CON L’EUROPA NON SI SCHERZA PIU’, IL CLIMA E’ CAMBIATO, I SOVRANISTI SONO SCONFITTI
NON HANNO INTENZIONE DI FARE PIU’ SCONTI ALL’ITALIA… E DICONO LA VERITA’: “VI RENDETE CONTO CHE AVETE PORTATO GLI INTERESSI SUL DEBITO ALLA STESSA CIFRA CHE PAGATE PER L’ISTRUZIONE? FATE POCO PER LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE E AL LAVORO NERO, NON INVESTITE IN RICERCA E INFRASTRUTTURE, LA CRESCITA E’ FERMA”
“La mia porta è aperta”. Quando Pierre Moscovici scandisce in italiano questa frase, nel bel mezzo della conferenza stampa più dura nei rapporti sempre tesi tra Roma e Bruxelles, cerca di dare voce alla parte più dialogante della Commissione europea, quella dei socialisti che in campagna elettorale hanno indossato la maglia della critica all’Europa dell’austerity.
Ma oggi, quando il collegio dei commissari si è riunito a Palazzo Berlaymont, nemmeno la parte dialogante si è spesa per fermare una macchina già in corsa.
Saldi alla mano, per il 2018 e 2019, l’Italia ha violato il criterio del debito. Dunque la Commissione Juncker, benchè in scadenza a fine ottobre, decide l’inevitabile: sulla base dell’articolo 126.3 del trattato sul funzionamento dell’Ue, raccomanda l’apertura di una procedura di infrazione sul debito, ventilata già a novembre dell’anno scorso, rimandata sulla scorta di un accordo poi raggiunto con Roma, di fatto tenuta in caldo per dopo le europee. Eccola qui: potrebbe scattare già all’Ecofin del 9 luglio prossimo e sarebbe la prima in tutta la storia dell’eurozona. Triste primato, sarebbe italiano.
A Bruxelles è cambiato il vento. Decisamente.
C’era una volta una Commissione che negoziava con Roma, sulla manovra per il 2019, tira e molla sul deficit, alla fine ridotto dal 2,4 al 2,04 per cento.
C’era un tempo pre-europee, in cui la valutazione politica finale della Commissione Juncker fu quella di rimandare la procedura di infrazione per debito eccessivo a dopo il voto, benchè già a novembre la ritenesse “giustificata”.
E ora c’è un tempo post-europee, con una Commissione che lavora alla luce di un dato elettorale chiaro: in Parlamento ci sono i numeri per una maggioranza tra Popolari, socialisti e liberali, maggioranza che deciderà le nomine per i vertici dell’Ue di questa legislatura, a partire dal presidente della prossima Commissione.
Esclusi i sovranisti, pericolo sventato: è questa l’aria che si respira a Bruxelles. La prossima Commissione avrà un’impostazione in continuità con quella di Juncker o comunque di certo non ne ribalterà le decisioni: non sulla procedura raccomandata per l’Italia.
Il governo gialloverde, nazionalisti e populisti insieme, primo caso tra i paesi fondatori dell’Ue, finisce spalle al muro, fuori da accordi europei che possano garantire un minimo di negoziato, fuori dalle maggioranze, senza possibili alleati in Consiglio europeo sui quali far leva per cercare almeno di rallentare la macchina.
Roma non può sperare nemmeno in Madrid, che pure ha avuto e ha ancora problemi con i conti, finita nelle cure della Troika, potenzialmente alleata di chi critica l’austerity. Ma non di Roma, non ora: proprio oggi la Spagna viene di fatto ‘premiata’ dalla Commissione per gli sforzi fatti, lo stesso pacchetto di primavera che suggerisce la procedura per l’Italia, decide di chiudere la procedura per deficit aperta in Spagna.
Sia il vicepresidente della Commissione responsabile per l’Euro Valdis Dombrovskis che lo stesso Moscovici si congratulano con il socialista Pedro Sanchez.
E che dire della Francia? Anche Parigi aveva ricevuto la lettera di avvertimento della Commissione, ma non si becca la procedura. Graziata, perchè, spiega Dombrovskis recitando il rapporto approvato oggi, “due criteri del debito e del deficit sono rispettati. Il deficit ha superato il tetto del 3 per cento nel rapporto con il pil, ma limitato al 3,1 per cento e solo il 2019”. ‘Graziati’ anche il Belgio e Cipro, anche loro erano nel mirino.
La macchina punitiva per l’Italia invece va avanti all’impazzata. In Commissione insistono a dire che adesso non c’è un “negoziato” con Roma, perchè non si sta discutendo di una manovra in corso d’opera, come a dicembre scorso.
Adesso ci sono dei saldi che chiedono una correzione subito, almeno di 3-4 miliardi di euro. Tradotto: una manovra correttiva, anche se ufficialmente la Commissione non si sbilancia. “Non siamo qui a dire che il governo deve fare questo o quello”, dice Moscovici che però qualche giorno fa ha parlato esplicitamente di manovra correttiva.
E poi però l’Ue chiede a Roma anche una legge di stabilità di oltre 30 miliardi di euro per il 2020, insieme al rafforzamento della lotta contro il lavoro nero e l’evasione fiscale, riorientamento degli investimenti verso la ricerca, innovazione e qualità delle infrastrutture, ridurre la durata dei processi e ristrutturare le banche medie-piccole: sono le 5 raccomandazioni sfornate oggi.
Tutto questo se si vuole evitare la procedura, una catena al collo delle finanze italiane che, una volta scattata, resterebbe lì per anni. La palla passa a Roma. Intanto qui la macchina va avanti.
Martedì il Comitato economico e finanziario dell’Ue sfornerà il parere sulla base delle raccomandazioni della Commissione (per l’Italia sarà presente il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera). Quindi entro due settimane al massimo, a Palazzo Berlaymont prepareranno un’altra raccomandazione in tre capitoli, per specificare che tipo di procedura chiedono agli Stati membri per l’Italia, quanto lunga, 5 o 10 anni, a quali condizioni.
E’ in questa fase che magari si potrebbe riaprire la discussione tra ‘falchi’ e ‘colombe’, rigoristi e critici dell’austerity, in sostanza: l’asse liberali-Popolari, da un lato, e i socialisti, dall’altro. Ma tutto questo si incastra anche con le decisioni sulle nomine Ue ancora tutte da definire. In ogni caso, si prevedono colpi di scena almeno a livello di clamore mediatico.
Perchè la presentazione di questa seconda raccomandazione più specifica potrebbe coincidere con l’insediamento del nuovo Parlamento di Strasburgo: il 2 luglio prossimo, una settimana prima dell’Ecofin del 9 luglio (almeno sette giorni sono necessari perchè gli Stati membri abbiano il tempo di leggersi le carte della Commissione).
Potrebbe ripetersi insomma la stessa scena verificatasi il 23 ottobre scorso, quando Moscovici bocciò la prima proposta italiana di manovra economica in conferenza stampa a Strasburgo, in coincidenza con la plenaria mensile dell’Europarlamento, di fronte alla stampa di tutta Europa e mezzo mondo. Boom.
E’ questa la trafila del prossimo mese. A meno che il premier Giuseppe Conte, il ministro Giovanni Tria, il ministro Enzo Moavero Milanesi, cioè la parte dialogante del governo gialloverde, non riescano a rallentare un ritmo davvero accelerato.
Ad oggi non si vede come possa succedere. Intanto Tria avrà un primo confronto con i colleghi dell’Eurogruppo il 13 giugno prossimo nella riunione a Lussemburgo. La decisione finale sarà però presa dall’Eurogruppo dell’8 luglio e poi dall’Ecofin del 9 luglio. Il tempo corre ed è poco.
Dombrovskis, capofila dei ‘falchi’ in Commissione, è impietoso. “Tutti gli indicatori macroeconomici sono in rosso — dice – Quando guardiamo all’economia italiana vediamo i danni che stanno facendo le recenti scelte politiche”.
Ce l’ha con quota cento e reddito di cittadinanza, le misure bandiera di Lega e M5s, ma anche con tutto l’impianto della manovra economica 2019 e con le promesse non mantenute, a partire dalle “privatizzazioni mancate”.
“Politiche che hanno prodotto spese per interessi nel 2018 pari a 2.2 mld di euro in più — continua – Oggi l’Italia paga in interessi sul debito tanto quanto spende per il sistema istruzione, un onere di 38.800 euro per abitante con costi in interessi di circa mille euro a persona”.
E ancora: “La crescita si è interrotta. Nel 2019 e 2020 dovrebbe esserci un aumento del debito pari a 135 per cento del pil, con un divario tra tassi di interesse e crescita che produce il cosiddetto effetto palla di neve”. Ma, conclude: “C’è un modo per rimediare: attuare uno sforzo di riforma e non spendere di più se non c’è lo spazio fiscale per poterlo fare”.
Ora la scelta è a Roma, che comunque la si metta, non ha alcun margine di contrattazione rispetto alle correzioni richieste.
Deve farle o prendersi la procedura. In entrambi i casi, la scelta rischia di costare tanto in termini di consenso sia alla Lega che al M5s. Ma, da quello che trapela a Bruxelles, molto molto ufficiosamente, c’è un modo per fermare la macchina europea: se il governo Conte dovesse cadere, a Bruxelles si farebbe largo quanto meno una valutazione politica sull’opportunità di aspettare nuove elezioni per far scattare la procedura. Paradossale, ma vero.
(da “Huffingtonpost”)
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