Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
“ROTTURA”, “VOTO” E “VERIFICA”: LA VOGLIA DI RIMPASTO HA PORTATO LA SITUAZIONE FUORI CONTROLLO
Il salto di qualità è nella parola “crisi di governo”, pronunciata da un leader di maggioranza, mentre il premier è allo “storico” Consiglio europeo di Bruxelles.
Evoca lo spettro dell’instabilità , l’Italietta delle coalizioni litigiose e dei governi fragili che cambiano con una certa disinvoltura.
Racconta spesso Romano Prodi che una volta, dopo il suo primo vertice internazionale, l’allora cancelliere Khol, salutandolo gli chiese: “Chi verrà la prossima volta, al posto suo?”.
È la stessa domanda che avrebbero potuto rivolgere a Conte oggi la Merkel o Macron, perchè le parole hanno un peso, anche se tattiche, strumentali, funzionali al teatrino nostrano.
L’intervista di Renzi al Pais squaderna comunque una crisi sostanziale e, con essa, l’immagine di un premier allo sbaraglio in un contesto internazionale anche con una certa personale responsabilità , propria di chi ha coltivato più la prassi del rinvio che soluzione dei nodi politici che, non da oggi, attanagliano la sua maggioranza.
È vero: le parole del leader di Italia viva non sono dissimili da quelle pronunciate al Senato qualche giorno fa. Però l’enfatica riproposizione, con toni quasi da opposizione in questa giornata, in questo contesto, e dopo che il premier sostanzialmente sulla cabina di regia ha ingranato la retromarcia, dicendosi pronto a ridiscutere tutto, rivelano che la questione va ben oltre il barocco strumento di tecnici e consulenti pensato per gestire il Recovery.
Insomma, il problema è la regia più che la cabina. Perchè la situazione è, tecnicamente, fuori controllo, in una situazione in cui tutti gli attori sono in una sorta di overdose. Chi ha parlato con Renzi ha avuto la sensazione che sia gasato come nei momenti migliori, determinato, per nulla intenzionato a chiuderla in tempi brevi, perchè “così non si va avanti” e il punto è tutto politico: o Conte accetta un chiarimento vero oppure andrà fino in fondo.
I Cinque stelle, partito ancora di maggioranza relativa in overdose da confusione, avvitati in una discussione interna iniziata ad agosto e non conclusa neanche a Natale, tra fronde espliciti e implicito compiacimento da parte di chi non è al governo per il rosolamento di Conte.
Il Pd in overdose letargica, intesa come mediazione a oltranza, tra proposte di “canali di dialogo” e suggerimenti di collegialità , che paventa il voto anticipato come deterrente nei confronti di Renzi.
Dietro questo atteggiamento di “responsabilità ” a oltranza c’è la richiesta al premier di un’iniziativa. Glielo hanno spiegato più volte: se si va avanti così, a navigare finchè regge secondo gli schemi di Casalino, prima o poi si affonda, perchè la ricostruzione è un affare politico serio; e allora chiamati in una stanza i leader della maggioranza, trova un accordo, guida tu anche un’operazione che arriva a un nuovo governo che coinvolga di più i partiti ai loro massimi livelli, anche dando all’operazione una nuova e più solenne narrazione nel rapporto col paese, che vada oltre i posti a tavola nei cenoni e i viaggi tra i comuni.
Chiedono cioè a Conte di gestire una crisi pilotata con l’abilità di D’Alema, la voce empatica della Merkel, lo spirito di un domatore di leone con Renzi.
Ovvero di diventare all’improvviso ciò che non è sfoggiando una capacità di leadership oggettivamente superiore alla sua storia.
E anche alla sua cronaca quotidiana, fatta di “vedremo” e di promesse di “confronto”, nutrita di scetticismo verso la politica e i partiti e di fede assoluta verso il Dio della comunicazione, tra conferenze stampa e spifferi ai giornali. L’ultimo sul fatto che sarebbe pronto ad andare al voto.
In questo surf sull’acqua in ebollizione di un paese in crisi in cui dal dibattito politico è rimossa la parola “morti” (altra differenza non banale con i paesi di cui sopra) la tragedia è che non c’è un vero “stabilizzatore”, che si ponga il problema della way out, di una idea per andare avanti oltre la tattica, anche intesa come sfida.
Ad esempio, se si mette davvero in conto il voto e anche il Pd ne è convinto, uno trova il coraggio di andare alle Camere per chiedere un voto di fiducia e, a quel punto, o si riparte senza questa confusione o ci si conta nel paese.
Se il punto è la verifica, invece che sui giornali, ci si chiude in una stanza, si chiedono panini e caffè e non si esce finchè non c’è un accordo.
Ma siccome invece tutti sanno che è difficile votare tra una seconda ondata che non finisce, una terza che ancora non comincia e la campagna sui vaccini da mettere a terra, tutto il gioco ruota attorno a un non detto perchè la parola è ritenuta disdicevole: il famoso rimpasto di gennaio, a finanziaria approvata.
Di questo, al fondo, si sta parlando. E proprio perchè Conte è Conte, non è D’Alema, non è la Merkel nè un domatore di leoni è restio in quanto pensa che è una trappola per favorire il suo trasloco.
Se fosse un politico l’avrebbe già chiusa, assicurandosi un altro biglietto per Bruxelles.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
POLEMICA A SCOPPIO RITARDATO E’ SEMPRE SOSPETTA… UNA GUERRA TRA POTERI FORTI PER SPARTIRSI LA TORTA DEL RECOVERY
“Alcuni pensano che questo piano sia una legge di bilancio o la panacea di tutti i mali, invece segue le linee indicate dall’accordo del 21 luglio dove si decise tutti e 27 di investire nella transizione ecologica e digitale“.
Ed è stato scritto “sulla base degli atti votati dal Parlamento e delle linee guida Ue che hanno indicazioni chiare sulla distribuzione del budget e le riforme da realizzare”.
Il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola, in un’intervista al Sole 24 Ore, assicura che su piano e task force per il Recovery il governo è aperto al confronto ma gli spazi di manovra rispetto alla bozza non sono ampi.
Perchè l’ossatura del Recovery plan è stabilita dalle linee guida europee in base alle quali almeno il 37% dei fondi devono andare alla transizione ecologica e almeno il 20% al digitale.
“Escluso quel 60%”, continua il ministro, “dobbiamo far fronte anche alle richieste per unire l’Italia con le infrastrutture, potenziare l’istruzione e investire su politiche attive del lavoro e occupazione femminile“, tutte indicazioni contenute nelle Raccomandazioni paese della Ue di cui ogni Stato deve tenere conto nella stesura del suo Piano.
Anche per questo per la sanità sono rimasti “solo” 9 miliardi, a cui però, ricorda Amendola, “vanno aggiunti anche altri dedicati all’efficientamento delle strutture ospedaliere”.
Considerati i paletti entro i quali era necessario muoversi e il fatto che “nel Next Generation Eu non è previsto lo sforamento di bilancio”, dunque, le modifiche non potranno essere sostanziali.
Ma nell’ambito dei capitoli di spesa stabiliti saranno possibili: appena il Cdm libererà il testo, “questa proposta, sottolineo “proposta”, sarà inviata alle Camere, a Regioni e Comuni, alle parti sociali per discuterne anche i cambiamenti”, spiega Amendola. Il dialogo “con Confindustria e sindacati in primis sarà decisivo anche per calibrare o cambiare le 52 linee di intervento”. Poi “l’aggiornamento del piano si concluderà solo in vista della proposta finale, quando sarà finalizzato il Regolamento europeo. Presumo a febbraio“.
Quanto alle polemiche per la presunta “segretezza” dei lavori, il ministro ricorda che “sulla base degli atti votati dal parlamento e delle linee guida Ue un comitato di tecnici tra Chigi, Mef, Ragioneria e il mio ministero ha lavorato con ministeri e tutti i soggetti coinvolti” e “a livello di governo con i tecnici dei ministeri abbiamo fatto 19 comitati operativi e bilaterali settimanali. Non mi pare un lavoro sconosciuto”.
Infine la cabina di regia, oggetto dello scontro frontale con Italia viva, la Commissione “ha chiesto nelle sue linee di guida del 17 settembre, quindi non solo all’Italia, che gli Stati membri individuino un soggetto che svolga il ruolo di coordinatore del Pnrr.
Una unità di missione responsabile dell’attuazione in sinergia con i ministeri coinvolti, che assicuri il monitoraggio e il reporting a Bruxelles. La Commissione sottolinea che questa struttura tecnica dovrà avere capacità amministrative, autorità e risorse umane adeguate. Del resto, anche a livello europeo si è creata una task force apposita che lavora insieme ai commissari per rendere operativo questo percorso di investimenti comuni”.
Ma la Ue chiede che abbia poteri sostitutivi per attuare il piano? “La Ue rimanda agli Stati le definizioni dei poteri delle task force. Per ora c’è un lavoro tra i tecnici dei ministeri per delineare i contorni di una norma che invieremo in Parlamento. Non c’è nessun segreto di Stato o tentativi di golpe, come sento dire. La verità è che i fondi vanno impegnati al 2023 e spesi al 2026, pena la perdita secca se i progetti non si realizzassero”.
La proposta che prevede la cabina di regia politica a tre, i sei manager responsabili delle missioni e la task force di tecnici “verrà discussa in Cdm e poi in Parlamento. Tutti potranno proporre soluzioni migliorative, consapevoli però del cronoprogramma. Come in passato, vedi Expo o Ponte Morandi, se obiettivi e rischi sono chiari, le norme vengono di conseguenza”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
LO SCHEMA DELLE BOZZE E’ ORIENTATO DAI PALETTI DELLA COMMISSIONE UE… CONTE SBAGLIA AD ACCENTRARE TUTTO SU DI SE’, MA RENZI HA TORTO A CRITICARE IL PIANO, I PAESI DEVONO OSSERVARE LE LINEE GUIDA DETTATE DA BRUXELLES, NON PUOI SPENDERE I SOLDI COME TI PARE
Definirle scelte obbligate forse è un eccesso. Ma di sicuro il margine di manovra del governo nel preparare la bozza del Piano nazionale per la ripresa e resilienza era molto limitato.
Le polemiche politiche di queste ore — Matteo Renzi nel suo discorso al Senato si è chiesto “chi abbia deciso” dove mettere le risorse — non tengono conto del fatto che tutti i Recovery plan devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea.
Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles, a partire da lotta al cambiamento climatico e transizione digitale, a cui va destinata una quota ben precisa di fondi.
Non solo: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno.
Per l’Italia la lista è lunga: dalla lentezza della giustizia civile alla bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, passando per i risultati scolastici “tra i peggiori dell’Ue” e l’insufficiente offerta di asili nido.
Tutti problemi a cui (cercare di) rimediare con il Piano. Risultato: la quasi totalità dell’ossatura della bozza era “già scritta” o quasi.
Fuori dalle maglie restano solo i circa 13 miliardi dell’iniziativa React Eu, che il governo punta a usare per il taglio dei contributi per i lavoratori del Sud.
44 pagine di linee guida fissano i paletti
Le linee guida dello staff della Commissione sono state pubblicate lo scorso 17 settembre: 44 pagine ricche di esempi di “tipiche riforme e investimenti” ritenuti adeguati ai fini della transizione verde e delle altre priorità dell’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen, che è stata tra i grandi sponsor del fondo straordinario per la ripresa post Covid finanziato — per la prima volta nella storia — con l’emissione di bond europei per centinaia di miliardi. “Gli Stati hanno bisogno di una guida chiara per assicurare che i 672 miliardi della Recovery facility (il “cuore” del Next generation Eu, ndr) siano investiti sia per la ripresa immediata sia per una crescita sostenibile e inclusiva di lungo termine“, ha spiegato la presidente durante la presentazione del documento. E il punto è proprio questo: quelli che arriveranno all’Italia, primo beneficiario del piano, non sono fondi “svincolati” e da usare a piacimento per i settori scelti dal governo. Servono per costruire l’Europa del post pandemia secondo un progetto di ampio respiro messo a punto a Bruxelles.
Quattro obiettivi: dalla coesione alla transizione digitale e green
Dopo aver ricordato che i Piani nazionali vanno presentati entro il 30 aprile 2021 e discussi informalmente “appena possibile” con la task force europea — l’Italia ha iniziato a farlo a metà ottobre — le linee guida entrano nello specifico.
Mettendo nero su bianco i quattro obiettivi generali che gli Stati membri devono tenere presenti, indicando come il loro piano contribuirà a raggiungerli: al primo posto c’è la promozione della coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione, seguita dal rafforzamento della resilienza economica e sociale, dalla mitigazione dell’impatto sociale ed economico della crisi e dal supporto alla transizione verde e digitale.
A prima vista le descrizioni sono vaghe, ma è solo l’inizio. Perchè il punto 4, sulla base di quanto deciso da Commissione e Consiglio nei mesi scorsi, ricorda che almeno il 37% delle risorse va speso per progetti “verdi”: per l’Italia significa almeno 72,5 miliardi. In più è richiesto “un livello minimo del 20% di spesa legato al digitale“: fanno altri 39 miliardi e passa. La bozza italiana rispetta l’indicazione e va un po’ oltre, visto che alla transizione green vanno stando alle tabelle 80 miliardi pari al 40,8% dei 196 miliardi che sono la cifra complessiva degli stanziamenti della Rrf per l’Italia (stima ancora provvisoria), mentre al digitale ne vengono assegnati 45 (23%). E così il 64% del totale è già assegnato.
Le sette iniziative chiave a cui contribuire
Ma il “foglietto di istruzioni” di Bruxelles è solo all’inizio. Subito dopo i Paesi vengono “invitati a fornire informazioni su quali componenti del loro Recovery plan contribuiranno alle sette iniziative” definite “fiori all’occhiello europei”, che fanno parte della strategia annuale per la crescita sostenibile: si tratta di piani per l’accelerazione nell’uso delle energie rinnovabili, la riqualificazione degli edifici, la promozione di tecnologie per la mobilità pulita, la diffusione di banda larga e 5G, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, lo sviluppo di processori più efficienti insieme al raddoppio della percentuale di aziende che usano big data e servizi cloud avanzati, l’aumento delle competenze digitali e della formazione sul lavoro. Di qui la necessità di un’infornata di progetti in queste aree.
Gli investimenti in infrastrutture? Solo se realizzabili entro il 2026
Quanto agli investimenti in infrastrutture, è lo stesso manuale europeo a specificare che il loro orizzonte temporale deve essere coerente con quello del piano europeo, che si esaurirà nel 2026: dunque “gli Stati dovrebbero evitare investimenti la cui implementazione non può essere assicurata nell’arco di vita della Facility ed essere cauti nel considerare investimenti che richiederebbero impegni fiscali permanenti che richiederebbero economie di bilancio nei budget nazionali”.
Cosa che spiega la scelta di concentrarsi sul rafforzamento e l’estensione di alcune tratte ferroviarie e la realizzazione dell’alta velocità al sud — che già sarà una sfida — e non aggiungere nel calderone altre grandi opere inventate ex novo.
Gli investimenti già decisi saranno finanziati con i prestiti, riducendo così la necessità di indebitarsi ulteriormente sul mercato, mentre le sovvenzioni a fondo perduto andranno a coprire le spese addizionali.
Le raccomandazioni Paese da seguire
Il quadro si completa con la richiesta che il Recovery plan affronti anche le sfide identificate delle raccomandazioni Paese che Bruxelles invia tutti gli anni. Le linee guida ne ricordano alcune che ritengono valide per tutti, tra cui le riforme per migliorare il cosiddetto “business environment” — la facilità di fare impresa — e garantire l’efficacia della pubblica amministrazione. Aggiungendo le richieste specifiche fatte all’Italia, che nel 2019 e 2020 hanno riguardato tra il resto il coinvolgimento di giovani e donne nel mercato del lavoro, gli investimenti per migliorare i risultati scolastici, il rafforzamento delle competenze digitali e la riduzione della durata dei processi civili, il menù è completo.
Poche indicazioni sulla sanità
La bozza italiana recepisce tutte le indicazioni ed è peraltro modellata sulle linee guida italiane scritte dal Comitato interministeriale affari europei, approvate in cdm e discusse in Parlamento a ottobre.
Per quanto riguarda uno degli aspetti più discussi, gli “scarsi” fondi alla sanità , va detto che quel comparto non è tra i punti principali del documento della Commissione visto che i Paesi, sulla carta, possono finanziarlo anche con le risorse del Mes.
Le linee guida si limitano dunque a consigliare che scuole e ospedali siano in cima alla lista degli edifici pubblici da riqualificare e modernizzare — e il Recovery italiano lo prevede — e come esempi di interventi per affrontare le vulnerabilità dei sistemi sanitari cita il “miglioramento dell’accessibilità ” e il rafforzamento dell’assistenza di lungo termine. Il piano italiano, partendo dalle criticità emerse durante la pandemia, punta su assistenza territoriale e digitalizzazione, capitolo che comprende la telemedicina per l’assistenza domiciliare ai pazienti anziani ma anche l’ampliamento dell’accesso dei laureati in medicina alle specializzazioni che sono risultate più scoperte, a partire da anestesia e terapia intensiva.
Obiettivi, tempi e risultati
Il piano vero e proprio, comunque, è ancora da scrivere: sarà molto più dettagliato e, stando allo schema proposto dalla Commissione, dovrà comprendere per ogni progetto specifici obiettivi descritti con numeri e dati, tappe da raggiungere strada facendo, risultati attesi in termini di impatto su quel settore. Ogni voce dovrà essere accompagnata dalla spiegazione di cosa, come, entro quando si punta a realizzare, chi è responsabile di farlo, perchè è importante per il sistema Paese.
La precisione e la chiarezza saranno cruciali, visto che è sulla base dell’effettivo raggiungimento di ogni target nei tempi previsti che la Commissione darà man mano il via libera al versamento dei fondi richiesti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
LA FIDANZATA LUANA: “CON LA FONDAZIONE CHE PORTA IL SUO NOME VOGLIAMO DARE OPPORTUNITA’ A TANTI RAGAZZI E RAGAZZE COME LUI”
Era l’11 dicembre 2018, ore 19.45, mercatini di Natale di Strasburgo. Sono passati due anni da quando il reporter Antonio Megalizzi, 29 anni, assieme al suo collega polacco Bartek Niedzielski, fu colpito a morte da Cherif Chekatt, il giovane killer dell’attentato di Strasburgo, in cui persero la vita cinque persone e ne furono ferite altre 11.
Antonio, calabrese d’origine, ma trentino di fatto, in quei giorni si trovava in città per seguire le attività dell’assemblea plenaria dell’Europarlamento.
Era lì per Europhonica, il primo format radiofonico internazionale che racconta l’Europa e dà voce ad oltre 90 radio universitarie sparse tra Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania e Grecia.
Antonio ne era il coordinatore per l’Italia, ma già da tempo si occupava di Unione Europea, cercando un modo per narrarla, soprattutto ai giovani.
Voleva fare il giornalista, a tempo pieno, e stava cercando di capire come ottenere il tesserino, assegnatogli poi postumo.
Antonio, però, “il sacro fuoco” per questo mestiere ce lo aveva già dentro. “Antonio faceva già parte della nostra tribù — scriveva Lara Lago, giornalista per La Voce di New York, a pochi giorni dall’attentato -, una generazione di giovani giornalisti disillusi, e per questo più tenaci, che non ha paura di nulla: sanno solo di avere una missione ben chiara in testa, e se il sogno di fare il corrispondente estero è impalpabile come zucchero a velo sul pandoro, sanno anche che nulla è più dolce di una carriera che ti costruisci da solo, sulle tue gambe, fino in fondo”.
A ricordare l’11 dicembre di due anni fa è Luana Moresco, la fidanzata di Antonio, che TPI ha intervistato.
Luana quella sera aveva acceso la tv e aveva subito capito che era successo qualcosa. Una volta appresa la notizia dell’attentato, aveva provato a chiamare il fidanzato, ma nulla. Così aveva poi tentato di mettersi in contatto con una sua collega, che era con Antonio durante la sparatoria. Lei era riuscita a rispondere, dicendo che era sotto choc e barricata in un bar con un’altra amica.
Nessuno sapeva dove fosse finito, ma poi verso le 23.30 la Farnesina comunica alla famiglia che il ragazzo è in ospedale. Da qui la decisione di partire subito alla volta di Strasburgo: è notte fonda a Trento, Luana si mette in macchina con la famiglia Megalizzi e raggiunge la città francese.
Qui rimarrà fino all’ultimo, stando vicino ad Antonio e traducendo le informazioni che i medici davano alla famiglia.
Per i successivi tre giorni, tutta Trento e Rovereto, le due città dove il reporter viveva e lavorava, rimangono con il fiato sospeso. Poi, la notizia della morte: Antonio non c’è più. Per tutta l’Italia muore un ragazzo, simbolo del sogno europeo, mentre per Luana muore il suo amore, per la famiglia un figlio e un fratello.
Poi, ancora, il momento del rientro della salma del reporter all’aeroporto di Ciampino: sulla pista d’atterraggio ad aspettarlo ci sono il papà Domenico, il presidente Sergio Mattarella e Luana.
Il suo corpo è avvolto nella bandiera italiana. Per Luana, che oggi è consulente della pubblica amministrazione per l’Agenzia nazionale per i giovani con la società di Ernst & Young, inizia un periodo di grande sofferenza che mai avrebbe immaginato, durante il quale riesce però a far nascere la Fondazione Antonio Megalizzi.
Luana, come sei riuscita a trasformare il dolore in una molla per portare avanti i valori che condividevi con Antonio?
È una domanda che mi fanno in tanti, forse quando provi così tanta sofferenza non c’è spazio per l’odio. Gli attimi della sera dell’11 dicembre ti rimangono impressi come una cicatrice che ti porterai sempre dentro, un tatuaggio indelebile fatto di secondi, di sensazioni e speranze. Non sono cose che si possono dimenticare. Giorno per giorno si impara a convivere con il dolore, a cercare di trovare la forza nei ricordi, e l’unica cosa che vuoi è ridare giustizia alla persona che ami, e amarla ancora.
Come è nata l’idea di creare una Fondazione per Antonio?
L’idea è nata già a gennaio 2019. Quando qualcosa di così brutto accade ti trovi davanti ad una scelta: chiudersi nel dolore, e non c’è nulla di male perchè non ci sono reazioni giuste o sbagliate, oppure la volontà e la necessità di agire sul dolore e farne qualcosa di positivo. Inizialmente per noi è stato un atto di amore: aver cura di Antonio era creare qualcosa che potesse portare avanti il suo messaggio. Poi è diventato qualcosa di più: non solo amare Antonio attraverso la Fondazione, ma dare nuove opportunità a tanti ragazzi e ragazze. La Fondazione non è solo per Antonio, ma per tutti, specialmente per i giovani. È una Fondazione fatta di persone.
Quali progetti avete in mente per il futuro?
La Fondazione, aperta il 3 dicembre 2019, è stata inaugurata ufficialmente lo scorso 14 febbraio. Nonostante l’emergenza sanitaria in corso, ci siamo attivati da subito sul sito e sui social media per fare ordine tra le informazioni, promuovendo la buona informazione, realizzando grafiche e strumenti per contrastare le fake news. Non solo, abbiamo partecipato a webinar e seminari online per confrontarci su tematiche come la comunicazione, il giornalismo e le politiche europee. In particolare, in questo periodo stiamo lavorando ora al nostro progetto principale: “Ambasciatori della Fondazione Antonio Megalizzi”.
In che cosa consiste?
Il progetto si propone di selezionare, tramite una call nei primi mesi del 2021, trenta studenti universitari che seguiranno un percorso di formazione: dalla storia al funzionamento delle istituzioni europee, dall’impatto dell’Unione europea nelle nostre vite all’analisi di fatti di attualità , dall’identificazione di buone pratiche giornalistiche ad approfondimenti sul mondo della comunicazione. Gli ambasciatori riceveranno così gli strumenti per organizzare attività a nome della Fondazione nelle scuole, ma anche in altre realtà educative, per accrescere la consapevolezza su tematiche di pubblica utilità e incentivare la partecipazione attiva.
Sia te che Antonio credevate nel sogno europeo, che cosa ne è rimasto oggi?
Il sogno europeo non è qualcosa che svanisce o che ti possono portare via. Vive nel lavoro della Fondazione, nel percepire l’Unione Europea come casa, nella consapevolezza che l’Ue sia la nostra quotidianità . Certo, ci rendiamo conto che ci sono tante cose che potrebbero essere migliorate, ma credere nel sogno europeo significa anche voler contribuire al miglioramento delle istituzioni e delle politiche europee, nella consapevolezza che un’Ue forte e democratica rappresenta ancora il nostro miglior futuro.
Che tipo di giornalista era Antonio?
Antonio diceva sempre: “My job is better than your vacation” (Il mio lavoro è meglio della tua vacanza), perchè amava davvero fare questo lavoro. Gli piaceva parlare con la gente, confrontarsi, ma anche informarsi e approfondire diverse tematiche. Era una persona molto curiosa. Approfondiva così bene le tematiche, che riusciva a scherzarci sopra. Invitava i suoi colleghi e le sue colleghe di Europhonica ad improvvisare, ma la sua era un’improvvisazione preparata
Un consiglio per i giovani giornalisti di oggi?
Quelli di base: verificare le fonti, essere rigorosi e attenti, approfondire. Non cercare lo scoop veloce e impreciso. Sentirsi sempre responsabili di ciò che si racconta e della categoria che si rappresenta. E poi essere se stessi, portare se stessi dentro le cose. Antonio parlava di Brexit, di bufale, e di tanto altro, ma riusciva sempre a farlo con il suo sguardo.
Cherif Chekatt, l’attentatore di Strasburgo, aveva la stessa età di Antonio. In carcere si è radicalizzato ed è diventato un sostenitore dell’Isis. Hai mai pensato al perchè di questo gesto?
Quando c’è stato il famoso attentato al Bataclan di Parigi, mi ricordo che Antonio era rimasto sveglio tutta la notte a commentare l’accaduto, che a lui e a tutti i suoi colleghi di Europhonica appariva come un evento storico di portata enorme. Su Cherif Chekatt, ovviamente mi sono domandata cosa sarebbe potuto essere diverso nel suo percorso di crescita, quali eventi hanno determinato le sue scelte di vita. La risposta non è mai semplice, ma voglio vivere la mia vita cercando sempre di portare avanti l’integrazione, cercando di fare la mia piccola parte per mostrare gentilezza e rispetto delle differenze. Non so se questo avrà mai un impatto sulla vita delle persone, nè tanto meno se lo avrà su persone che potrebbero seguire un percorso come quello di questo ragazzo, ma è qualcosa che posso attivamente fare: è un piccolo apporto che posso portare.
Antonio viveva di radio. Com’era il suo rapporto con questa fantastica ossessione?
Antonio amava la radio. Diceva che gli piaceva perchè c’era un rapporto più intimo con gli ascoltatori. La radio è intima ma unisce. È distante ma avvicina. È leggera, così leggera che si sente ovunque, ma non si vede. È leggera nella sua presenza, nel linguaggio. E Antonio era così: sapeva essere leggero nel linguaggio, non appesantiva i suoi interventi di parole superflue. Dava molta importanza alle parole e le sceglieva con cura.
In occasione dell’anniversario della morte di Antonio Megalizzi, RadUni, l’associazione degli operatori radiofonici universitari, e Europhonica, hanno organizzato la maratona “Non fermiamo questa voce”.
Per 24 ore saranno trasmessi i lavori, le dirette e le riflessioni di Antonio su tutte le emittenti del circuito RadUni, con lo scopo di raccontare le attività del Parlamento europeo ed approfondire temi di attualità politica, economica e culturale attraverso la voce di un reporter che non c’è più.
Si potranno ascoltare anche contenuti su argomenti cari ad Antonio, oltre al racconto ”Cielo d’Acciaio”, il testo scritto da Megalizzi, registrato nel 2019 dai suoi colleghi della redazione italiana di Europhonica.
Inoltre il 14 dicembre 2020, il Comune di Trento proietterà sulla Torre Civica in piazza Duomo l’immagine di Antonio realizzata da Mauro Biani. La Fondazione, lo stesso giorno, inviterà gli utenti su Twitter e Instagram a pubblicare un’immagine, un ricordo o un pensiero su Antonio con l’hashtag #antonioperme per poter condividere insieme la giornata.
(da TPI)
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
L’ENNESIMA STORIA DI DISCRIMINAZIONE RAZZISTA E IGNORANZA NEI CONFRONTI DI UNA RAGAZZA CRESCIUTA IN ITALIA, CHE PARLA BENISSIMO L’ITALIANO E CHE CERCA DI MANTENERSI GLI STUDI UNIVERSITARI
Pubblica un annuncio di lavoro su un noto sito che si occupa di case in affitto, offerte lavorative e oggetti in vendita.
Al post risponde Fatima, ragazza di 25 anni di Rovigo. Contatta l’autrice al telefono, si presenta e si dichiara interessata al lavoro, ma la risposta della sua interlocutrice le gela il sangue: “Fatima? Dal nome sembri araba, niente da fare”.
Sul sito si cerca una ragazza che aiuti la proprietaria di una villetta con le pulizie e piccole commissioni. Davanti a un rifiuto così violento, Fatima non è riuscita a stare zitta: ha postato la sua denuncia sui social con gli screen dei messaggi che le due si sono scambiate. Contattata al telefono da Fanpage.it, la donna autrice dell’annuncio è quasi caduta dalle nuvole quando ha scoperto della polemica montata sui social.
“E quindi? — ha detto — Cosa c’è di male? Non sono interessata, io. Ho avuto brutte esperienze e soprattutto queste persone hanno abitudini diverse dalle mie. Passano metà della loro giornata di lavoro a terra a pregare, mangiano cose diverse e ti trattano male se in casa tua cucini una fetta di carne. Non fa per me”.
Le ricordiamo che gli annunci online devono rispondere a norme di legge inclusive. A questo punto chiude la conversazione con un nuovo “non mi interessa”.
Una storia, questa, che ha dell’assurdo, ma che è comune a tante persone in Italia.
Fatima si sente tutto, meno che straniera: ha origini marocchine, ma vive a Rovigo da quando era molto piccola. In Italia ha costruito tutta la sua vita e quel che le manca sta crearlo un mattone alla volta.
Sempre alla ricerca di un futuro più stabile ha deciso di trovare un lavoro per mettere da parte i soldi necessari per iscriversi all’università .
“Ho studiato come cuoca alla scuola alberghiera e subito dopo ho iniziato a lavorare — racconta a Fanpage.it -. Sto cercando di mettere da parte la retta universitaria per l’anno prossimo, ma non è facile trovare un impiego quando le persone dicono di non voler assumere stranieri”.
Questa è la prima volta che ti rispondono in maniera così violenta?
Sì. In genere mi rifiutano senza dirmi il vero motivo oppure me lo dicono tramite conversazione telefonica e non ho le prove per raccontare quanto succede. Questa volta però non potevo stare zitta davanti a un messaggio così forte. Ho deciso di postare lo screen sui social per denunciare cosa si verifica troppo spesso per tanti di noi.
Che tipo di annuncio era?
Una donna cercava una ragazza che la aiutasse con le pulizie di casa in un paese vicino Rovigo. Mi sono candidata per quel ruolo e quella persona mi ha risposto con violenza, basandosi soltanto sul mio nome. Le ho detto che avrei potuto denunciarla e mi ha risposto che in casa sua lei fa entrare chi vuole.
Cosa intendi quando dici che si è basata solo sul tuo nome?
Nel mio curriculum non ho una foto nella quale indosso il velo, anche se normalmente lo porto. Lo faccio perchè così ho più possibilità di trovare un impiego: sono pochissimi quelli ai quali non importa il tuo credo religioso o le tue origini. Non ha guardato neppure le mie referenze nè ha potuto basarsi su un dettaglio in foto, nulla di tutto ciò.
Tu hai avuto esperienze lavorative precedenti a questa?
Sì, ho avuto diversi posti di lavoro, molti nel campo della ristorazione che è quello per cui ho studiato. Li ho ottenuti tramite conoscenze, perchè rispondere agli annunci e aspettarsi un impiego è quasi un’utopia per gli italiani di seconda generazione o per gli immigrati in Italia. Io non mi sento immigrata, anzi non lo sono. Vivo qui da quando ero piccola, mi sono sposata qui e ho la mia casa qui. Parlo l’italiano fluentemente, questa è casa mia. Quello che provo io, lo provano tante altre persone. Anche con gli annunci riguardanti le case in affitto abbiamo grandi difficoltà .
Cioè?
Mia cognata ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato e anche suo marito. Più volte è venuta da me piangendo perchè non riesce a trovare una nuova abitazione per lei e i suoi figli solo perchè è straniera. Non guardano neppure alle referenze, capisce? Per loro è araba, quindi non vogliono affittarle casa. Si tratta di una situazione drammatica. Non possiamo continuare a vivere a lungo in un paese che non ci vuole
Hai mai pensato di andare via dall’Italia?
Ho studiato da sola le lingue per poter andare via, perchè qui non ci sono prospettive. Non perchè io pensi che questo sia un Paese senza futuro, ma perchè per le persone come me il futuro è sbarrato. Io vorrei studiare qui, vorrei continuare a costruire la mia famiglia e il mio lavoro qui, ma sembra non sia possibile.
L’annuncio sul web
Il post per una collaboratrice domestica è stato pubblicato su un noto sito per annunci riguardanti oggetti in vendita, posti di lavoro e case in affitto. Si cerca una donna che aiuti la proprietaria di casa con la pulizie dell’abitazione. Si chiede grande esperienza e l’aiuto anche in piccole mansioni di tipo quotidiano, come la spesa, da spiegare meglio durante un eventuale colloquio.
Alla fine dell’annuncio, una postilla del sito: questo post è rivolto sia a uomini che donne, ai sensi delle leggi 903/77 e 125/91, e a persone di tutte le età e tutte le nazionalità , ai sensi dei decreti legislativi 215/03 e 216/03.
«Questa è la storia di ogni volta che io debba rispondere ad un annuncio di lavoro. Vi chiedo gentilmente di condividere al fine magari di dare un taglio a questi atti di razzismo. Non ho veramente parole per descrivere quanto schifo provo per queste persone».
(da agenzie)
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
CINQUE REGIONI A RISCHO ALTO, 14 MODERATO
“L’incidenza ancora troppo elevata e l’attuale forte impatto sui servizi sanitari richiedono di attendere prima di considerare un rilassamento delle misure di mitigazione, ivi comprese quelle della mobilità , oltre alla necessità di mantenere elevata l’attenzione nei comportamenti”. È quanto raccomanda l’Iss nel consueto monitoraggio.
“Sebbene si osservi una diminuzione significativa dell’incidenza a livello nazionale negli ultimi 14 gg (454,70 per 100.000 abitanti nel periodo 30/11/2020-06/12/2020 contro 590.65 per 100,000 abitanti nel periodo 23/11/2020-29/11/202), il valore è ancora molto elevato”, osserva l’Istituto. L’incidenza rimane cioè ancora “troppo elevata per permettere una gestione sostenibile”.
Pertanto, si legge nella bozza del monitoraggio, ”è necessario mantenere i livelli di trasmissibilità significativamente inferiori a 1 su tutto il territorio nazionale consentendo una ulteriore diminuzione nel numero di nuovi casi di infezione e, conseguentemente, una riduzione della pressione sui servizi sanitari territoriali ed ospedalieri”.
Attualmente, 14 Regioni/PA sono classificate a rischio Moderato di una trasmissione di SARS-CoV-2. Di queste, nessuna ha una probabilità elevata di progredire a rischio alto nel prossimo mese nel caso si mantenga invariata l’attuale trasmissibilità . Due Regioni sono classificate a rischio Basso e 5 a rischio Alto: Emilia Romagna, Puglia, Sardegna, Veneto e provincia di Trento.
“Si raccomanda alle cinque Regioni che sono ancora classificate a rischio Alto di una epidemia non controllata e non gestibile di adottare rapidamente misure di mitigazione come indicato nel documento Prevenzione e risposta a COVID-19”.
In 16 Regioni si evidenzia un “impatto alto” sui servizi sanitari per sovraccarico di terapie intensive e area medica, per evidenza di nuovi focolai (in Rsa, case di riposo, ospedali o luoghi con popolazione vulnerabile) e per nuovi casi segnalati. Si tratta di Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna., Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, PA Bolzano, PA Trento, Puglia, Sardegna , Toscana, Umbria e Veneto.
(da agenzie)
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
“CI VUOLE COERENZA, NON SI POSSONO MISCHIARE NUCLEI FAMILIARI”
Il virologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti è contrario alla possibile cancellazione del divieto di spostamento tra comuni a Natale e Capodanno.”Sono contrario, il governo aveva già deciso questo divieto e dovevano esser coerenti, al limite ci si doveva pensare prima. Importante è non mischiare i nuclei familiari”, dice Crisanti, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1.
Il premier Giuseppe Conte si avvia verso una modifica delle norme previste per contrastare l’emergenza Covid a Natale cedendo alla pressione degli alleati di governo e dell’opposizione. Verrà meno, infatti, il divieto di spostamenti da un comune all’altro nei giorni del 25 e 26 dicembre e il giorno di Capodanno, dopo la presa di posizione da parte di Italia Viva, del Pd e ieri anche di di Luigi Di Maio, che si sono detti — come tutto il centrodestra — contrari al provvedimento che penalizza i piccoli comuni.
Il premier si è dunque reso conto che le misure restrittive del decreto Natale non avevano più una maggioranza politica che le sostenesse, e — sebbene il voto in Aula non sia previsto — corre ai rimedi.
(da agenzie)
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Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
I LEGHISTI SI ERANO SCATENATI CHIEDENDO LE DIMISSIONI: SENZA VERGOGNA
Il 7 dicembre quando era uscita la notizia che Luciana Lamorgese era risultata positiva al Covid, la Lega in modo sciacallesco aveva attaccato la ministra come se contagiarsi fosse una colpa.
Sia Capitan Nutella che Calderoli avevano postato dei commenti pessimi sulla presunta malattia di Lamorgese.
Ve li ricordiamo:
“Auguri di pronta guarigione al ministro Lamorgese. Una volta guarita, che è la cosa più importante, bisognerà chiarire se sia vero – come scrivono alcune fonti – che abbia disubbidito alle disposizioni del suo stesso governo, andando in Consiglio dei Ministri senza attendere il risultato del test, mettendo così a rischio la salute di altre persone”. Lo afferma il segretario della Lega, Matteo Salvini.
“Il ministro che controlla e multa gli italiani che non rispettano le regole, non può essere la prima a non rispettarle: in questo caso – conclude il leader del Carroccio – le dimissioni sarebbero dovute”.
“Sono umanamente vicino al ministro Luciana Lamorgese positiva al Covid, sono vicino ad una persona malata e io che con la malattia combatto da anni so di cosa si parla” inizia Calderoli, e poi l’affondo: “Tuttavia mi permetto di esprimere la mia preoccupazione seria, per l’accaduto, perchè ad ammalarsi è stato proprio chi ha la massima responsabilità istituzionale di far rispettare gli obblighi e le norme per prevenire il contagio, l’utilizzo delle mascherine, il rispetto del distanziamento, il lavaggio delle mani ecc ecc.”.
“Il dubbio atroce che mi assale è il seguente: queste norme il ministro non le ha rispettate oppure se le ha rispettate significa non sono sufficienti? Perchè in entrambi i casi, trattandosi del ministro degli Interni, sarebbe gravissimo sia l’uno che l’altro caso. Guarisca presto signora Lamorgese, glielo auguro di cuore, ma noi intanto facciamoci il segno della croce che è meglio, perchè se si ammala pure il ministro degli Interni abbiamo di che preoccuparci…”, concludeva Calderoli.
Oggi si scopre la ministra dell’Interno è negativa al Covid. La positività riscontrata nel tampone del 7 dicembre, spiega la direzione generale dell’ospedale Sant’Andrea di Roma, è da attribuirsi ad un evento, raro ma possibile, di errore nel processare il campione.
Successivi due test molecolari per SARS-CoV-2, eseguiti nelle giornate del 9 e 10 dicembre, sono risultati negativi.
Dunque la Lega, nelle persone di Salvini e Calderoli, chiederanno scusa a lei ma anche a tutti coloro che rispettano le regole ma accindentalmente si contagiano per colpa di altri?
Ossia di coloro che criticano insensatamente le misure di sicurezza, non indossano la mascherina, e fingono di non comprendere che certe restrizioni sono l’unico modo per rallentare il virus?
Attendiamo con ansia.
(da agenzie)
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