Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
SALVINI CERCA UNA TERZA VIA TRA BERTOLASO E ROCCA PER IL CAMPIDOGLIO… FDI DICE CHE NON HA MAI FATTO IL NOME DI ROCCA… NON C’E’ SOLUZIONE NEANCHE A TORINO E MILANO… E A NAPOLI IL MAGISTRATO MARESCA VUOLE AUTONOMIA DAI PARTITI… POTREBBE ARRIVARE L’AIUTINO DEL RINVIO DEL VOTO A SETTEMBRE
Sulle comunali 2021 nel centrodestra è stallo, e non sarà di breve durata. A certificarlo è Matteo Salvini, che fotografa la situazione di Roma: “Da una parte c’è Guido Bertolaso per Forza Italia, dall’altra Francesco Rocca (il presidente della Croce Rossa italiana, ndr) per FdI. Io cerco un’altra ipotesi”.
Poco dopo, però, sul “Tempo” Francesco Storace taglia corto: “Non si capisce perchè i media – o alcuni soggetti interessati a creare zizzania – continuino ad attribuire alla Meloni volontà di candidare Rocca. La sua candidatura semplicemente non c’è, come egli stesso ha detto con grande garbo e gratitudine alla presidente di Fdi”.
Insomma, parte un altro giro di giostra. Con buona pace delle promesse del centrodestra di ufficializzare i candidati comuni per tutti i capoluoghi — Torino, Milano, Bologna, Napoli – entro la prima decade di dicembre.
Deadline peraltro già più volte rinviata e ormai scaduta. Non se ne riparlerà prima di metà gennaio.
Motivazioni ufficiali: la manovra, la verifica, il recovery fund. In realtà , dietro c’è il solito refrain: la competizione per la leadership interna, il braccio di ferro.
Nelle logiche di coalizione, il Capitano aveva “barattato” la corsa di Bertolaso per il Campidoglio, fortemente spinta da Silvio Berlusconi, con un nome in quota leghista per Milano (in lizza alcuni esponenti della società civile).
E Giorgia Meloni sembrava avere infine digerito l’ex capo della Protezione Civile, con l’idea di giocarsi la partita per la Pisana in caso di entrata al governo di Nicola Zingaretti. L’accordo sembrava a un passo dalla luce verde. E invece.
In poche settimane, la situazione si è impantanata.
Prima i dissidi tra Berlusconi e Salvini, ricomposti con una “voglia di centralità ” per il leader leghista che non si è ancora placata. E a ricasco, le frizioni tra azzurri e padani sui territori.
Poi, la minaccia di una crisi di governo di fine anno che ha spostato il focus di tutti. E’ successo inoltre che a Torino una parte di Forza Italia ha frenato sull’imprenditore Paolo Damilano, nome in quota salviniana ma benedetto dal governatore Alberto Cirio, a favore della deputata Claudia Porchietto.
Piccolo sgarbo, irritazione della Lega. Così, si ricomincia.
Solo a Napoli si va verso la scelta unitaria del magistrato anti-camorra Catello Maresca, che però se accettasse vorrebbe marcare la sua autonomia dai partiti e dunque la discussione sui simboli nelle liste non è ancora chiusa.
Va detto che nel campo avverso non va meglio. Per il centrosinistra il Campidoglio ha l’aspetto di un buco nero. Anche il Pd è in panne. La raffica di no dei big veri o sognati (Paolo Gentiloni, David Sassoli, il ministro Gualtieri, il presidente di Sant’Egidio Andrea Riccardi). Poi l’assoluzione di Virginia Raggi che polverizza ogni ipotesi di candidato comune con i Cinquestelle (i rumors parlavano del viceministro alla Salute Sileri) infilando i Dem in una tenaglia: allontanarsi da Carlo Calenda, inviso ai grillini, e cercare disperatamente un nome forte.
Un puzzle difficile da comporre, che tanto a destra quanto a sinistra spera in un aiuto: il rinvio delle Comunali a settembre a causa della situazione pandemica e della campagna vaccinale che sarà in pieno corso a primavera.
Fonti governative fanno sapere che il dossier non è ancora aperto, che le attuali priorità sono (ben) altre e che quando si è deciso di votare per le Regionali di settembre il virus era affatto debellato. Tutto è possibile: dipenderà dalla fatidica curva dei contagi, dall’indice Rt e dal piano organizzativo delle vaccinazioni. E i partiti aspettano e sperano.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
CERCAVA DI RENDERSI UTILE, ORA LA POSSIBILITA’ DI UN CONTRATTO VERO… UNA STORIA DRAMMATICA ALLE SPALLE
Kemo Darboe ha 40 anni e viene dal Gambia. In Italia ci è arrivato anni fa alla ricerca di un futuro migliore. Approdato a Crotone, ha trovato nel supermercato di Via G.Da Fiore un punto di riferimento e ristoro.
Per anni ha continuato a fare l’elemosina davanti al punto vendita, poi ha iniziato a dare una mano come poteva nonostante non avesse un contratto di lavoro. Il proprietario del supermercato ha poi deciso di assumerlo. Non cerca pubblicità , dice, e ritiene di aver fatto un gesto normale “che non ha bisogno di essere strumentalizzato”.
Policastrese è proprietario di due supermercati a Crotone e ha offerto a Kemo un contratto a tempo determinato. “Poi si vedrà — ha spiegato -. Lo conosco da anni e quando mi ha chiesto aiuto gli ho offerto un contratto. Di certo non mi aspettavo questo riscontro o che mi venissero riconosciuti dei meriti particolari. Credo che sia un gesto normale. Nonostante la reticenza del commerciante, la notizia ha colpito diversi cittadini crotonesi. tra questi Pino Leonardi, che ha firmato una lettera indirizzata al sindaco Vincenzo Voce. L’obiettivo? Far ottenere un encomio alla famiglia Policastrese. Leonardi definisce il gambiano come uno dei “tanti invisibili arrivati in Italia con storie tristi e drammatiche alle spalle”.
La lettera si chiude con la proposta di riconoscere pubblicamente il commerciante che ha assunto il gambiano: “La mia modestissima proposta — scrive Leonardi — è un encomio da parte del Comune al signor Francesco per ciò che ha fatto per un ragazzo che altrimenti avrebbe continuato a vivere nella difficoltà , tra le ultime file ancora affollate di chi arriva nel nostro Paese e sopravvive di stenti”. Il commerciante continua a sostenere di non aver fatto nulla che valga un encomio pubblico. “Questo è un gesto come un altro, una cosa normale — racconta Policastrese — e soprattutto conosco Kemo da tanti anni. Lo avrei fatto per chiunque”.
La storia di Kemo
Il giovane Kemo ha ricominciato la sua vita da zero dopo tante peripezie. Dopo pochi mesi dal suo arrivo in Germania, aveva ottenuto il permesso per andare in Germania e ottenere il ricongiungimento con i suoi 3 figli che avrebbero dovuto lasciare il Gambia.
Li affida ad un’amica e al fratello di lei. Mentre prepara la procedura per riunirsi alla famiglia, già priva della mamma che era morta di parto, i bambini muoiono in un incidente stradale mentre viaggiavano su un bus in Gambia insieme ad altri bambini. Dopo la tragedia, il giovane ha deciso di non partire e di rimanere in Italia, dove con fatica ha cercato di ricominciare a vivere fino al contratto di lavoro.
(da Fanpage)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
I RENZIANI ESULTANO MA SUL RECOVERY UNA STRUTTURA COMUNQUE CI SARA’
La tensione è salita quando Teresa Bellanova ha biasimato il tentativo di introdurre la governance del Recovery plan tramite un emendamento alla legge di bilancio.
Giuseppe Conte ha provato a difendersi, non c’era nessun emendamento, io non ne ero a conoscenza, suscitando la reazione decisamente contrariata della delegazione di Italia viva (“Perchè ok le divergenze, ma negare l’evidenza…”), che proprio sul metodo scelto per normare il piano di ripartenza italiana ha impostato una feroce critica al Governo negli ultimi giorni, la miccia che ha di fatto scatenato una crisi politica mai conclamata ma che avvolge silenziosamente i Palazzi della politica.
Crisi che oggi sembra un po’ più lontana, perchè la pattuglia renziana è comunque uscita da Palazzo Chigi dopo due ore e mezza di incontro con il premier vedendo il bicchiere mezzo pieno, raccontando di un faccia a faccia che, al netto di un paio di momenti di estrema freddezza, è stato franco e cordiale.
“Finalmente il Presidente del Consiglio ha preso atto che le proposte che aveva avanzato Italia Viva sul metodo di lavoro sono positive”, ha spiegato Bellanova appena uscita.
E ha mostrato soddisfazione perchè “è scomparsa tutta la questione sulla governance che si voleva portare con un emendamento in legge di bilancio, e finalmente si comincia a discutere nel merito”.
Conte, alla presenza dei ministri dell’Economia Roberto Gualtieri e degli Affari europei Vincenzo Amendola, ha consegnato alla delegazione di Iv un nuovo faldone, contenente il piano del Recovery ridisegnato, “solamente in formato cartaceo, perchè non si fidano”, ironizza un dirigente renziano.
La struttura di missione non c’è più, lascia il posto a quella che dovrebbe essere un’unità di missione rafforzata, i capitoli delle allocazioni dei fondi sono stati rivisti, le proposte di Iv sono state definite “buone” dal premier, che ora aspetta le osservazioni di tutti i partiti per stilare una versione definitiva su cui riconvocare i partiti di governo per l’ok finale. “La struttura la chiede l’Europa, ma non sostituirà i ministeri, e il Parlamento verrà coinvolto in tutti i passaggi”, ha assicurato Amendola, spiegando che il nuovo piano contiene 52 progetti che nei prossimi giorni verranno “analizzati e resi coerenti”
“Ci hanno finalmente dato una bozza con numeri e progetti – spiega una fonte renziana – e questo è indubbiamente un nostro successo, finalmente si parla nel merito delle cose”.
Gli aspetti da mettere a punto sono tanti, a partire dai 9 miliardi destinati alla sanità , pochi almeno a sentire le obiezioni sollevate da tutte le delegazioni che si sono alternate nelle ultime quarantott’ore a Palazzo Chigi.
Uno stanziamento considerato insufficiente che è stato anche il pretesto per la pattuglia di Iv per riproporre con forza la questione Mes: “Utilizzeremo 88 miliardi di prestiti del Recovery come sostitutivi a spese che avremmo già fatto. Perchè non possiamo seguire la stessa strada con i 36 del Mes?”, il ragionamento portato avanti. R
agionamento che ha trovato concorde Gualtieri ma non Conte “che su questo non ci ha dato alcuna risposta”.
Ecco la parte mezza vuota del bicchiere. Incardinato il Recovery plan in un percorso che, salvo colpi di scena, porterà alla sua approvazione in Consiglio dei ministri entro l’ultimo dell’anno, sul tavolo rimangono i tanti altri nodi sollevati da Matteo Renzi nella lettera consegnata a Conte qualche giorno fa.
“Noi non vogliamo nè spot mediatici nè contentini”, spiega una fonte ai vertici del partito. E continua: “Quella di oggi è una premessa per costruire una riflessione complessiva sul merito e sulla strategia del governo, se pensano di ammansirci così e sul resto rimane tutto uguale il fondamento di una maggioranza di coalizione viene meno”.
I nodi come l’utilizzo del Fondo salva stati o la gestione del capitolo Servizi segreti sono l’elefante nella stanza di una riunione tutto sommato andata bene.
“Se ne parlerà a gennaio, chiuso il capitolo Recovery”, spiegano da Iv, rimarcando che “la partita non è finita”. Mezz’ora dopo la fine del vertice un 5 stelle di governo era già partito all’attacco: “Lo vedi come sono? Ottengono un successo e subito devono tirare in ballo un argomento che per noi è lacerante quale il Mes, come facciamo ad andare avanti così?”.
Due ore dopo, da Palazzo Chigi esce la pattuglia di Leu. Alla capogruppo al Senato Loredana De Petris chiedono della richiesta renziana di utilizzare quei fondi: “La strumentalità , delle volte, è commovente”, risponde la senatrice.
La fragile tregua del Natale sembra poggiare su basi solide. Da gennaio si giocherà tutt’altra partita.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
I DATI A CONFRONTO
La seconda ondata di contagi da Coronavirus è più grave della prima. A dimostrarlo è la comparazione dei dati di primavera con quelli attuali.
Partendo dal numero di decessi registrati in Italia a causa del Coronavirus, da febbraio a maggio i morti sono stati 33.415. Ad oggi, con la seconda ondata ancora in atto, siamo già a 33.731, un dato che sale a ritmo costante. Stando al parere degli esperti, in Italia si arriverà a 45mila decessi.
Stessa storia per i contagi. Ad oggi il numero di persone realmente infette è pari a 3.9 milioni e, stando agli studi sull’andamento della curva epidemiologica, potremmo arrivare a 4.5 milioni. Nella prima ondata, invece, sono stati registrati 2.3 milioni di contagi.
Inoltre, nella prima ondata il picco di ricoveri ordinari è stato registrato il 4 aprile raggiungendo oltre 29mila pazienti. Il 23 novembre siamo arrivati a quota 34.697 persone ricoverate contemporaneamente in tutta Italia.
Per quanto riguarda le terapie intensive, invece, nella prima ondata il picco è stato raggiunto il 3 aprile con oltre 4mila persone ricoverate, mentre nella seconda ondata il picco è stato il 25 novembre con 3.848 pazienti. La differenza, però, tra la prima e la seconda ondata è che nella prima dopo 3 settimane il calo dei ricoveri è stato del 48 per cento, mentre nella seconda è stato solo del 26 per cento.
Più contagi ma tasso di mortalità più basso
Nonostante queste evidenze, i numeri dicono anche che nella seconda ondata non è andato tutto nel peggiore dei modi. Rispetto a marzo dove i contagi raddoppiavano ogni 2-3 giorni, a novembre è accaduto ogni 7-8 giorni. Nella prima ondata su 100 contagiati ne morivano 1.2, mentre nella seconda ondata questo dato risulta dello 0.8 per cento.
I ritardi e le valutazioni sbagliate
Sin dall’inizio della pandemia il comitato tecnico-scientifico ha avvertito il governo della possibilità concreta di una seconda ondata di contagi. A marzo era stato stabilito infatti che si mettessero in campo degli accorgimenti utili a far sì che il sistema sanitario fosse pronto a gestire la seconda ondata e limitare i danni. In primo luogo non si è dato ascolto al Cts riguardo alla necessità di un protocollo unico per l’assistenza a domicilio.
I tecnici lo hanno richiesto lo scorso 16 marzo ed una prima bozza con le linee guida per i medici di base è giunta solamente il 16 novembre. Era necessario aumentare il numero di medici di base e abbassare il massimale dei pazienti per ciascun medico, invece è stato fatto il contrario, innalzandolo per ogni medico poichè non si trovavano dottori.
Insomma la prima linea di contrasto al Covid si è trovata nuovamente inerme ad affrontare la pandemia. Lo stesso è accaduto per il personale medico negli ospedali. Se nella prima ondata sono stati impiegati i giovani, in questa seconda i giovani sono stati bloccati in favore di medici in pensione pronti a dare una mano.
Un errore di valutazione è stato fatto anche per le terapie intensive: a fine prima ondata era stato portato ad 8.421 il numero posti letto, ma durante l’estate non è stato mantenuto. C’era la convinzione di poterli attivare rapidamente, ma ci sono voluti due mesi per riportarlo ai numeri di fine prima ondata (oggi sono 8.621).
Tracciamenti nel caos
Infine c’è stato un ritardo nella risposta. L’Italia è stato il primo Paese ad ammettere di non poter più fare il tracciamento dei contatti. Era l’inizio di ottobre e significava che la curva dei contagi stava salendo a tale velocità da rendere impossibile contenerla. A quel punto bisognava prendere delle misure drastiche, ma il sistema a semaforo ideato dal governo e dal Cts è entrato in vigore solamente un mese dopo.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
AL 30 NOVEMBRE SAREBBERO OLTRE 100.000 LE DENUNCE DI CONTAGIO SU POSTO DI LAVORO, 366 I MORTI
I lavoratori che hanno denunciato un contagio da Covid-19 sul posto di lavoro sarebbero oltre 100mila, secondo i dati rivelati dall’Inail, al 30 novembre. Le denunce di casi mortali totali sono state invece 366, 34 dei quali a novembre. I casi di contagio in più rispetto al monitoraggio del mese precedente sono 37.547, di cui 27.788 riferiti a novembre e 9.399 a ottobre.
Nel complesso i contagi da Covid sono 104.328, pari al 20,9% del complesso delle denunce di infortunio sul lavoro pervenute dall’inizio dell’anno e al 13% dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data.
Le denunce di casi mortali di contagi da Covid sul lavoro – segnala l’Inail – sono 366, pari a circa un terzo del totale dei decessi denunciati all’Inail dall’inizio dell’anno, con un’incidenza dello 0,7% rispetto ai deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla stessa data.
Rispetto ai 332 decessi rilevati dal monitoraggio al 31 ottobre, i casi mortali segnalati all’Istituto sono 34 in più, di cui 20 nel solo mese di novembre.
L’analisi territoriale conferma che le denunce di contagio ricadono soprattutto nel Nord del Paese: il 50,3% nel Nord-Ovest (il 30,5% in Lombardia), il 21% nel Nord-Est, il 13,7% al Centro, l’11,1% al Sud e il 3,9% nelle Isole. Le province con il maggior numero di contagi sono Milano (11,9%), Torino (7,6%), Roma (4,2%), e Napoli (3,9%) mentre Bergamo ha il 2,6%.
Concentrando l’analisi esclusivamente sui decessi, la percentuale del Nord-Ovest sale al 53,8% (il 39,3% in Lombardia), ma rispetto al totale delle denunce si osserva una quota più elevata al Sud, che con il 16,9% dei casi mortali precede il Centro (13,7%), il Nord-Est (12,8%) e le Isole (2,8%).
Rispetto alle attività produttive coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – con il 68,7% delle denunce e il 23,7% dei casi mortali codificati precede l’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), in cui ricadono il 9,2% delle infezioni denunciate e il 10,3% dei decessi.
Ripartendo l’intero periodo di osservazione in tre intervalli – fase di “lockdown” (fino a maggio compreso), fase “post lockdown” (da giugno ad agosto) e fase di “seconda ondata” di contagi (settembre-novembre) – per l’insieme dei settori della sanità , assistenza sociale e amministrazione pubblica (Asl) si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza delle denunce tra le prime due fasi e una risalita nella terza (si è passati dall’80,5% dei casi codificati nel primo periodo al 49,2% del trimestre giugno-agosto, per poi risalire al 76,3% nel trimestre settembre-novembre).
Altri settori, con la graduale ripresa delle attività , in particolare nel periodo estivo, hanno visto aumentare l’incidenza dei casi di contagio tra le prime due fasi e una riduzione nella terza.
Questo è accaduto nella ristorazione e nei trasporti. La categoria professionale più colpita continua a essere quella dei tecnici della salute, con il 38,6% delle infezioni denunciate, circa l’82% delle quali relative a infermieri, e il 9,3% dei casi mortali, seguita dagli operatori socio-sanitari (18,6%), dai medici (9,5%), dagli operatori socio-assistenziali (7,6%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%). Le altre categorie più coinvolte sono quelle degli impiegati amministrativi (4,3%), degli addetti ai servizi di pulizia (2,2%), dei conduttori di veicoli (1,2%) e dei dirigenti amministrativi e sanitari (1,0%).
La maggioranza dei lavoratori contagiati sono donne (69,4%), con un’età media dall’inizio dell’epidemia di 46 anni per entrambi i sessi.
Il 42,5% delle denunce riguarda la classe 50-64 anni, seguita dalle fasce 35-49 anni (36,8%), 18-34 anni (18,8%) e over 64 anni (1,9%). I decessi, invece, sono concentrati soprattutto tra gli uomini (84,2%) e nella fascia 50-64 anni, con il 71,6% del totale dei casi.
Seguono le fasce over 64 anni (18,6%) e 35-49 anni (8,7%), con un’età media dei deceduti di 59 anni. L’85,6% dei contagi denunciati riguarda lavoratori italiani. Il restante 14,4% sono stranieri (otto su 10 donne).
La “seconda ondata” dei contagi da Covid 19 ha avuto un impatto più significativo della prima anche in ambito lavorativo.
Lo scrive l’Inail nel suo Bollettino sui contagi sul lavoro spiegando che nel bimestre ottobre-novembre si è rilevato il picco dei contagi con quasi 49mila denunce di infortunio (pari al 47% del totale) rispetto alle circa 46.500 registrate nel bimestre marzo-aprile.
Il divario, peraltro, si legge, “è destinato ad aumentare nella prossima rilevazione per effetto del consolidamento particolarmente influente sull’ultimo mese della serie”.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
RIUNIONE ALLA FARNESINA, DISPOSTI VOLI SPECIALI… SERVIRANNO TAMPONI PRIMA E DOPO IL VIAGGIO E QUARANTENA… COINVOLTI CIRCA 15.000 CONNAZIONALI
I cittadini italiani residenti in Italia che sono rimasti bloccati in Gran Bretagna ora potranno rientrare. Il Governo italiano, con una riunione alla Farnesina e dopo aver consultato Ministero della Salute e Ministero dei Trasporti, ha messo a punto un piano con voli speciali per il rientro dei connazionali dall’Inghilterra, Paese nel quale si sta diffondendo la nuova variante del Covid-19 che preoccupa l’Europa.
Oltre ai cittadini residenti nello Stivale, potranno far ritorno anche coloro che sono in condizioni di criticità e urgenza. Come era prevedibile, le misure per il rientro saranno ancora più strette: servirà il tampone sia prima che dopo essere partiti e in ogni caso sarà obbligatorio fare la quarantena di 14 giorni una volta atterrati in Italia. Le misure restrittive non riguarderanno però le merci.
La notizia, confermata ad HuffPost sia dalla Farnesina che dal Ministero della Salute, arriva in una giornata di fuoco che ha visto centinaia di italiani Oltremanica rivolgersi per telefono o per mail alle autorità consolari inglesi perchè rimasti bloccati a causa dello stop ai collegamenti, aerei ma non solo, imposti dall’Italia (e da altri Paesi) a partire da domenica scorsa.
Il motivo della scelta è, come dicevamo, l’allerta sulla “variante inglese” del virus. Lo stop deciso dal governo italiano, in attesa di protocolli e indicazioni comuni di Bruxelles allargate a tutti i Paesi Ue, è previsto fino al prossimo 6 gennaio.
Stando ai dati raccolti dalle compagnie aeree, la sola Alitalia ha cancellato o rinviato le prenotazioni di circa 1.100 passeggeri che avrebbero dovuto volare fra il Regno Unito e la Penisola dal 20 al 31 dicembre.
Facendo la stima di una media di passeggeri in partenza verso l’Italia da Londra o da altri scali britannici nel periodo considerato dal provvedimento, con tutti i vettori operativi su queste rotte, si poteva calcolare che le persone bloccate o costrette a rivedere i propri piani sarebbero potute essere in tutto più di 15.000, ma ora i conti cambiano e a questo numero vanno sottratti i cittadini residenti in Italia e i casi di urgenza o critici.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
NELL’INTRECCIO INFERNALE TRA BREXIT E COVID
Ho capito di essere a Wuhan-sul-Tamigi quando il mio cellulare ha iniziato a saltellare di messaggi premurosi di amici impensieriti, del tono di quelli che si mandano dopo un terremoto o un attentato.
Mi ero appena svegliata e sono corsa alla finestra per controllare la piccola porzione di mondo che da dieci mesi a questa parte chiamo Londra: un giardino pubblico su una piazza vittoriana da un lato e dall’altra la City, lucente e troppo distante per capire se sia viva o no. Ho visto un papà far camminare il suo bimbo in tuta azzurra su un muretto e il nostro filosofo di quartiere, seduto su una panchina con una birra, continuare ad alta voce la sua guerra di parole, mentre due ragazze senza mascherina gli passeggiavano accanto. La normalità spenta di questi tempi, nè più nè meno.
“Ma cosa sta succedendo lì da voi?”, mi scrive un’amica con cento punti interrogativi. “Meno di quello che pensi”, vorrei rispondere, ma non è vero neppure questo: siamo nel pieno di una crisi di proporzioni bibliche, ma non è nulla che un titolo di giornale o un messaggino possa riassumere. E questa variante inglese che aleggia sulla città , con tutto il rispetto per la verità scientifica che onoro e riverisco sopra ogni altra cosa, sembra l’opera dell’angelo vendicatore dei deliri isolazionisti dei tempi recenti.
Io e mio marito nell’ultimo anno siamo diventati due sassi: nulla o quasi ci scalfisce. Abbiamo imparato a entrare e uscire dai lockdown con la grazia di due pattinatori, prendiamo alla lettera l’andare “a cena fuori” – giacconi e sciarpa a 5 gradi, pregando che il fungo accanto al tavolo all’aperto funzioni — e al Natale avevamo già rinunciato da tempo, stringendo piccoli patti cauti con altre famiglie, e sono tante, che come noi hanno deciso di non tornare in Italia in questo periodo. Troppi rischi, troppe quarantene, troppe inversioni di marcia da parte di un premier in stato confusionale, uno che non ha ancora capito che le promesse fatte con l’aria da ex simpatico a cui non funzionano più i vecchi trucchi non le ascolta più nessuno.
Con quei numeri e quella variante già in giro, definire “francamente disumano” cancellare il Natale è stata una ennesima mossa scriteriata, seguita da un inevitabile cambio di rotta che ha fatto sentire presi in giro tutti, da noi stranieri agli amici inglesi in isolamento da giorni per prepararsi a vedere i parenti. Ogni paese ha la sua variante di incompetenza: in questo caso c’è una classe politica che evidentemente non crede in quello che dice e che, a furia di inversioni di rotta, è riuscita a combinare un disastro anche con la popolazione più pragmatica e disciplinata del mondo.
Poi, in un crescendo faticoso anche per noi sassi, è arrivata la notizia del blocco aereo. Isolani di un’isola isolata. Un brutto pensiero, ennesimo ridimensionamento del nostro perimetro di libertà , della nostra idea di ottimismo, dei nostri diritti (a cui, stando da un anno in salotto, pensiamo sempre meno spesso). E soprattutto un incubo pratico per migliaia di persone, soprattutto giovanissimi, che non hanno una domesticità rodata come la nostra a cui tornare per improvvisare un Natale mutante. Bastava comunicare prima, comunicare meglio? O avrebbe portato troppi rischi di contagio, troppi errori come quelli fatti con Wuhan all’inizio?
Ripenso all’amico che per andare dalla famiglia in Romania dovette passare due settimane in un albergo circondato dai lupi in Transilvania a mangiare quello che gli mettevano davanti alla porta chiusa dall’esterno: sarebbe stata una soluzione accettabile per noi? Intanto una mail mi informa che secondo uno studio un italiano su dieci sta pensando di tornarsene in patria in via definitiva. Inevitabile, vista l’incertezza monumentale di questi tempi in cui l’organizzazione è tutto. I cieli si riapriranno, speriamo presto, ma che ne è di quella «divina vitalità » di Londra di cui parla Virginia Woolf? Basteranno gli aerei per riaccenderla?
Al supermercato lo scaffale della carta igienica questa volta è pieno, la gente si arraffa ‘mince pies’ e altre prelibatezze natalizie, ma alcuni cartelli spiegano che forse ci saranno difficoltà nei rifornimenti di cavolfiori e cavoletti di Bruxelles nei prossimi giorni di intreccio infernale tra Brexit e Covid, una sciagura fatta in casa e l’altra caduta dal cielo, in combutta per sentenziare l’enorme fallimento di una politica piaciona e cinica. Nella tempesta perfetta della Londra del dicembre 2020 sembrano essersi dati appuntamento i peggiori spiriti degli anni passati: populisti, opportunisti, hacker, manipolatori da social, riformisti mosci, scettici vari, stampa trash, roba che Ebenezer Scrooge farebbe una smorfia di orrore.
Mentre la ministra dell’Interno Priti Patel invita a fare la spia sui vicini che infrangono le regole, i cieli sono vuoti e le autostrade del Kent sono intasate di camion i cui conducenti stanno vivendo un dramma parallelo a quello dei viaggiatori bloccati negli aeroporti, senza cibo nè servizi e con un carico da difendere dal deperimento. In Francia accade lo stesso, ma in un giro di vite nella disperazione, i britannici sono anche angosciati all’idea che tutti quei camion fermi vengano usati come cavalli di Troia da migranti desiderosi di entrare nel loro territorio.
Qualche anno fa per Natale regalammo ai miei suoceri una bellissima coperta con la Union Jack. La lana era pregiata, i colori scuri evitavano sia l’effetto “nostalgia dell’impero”, sia quello “bikini di Geri Halliwell”. Prima della Brexit il Regno Unito era anche questo, tre colori in croce che parlavano di avanguardia e libertà , scienza e arte e di una città che aveva come unico problema il suo enorme successo. Con tutta la comprensione per certi processi che hanno portato alla Brexit, ma chi, in quel 52% di elettori che ha voluto uscire dall’Europa, può essere soddisfatto davanti a una tale situazione, mi chiedo guardandomi intorno per le strade svuotate, ma tranquille del mio quartiere. Quando gli aerei riprenderanno a volare, i britannici scopriranno che il loro posto nel mondo è cambiato e che il loro futuro è stato deciso così, a colpi di braccio di ferro e di annunci a effetto nella settimana dell’apocalisse, quella in cui tutti i nodi vennero a galla.
Cristina Marconi
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
ENTREREBBERO IN AZIONE GLI UOMINI DEI SERVIZI SEGRETI PER RIMUOVERLO FISICAMENTE COME UN MATTO QUALSIASI
Ora che Joe Biden ha ufficialmente incassato il voto dei grandi elettori manca pochissimo al suo insediamento alla Casa Bianca, previsto per il 20 gennaio 2021.
Sulle pagine social del neo eletto presidente e della sua vice, Kamala Harris, è partito il conto alla rovescia, ma intanto si fanno sempre più insistenti le voci secondo cui Donald Trump non sarebbe intenzionato a lasciargli campo libero a mezzogiorno del 20 gennaio, termine ufficiale di scadenza del suo mandato.
Il Tycoon potrebbe rifiutarsi di lasciare fisicamente la residenza presidenziale di Pennsylvania Avenue abitata per quattro anni, nell’ennesimo tentativo di negare il risultato delle elezioni e affermare la sua versione dei fatti: e cioè che lo spoglio dei voti sia stato “truccato” e il risultato “rubato”, come ha provato a dimostrare attraverso i vari ricorsi presentati alle corti statali e alla Corte Suprema, puntualmente respinti.
Eppure Trump non si sarebbe ancora arreso, e potrebbe non arrendersi. Secondo fonti vicine al governo, negli ultimi giorni il presidente uscente avrebbe riunito attorno a sè un gruppo di fedelissimi outsider per essere supportato e consigliato sulle ultime mosse da sferrare prima della fatidica data dell’Inauguration Day.
Tra questi l’avvocata cospirazionista Sidney Powell e l’ex consigliere della sicurezza nazionale Michael Flynn, il quale ha invocato l’intervento della corte marziale e dell’esercito negli Stati contestati perchè si svolgano nuove elezioni.
Secondo le indiscrezioni, del gruppo degli advisor farebbe parte anche Steve Bannon, ex stratega della Casa Bianca di recente accusato di frode, il quale ha detto che il presidente uscente deve nominare immediatamente un Super procuratore per fare luce sulle “elezioni truffa”.
Ma l’ultimo disperato tentativo di Trump di rifiutare l’esito del voto e auto proclamarsi legittimo presidente degli Stati Uniti potrebbe essere appunto quello di barricarsi fisicamente dentro la Casa Bianca dopo che Biden e Harris avranno giurato in Campidoglio, mentre tra le strade di Washington potrebbe essere in corso una “contro inaugurazione” allestita dai suoi seguaci.
Anche su Facebook, in queste ore, circolano almeno due eventi virtuali “alternativi”, e cioè “la cerimonia di inaugurazione del secondo mandato di Donald Trump”, in programma per il 20 gennaio.
Ma cosa succederebbe a quel punto, se Trump si rifiutasse fisicamente di lasciare la Casa Bianca?
In quel caso sarebbero i Servizi Segreti a dover intervenire per rimuovere il presidente uscente dall’Executive Residence affinchè Biden e la sua famiglia siano liberi di installarsi.
“Come abbiamo detto dall’inizio, sono gli elettori americani a decidere il risultato delle elezioni. E il governo degli Stati Uniti ha la piena facoltà di rimuovere i trasgressori fuori dalla Casa Bianca”, ha ricordato lo staff di Joe Biden in un discorso pronunciato a novembre. Se Trump si rifiutasse di lasciare la Casa Bianca dopo il giuramento di Biden e Harris, sarebbe preso come un matto qualunque che cerca di invadere abusivamente la residenza del presidente, e in quanto tale sarebbe rimosso dai Servizi.
Un caso simile non si è mai verificato nella storia degli Stati Uniti, quindi non ci sono precedenti che fughino ogni dubbio sulla strategia da mettere in campo di fronte a un tale scenario, ma il 20esimo emendamento della costituzione statunitense prevede chiaramente che il mandato di ogni presidente scada a mezzogiorno del 20 gennaio successivo alle elezioni.
Dopo il giuramento, Biden sarà a tutti gli effetti il presidente degli Stati Uniti, e avrà tutta l’autorità di chiedere l’intervento dei Servizi Segreti per rimuovere fisicamente Trump dalla Casa Bianca.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
PROTAGONISTA DI MISSIONI UMANITARIE NEI QUARTIERI PIU’ POVERI DI ROMA, E’ RICOVERATO AL GEMELLI
Ora c’è preoccupazione: due cardinali di curia colpiti dal Covid. Il virus ha contagiato due porporati che spesso sono a contatto con Papa Francesco.
Il primo è il cardinale Konrad Krajewski, l’elemosiniere che spesso è protagonista di missioni umanitarie nei quartieri più poveri di Roma e d’Italia per conto del pontefice. Dopo essere risultato positivo al tampone faringeo effettuato alla Direzione Sanità e Igiene e, con alcuni sintomi di iniziale polmonite, è stato posto sotto controllo al Gemelli.
Il Vaticano sta procedendo alle verifiche necessarie tra quanti sono entrati in contatto con lui nei giorni scorsi
Non si sa se il cardinale sia stato a contatto con il Pontefice in questi ultimi giorni.
Di sicuro venerdì scorso era stato visto parlare fitto con Bergoglio prima della predicazione natalizia del cardinale Cantalamessa.
Il Papa stamattina ha avuto due udienze, la prima con la curia e la seconda con i dipendenti del Governatorato, con i quali ha scambiato anche strette di mano e saluti a distanza ravvicinata.
Il secondo cardinale risultato positivo al coronavirus è il presidente del Governatorato, Giuseppe Bertello, ultra settantenne e prossimo alla pensione.
(da agenzie)
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