Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
TRA “LOGICA A PACCHETTO” E GARANZIE…ANCHE IN FORZA ITALIA C’E’ MARE MOSSO
“Se mercoledì prossimo 16 senatori grillini più l’intero gruppo di Forza Italia voteranno contro il Mes, il giorno dopo il premier Conte dovrà salire al Quirinale per dimettersi. Vi sembra uno scenario probabile?”.
L’auspicio dei giallorossi è che non lo sia. Il conto alla rovescia verso il 9 dicembre è iniziato, i “pontieri” della maggioranza (e nell’opposizione) sono in campo. Primo Luigi Di Maio, che ribadisce il no alla riforma ma punta a disinnescare “un voto di sfiducia sul premier che abbiamo incaricato noi”.
Al ministero delle Politiche Europee si lavora per un compromesso che riduca nettamente l’area del dissenso in casa M5S, e consenta eventualmente a Silvio Berlusconi di imboccare il sentiero dell’astensione.
Due i punti sul tavolo: subordinare il via libera al Mes “sanitario” a un ulteriore voto parlamentare ad hoc e limare la “logica a pacchetto” chiesta dai frondisti M5S.
Intanto si attende l’assemblea dei gruppi Cinquestelle domani sera per capire i rapporti di forza interni. Mentre tra gli azzurri, dopo le scintille di ieri, si tenta la ricucitura.
Con gli occhi di tutti puntati sul Senato, dove non soltanto i numeri ballano ma si terrà il primo voto e quindi andrà data la linea. E dove le assenze mirate potrebbero fare la differenza.
Il boccino in mano ai Cinquestelle
Il boccino, però, per il momento ce l’hanno i Cinquestelle, dove 16 senatori e una quarantina di deputati sono usciti allo scoperto con una lettera per chiedere che non venga approvata la riforma del Mes “istituzionale” e soprattutto che non venga utilizzato il Mes “sanitario”.
La fronda ha scatenato un putiferio, con parlamentari che hanno ritirato la firma. L’ex ministro Toninelli fa sapere che la sua firma in calce è una fake news. Il capo delegazione Bonafede, ha escluso che salti il governo: “Basta leggere la lettera, c’è scritto che non c’è un problema di maggioranza”.
La tensione però resta alta e, alla vigilia del chiarimento, è ancora scontro. Le chat dei parlamentari ribollono. “Complimenti alla minoranza che scrive lettere e che vuole Draghi a Palazzo Chigi” l’accusa rivolta dall’ex sottosegretario Gianluca Vacca ai “dissidenti”. “Nessuno vuole Draghi premier, ma nemmeno che si facciano le stesse cose…” la replica. I più oltranzisti non mollano. “E’ una battaglia europeista, per chi vuole che scatole infernali come il Mes vengano smontate e sostituite da veri meccanismi di salvataggio. Andremo fino in fondo perchè siamo dalla parte giusta della storia” scrive il deputato Francesco Forciniti. E Giovanni Currò: “Il Mes è uno strumento anacronistico, serve la “logica del pacchetto”.
Il perimetro della trattativa
Al ministero guidato da Enzo Amendola, dopo l’incontro di ieri con i capigruppo giallorossi, si punta a “un testo condiviso, chiaro e che dia pieno mandato al governo”.
In realtà , un canovaccio c’è già . La possibilità di prevedere esplicitamente nella risoluzione il rinvio della partita sui 37 miliardi del Mes “sanitario” e la sua subordinazione a un successivo voto parlamentare ad hoc.
Una condizione che il Pd non avrebbe difficoltà a concedere, ma che non è considerata “garanzia sufficiente” dall’ala dura degli oltranzisti M5S. Che chiedono la “logica a pacchetto”, ovvero l’inserimento in un pacchetto più ampio, comprensivo dell’Edis (il sistema europeo di assicurazione dei depositi) e del Next Generation Eu, ovvero il Recovery Fund per i Paesi colpiti dall’emergenza Covid.
I Dem, a loro volta, fissano due paletti “irrinunciabili”. Uno: impossibile accettare una preventiva rinuncia al Mes “sanitario”. E due: impraticabile anche l’accettazione di una riforma “sub iudice”, ovvero con entrata in vigore rinviata (che creerebbe difficoltà anche in ambito europeo).
Intorno a questo perimetro, si tratta. Numeri alla mano: lo scoglio decisivo sarà in Senato. La maggioranza a Palazzo Madama conta 168-170 voti, contro i 146-149 dell’opposizione al completo. Per un voto a maggioranza semplice, la soglia sostenibile di dissenzienti grillini non può superare i 7-10. Considerando che alcuni senatori (Quagliariello, Saccone, Romani) voteranno a favore.
E che è atteso un “soccorso” dalle file dell’opposizione sotto forma di assenze mirate o persino di astensioni.
Al centro dell’attenzione c’è Forza Italia, spaccata dall’allineamento repentino sulle posizioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Ma la cautela è molta: “Si può anche pensare di “salvare” il governo — ragiona un senatore — Ma se poi il governo cade lo stesso perchè non c’è l’autosufficienza, allora al danno si aggiunge la beffa…”.
Polveriera Forza Italia
Se alla Camera la fibrillazione è forte, al Senato la situazione del partito azzurro sembra sotto controllo. La capogruppo Anna Maria Bernini ha convocato l’assemblea mercoledì stesso (un modo anche per impedire che eventuali dissensi maturino), e assicura: “Saremo compatti”.
Pochissimi i “ribelli”, tra cui Andrea Cangini che sul voto sta riflettendo. Anche a Palazzo Madama, però, diversi non hanno apprezzato l’”allineamento” a Salvini e — soprattutto — che sia stata Licia Ronzulli ad anticipare la posizione ufficiale.
Un punto che potrebbe portare la deputata Renata Polverini a votare in dissenso: “Molto stupita delle modalità di comunicazione, Fi sta votando contro la sua storia”.
L’assemblea di ieri sera ha visto un duro scontro di posizioni. Meno di 60 su 91 i presenti. Antonio Tajani e la capogruppo Maria Stella Gelmini hanno difeso il no al Mes: “Non è che se votiamo lo scostamento diventiamo comunisti nè se votiamo no al Mes diventiamo salviniani — ha argomentato Tajani — Sono questioni tecniche e votiamo sempre a favore degli italiani”.
Botta e risposta con Renato Brunetta, che chiedeva “responsabilità ” per “non essere isolati in Europa”, ma il responsabile economico ha avuto uno scontro anche con Giorgio Mulè che gli ha rimproverato l’apprezzamento per Di Maio. Sestino Giacomoni ha insistito che la linea non è cambiata, e che la differenza tra i due Mes è sempre stata chiara.
I nervi sono alle stelle. Tra Paolo Russo, dell’area di Toti (che ha schierato i suoi per il sì) e Paolo Zangrillo volano parole grosse. Scintille anche tra Mulè, che secondo alcuni aspirerebbe a sostituire la Gelmini, e Osvaldo Napoli.
Il vice-capogruppo Roberto occhiuto — che sta preparando la risoluzione sul Mes — avvisa tutti: “Chi vota in dissenso è fuori”.
Aut aut che porta con sè una coda di veleni, quando circola la voce che Brunetta potrebbe perdere il suo ruolo nel partito. L’entourage del Cavaliere però smentisce. Resta la sensazione di una partita in cui i personalismi si intersecano. “Ormai è una guerra tra bande” scuote la testa un deputato. Adesso si tenta di ricucire le lacerazioni. L’idea è quella di una doppia risoluzione che vincoli anche ad accettare il Mes “sanitario”. Tuttavia, a mercoledì mancano cinque giorni. E saranno lunghi.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
I REGISTRATORI DI CASSA NON SONO AGGIORNATI CON IL SOFTWARE PERCHE’ NON L’HANNO RICHIESTO… SOLO 600.000 SU 1,4 MILIONI SI SONO ADEGUATI
Quella della lotteria degli scontrini in chiave anti evasione sarà una partenza azzoppata. Perchè circa metà degli 1,4 milioni di nuovi registratori di cassa telematici che dialogano con l’Agenzia delle Entrate non ha ricevuto l’aggiornamento software messo a disposizione in piena estate, indispensabile per consentire ai clienti di ricevere i biglietti virtuali e partecipare alla riffa con premi fino a 5 milioni di euro.
Un intervento che per gli esercenti comporta ulteriori costi: fino a 300 euro tra installazione del software e scanner per la lettura del codice lotteria.
Spesa che molti, dato il momento di crisi, non vogliono sostenere.
Comufficio, che riunisce i produttori delle “casse 2.0”, conferma i numeri e spiega a ilfattoquotidiano.it che in ogni caso di qui al 31 dicembre è impossibile adeguare tutti gli apparecchi.
Così le associazioni di categoria dei commercianti chiedono al governo un ennesimo rinvio.
Passo indietro: con l’emergenza Covid l’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi alle Entrate, sulla carta già in vigore per tutti, è stato di fatto rinviato allungando la fase transitoria fino al prossimo 1 gennaio.
Nel frattempo comunque gli esercenti si sono attrezzati, sfruttando il credito di imposta del 50% sui nuovi registratori telematici: stando agli ultimi dati dell’Agenzia, su 1,5 milioni di operatori Iva circa 1,4 milioni hanno comprato il registratore telematico o iniziato ad utilizzare la procedura web gratuita, pensata per chi come gli artigiani non batte scontrini ma fa solo ricevute.
La pandemia però ha determinato anche lo slittamento in avanti della lotteria degli scontrini, che sarebbe dovuta partire a luglio, e degli adeguamenti tecnici già previsti. I cui dettagli sono stati peraltro modificati dall’agenzia fiscale il 30 giugno.
“Di fatto però il dettaglio del programma per l’adeguamento dei registratori ai fini della dichiarazione precompilata Iva e della lotteria è stato rilasciato a metà agosto“, spiega Fabrizio Venturini, direttore generale Comufficio.
“Considerati i tempi dell’omologazione dei software, l’installazione da parte dei tecnici e la formazione degli esercenti che devono usarlo è iniziata ad ottobre”. Quando la questione non era in cima alle preoccupazioni degli esercenti rimasti chiusi per due mesi durante il primo lockdown.
Risultato: “Stando alle informazioni che abbiamo, solo 600mila registratori telematici sono stati adeguati”.
“Fino a ieri, quando si è iniziato a parlare della lotteria anche ai tg, i commercianti non se ne sono occupati”, è il punto di vista di Marco Franco della Vds di Rubano (Padova) che è tra i produttori di modelli approvati dalle Entrate. “Il 25 ottobre ho spedito 10mila pec invitando i clienti a sottoscrivere il contratto per l’adeguamento (quello per la lotteria è solo uno degli aggiornamenti da fare, l’altro è per la dichiarazione iva precompilata) e per lo scanner, mi hanno risposto in 500“.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
COMPRESE DUE CAMPIONESSE AZZURRE CHE ESSENDO ARRUOLATE UNA NELLA GUARDIA DI FINANZA E UNA NEI CARABINIERI DOVREBBERO CONTARE FINO A DIECI PRIMA DI CONFONDERSI CON LA TEPPAGLIA (VISTO CHE LO STIPENDIO GLIELO PAGHIAMO NOI)
“Si parla di sci con 600 morti al giorno. Non siamo un paese normale”. Ha detto così Andrea Crisanti qualche giorno fa e sebbene io sia sempre d’accordo con tutto quello che dice l’epidemiologo, non ero mai stata così tanto d’accordo con lui.
Erano giorni che questo tira e molla sulla possibilità di andare a sciare mi evocava alcune immagini dell’estate appena trascorsa: proprietari di locali e discoteche che reclamavano aperture, avvisaglie evidenti di un disastro annunciato, la politica sottomessa.
Solo che quest’estate non c’erano 800 morti al giorno. Di andare a sciare si parla con le terapie intensive ancora affollate, mezzo paese ancora chiuso, 20mila nuovi contagi al giorno. E quindi mi sono azzardata a scrivere che chi smania per andarsi a fare la sciatina o per mangiare un piatto di spatzle in baita, in questo momento non ha capito niente.
Non ha capito che la cazzata estiva di riafferrare la normalità con arroganza, l’abbiamo pagata e la stiamo pagando ancora oggi. Che la stanno pagando anche loro.
Ho scritto che questa gente così scollegata dalla realtà dovrebbe provare per due minuti la paura e l’apnea di chi vive sotto al casco col Covid e poi forse rivedrebbe le sue priorità .
Da 24 ore le mie pagine Instagram e Facebook sono prese d’assalto dalla ferocia di maestri di sci, proprietari di impianti e hotel di montagna, guide, sciatori dilettanti e professionisti, montanari per scelta di vita e montanari della domenica.
Una pagina Instagram da boomer gestita ovviamente da un coraggiosissimo anonimo che raccoglie 30mila appassionati di sci ha postato il mio commento scrivendo: “Cosa le auguriamo? Tra l’altro ha un cognome (Lucarelli) che si addice a tante di quelle rime che finiscono con iselli…”.
Dopo pochi minuti, sono arrivati centinaia di commenti insultanti o di semplice dileggio, come quello delle due campionesse di sci Sofia Goggia e Federica Brignone, le quali anzichè disapprovare il livello della discussione (Lucarelli/Piselli) e inorridire di fronte al livello dei commenti, mi hanno derisa a loro volta.
Bulle tra i bulli, con i like di approvazione di tutta la caserma al completo, ben allineate con il linguaggio sessista e il cameratismo violento del web.
Campionesse solo in pista, e ben lontane dall’esserlo anche fuori come, per esempio, una Federica Pellegrini che questo linguaggio social nei confronti delle donne l’ha sempre condannato (e subito).
E poi maestri di sci che lavorano con i bambini che mi hanno augurato di morire, di finire con la faccia spaccata da uno scarpone, sciatori che mi hanno scritto che sono una lurida troia, che mi verranno a cercare, che mi devo ammazzare. Donne, tantissime donne, che hanno approvato gli insulti e ne hanno aggiunti di nuovi.
Poi c’è chi ha spostato il tema sull’economia, ricordando che anche nel mondo dello sci c’è chi deve lavorare, c’è crisi, “testa di cazzo, da mangiare ce lo dai tu” e così via, come se chi è proprietario di palestre, di impianti sportivi, di negozi di abbigliamento, ristoranti, bar, discoteche, teatri, scuole di danza, educatori, agenti di viaggio e dipendenti annessi (gusto per fare esempi a caso) non vivessero lo stesso problema e senza sconti, da marzo ad oggi.
Come se gli unici penalizzati in questa epidemia fossero loro, gli sciatori, che comunque fino all’8 marzo 2020, hanno continuato imperterriti ad affollare piste, hotel, seggiovie, contribuendo al contagio e alla lista dei morti pure quando ormai era evidente cosa stesse succedendo.
Come tanti altri, certo, ma quelle immagini degli sciatori in fila, ammassati, sulle montagne sopra Bergamo alla vigilia del lockdown, a marzo, mentre Bergamo e la Val Seriana erano già lazzaretti resteranno impresse nella memoria di tutti.
Inoltre, va detto, molti albergatori, guide ed altre persone che hanno o fanno attività in montagna, quest’estate hanno lavorato. Cosa che per esempio non è successa a chi ha alberghi e attività turistiche nelle grandi città come Roma, Firenze, Milano, Bologna. Gente — quest’ultima- che non lavora neppure adesso, grazie alla follia estiva che abbiamo creduto di poterci permettere.
Poi certo, resta una domanda: chi pretende di lavorare oggi sulla neve o di andarsi a divertire oggi sulla neve urlando, strepitando, rivendicando diritti, pensa che tre settimane di fatturato alle stelle pagate con il riacutizzarsi dell’epidemia e con altri lockdown rigidi, che imporrano chiusure a tutti e a tutto, piste da sci comprese, possano essere un buon affare?
Credono davvero, questi raffinati epidemiologi, imprenditori ed economisti, che un mese di impianti affollati e di guadagni facili ma brevi, per poi risprofondare nell’incubo delle terapie intensive piene, sia un grande affare?
Dovrebbero chiedere agli imprenditori nel mondo delle discoteche o della ristorazione se quest’estate è stata un affare per TUTTO il settore o solo per quelle poche decine, forse centinaia, di imprenditori che hanno fatto gli arraffa-tutto fregandosene di chi poi avrebbe dovuto lavorare quest’inverno e si è ritrovato con la saracinesca abbassata in autunno.
E inoltre, sarebbe il caso che un settore in cui per giunta è ampiamente diffuso il nero (ho chiesto a numerosi maestri di sci di raccontarmi i guadagni sulle lezioni private e non e le tasse pagate negli anni precedenti, per capire l’attuale situazione economica e i mancati guadagni, ma sono spariti nel nulla), comprendesse che l’arroganza con cui sta pestando i piedi negli scarponi, è malvista anche da altre categorie di lavoratori ben più vessate, che sono ferme da febbraio, che riprenderanno a lavorare per ultime, se sopravvivranno (le agenzie di viaggi, per esempio). E sì, certo che avete diritto ad aiuti e sussidi, come tutti, ma non all’arroganza delle pretese.
Riguardo gli insulti e tutto il resto, resta solo l’amarezza di sapere che questo paese è oggi diviso a metà : c’è chi piange i morti e chi piange perchè la seggiovia è ferma e aveva voglia di farsi il weekendino con gli amici.
C’è chi legittimamente è in pena perchè ha l’hotel vuoto e chiede sussidi, e chi ha l’hotel vuoto e chiede di fottercene tutti dell’epidemia perchè, come un invasato mi ha scritto, “noi viviamo per sciare”.
Per chiudere, vorrei ricordare alle due campionesse Sofia Goggia e Federica Brignone che si sono messe a partecipare alla shitstorm di migliaia di uomini contro una donna, due cosette: la prima è che sono arruolate una nella finanza e una nei carabinieri.
A entrambe lo stipendio lo paghiamo noi, quindi dubito empatizzino con le partite iva degli sci.
Alla Goggia ricordo anche che è bergamasca, per cui la inviterei a pensare con questo ardore alle file dei camion dell’esercito anzichè a quelle con gli skipass. E a tutte e due, per finire, che l’attività agonistica finisce, quel che conta, alla fine della corsa, è che donne si è diventate.
E su quest’ultimo fronte, da quel che vedo, siete ancora allo spazzaneve.
Selvaggia Lucarelli
(da TPI)
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
ORA DICE CHE SONO SCELTE PERSONALI, OVVERO FATTI SUOI: MA ALLORA PERCHE’ STAVA A GIUDICARE GLI ALTRI?
Uomo e donna, famiglia tradizionale, valori cristiani, una dichiarata omofobia sventolata con fierezza: Joseph Szajer, eurodeputato ungherese del partito di Orban, è uno di quelli che ha puntato tutta la sua carriera politica sugli orientamenti sessuali degli altri, uno di quelli convinti che il compito della politica sia quello di gestire gli aspetti più personali degli elettori come se fossero affare di Stato e addirittura indice di salute pubblica. Peccato che il contrappasso sia degno di un film, uno di quei film dove il protagonista vien sonoramente sbugiardato secondo l’antico adagio “fate quello che dico ma non fate quello che faccio”.
Szajer è stato beccato dalla polizia in un pub nel pieno centro di Bruxelles mentre brigava in un festino sessuale con altre 24 persone, un’ammucchiata in piena regola con un alto tasso alcolico e di droghe.
Sono spesso così i moralizzatori: pretendono di giudicare gli altri confidando di non essere giudicati.
Ma basta grattare poco poco sotto la superficie per scoprire, spesso, che sono semplicemente dei repressi che desiderano ciò che condannano, si costruiscono intere carriere su principi (spesso retrogradi e restrittivi delle libertà degli altri) che infrangono nel buio della propria cameretta e interpretano il ruolo dei conservatori professando una fede che loro stessi riconoscono restrittiva.
Parliamo di un uomo di punta di Orban, quell’Orban che ha voluto aggiungere alla Costituzione la frase “L’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio come unione di un uomo e una donna …”. Complimentoni, davvero.
Ma c’è un altro punto interessante in tutta la vicenda: nel suo comunicato con cui annuncia le proprie dimissioni dal Parlamento europeo, il moralizzatore decaduto Joseph Szajer chiede scusa alla sua famiglia, ai suoi colleghi e ai suoi elettori dicendo di avere tratto con le sue dimissioni “le conclusioni politiche e personali”.
Capito? Sono fatti suoi.
E quello che ha giudicato tutti ora chiede di essere giudicato secondo il suo metro di giudizio: niente, non ce la fanno proprio, fino alla fine.
(da TPI)
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
LE IENE LO HANNO INTERVISTATO TRE MESI PRIMA PER FARE DA SPONSOR ALLA CURA FARLOCCA DEL PLASMA, POI MANDANO IN ONDA IN SERVIZIO SENZA DIRE CHE IL PAZIENTE ERA MORTO… L’IRA DEI FAMILIARI: “COME E’ POTUTA ENTRARE UNA TROUPE TV QUANDO A NOI NON FACEVANO ENTRARE?
“Ho sentito subito, il primo giorno, come una spinta, come uno sprone fisico. La prima sacca mi ha già dato il respiro.”
È il 12 novembre 2020 e queste sono le parole esatte pronunciate ai microfoni de “Le Iene“ da Alcide Bassi, 81 anni, paziente Covid ricoverato a Padova in ventilazione assistita e sottoposto, come tanti altri, alla terapia sperimentale a base di plasma iperimmune. Sembra una storia bellissima, di speranza e rinascita, con tanto di musica strappalacrime in sottofondo, per aumentarne il pathos.
C’è solo un piccolo, non trascurabile, dettaglio: nel momento in cui il servizio va in onda, Alcide è deceduto ormai da oltre tre mesi, il 7 agosto del 2020, in seguito alle complicanze di una polmonite che in poco meno di una settimana l’ha portato via.
A raccontarlo, incredula, è la figlia Federica che, insieme alla mamma e alla sorella Patrizia, si ritrova senza alcun preavviso l’immagine di suo padre, morto mesi prima, mandata in onda in prima serata come simbolo degli effetti miracolosi della cura al plasma, su cui negli ultimi mesi la Regione Veneto ha costruito una campagna a tappeto a Padova e in diversi ospedali del territorio, nonostante l’assenza di qualunque evidenza scientifica.
Non solo. Il servizio de “Le Iene“, firmato da Alessandro Politi e Marco Fubini, si guarda bene dallo spiegare ai telespettatori com’è andata a finire la storia del signor Alcide e anzi, poco prima, fornisce un dato — alla luce di tutto ciò — palesemente falso e privo di alcuna attendibilità : dei 350 pazienti Covid trattati con plasma iperimmune tra l’ospedale di Padova e quelli della provincia padovana “nessuno è deceduto e tutti hanno avuto esito favorevole”, come dichiara entusiasta Luciano Flor, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Padova.
Un’affermazione importante. Solo che nessuno de “Le Iene” si è mai preoccupato di verificarla. Sarebbe bastato alzare il telefono e domandare alla famiglia di Alcide per scoprire una verità molto diversa.
Ma andiamo con ordine. Alcide Bassi si ammala di Covid a fine marzo probabilmente nell’ospedale di Abano Terme, dove entra nel pieno della prima ondata per un’operazione che attendeva da mesi. Ci resterà in tutto tre giorni: pochissimo per un intervento del genere (ma all’epoca tutti i pazienti extra-Covid venivano rimandati a casa quasi subito), abbastanza per essere contagiato.
Dopo dodici giorni appena è costretto a tornare in ospedale, questa volta a Padova, questa volta per non tornare più, anche se all’epoca nessuno della famiglia poteva immaginarlo.
Quello che accade nelle successive tre settimane a Padova è un enorme buco nero che la famiglia ha ricostruito a fatica solo in un secondo tempo: le prime 36 ore in Infettivologia, poi l’aggravamento e il trasferimento nel reparto Covid intensivo.
“L’ultima notizia che abbiamo avuto di mio padre è stata in quel momento” racconta la figlia Federica, “quando i medici ci hanno informato che la situazione era molto critica e che lo stavano per intubare. Poi più nulla.”
E non riceveranno più alcuna notizia fino a un pomeriggio di inizio maggio quando sul telefono di Federica arriva una chiamata. È papà che, con la voce affaticata, comunica alla figlia che è risultato finalmente negativo al tampone e aggiunge: “Lo sai, divento famoso. Sono arrivate Le Iene“.
Il resto della storia Federica e la famiglia lo apprendono direttamente dal servizio del 12 maggio, sempre a cura di Politi e Fubini, che si apre proprio con le immagini di papà Alcide che declama i benefici miracolosi della cura al plasma.
“Mentre noi in quel periodo non potevamo vederlo nè sentirlo, com’è possibile che a una troupe televisiva sia stato permesso di entrare in reparto, fino al suo letto, senza che nessuno della nostra famiglia sia nemmeno mai stato avvisato?” si chiede ancora oggi Federica.
Che ricorda: “Era la pallida controfigura dell’uomo forte che abbiamo sempre conosciuto, ridotto a un ematoma vivente, provato dalla dissenteria e con 20 chili in meno, e raccontava di come la prima trasfusione di plasma fosse stata per lui un colpo di vita.”
È la stessa dichiarazione — l’unica mai rilasciata da Alcide — che ricomparirà nel video del 12 novembre. Quello che “Le Iene” non raccontano, nell’ansia di dimostrare la propria tesi, è ciò che è accaduto nei sei mesi che intercorrono tra il primo e l’ultimo servizio.
In un primo momento Alcide sembra stare meglio. In seguito a una serie innumerevole di cure, farmaci e terapie, molto diverse tra loro (tra cui anche le trasfusioni di plasma iperimmune) viene trasferito in lungodegenza.
In quel periodo riesce a riprendere anche i contatti con la famiglia. Il peggio sembra alle spalle. Poi, all’improvviso, a inizio agosto, a causa di una seconda polmonite, viene trasferito una seconda volta d’urgenza in Pneumologia in gravi condizioni, ma questa volta non c’è nulla da fare: Alcide muore il 7 agosto.
Nessuno de “Le Iene” ha mai contattato la famiglia per verificare le condizioni dell’uomo che, appena tre mesi prima, era diventato il volto e principale sponsor — a sua insaputa — della cura al plasma.
E arriviamo, così, a quel fatidico 12 novembre, quando un amico di famiglia chiama la mamma di Federica. Ha appena visto il servizio alla televisione: “Ogni volta che vedo Alcide, è un colpo al cuore” dice.
Per la famiglia è una beffa inaspettata e dolorosa, di cui non sapevano nulla e che li lascia una seconda volta sgomenti. “Vedere mio padre sbattuto in televisione, in quello stato e in quel modo, è stata un’altra batosta” dice Federica.
“Come hanno potuto utilizzare le parole di mio padre, una persona deceduta, strappate in uno dei pochissimi momenti di gioia e illusione degli ultimi mesi, per pubblicizzare una presunta cura miracolosa che dovrebbe salvare dal Covid? Chi ha permesso che tutto questo avvenisse? Nessuno di noi sa esattamente cos’è successo in quelle tre settimane, tra aprile e maggio, nè cosa abbia portato alla brusca ricaduta in estate. Quello che sappiamo con certezza è che, se mai la cura al plasma abbia avuto effetti su mio padre, di sicuro non sono stati positivi, se non per un primissimo e flebile momento, forse legato anche all’effetto placebo”.
Dubbi, quelli di Federica, confermati indirettamente anche da due immunologi noti a livello nazionale come il Professor Roberto Burioni, tra i primi a schierarsi con gli scettici sulla cura al plasma, e la Professoressa Antonella Viola, che ha criticato pubblicamente proprio il servizio de “Le Iene“, bollandolo senza mezzi termini come “antiscientifico”.
Infine, nei giorni scorsi, l’autorevole rivista scientifica “New England Journal of Medicine” ha pubblicato uno studio che smentisce, al di là di ogni ragionevole dubbio, qualunque beneficio della plasmaferesi sui pazienti Covid: su 228 pazienti presi in esame, infatti, la mortalità registrata tra i pazienti curati col plasma e quelli curati con un placebo (o altri metodi) è la stessa: l’11 per cento.
Tradotto? Non c’è alcuna correlazione scientificamente provata tra il plasma iperimmune e la cura del Covid-19.
“Fa rabbia”, scuote la testa Federica “sapere e vedere con i propri occhi tuo padre utilizzato con una tale superficialità come cavia umana per lanciare titoloni o alimentare la propaganda di questo o quell’altro politico. Mi auguro, perlomeno, che possa essere da monito per tutti e un invito ad andare oltre quello che viene raccontato con enfasi in tv e sui social e mantenere sempre uno spirito critico. Perchè, dietro a quelle narrazioni trionfalistiche, potrebbero esserci storie come quella di mio padre”.
(da TPI)
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI TUTTE LE CARENZE DEL SISTEMA SANITARIO DELLA REGIONE LOMBARDIA CHE HANNO PORTATO, TRA GLI ALTRI, ALLA MORTE DI SUO MARITO
Buongiorno Dott.Giupponi (Direttore Generale ATS Bergamo ndr),
le invio questo scritto con alcune mie considerazioni e riflessioni personali, sperando lei possa rispondere anche ad alcune mie istanze in merito alla situazione socio-sanitaria che, come cittadina bergamasca, ho rilevato dall’inizio del mese di marzo 2020 ad oggi.
Mi chiamo Alessandra Lombardo, sono insegnante di scuola secondaria di 1° grado, moglie di Gianbattista Perego, medico di assistenza primaria nel Comune di Treviolo(BG) ed aggiungo io, non per vanto ma per la stima che avevo nei suoi confronti e nella sua massima dedizione professionale, anche dermatologo, omeopata, agopuntore, omotossicologo, ozonoterapeuta e profondo studioso di ogni strategia atta a fronteggiare diverse patologie e sperimentare nuovi approcci terapeutici.
Gianbattista Perego è deceduto il 23-04-2020, dopo 37 giorni di calvario, 150° medico di una triste lista di coloro che fino all’ultimo respiro hanno prestato assistenza, conforto e cura ai propri pazienti, pur nella totale mancanza di DPI adeguati.
ATS di Bergamo, agli inizi del mese di marzo 2020, aveva dato in dotazione ad ogni medico di base del territorio, pochissime mascherine chirurgiche ed una confezione di guanti monouso, non rispondendo minimamente a garantire la sostituzione giornaliera dei DPI indispensabili per effettuare in totale sicurezza, le visite ambulatoriali e domiciliari ai pazienti più bisognosi e gravi, nonostante le rassicurazioni di Regione Lombardia circa la fornitura dei DPI stessi (prime indicazioni di Regione Lombardia giunte in ATS il 23-02-2020 registro ufficiale ATS.I.0020724 del 24-02-2020 ore 9.22).
A tale proposito la pregherei di ricordare tali indicazioni al Sig. Gallera visto che, quando intervistato dalla stampa, continua a sostenere che i DPI vanno acquistati dai medici stessi.
Tale delibera allora che senso avrebbe?
Ricordo la disperata ricerca di trovare DPI idonei tramite amici e pazienti, lo smarrimento generale unito alla paura personale di un reale contagio, che si è rivelato per lui fatale.
Purtroppo a distanza di mesi sono a conoscenza diretta di alcuni disservizi che permangono ancora sul territorio, sicuramente imputabili ad una gestione a dir poco scandalosa e colpevole della Regione Lombardia e pertanto mi rivolgo a lei, come Direttore Generale preposto alla gestione e alla responsabilità del funzionamento dell’apparato sanitario provinciale, insieme ai Direttori Sanitari.
Mi risulta che ai medici di base, per l’intero mese di ottobre, non sono stati distribuiti DPI e che solo nelle ultime 2 settimane, sono stati dati camici, mascherine chirurgiche, poche mascherine ffp2 ma non tute intere, non copricapo, nessuna mascherina ffp3 e nessun occhiale.
Inoltre agli stessi è stata distribuita una fornitura irrisoria di vaccini anti-influenzali, anche senza aghi, insufficiente a garantire la richiesta di pazienti fragili e anziani.
Come fatto personale, posso riferire che circa un mese fa, mia figlia ha aspettato invano una telefonata dal servizio preposto per poter effettuare un tampone, richiesto tempestivamente dal medico di base, tanto da essere costretta a chiamare dopo 12 giorni di attesa, la segreteria della Direzione Generale per avere chiarimenti, non essendo disponibile alcuna risposta chiamando il numero di telefono adibito al sevizio suddetto. Grazie alla disponibilità della sua segretaria, è stata sottoposta ad un tampone domiciliare, per altro non da me richiesto, che è risultato per fortuna negativo.
Dato che non sono avvezza a scorciatoie gratuite o favoritismi, pur ringraziando infinitamente l’efficienza della sua segreteria, credo che i servizi e i relativi numeri di telefono dovrebbero sempre essere garantiti nelle fasce orarie stabilite, a tutti i cittadini e non solo a chi come la mia famiglia, è stata colpita così tragicamente.
Non oso pensare che la celerità di un tampone, per di più a domicilio, sia dovuta alla mia situazione personale.
Non tralascio per ultimo:
1) L’infelice e discutibile decisione di ATS Bergamo della richiesta di una consulenza legale per accertare la responsabilità da parte dei medici di base nella gestione dell’emergenza, con particolare riferimento alla disponibilità e all’utilizzo dei dispositivi di protezione, quando su 700 medici in provincia, 150 si sono ammalati gravemente e 6 sono deceduti. Demoralizzante il solo pensiero di considerarli responsabili nell’esercizio totale e generoso del proprio lavoro.
2) A fronte della scarsità di vaccini anti-influenzali gratuiti presso le sedi opportune, la disponibilità degli stessi a pagamento, presso le strutture private, al costo di 65 euro. Mi chiedo dove siano stati reperiti tali vaccini?
3) Il costo di 90/100 euro dei tamponi a pagamento, quando nella maggioranza delle altre regioni italiane costano meno della metà .
4) Il vistoso ritardo nella risposta dell’esito di un tampone, se effettuato in pazienti asintomatici ma a contatto stretto con soggetti positivi o sintomatici non gravi.
5) La mancanza totale di riferimenti telefonici o via email a disposizione di medici, per avere chiarimenti o disposizioni tempestive finalizzate a richiedere o avere informazioni sull’esecuzione dei tamponi e per ogni problematica inerente alla pandemia in corso
6) La precarietà di un sistema informatico che non risponde alle esigenze di efficienza e velocità nello svolgimento del proprio lavoro di assistenza ai malati.
7) L’inefficienza di un servizio telefonico a disposizione delle richieste dei cittadini o dei datori di lavoro. Forse la lista potrebbe continuare ma mi fermo qui.
Spero lei possa trovare le giuste strategie di mediazione anche e soprattutto con coloro che hanno potere politico decisionale e determinante per il futuro della sanità lombarda, tanto decantata rispetto alle altre regioni italiane, ma ahimè ora specchio di un’incompetenza gestionale e di chiacchiere infruttuose che rifletto- no solo le dinamiche perverse di un sistema malato.
Avrei piacere d’incontrarla personalmente e la ringrazio anticipatamente della sua disponibilità .
Cordiali saluti
Alessandra Lombardo
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
GUIDERA’ L’UFFICIO CHE FU DI SAVERIO BORRELLI… LIGURE DI ORIGINE, UNA BRILLANTE CARRIERA ALLE SPALLE
Per la prima volta nella storia della magistratura è una donna a guidare la procura generale di Milano. L’incarico – in passato ricoperto tra gli altri anche da Francesco Saverio Borrelli, “padre” del pool Mani Pulite – è stato assegnato dal plenum del Csm a Francesca Nanni, 60 anni, di origini liguri e attualmente Pg a Cagliari.
Resta però ancora lunga la strada per la parità di genere in magistratura.
Le donne costituiscono la maggioranza dei giudici, ma gli incarichi direttivi in tre casi su quattro sono in mani maschili. E tra i procuratori generali le donne sono solo il 14 per cento.
Nanni, ex capo della procura di Cuneo, ha ottenuto in plenum 14 preferenze, contro gli 8 voti andati all’altro candidato, Fabio Napoleone, ex consigliere del Csm ed ex procuratore capo di Sondrio, oggi sostituto pg a Milano.
La poltrona al vertice della procura generale milanese era vacante dallo scorso febbraio, dopo il pensionamento di Roberto Alfonso.
In magistratura dal 1986, nel 2010 è stata la prima donna a diventare procuratrice di Cuneo e otto anni dopo ancora la prima a essere nominata procuratrice generale di Cagliari.
E’ stata sempre pubblico ministero, sin dal suo primo incarico alla fine degli anni Ottanta alla procura di Sanremo.
In quel periodo ha condotto l’indagine sul sequestro di persona a scopo di estorsione dell’imprenditore Claudio Marzocco, trasferito in Calabria e custodito per oltre un mese in Aspromonte: finì con il rilascio dell’ostaggio senza il pagamento del riscatto e con l’individuazione e l’incriminazione di alcuni dei suoi carcerieri.
Risale a quegli anni anche il procedimento per corruzione nell’assegnazione dell’organizzazione del festival di Sanremo, concluso con la condanna di alcuni pubblici amministratori locali (il sindaco pro-tempore e l’assessore al turismo) e dell’organizzatore dell’epoca Adriano Aragozzini.
Dal settembre del 1992 si è trasferita alla procura di Genova dove si è occupata dei reati contro la pubblica amministrazione, trattando, tra l’altro, procedimenti per corruzione e concussione che hanno coinvolto funzionari dell’Anas locali e nazionali.
E’ stata anche alla procura distrettuale antimafia, dove le è stato affidato il territorio del ponente ligure, caratterizzato da importanti infiltrazioni mafiose.
Anni segnati dalle indagini su associazioni a delinquere operanti, anche all’estero, nei settori del gioco d’azzardo, dell’usura, del riciclaggio e dell’importazione e traffico di sostanze stupefacenti dal Sudamerica e dal Marocco e poi dalle inchieste sul terrorismo internazionale e sul contrasto al finanziamento in particolare di quello di matrice islamica.
Da procuratrice di Cuneo e poi da pg di Cagliari, oltre a occuparsi dell’organizzazione e della direzione dei due uffici, ha continuato a svolgere attività giurisdizionale.
Anche partecipando, da procuratrice, ai turni, compresi quelli per le urgenze.
Da Pg di Cagliari ha trattato in prima persona molte udienze davanti agli uffici giudicanti e ha dato pareri in materia di libertà personale.
(da agenzie)
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
SUL WEB GLI ITALIANI PROPONGONO A GRAN VOCE L’ATTRICE COME MINISTRO DEGLI ESTERI AL POSTO DI DI MAIO
Scarlett Johansson come ministro degli esteri. Questa la proposta — scherzosa — che molti italiani a gran voce fanno su Twitter.
La celebre attrice è entrata in trend sui social per la pubblica richiesta di scarcerazione di Patrick Zaki. Che far sentire la propria voce in Egitto oggi sia estremamente pericoloso è noto e Scarlett Johansson ha voluto far sentire anche la sua voce: «Chiedo l’immediato rilascio di Zaki, stato vittima di torture al momento dell’arresto, e di Gasser, Karim e Mohamed. Devono affrontare accuse false, che potrebbero costargli molti anni in prigione»
Il video di Scarlett Johansson che chiede la scarcerare Patrick Zaki e di altri appartenenti alla Ong Eipr ha fatto il giro del mondo.
L’attrice, da sempre politicamente schierata e impegnata nel sociale, ha deciso di registrare un appello su Youtube.
La sorella di Zaky ha espresso gratitudine per le parole dell’attrice, parole che in molti hanno commentato sui social. La battuta che va per la maggiore è quella che sottolinea come Scarlett Johansson si prodighi più di Luigi Di Maio per la causa.
(da agenzie)
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Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
SI APRE UNA SPERANZA ANCHE PER ZAKI… HA MESSO PIU’ IN DIFFICOLTA’ AL SISI UN’ATTRICE CHE I GOVERNI
Il procuratore generale del Cairo ha deciso di rilasciare i militanti dei diritti umani membri dell’associazione Eipr, la stessa a cui aderisce anche Patrik Zaki.
A dare la notizia è stato inizialmente Farid Y. Farid, corrispondente della Afp che riporta quanto riferito dai giornali locali.
In serata, l’annuncio dell’Eipr su Twitter: «Gasser, Karimi e Basheer sono stati lasciati andare direttamente dalla prigione di Tora. Insolito. Ora sono o a casa o sulla via di casa».
L’annuncio arriva poche ora dopo la pubblicazione su YouTube del video con protagonista Scarlett Johansson.
L’attrice statunitense aveva chiesto alle autorità egiziane la scarcerazioni di quattro membri di Eipr, fra cui c’era anche Zaki: «Vengono mosse accuse che possono portare a molti anni di prigione, ma il loro unico crimine è stato quello di difendere la dignità degli egiziani».
L’Eipr non cita Zaki tra le persone che liberate.
Sempre nella giornata di ieri l’avvocata di Zaki aveva visitato il ragazzo nel carcere in cui è detenuto da febbraio a Il Cairo. La denuncia, riportata anche dagli attivisti della pagina Facebook Patrick Libero è che Zaki nella sua cella non avesse nemmeno un letto su cui dormire.
Una denuncia ripresa anche da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: «Chiediamo al Governo italiano che si dia seriamente da fare in vista anche del 7 gennaio, il Capodanno copto. Noi desideriamo che quel giorno Patrick sia libero per festeggiare il Capodanno con la sua famiglia e che poi i successivi giorni del 2021 li passi dove desidera, magari a Bologna dove lo aspettiamo e lo aspettano in tanti».
(da Open)
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