Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
L’AUDIO SHOCK: “DOMANI LO ARRESTANO”… GRAVI CARENZE NELLE INDAGINI, LE RIVELAZIONI DAL QUOTIDIANO ON LINE “AFRICA EXPRESS”… IL GOVERNO ITALIANO LATITANTE… I SOVRANISTI COME AL SOLITO NON TUTELANO GLI ITALIANI
Novità sul caso Silvia Romano arrivano dal quotidiano online Africa Express, in un’inchiesta ripresa anche dal Fatto Quotidiano realizzata da Massimo Alberizzi, secondo il quale, dietro la scomparsa della 23enne in Kenya, ci sarebbero gravi carenze nelle indagini sulla cooperante italiana rapita a Chakama nel novembre 2018.
Ripercorrendo i mesi trascorsi in Kenya da Silvia, l’inchiesta mette in luce nuovi aspetti sulla permanenza della ragazza nel paese africano.
Sulle ragioni alla base del sequestro ci sono tre ipotesi: ottenere un riscatto; tapparle la bocca su casi di pedofilia a Likoni; mettere a tacere un caso di molestie a Chakama.
Tra le varie tappe ripercorse dall’inchiesta, c’è il periodo in cui Silvia ha pernottato alla guest-house Marigold, nel centro di Mombasa. Silvia avrebbe dormito lì in più occasioni: una prima volta il 22 settembre e poi la notte tra il 5 e il 6 novembre, come risulta dai registri. Eppure Alberizzi rileva che in quella struttura la polizia che si occupa delle indagini non ha mai messo piede.
“Quando abbiamo saputo del rapimento della ragazza — ha raccontato il figlio della proprietaria della struttura — pensavamo di ricevere la visita di qualche investigatore, ci siamo meravigliati, non è comparso nessuno”.
Il registro del Marigold Guest House mostra che Silvia ha dormito nella camera 4 (foto di Hillary Duenas per Africa ExPress)
L’inchiesta si focalizza poi sulla figura di Davide Ciarrapica, 31enne di Seregno che Silvia aveva conosciuto a una festa di beneficienza poco dopo essere arrivata per la prima volta in Kenya, il 22 luglio. Davide è il fondatore della Onlus Orphan’s Dream, con cui Silvia ha fatto un’esperienza di un mese di volontaria.
Secondo la ricostruzione, Silvia aveva seguito il 31enne per diventare volontaria. La ragazza era rimasta nel centro per circa un mese, per poi fare ritorno in Italia, ma solo per pochi mesi. Il 5 novembre era ritornata nel Paese africano, dove era stata accolta in aeroporto proprio da Ciarrapica, con cui aveva trascorso solo un giorno, per poi andare a Chakama, da cui è sparita, con due volontari della Africa Milele, la onlus con cui poi ha lavorato.
L’inchiesta di Africa Express ruota molto attorno a quanto sarebbe accaduto nel centro gestito dal 31enne di Seregno, condannato in Italia a 6 anni di reclusione per aver staccato a morsi un orecchio durante una rissa in discoteca a Milano.
Nessuno ha parlato espressamente di pedofilia, ma di “cose poco corrette e imbarazzanti” e di “atteggiamenti strani di Davide e il suo socio”, figlio di famoso politico locale. Dunque Silvia poteva aver visto qualcosa e denunciato.
Nella sua deposizione del 15 maggio scorso alla polizia, Ciarrapica, che peraltro afferma di essere stato ascoltato dai carabinieri del Ros durante una sua visita in Italia in gennaio, dichiara di aver sconsigliato a Silvia di andare e prendere servizio a Chakama.
Lo stesso Ciarrapica, in un’intervista a TPI, aveva dichiarato lo stesso: “Inizialmente, quando lei è stata nel mio orfanotrofio e mi ha detto che voleva andare in questa associazione le ho spiegato che andare nell’altro villaggio era una cosa completamente diversa: ‘Qui sei in un orfanotrofio, hai l’elettricità , c’è la sicurezza, là sei in mezzo alla foresta, al niente’. Ma lei è andata ugualmente. Inizialmente le cose sono andate bene, è rimasta circa un mese”.
Eppure, secondo l’inchiesta, in una email visionata dal giornalista c’è scritto esattamente il contrario. Anzi, sarebbe stato proprio Ciarrapica a consigliarle di andare.
Nell’inchiesta viene raccolta anche la testimonianza di un keniota che lavorava nel centro di Ciarrapica: “No, non credo che ci siano stati casi di pedofilia, però un giorno mi hanno allontanato dicendo: ‘Conosci troppi segreti di questo posto. È meglio che tu vada via’. Licenziato in tronco”, avrebbe riportato al quotidiano.
I rapporti tra Silvia e Ciarrapica riprendono anche dopo la pausa di Silvia in Italia. A novembre, infatti, Silvia torna a Likoni, dove però avrebbe trovato un’accoglienza molto fredda: secondo le indagini del giornalista, la ragazza avrebbe sarebbe stata punita per aver organizzato incontro di beneficenza e non aver raccolto abbastanza fondi.
L’inchiesta raccoglie la testimonianza di uno degli inquirenti kenioti che sta cercando di dipanare l’intricata matassa: “Abbiamo avuto indicazioni che Silvia manifestasse un certo disagio nei confronti della struttura dove, secondo lei, si verificavano molestie nei confronti dei piccoli ospiti. Quell’organizzazione è guardata con una certa benevolenza dalle autorità locali. Il socio e amico di Davide Ciarrapica, nonchè proprietario della villa che la ospita, Rama Hamisi Bindo, è figlio di un famoso politico e gode di protezioni insospettabili”.
L’11 novembre, nove giorni prima di essere sequestrata, Silvia si reca alla centrale di polizia a denunciare un keniota che per qualche giorno ha soggiornato nello stesso affittacamere in cui da tempo vivono i volontari dell’associazione, Francis Kalama di Marafa, pastore anglicano: lo accusano di atteggiamenti equivoci nei confronti di alcune bambine.
La ricerca di Alberizzi sui registri delle querele della polizia però non porta a nulla. Gli agenti che se ne occupano e controllano i faldoni, non hanno nulla di concreto da consegnare. Ma un prezioso audio che Silvia manda via Whatsapp a un’amica rivela come quella denuncia fosse stata fatta e attendeva anche un seguito:
Silvia racconta di essere andata alla polizia e di aver avuto l’assicurazione che Kalama sarà arrestato e che le bambine saranno “sottoposte a un test medico”. Particolare assai pesante. La promessa comunque non avrà seguito: Kalama è uccel di bosco, sparito. Di lui nessuno ha più traccia, tanto meno gli investigatori, nè si pensa abbia mai avuto notifica della denuncia.
(da TPI)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
I FONDAMENTALISTI ISLAMICI AL CONFRONTO SONO DEI LIBERAL… COLLANT OBBLIGATORI ANCHE D’ESTATE, NIENTE TRUCCO, INTIMO SCURO MORIGERATO (CHE NON SI VEDA), NIENTE GIOIELLI, CAPELLI ORDINATI SENZA GEL
Poi si lamentano dei fondamentalisti islamici, ma in quanto a ossessione con il decoro la Lega non è seconda a nessuno.
E a Cittadella, cittadina a guida leghista in provincia di Padova, il nuovo regolamento sul look delle vigilesse è strettissimo: non solo si stabiliscono le norme per uniforme e taglio di capelli, ma si pontifica anche sull’intimo che le donne vigile dovranno indossare. Colore uniforme e scuro, in modo che non si veda sotto i vestiti. Collant obbligatori anche d’estate, per non lasciare le gambe scoperte.
Accade a Cittadella, comune padovano di ventimila abitanti. L’articolo 30 del regolamento, relativo alla «cura della persona» parte dai capelli e stabilisce che il taglio non dovrà essere «bizzarro o inusuale»
Vietati l’uso eccessivo di gel, lacca e la tinta a meno che non sia del colore naturale. Attenzione anche ai capelli lunghi: la chioma non dovrà «superare il bordo inferiore del colletto della giacca».
Chi non può fare a meno dei capelli lunghi li potrà raccogliere «in una treccia o in una coda di cavallo» a patto che elastici e spille siano poco appariscenti.
Indicazioni particolari per mutandine e reggiseni che dovranno essere sempre indossati e dovranno essere di un colore tale «da non risultare visibili attraverso ogni tipo di vestiario». Collant obbligatorio, anche in estate: «semplice, classico, senza disegni o ricami».
Per i gioielli, oltre alla fede, le vigilesse potranno sfoggiare un solo anello «non appariscente», una catenina e una braccialetto al polso sinistro.
Il trucco? Meglio non esagerare con rossetto e cipria e ricordare che ciglia e sopracciglia finte saranno vietate.
Le restrizioni valgono anche per i colleghi maschi che potranno portare barba e baffi ma «dovranno essere ben tagliati, ordinati e di lunghezza non eccessiva».
Le nuove regole non sono state ovviamente accolte favorevolmente dai rappresentanti sindacali dei vigili urbani, che per contrastare un regolamento più che discutibile sono pronti a inviare una diffida all’amministrazione.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
VOI PAGHERESTE ANCORA I DEBITI DI UN FAMILIARE UBRIACONE CHE, NONOSTANTE I VOSTRI PRESTITI, CONTINUA A SPUTTANARE SOLDI ALL’OSTERIA E PRETENDE ALTRI QUATTRINI?
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sottolineato che nel corso della trattativa con l’Europa l’Italia non intende assecondare a priori le condizioni di Bruxelles “Quando io mi muovo, non per ragioni personali ma istituzionali rappresento l’Italia, una potenza del G7 e ne sono orgoglioso. Ho fatto 37 missioni, forse ora 38,39, e chi mi ha incontrato può testimoniare che non ho mai avuto l’atteggiamento di chi ha il cappello in mano. Io il cappello non lo porto, non lo porto nemmeno a Bruxelles”.
La flat tax resta in cima ai pensieri di Matteo Salvini. Per realizzarla, ha detto oggi il vice premier, “servono almeno 10 miliardi, facciamo 15”. Al Corriere aveva detto: “Altrimenti saluto e me ne vado”. Concetto poi stemperato nelle dichiarazioni del corso della giornata
Piccata comunque la risposta dei 5 Stelle all’intervista di Salvini: “Tutti vogliamo tagliare le tasse. La Lega non è all’opposizione, ma al governo come noi, quindi se servono 10 miliardi tracci la strada per trovarli invece di scaricare la colpa sugli altri. Salvini non può sempre dire è colpa degli altri. Così è troppo facile”.
E poi scende in campo Luigi Di Maio: “La Lega ha vinto le elezioni europee, non può dire sempre che è colpa degli altri”. E poi: “I soldi per tagliare le tasse non si trovano sui giornali”.
Insomma, torna ad esplodere la tensione tra i due azionisti della maggioranza dopo una fragile tregua seguita alle elezioni europee.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
DOPO LE EUROPEE LA FLAT TAX COSTAVA 50 MILIARDI, POI SONO DIVENTATI 15, ORA NE BASTANO 10, UNA BUFFONATA… DAI, SCENDI A 49 MILIONI, RESTITUISCI I SOLDI RUBATI DALLA LEGA E FACCIAMO FINTA CHE ABBIAMO SCHERZATO
Matteo Salvini oggi ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera dove fa sapere quanto costa la sua permanenza nel governo giallo-verde. Il prezzo che il ministro dell’Interno fissa oggi, 21 giugno 2019, è di dieci miliardi di euro.
Sono tanti? Sono pochi? A cosa servono? Dopo il suo viaggio negli USA Salvini è rimasto folgorato dalla Abenomics (che piace molto anche a Trump). Risultato: tornato in Italia scopre che «il problema è che non esiste un taglio delle tasse serio che possa richiedere meno di dieci miliardi». Davvero? Perchè meno di un mese fa Salvini era di tutt’altro avviso.
È un Salvini che si sta sgonfiando quello che vediamo oggi? Sembrerebbe di sì, perchè il vicepremier chiede “appena” dieci miliardi di euro per poter fare la sua riforma fiscale. In caso contrario, se Conte, Tria, il M5S o l’Europa non fossero d’accordo ecco pronto il Piano B: «Se non me la dovessero far fare, io saluto e me ne vado». Salvini sente proprio che è suo dovere fare questa riforma coraggiosissima. Ed è disposto ad andare fino in fondo e quindi a far cadere il governo. Ci dobbiamo preoccupare?
Prendiamo ad esempio quello che dichiarava Salvini il giorno dopo le elezioni europee. I toni (e i numeri) erano decisamente diversi. Il Leader dell’Europa dei Popoli (come lo chiama Morisi al quale evidentemente il titolo di Capitano va ormai stretto e quello di “ministro” non sembra adeguato) batteva i pugni sul tavolo. E prometteva di non aumentare l’IVA e di fare una Flat Tax al 15% per tutti.
Costo della manovra così concepita? Circa 50 miliardi di euro.
Come voleva farla Salvini? Su questo aspetto non si è mai spiegato in maniera precisa. A volte ha lasciato intuire che volesse finanziarla facendo debito. In altre occasioni ha fatto intendere che quel debito doveva essere garantito dalla BCE (cosa che non è possibile). Più di recente sono saltati fuori i minibot e pure un’assurda proposta di utilizzare la “ricchezza nascosta” nelle cassette di sicurezza (che nessuno sa a quanto ammonti di preciso).
Passa ancora qualche tempo e il costo totale della grane manovra salviniana si contrae ancora: si parla di 15 miliardi o di una forchetta tra i 10 e i 12 miliardi di euro. Come è possibile che la stessa identica proposta venga a costare un giorno 30 miliardi, un giorno 50 e un altro 10?
Certo, non c’è più la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia dell’Iva, ma non basta.
Per chi ritiene che questo sia l’ultimo ultimatum di Salvini ricordiamo che il leader della Lega sembrava irremovibile anche all’epoca. Ad esempio il 29 maggio dichiarava «sulla Flat Tax non mi piego all’Europa».
Curiosamente oggi non parla più di tassa piatta ma di un generico abbassamento delle tasse. E la questione dell’aumento dell’IVA — che il suo governo prevede di aumentare al 25,2% a partire dal 2020 — è letteralmente scomparsa dal discorso pubblico. Del resto Salvini non ha mai chiarito dove vuole trovare le risorse necessarie.
E non lo fa nemmeno oggi. Perchè dice solo che «con il taglio delle tasse si rianima l’economia e i soldi ritornano». Il problema però è trovarli, altrimenti come fai a spenderli? Niente.
Lui è fermamente intenzionato ad abbassare le tasse anche se i soliti burocrati-di-chissà -dove dicessero che non si può fare. Prima gli italiani! Chissà come la prenderanno gli italiani quando Salvini gli dovrà dire che se vogliono la Flat Tax (una tassa che va a vantaggio dei ricchi) dovranno prendersi un bell’aumento dell’Iva (che invece colpisce soprattutto i più poveri)?
Se ci fosse un grafico dello spread tra le promesse di Salvini e la realtà il differenziale sarebbe alle stelle. Ma lui è uno che è molto bravo a fare manovre correttive sulle sue dichiarazioni a seconda della convenienza politica ed elettorale. Qual è il senso di questa contrattazione? Se l’andamento della Salvinomics dovesse continuare con questa tendenza al ribasso fra un po’ il ministro dell’Interno supplicherà di poter spendere i 49 milioni di euro della Lega per poter fare qualche manovrina-ina-ina.
Per come si stanno mettendo le cose sembra già di rivedere il film della Manovra del Popolo. Vi ricordate di quando Di Maio e Salvini giuravano che non avrebbero accettato nulla di meno di un 2,4% e poi Conte tornò a casa con un 2,04%?
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
APERTA INCHIESTA CORTE DEI CONTI PER DANNO ERARIALE… E POI NON DITE CHE LA SINDACA E’ UN’INCAPACE
Che non si dica, per carità , che Virginia Raggi è un’incapace. Che non si dica che i manager che ha scelto per ATAC sono degli incapaci.
Si riporti soltanto la notizia: i 70 bus israeliani che la sindaca e la municipalizzata dei trasporti romana avevano annunciato per la Capitale se ne tornano a casa loro senza aver fatto nemmeno un chilometro.
Il colpo di scena (no, non lo è: era tutto previsto e prevedibile) arriva con un lancio dell’agenzia di stampa DIRE dove parla la consigliera del Partito Democratico Ilaria Piccolo:
I 70 bus presi a noleggio da ATAC dopo oltre 10 anni di onorato servizio a Tel Aviv, in Israele, annunciati dalla sindaca Virginia Raggi e che finora erano rimasti bloccati nei depositi di Salerno e di Roma, sono già al capolinea: non entreranno mai in servizio nella Capitale.
I mezzi infatti, datati 2008, all’arrivo in Europa dovevano essere reimmatricolati, ma essendo Euro 5 e non Euro 6 non è stato possibile avviare la procedura perchè avrebbe violato le direttive comunitarie: ATAC ha quindi deciso di rescindere il contratto, dopo aver comunque già versato ai fornitori un anticipo pari al 16% dell’importo totale (il costo per il nolo, manutenzione compresa, è di circa 500mila euro al mese).
Soltanto il 6 marzo scorso la Raggi, che non è certo un’incapace, si era fatta la fotina ricordo con i bus e lo slogan caruccio “+ bus x Roma“, annunciando che “Il percorso per rinnovare la flotta di Atac è appena iniziato: a breve saranno su strada anche gli altri 70 bus a noleggio e ad aprile partirà la prima linea di minibus elettrici per il Centro storico”.
La storia dei 70 bus israeliani affittati da ATAC che non possono essere instradati perchè euro 5 e non euro 6 ha portato anche all’apertura di un fascicolo per danno erariale da parte della Corte dei Conti. Quei mezzi dovevano essere in strada entro il 20 aprile. Ma dopo più di un mese, complici i dubbi della motorizzazione sulla possibilità di targare vetture euro 5 di importazione, gli autobus erano ancora fermi nel deposito della municipalizzata a Guidonia.
I bus servivano anche per centrare l’obiettivo dell’aumento della produzione promesso nel concordato: nel 2016 i bus Atac avevano percorso 89,3 milioni di chilometri, mentre nel 2017 e nel 2018 i mezzi di superficie della municipalizzata non hanno toccato neanche quota 85 milioni.
L’amministratore delegato di via Prenestina, Paolo Simioni, l’estate scorsa è riuscito a ordinare 227 autobus. Ma la società che li dovrebbe produrre ha avuto alcuni problemi finanziari, e i nuovi mezzi arriveranno dopo l’estate, nel migliore dei casi, o addirittura nella parte finale dell’anno. Ecco perchè la municipalizzata ha dovuto inventarsi, su due piedi, un’alternativa.
Ora si attendono i bus turchi che il M5S Roma ha cercato di spacciare per italiani.
Per la precisione dovrebbero essere 227 i nuovi autobus che “presto” arriveranno a Roma. Lo annunciava Virginia Raggi a novembre 2018 spiegando che grazie al M5S erano state salvate due grandi aziende italiane in difficoltà . La prima era ATAC, salvata perchè il Comune (e quindi i cittadini di Roma) ha deciso di rinunciare ai crediti nei confronti dell’azienda. La seconda è l’Industria Italiana Autobus, impresa vincitrice della gara Consip per la fornitura dei 227 nuovi autobus.
La realtà però è ben diversa. Perchè quegli autobus — che secondo l’assessora Meleo dovrebbero arrivare entro l’estate — non saranno made in italy.
Perchè proprio nei giorni in cui Stefà no e la Raggi parlavano di risanamento dell’azienda la IIA non aveva ancora firmato il contratto di acquisto e poco dopo, a dicembre 2018, sarebbe stata acquistata dai turchi di Karsan.
L’alternativa era il fallimento e la chiusura. E così la grande azienda salvata dal M5S in realtà ha quasi rischiato di chiudere e a salvarla sono stati i turchi. Siamo quindi al punto in cui dei 600 nuovi autobus promessi a più riprese dal M5S non se ne è visto nemmeno uno.
Ma non dite che la Raggi è un’incapace, eh? Sennò si offende, pòra stella.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
DAI CONTI IN ROSSO A 2 MILIONI DI FATTURATO
Aveva i conti in rosso, ma la situazione della Casaleggio Associati nel 2018 è migliorata. L’azienda che Davide ha ereditato dal padre Gianroberto ha chiuso il 2018, l’anno in cui è nato il governo gialloverde, con un sontuoso aumento di fatturato e con un incremento dell’utile.
Stefano Feltri e Carlo Tecce sul Fatto Quotidiano commentano il bilancio dell’ultimo anno:
Il fatturato, secondo il bilancio del 2018 appena depositato, passa da 1,2 milioni di euro del 2017 a 2 milioni del 2018.
Un balzo di oltre il 60 per cento, ma che lascia l’azienda guidata da Davide Casaleggio tra quelle di piccola taglia.
I costi per la produzione, in dodici mesi, sono passati da 1,1 milioni a 1,8 milioni, ma l’utile di esercizio risulta in aumento considerevole, da 20.480 euro a 181.473 euro, tutti destinati a riserva. Niente dividendi per gli azionisti.
L’incremento, spiega la nota integrativa, è dovuto al riposizionamento dell’azienda nell’attività della consulenza strategica alle piccole e medie imprese:
Nei mesi scorsi, il Fatto ha raccontato questa attività di “riposizionamento”, tra convegni, iniziative, consulenze e report sponsorizzati da aziende che vedono nella Casaleggio Associati un ponte verso il governo M5S. §
Il report annuale sull’eCommerce in Italia, per esempio,nel 2019 è stato finanziato tra gli altri da varie aziende con contributi tra i 5 e i 10.000 euro.
Tra queste, Deliveroo, la multinazionale delle consegne che è impegnata in una trattativa sulle regole del settore con il ministero dello Sviluppo di Luigi Di Maio.
Il rapporto sulla Blockchain è stato finanziato da aziende come Consulcesi e Poste (30.000 euro ciascuna).
Intanto la Casaleggio ha cambiato sede: ora è in via Umberto Visconti di Modrone 30, vicino al Duomo mentre al vecchio indirizzo è rimasta la Fondazione Rousseau
La struttura della Casaleggio Associati resta minima: 13 dipendenti che costano, tutti insieme, 378.000 euro di salari e stipendi, in aumento rispetto ai 259.000 del 2017.
Il consiglio di amministrazione ha un costo complessivo analogo a quello di un singolo dirigente Rai, 246.000 euro.
Gli amministratori sono quattro: Davide Casaleggio è il presidente, poi ci sono tre consiglieri, Luca Eleuteri, Maurizio Benzi e Marco Maiocchi. Sono tutti e quattro soci, anche se Casaleggio detiene la quota di gran lunga maggioritaria, con il 60 per cento del capitale.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
SI FIRMA SU CHANGE.ORG… CON LE ULTIME FRASI SU CAMILLERI E IL COMMISSARIO MONTALBANO DEFINITO “TERRONE ROMPICOGLIONE” HA RAGGIUNTO IL FONDO
C’è da fotografare la reazione del popolo del web, massiccia e convinta.
In tanti, su Change.org stanno chiedendo la radiazione di Vittorio Feltri dall’ordine dei giornalisti.
La petizione, lanciata nella serata di ieri, ha già raggiunto più di 27mila firme
Sia Sandro Ruotolo, sia Paolo Borrometi — entrambi giornalisti che si battono contro la mafia e la criminalità organizzata in generale — hanno dichiarato la loro incompatibilità con la presenza nello stesso albo di Vittorio Feltri, che si era reso protagonista di un’uscita infelice su Andrea Camilleri e sul commissario Montalbano.
L’editorialista di Libero, infatti, aveva dichiarato che con la morte di Camilleri, ci saremmo liberati di quel «terrone rompicoglioni» del commissario Montalbano.
Una frase che era stata riportata in un editoriale di Libero, due giorni dopo l’arresto cardiaco che aveva colpito l’autore del best seller diventato celebre anche attraverso uno sceneggiato Rai.
Ora, mentre si aggiungono sempre più nomi illustri alla protesta dei giornalisti Ruotolo e Borrometi, la sollevazione popolare sta portando a casa migliaia di firme per la causa. Impossibile, a questo punto, che l’Ordine dei giornalisti non prenda in considerazione quanto sta accadendo a Vittorio Feltri e al mondo dell’informazione.
Nella petizione, sono stati elencati tutti i titoli più controversi di Libero che Vittorio Feltri ha contribuito a realizzare: «“Dopo la miseria portano le malattie” (rivolto ovviamente ai migranti), l’ormai tristemente celebre “Bastardi islamici” o, uscendo dal seminato delle migrazioni, robaccia come “Più patate, meno mimose” in occasione dell’8 marzo (e le diverse varianti dedicate anche a Virginia Raggi, con il “patata bollente”) o “Renzi e Boschi non scopano”.
Poi gli insulti al sud con il celebre “Comandano i terroni” e infine il penultimo, di qualche mese fa, “vieni avanti Gretina” (dedicato alla visita a Roma di Greta Thunberg)».
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
ITALIA AL 24° POSTO SU 40 PAESI… SVIZZERI E PAESI SCANDINAVI I PIU’ ONESTI, MA ANCHE FRANCIA, SPAGNA, GRECIA E ROMANIA SONO MEGLIO DI NOI
Più è “ricco” il portafoglio e maggiore è la probabilità che venga restituito al proprietario in caso di smarrimento: è quanto emerge da una ricerca senza precedenti svolta in 40 Paesi dove sono stati “persi” ben 17 mila portafogli per testare l’onestà dei cittadini. I risultati, pubblicati su Science, rivelano evidenti differenze tra Paesi, con la Svizzera e le nazioni scandinave che sono le più oneste, mentre Cina, Marocco, Perù e Kazakistan chiudono la classifica. Francia, Grecia, Spagna, Romania superano in ‘onesta’ l’Italia, al 24esimo posto nella classifica.
L’elemento comune osservato in quasi tutti i Paesi è che più il contenuto del portafogli è prezioso, e più le persone hanno contattato il legittimo proprietario. In media, è stato restituito il 40% dei portafogli senza denaro, rispetto al 51% di quelli contenenti denaro. Apparentemente la disonestà non aumenta con la quantità di guadagno potenziale dal furto, contraddicendo la visione di un essere umano puramente motivato da un interesse materiale.
Per il team di ricercatori, dalle università di Zurigo, Michigan e Utah, il lavoro e indagini complementari dimostrano due fattori fondamentali del comportamento umano: l’altruismo, ma anche il ruolo trainante dell’immagine di sè e paura di vedersi come un ladro. “Quando le persone possono trarre grande beneficio da comportamenti disonesti, aumenta il desiderio di imbrogliare, ma aumenta anche il costo psicologico di vedere se stessi come un ladro e a volte domina questo”, scrivono gli autori. L’esperimento, costato ben 600 mila dollari, è di una portata inedita. Più di 17.000 portafogli identici sono stati depositati dagli assistenti di ricerca in varie strutture (alberghi, banche, stazioni di polizia, ecc.), circa 400 casi per Paese.
Ogni portafoglio, realizzato in plastica trasparente, conteneva tre biglietti da visita (con indirizzo e-mail), una lista della spesa, una chiave e senza soldi, o l’equivalente in potere d’acquisto e valuta locale di 13,45 dollari.
I più onesti, o comunque con maggiore senso civico, sono stati i norvegesi e gli svizzeri, Paesi dove la percentuale di restituzioni ha superato il 70%. In Cina meno del 10% degli impiegati lo ha fatto per un portafoglio vuoto e più del 20% quando c’erano yuan.
I valori culturali locali e il sistema politico sembrano influenzare. “Ad esempio, più storicamente sono forti i legami familiari in un Paese, meno vengono restituiti i portafogli: l’Italia appare meno civica della Francia. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le persone sono più abituate a preoccuparsi del loro piccolo gruppo rispetto agli estranei”, spiega Christian Zund, dottorando dell’Università di Zurigo.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2019 Riccardo Fucile
L’INTERNAZIONALE DEL CRIMINE SOVRANISTA CONTINUA A NEGARE UN PORTO IN VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI
Disumanità solo per propaganda interne e per mostrare la faccia feroce per accontentare un elettorato al quale dare in pasto ‘ ‘neri’ per fargli dimenticare i disastri economici e sociali di questo governo.
“Per favore, non sto parlando solo da medico ma da essere umano, abbiamo 43 persone a bordo che hanno bisogno di cure mediche, serve un porto sicuro per per far sì che queste persone abbiano la sicurezza che meritano. Aiutateci ora”.
E’ l’appello di Verena, medico a bordo della Sea Watch, postato su twitter dalla ong. “Il mare – spiega la donna – è calmo ma sta facendo sempre più caldo, soprattutto nella zona dove stanno gli ospiti. Quindi hanno problemi di disidratazione, cosa sulla quale non possiamo intervenire. Inoltre – aggiunge – abbiamo molte persone che hanno vissuto traumi e torture e quindi hanno bisogno di supporto psicologico, stanno in uno spazio molto ristretto e non possiamo prevedere come reagiranno allo stress che aumenta col passare dei giorni. Hanno bisogno di supporto psicologico il prima possibile. Inoltre – conclude il medico – abbiamo molti pazienti con dolori incontrollabili a causa delle torture e non possiamo gestire la situazione ancora a lungo”.
Continuano a susseguirsi gli sbarchi sulle coste italiane, come e’ avvenuto anche in queste ultime ore a Lampedusa.
Il governo italiano viene bacchettato perfino dai suoi amici statunitensi, ci dicono ‘non fate nulla contro la tratta dei migranti, non arrestate mai nessun trafficante di uomini’. L’unica cosa che sa fare il governo italiano di Matteo Salvini è prendersela con le Ong che salvano le vite delle persone e chiudere i porti a chi pratica solidarietà
(da agenzie)
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