’è la Russia di Putin, aveva replicato lo scrittore.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
DI MAIO E SALVINI VERSO LA PACE, ORA POSSIAMO VIVERE CON LE PEZZE AL CULO E FELICI
«Lo stupore della notte spalancata sul mar ci sorprese che eravamo sconosciuti io e te. Poi nel buio le tue mani d’improvviso sulle mie. È cresciuto troppo in fretta questo nostro amor».
Era il maggio del 1966 quando — cinquantatrè anni fa — Mina cantava per la prima volta Se telefonando.
Una canzone che mai come oggi è politicamente attuale. Dopo una notte di pensieri e riflessioni seguita allo spassosissimo discorso di Giuseppe Conte di ieri sera i due vicepremier, i gemelli del gol Salvini e Di Maio si sono telefonati.
Gaudeamus igitur perchè anche oggi il governo arriva a domani mattina.
Il segretario della Lega e il Capo Politico del Movimento 5 Stelle si sono sentiti al telefono. Secondo quanto riferisce AdnKronos sarebbe stato Luigi Di Maio a chiamare Salvini per una telefonata chiarificatrice. L’ottimismo è alle stelle, c’è chi parla addirittura della possibilità che dopo il colloquio telefonico i due possano incontrarsi di persona a breve forse oggi stesso al più tardi domani.
Conte sembra davvero contento che il suo discorso in cui menava il can per l’aia per venti minuti in attesa che succedesse qualcosa.
Fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che il premier valuta “positivamente il fatto che dopo la sua conferenza stampa di ieri i leader delle due forze di maggioranza siano tornati a parlarsi: il ritorno al dialogo è una buona premessa — proprio come auspicato ieri nel discorso del premier — per procedere nella giusta direzione”. Insomma Conte ha annunciato una “conferenza stampa” minacciando le dimissioni solo per convincere i due vicepremier a parlarsi.
Che la telefonata non sia poi così importante ce lo dimostrano invece i post pubblicati dai due vicepremier su Facebook.
Di Maio parla della necessità di andare avanti “col piede sull’acceleratore” (per schiantare il Paese contro il muro del debito?) mentre Salvini questa mattina ci parlava di due telefonate importante che aveva ricevuto nelle ultime ore.
La prima quella della figlia che ha perso un dentino, la seconda quella delle operazioni di polizia della notte. Una splendida giornata (straviziata, stravissuta, senza tregua?) commenta il Capitano citando Vasco Rossi.
Subito dopo la notizia della tanto attesa telefonata che ha tenuto col fiato sospeso il Paese le agenzie ne battono un’altra. Sarebbe stato trovato un accordo tra Lega e M5S sul decreto legge sblocca cantieri. Come è noto la Lega aveva presentato un emendamento che prevedeva la sospensione per due anni il codice degli appalti. Una richiesta che Toninelli aveva definito una stupidaggine e un pretesto per aprire la crisi di governo.
Viste le posizioni di partenza un accordo sembrava impossibile. E invece si apprende che da domani il dl sblocca cantieri sarà votato in Aula al Senato
Insomma ancora una volta non si è trovata una soluzione al problema principale: dove si trovano i soldi per tutte le promesse fatte da Salvini negli ultimi dieci giorni (una cifra che oscilla tra i trenta e i quaranta miliardi di euro).
Mentre scoppia la pace tra i due però i principali problemi del Paese rimangono sul tappeto. Nessuno nel Governo si è ancora degnato di spiegare agli italiani come e dove si troveranno i 23 miliardi necessari a scongiurare l’aumento dell’Iva previsto dal DEF e dalla legge di Bilancio del 2019.
Salvini ormai non parla nemmeno più di cambiare le regole europee per fare più debito ma in fondo è quello a cui punta.
Il problema è che di debito bisognerebbe farne davvero tanto per non aumentare l’Iva e introdurre la Flat Tax.
I leghisti da salotto televisivo ci spiegano in questi giorni che negli USA l’abbassamento delle tasse ha contribuito a rilanciare l’economia.
Ma a parte il fatto che gli Stati Uniti non devono sostenere (con i proventi delle tasse) uno stato sociale come il nostro (ad esempio non hanno una sanità pubblica paragonabile alla nostra) a quel punto tanto varrebbe azzerare le tasse. Non funziona così.
E se i leghisti “amici del popolo e dei poveri” vogliono farci diventare come gli USA dove chi è povero non ha i soldi per curarsi basta che lo dicano.
Così come non funziona giocare a “chi ha la testa più dura” con la Commissione Europea. Perchè mentre Salvini e Di Maio si telefonano nessuno dei due sembra preoccupato dallo spread che galoppa o dal fatto di dover rispondere alla letterina della Commissione che garbatamente ci fa notare che siamo a rischio dell’apertura di una procedura d’infrazione.
L’ultima volta che era successo il governo aveva mandato in televisione Laura Castelli a spiegare che l’esecutivo stava solo facendo quello che gli chiedeva il popolo.
Ma è un alibi che non regge: il “popolo” può benissimo rimanere all’oscuro del funzionamento dei meccanismi di bilancio e delle regole europee così come i passeggeri di uno scuolabus non devono conoscere il codice della strada.
L’autista però è tenuto a rispettare quelle regole (democraticamente stabilite) per non mandare a sbattere il mezzo e uccidere gli occupanti. Sarebbe quindi ora che il Governo prendesse in mano il volante.
Perchè i cittadini e la Commissione Europea si aspettano risposte chiare. I tempi sono stretti: entro il 27 settembre il Governo dovrà trasmettere al Parlamento la Nota di aggiornamento sul Def (Nadef), ad ottobre dovrà iniziare il percorso di approvazione. In mezzo il Presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia dovranno trattare con la Commissione i tetti di spesa ed evitare la procedura d’infrazione.
L’ultima volta si era partiti annunciando un 2,4% e ci si era trovati con un 2,04%. Le premesse per l’ennesima figuraccia ci sono tutte. A pagare saremo tutti.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
IN BASILICATA LA STORIA DI UNA RAGAZZA NIGERIANA 25 ENNE AL QUINTO MESE DI GRAVIDANZA SBATTUTA IN MEZZO A UNA STRADA DAL DECRETO SICUREZZA
Accade in Basilicata. Lei ha 25 anni, è riuscita a scappare dalla tratta della prostituzione nigeriana, la più terribile, ha una bambina di un anno ed al quinto mese di gravidanza.
Si chiama E., come tutti questi che hanno paura anche solo che si pronunci il loro nome di battesimo, come se dovessero scappare all’infinito, nonostante abbiano già sconfitto la Libia, siano già sopravvissuti al mare.
Vive in una struttura Cas in provincia di Matera, con i suoi figli e i suoi dolori e non si sarebbe mai aspettata di dover leggere il foglio in cui si dice che non è meritevole di protezione umanitaria.
Sono gli effetti del famoso Decreto Sicurezza del ministro dell’inferno ma soprattutto delle sue circolari che girano tra le Prefetture e che invitano (come quella arrivata alla Prefettura di Matera) alla revoca della misura di accoglienza per tutti i titolari di protezione umanitaria presenti nei Cas. E non avrebbe dovuto essere lì.
La burocrazia talvolta è una ragnatela che soffoca e del resto il Decreto Sicurezza non dovrebbe nemmeno poter essere retroattivo nonostante le circolari disumane del ministro dell’inferno.
Il fatto vero è che oggi l’Italia, dalle parti di Matera, lascia in mezzo a una strada una donna incinta e con un figlio tenuto per mano ed è la fotografia più significativa di una politica che non serve a nulla, che non argina nessuna emergenza ma che partorisce emarginati sbattuti là dive sta il percolato dell’umanità .
E fa niente che una Sentenza di Cassazione (n. 4890 del 23 gennaio 2019) dica che non si possa applicare il decreto alle situazioni in corso prima dell’entrata in vigore (era il 5 ottobre dell’anno scorso).
I funzionari sparsi per l’Italia si allineano proni alle direttive per via informale di un ministro dell’inferno che sta costruendo le stesse macerie che poi si proporrà di liberare, come previsto.
Ed è un Paese piccolo piccolo quello che ha bisogno di lasciare una fragile come una derelitta in giro per strada pur di accontentare la bocca sempre affamata di un elettorato che infligge le pene ai disperati sperando così di alleviare le proprie.
È un Paese che dovrà rispondere a quel bambino e al nascituro, dovrà raccontargli che è andata così perchè a forza di cercare un nemico immaginario alla fine ci hanno rimesso lui, suo fratello e sua madre, con tutta la pericolosità che si portano addosso e con tutta quella storia malsana che li ha portati fin qui sperando di avere trovato un approdo e invece scoprendo di essere finiti in un buco di cattivismo che riesce ad essere forte solo con i deboli.
E poi finisce per essere sempre debole con i forti. Il caso, denunciato dall’associazione “LasciteCIEntrare” è una ferita, l’ennesima, di un Paese che sanguina ma non se ne accorge nemmeno.
(da “TPI”)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
NEL LIBRO “CACCIATELI!” LE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI CHE SUBIRONO I 500.000 MIGRANTI ITALIANI NEL PAESE ELVETICO
Dalla Svizzera arrivano spesso storie che non ti aspetti. Può essere quella dello sconosciuto e “formidabile esercito svizzero” disvelato magnificamente da John McPhee, quella del tennista più forte di tutti i tempi, o dello scafo capace di vincere un paio di volte la Coppa America di vela, non male per un paese che non vede il mare nemmeno dalla serratura delle seconde case.
Ma chi ha sentito parlare di Roger Federer e di Alinghi probabilmente non ha mai incontrato – o googlato – James Schwarzenbach.
Eppure non è detto che non serva sapere chi fosse questo personaggio decisamente originale, a suo tempo editore di Zurigo, cugino di una scrittrice altrettanto sconosciuta e, a metà degli anni Sessanta, unico deputato del partito di estrema destra, dal programmatico nome Nationale Aktion.
Non proprio una posizione di forza, ma sufficiente, come primo atto, per riuscire a promuovere un referendum – ah, i famigerati referendum svizzeri, ah, la famigerata democrazia diretta (svizzera) – per aggiungere nella Costituzione un articoletto che stabilisce di ridurre la percentuale di immigrati dal 17 al 10 per cento: una bazzecola, circa trecentomila, e, per coincidenza, in larga maggioranza italiani.
Sulle dimensioni della bazzecola e sulla coincidenza si interroga il giornalista Concetto Vecchio, che nel suo “Cacciateli!” (Feltrinelli), racconta – incrociandola con la sua esperienza di orgoglioso figlio (siculo-elvetico) di immigrati svizzeri – le vicende dei tanti italiani costretti nel secondo dopoguerra a cercare fortuna oltralpe.
“Alla metà degli anni sessanta – scrive Concetto Vecchio – vivono in Svizzera più di 500mila italiani. Quando scendono alle stazioni dai nomi ostici, Winterthur, Schaffhausen, Dietikon, posano per terra un solo bagaglio”.
Arrivano dal Sud, come i genitori di Concetto, originari di Linguaglossa, luogo etneo già delizioso, ma troppo in anticipo per immaginare (agri)turismo di charme, uva da listino di Borsa e trekking vulcanici.
E arrivano anche dal (non ancora ricco) Nord. Vicino Nord, e proprio per questo, scrive Vecchio, “dicono che gli emigrati settentrionali, i muratori delle montagne venete o lombarde, sopportino meglio l’emigrazione”.
Due ore di treno sono meglio di ventiquattro, certo, ma resta il fatto che allora – in Italia – si era poveri – molto – e basta.
E arrivati nella Svizzera-Bengodi non ti restava che finire in baracche che banalmente ricordano qualcosa a metà tra le ordinate e tragiche costruzioni in legno dei campi di lavoro nazisti e i pratici centri di rifugiati di oggi.
Miserie operose e sovrappopolate che attirano periodicamente l’attenzione dei nostri media indignati di allora e, piano piano, finiscono per ingrossare le fila degli immigrati, che nel ’69 entreranno nel mirino di… Schwarzenbach.
“Individualista e solitario,” – scrive Concetto Vecchio – “elitario e fanatico, Schwarzenbach è la prima rockstar populista. Il primo che incita alla lotta ‘contro quelli di Berna’, ma se uno gli chiede se è razzista, come tutti i populisti, risponde di no”.
Al tipo non dispiacciono gli slogan come “La Svizzera agli svizzeri!”, ”è felice che i telespettatori di tutta Europa possano ammirarlo con alle spalle la grande biblioteca”, e ha una vena candidamente anti-sviluppista: “Conduco una campagna contro la crescente espansione dell’economia”.
Già , perchè, allora come oggi, gli immigrati erano preziosi. Anche quelli integrati da vent’anni come un certo Romeo Bedini, sposato, due figli, mancato per un pelo dal vicino di casa sostenitore del primo “partito anti-stranieri in Europa”.
A cui non andava a genio che alle nove di sera l’italiano lavorasse ancora in giardino, coltivando la sua insalata, e gli aveva sparato.
A tre giorni dal referendum che poteva cambiare l’Europa, e che, al netto del risultato, forse l’ha cambiata lo stesso.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 4th, 2019 Riccardo Fucile
PEGGIO DI NOI IN EUROPA SOLO LA GRECIA… SE POI CADESSE IL GOVERNO NELLA CATEGORIA DOVREMMO CONSIDERARE ANCHE SALVINI E DI MAIO
Cosa succede quando il Governo si blocca per mesi perchè c’è da battere in lungo e in largo il Paese per fare campagna elettorale (prima le regionali in Abruzzo e Sardegna, poi le europee)?
Succede che il Paese va avanti senza un governo. O meglio: non va avanti.
Ad esempio capita che il Ministero dello Sviluppo Economico si dimentichi di vigilare e lavorare sui tavoli di crisi e quindi di troviamo da un giorno all’altro 1800 disoccupati per la crisi di Mercatone Uno e 430 persone a rischio licenziamento perchè Whirlpool ha deciso che gli accordi sottoscritti sei mesi fa sono carta straccia (tanto nessuno controlla).
E non finisce qui. In attesa di vedere gli effetti di Quota 100 (ricordate quando Di Maio prometteva sarebbe stata un moltiplicatore dei posti di lavoro?) le cattive notizie arrivano dall’ISTAT.
L’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato oggi i dati provvisori circa l’andamento dell’occupazione ad aprile 2019.
Le notizie non sono quelle che speravano dalle parti del Governo dove hanno ben altro a cui pensare. Perchè mentre Di Maio e Salvini si telefonano per promettersi fedeltà eterna, mentre Conte va in conferenza stampa a parlare del nulla per venti minuti il Paese “va avanti”.
«Ad aprile 2019 la stima degli occupati risulta sostanzialmente stabile rispetto al mese precedente; anche il tasso di occupazione rimane invariato al 58,8%».
Un tasso di occupazione che ci dice che siamo al penultimo posto in Europa, appena prima della Grecia e ormai staccati dalla Spagna.
Già questo dato basterebbe a smontare la retorica salviniana che in questi giorni ha scoperto che il problema dell’Italia è il lavoro (o meglio la mancanza di) e che sostiene che per far ripartire il Paese bastano cose come i minibot o fare miliardi di debito aggiuntivo.
Nonostante il Decreto Dignità , nonostante il Reddito di Cittadinanza (che dovrebbe servire proprio ad aumentare l’occupazione) il mercato del lavoro in Italia rimane fermo. Un anno di governo del Cambiamento è riuscito nella non facile impresa di non migliorare una situazione che doveva e poteva essere migliorata.
E così mentre secondo fonti di Palazzo Chigi il Presidente del Consiglio Conte valuta “positivamente il fatto che dopo la sua conferenza stampa di ieri i leader delle due forze di maggioranza siano tornati a parlarsi” gli italiani si guardano intorno e si interrogano se sia meglio gioire perchè due che dovrebbero lavorare per noi sono tornati a parlarsi o se sia il caso di iniziare a preoccuparsi perchè quando Di Maio e Salvini si parlano le cose rimangono le stesse.
A soffrire di più sono i giovani.
Scrive l’ISTAT che «ad aprile si stimano andamenti diversificati per età : tra i 15-34enni si registra un calo del tasso di occupazione e un aumento del tasso di disoccupazione e di inattività . In particolare, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale di 0,8 punti percentuali, attestandosi al 31,4%».
Anche qui siamo il fanalino di coda dell’Unione Europea (ma sicuramente ora basterà cambiare le regole della statistica assieme ai trattati).
Eurostat dice ad aprile la Grecia ha segnato il tasso più alto (38,8% a febbraio), seguita dalla Spagna (32,7%). Ma come, Quota 100 avrebbe dovuto favorire il ricambio generazionale e tutte quelle belle cose? A quanto pare per ora i risultati non si vedono. Il mantra del lasciateli lavorare, assume un significato molto più amaro. Perchè con un mercato del lavoro sostanzialmente fermo è una consolazione che almeno Luigi Di Maio e Matteo Salvini un’occupazione ce l’abbiano ancora. Se ieri sera fosse caduto il governo ci saremmo dovuti occupare pure di loro.
(da agenzie)
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