PRIMA GLI SVIZZERI!
NEL LIBRO “CACCIATELI!” LE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI CHE SUBIRONO I 500.000 MIGRANTI ITALIANI NEL PAESE ELVETICO
Dalla Svizzera arrivano spesso storie che non ti aspetti. Può essere quella dello sconosciuto e “formidabile esercito svizzero” disvelato magnificamente da John McPhee, quella del tennista più forte di tutti i tempi, o dello scafo capace di vincere un paio di volte la Coppa America di vela, non male per un paese che non vede il mare nemmeno dalla serratura delle seconde case.
Ma chi ha sentito parlare di Roger Federer e di Alinghi probabilmente non ha mai incontrato – o googlato – James Schwarzenbach.
Eppure non è detto che non serva sapere chi fosse questo personaggio decisamente originale, a suo tempo editore di Zurigo, cugino di una scrittrice altrettanto sconosciuta e, a metà degli anni Sessanta, unico deputato del partito di estrema destra, dal programmatico nome Nationale Aktion.
Non proprio una posizione di forza, ma sufficiente, come primo atto, per riuscire a promuovere un referendum – ah, i famigerati referendum svizzeri, ah, la famigerata democrazia diretta (svizzera) – per aggiungere nella Costituzione un articoletto che stabilisce di ridurre la percentuale di immigrati dal 17 al 10 per cento: una bazzecola, circa trecentomila, e, per coincidenza, in larga maggioranza italiani.
Sulle dimensioni della bazzecola e sulla coincidenza si interroga il giornalista Concetto Vecchio, che nel suo “Cacciateli!” (Feltrinelli), racconta – incrociandola con la sua esperienza di orgoglioso figlio (siculo-elvetico) di immigrati svizzeri – le vicende dei tanti italiani costretti nel secondo dopoguerra a cercare fortuna oltralpe.
“Alla metà degli anni sessanta – scrive Concetto Vecchio – vivono in Svizzera più di 500mila italiani. Quando scendono alle stazioni dai nomi ostici, Winterthur, Schaffhausen, Dietikon, posano per terra un solo bagaglio”.
Arrivano dal Sud, come i genitori di Concetto, originari di Linguaglossa, luogo etneo già delizioso, ma troppo in anticipo per immaginare (agri)turismo di charme, uva da listino di Borsa e trekking vulcanici.
E arrivano anche dal (non ancora ricco) Nord. Vicino Nord, e proprio per questo, scrive Vecchio, “dicono che gli emigrati settentrionali, i muratori delle montagne venete o lombarde, sopportino meglio l’emigrazione”.
Due ore di treno sono meglio di ventiquattro, certo, ma resta il fatto che allora – in Italia – si era poveri – molto – e basta.
E arrivati nella Svizzera-Bengodi non ti restava che finire in baracche che banalmente ricordano qualcosa a metà tra le ordinate e tragiche costruzioni in legno dei campi di lavoro nazisti e i pratici centri di rifugiati di oggi.
Miserie operose e sovrappopolate che attirano periodicamente l’attenzione dei nostri media indignati di allora e, piano piano, finiscono per ingrossare le fila degli immigrati, che nel ’69 entreranno nel mirino di… Schwarzenbach.
“Individualista e solitario,” – scrive Concetto Vecchio – “elitario e fanatico, Schwarzenbach è la prima rockstar populista. Il primo che incita alla lotta ‘contro quelli di Berna’, ma se uno gli chiede se è razzista, come tutti i populisti, risponde di no”.
Al tipo non dispiacciono gli slogan come “La Svizzera agli svizzeri!”, ”è felice che i telespettatori di tutta Europa possano ammirarlo con alle spalle la grande biblioteca”, e ha una vena candidamente anti-sviluppista: “Conduco una campagna contro la crescente espansione dell’economia”.
Già , perchè, allora come oggi, gli immigrati erano preziosi. Anche quelli integrati da vent’anni come un certo Romeo Bedini, sposato, due figli, mancato per un pelo dal vicino di casa sostenitore del primo “partito anti-stranieri in Europa”.
A cui non andava a genio che alle nove di sera l’italiano lavorasse ancora in giardino, coltivando la sua insalata, e gli aveva sparato.
A tre giorni dal referendum che poteva cambiare l’Europa, e che, al netto del risultato, forse l’ha cambiata lo stesso.
(da “Huffingtonpost”)
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