Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
GELO DELLA LEGA E SILENZIO DA FORZA ITALIA
“Non credo alla buona fede di Renzi e alla reale volontà di aprire una crisi di governo ma sarei contenta di sbagliarmi. Propongo a chi realmente voglia, come noi, mandare a casa definitivamente il governo Conte, e comunque a tutto il centrodestra, di presentare una mozione di sfiducia al presidente del consiglio e all’intero governo”.
Lo dichiara il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. “Così vedremo, ancora una volta, chi vuole mantenere in vita l’attuale esecutivo (o al massimo puntare a un rimpastino), con tutti i gravissimi danni che sta arrecando agli italiani e chi invece vuole mandarlo veramente a casa”., ha aggiunto.
La proposta non è stata accolta con particolare entusiasmo dagli alleati. “In questo momento, l’unico che sarebbe beneficiato da una mozione di sfiducia è proprio Conte”, fanno sapere fonti della Lega.
Mentre da Forza Italia non è arrivato nessun commento.
(da agenzie)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
LE IDEE DELLA VICEPRESIDENTE DELLA LUISS PAOLA SEVERINO PER EVITARE BUROCRAZIE ED ABUSI
Le risorse del Recovery Fund non vanno considerate come “un prestito da restituire ma come uno strumento per rinnovare le strutture del Paese, a partire dalla pubblica amministrazione ma non solo”.
A dirlo, in una intervista all’HuffPost, è la vicepresidente della Luiss Paola Severino che, partendo da un approccio “positivo” verso le possibilità offerte dai fondi europei, traccia un quadro degli interventi necessari per un utilizzo corretto e meritocratico delle risorse a disposizione per evitare abusi e sprechi.
Il tema, del resto, ha accentrato su di sè tutta l’attenzione del dibattito politico in Italia e in Europa: dopo l’invito all’Italia del Commissario Ue Paolo Gentiloni di approntare procedure rapide per la realizzazione dei progetti per non perdere l’accesso alle risorse del Next Generation EU, anche il premier Giuseppe Conte è tornato sulla gestione delle risorse e sull’attuazione dei progetti del Recovery Plan, questione che ha generato una profonda spaccatura all’interno del Governo. “Bisogna correre, serve una struttura di governance per l’impiego delle risorse”, ha detto il presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine anno.
Correre però non basta, servono idee su come utilizzare al meglio i fondi rispettando le linee guida dell’Europa e traendo al tempo stesso il massimo beneficio per il Paese, modernizzandolo e colmandone le lacune. Secondo l’ex ministra della Giustizia, le risorse sono un’occasione da cogliere subito per intervenire su più livelli: “Il primo pensiero va ai giovani – dice Severino – ai modelli educativi del futuro che possono consentirci di rinnovare le strutture del nostro Paese”. Un rinnovamento che passa da nuovo metodi di selezione nella pubblica amministrazione e da nuovi modelli educativi per lo sviluppo di competenze specifiche nel digitale. E poi una giustizia più veloce, presidi territoriali del Sistema sanitario da rimettere in sesto, una burocrazia non impeditiva attraverso un approccio sistemico – e non emergenziale – nella gestione degli appalti pubblici.
Professoressa Severino, in Italia il dibattito politico è tutto concentrato sulla struttura di governance del Recovery Plan. Ci sono timori crescenti che le risorse in arrivo dall’Ue vengano usate male o, peggio, finiscano nelle mani sbagliate. Lei che idea si è fatta?
Credo che noi riusciremo a utilizzare pienamente le risorse del Recovery Fund se non lo considereremo più un prestito da restituire ma come un vero e proprio mezzo per innovare le strutture del nostro Paese. Bisogna prendere la parte positiva dei progetti di Recovery Fund e utilizzarla per rendere l’Italia uno Stato più moderno e digitale. E questo si può fare in diversi campi, a partire da quello dell’apprendimento.
Ad esempio?
Noi abbiamo una concezione tradizionale dei corsi di laurea, ma forse si può iniziare a pensare a nuovi modelli, ad esempio a corsi brevi che creino nuove capacità professionali. Per essere utili al Paese non è necessario essere laureati, può esserlo anche acquisire competenze nuove e specifiche. Come nel digitale, perchè è il digitale che darà davvero un incentivo al rinnovamento del Paese. Alla Luiss stiamo sviluppando un nuovo modello di apprendimento che si chiama Scuola42, sulla scia del progetto francese Ecole42, basato sulla formula del peer-to-peer: abbiamo selezionato 150 studenti e i risultati sono straordinari. E non serve una laurea per accedere.
È un modello che si può estendere anche alla Pubblica amministrazione?
Una parte del Next Generation EU dovrebbe puntare al rinnovamento della Pa. L’età media è molto elevata e l’occasione va perciò colta assolutamente per un ricambio generazionale. Non basta però assumere giovani ma bisogna assumerli con procedure di selezione e con modello di apprendimento diversi. Se i fondi Ue fossero utilizzati per sviluppare nuove metodologie di apprendimento e di concorsi per la selezione nella Pa, credo che avremmo fatto qualcosa di fortemente incentivante per il rinnovamento del paese.
Gli interventi sulla Pubblica amministrazione appaiono non più rinviabili.
Il Recovery Fund ci offre la possibilità di creare nuovi modelli anche nel rapporto tra pubblico e privato: abbiamo bisogno di una Pa che capisca le esigenze delle imprese e di imprese che comprendano le esigenze della Pa e le modalità con cui relazionarsi. Concorsi più snelli permetterebbero di formare una nuova generazione capace di dialogare col pubblico e col privato.
C’è però il tema della prevenzione dei rischi nell’uso scorretto dei fondi europei.
Sì. Da una parte dobbiamo impedire che una burocrazia macchinosa rallenti l’arrivo delle risorse ai progetti che si vuole finanziare. Dall’altra bisogna evitare che, nell’accelerare le procedure di selezione, i fondi finiscano poi nelle mani sbagliate. Dobbiamo fare in modo che le risorse vadano ai progetti e ai soggetti realmente meritevoli sia sotto il profilo della legalità sia del successo nella realizzazione. È questa la vera grande sfida che si pone oggi.
Serve però un attento monitoraggio.
Noi avremo un doppio monitoraggio, quello nazionale e quello europeo. Uno dei mezzi non invasivi che consente la verifica puntuale è l’apertura di conti dedicati alle risorse che le imprese incaricate dei progetti riceveranno. Come avviene nel campo dell’edilizia: in Italia se dobbiamo fare lavori sfruttando fondi pubblici come le detrazioni fiscali bisogna fare affidamento a modalità tracciabili, in modo che non si produca del nero o che denaro finisca in altri impieghi diversi da quelli previsti.
In questo modo, lei dice, si riuscirà a controllare sia dove finisce il denaro sia come viene realmente impiegato.
Sì. Un altro mezzo a disposizione potrebbe essere quello degli stati di avanzamento, ricorrendo a infrastrutture digitali in grado di verificare l’avanzamento dei lavori secondo gli schemi e le tappe prestabilite per il raggiungimento dei risultati. Tutti questi strumenti servono a rendere trasparente l’uso del denaro.
Un discorso analogo a quello fatto sulla Pubblica amministrazione andrebbe fatto anche sulla giustizia.
Sappiamo bene quanto una giustizia rapida ed efficiente abbia un impatto positivo sull’economia di un Paese e sulla sua capacità di attrarre investimenti. Durante la pandemia abbiamo visto come sia possibile ricorrere al processo telematico, una modalità che ovviamente non è applicabile a tutti i tipi di processo ma che dove applicato – penso al civile e all’amministrativo – ha dato buoni risultati. Una volta superata la pandemia il processo telematico può sicuramente contribuire ad accorciare i tempi lunghi della giustizia.
Infine, ma non ultima, la questione della sanità , di cui la pandemia ha mostrato tutte le inefficienze.
Abbiamo visto negli scorsi come il sistema sanitario italiano abbia intrapreso la strada della chiusura degli ospedali più piccoli a favore dei presidi territoriali. Oggi però questi presidi territoriali si sono rivelati chiaramente insufficienti e ci siamo tutti resi conto delle lacune che dobbiamo colmare al più presto. Perciò, ripeto, le risorse europee non vanno viste come un prestito ma come uno strumento di rinnovamento di tutto il nostro sistema, a cominciare da quello sanitario. Questo è un aspetto centrale.
Molti osservatori hanno espresso più di qualche critica nei confronti del Codice degli appalti. Il professore Sabino Cassese, in una intervista a Repubblica, ha parlato di “azione impeditiva”. Lei come la pensa?
Credo che oggi servano mezzi nuovi. È chiaro che il sistema degli appalti è complesso e articolato e può prestarsi ad abusi, ma non per questo bisogna affidarsi a normative impeditive. I sistemi di controllo che si possono creare attorno agli appalti, come stati di avanzamento e conti dedicati, possono contribuire a erogare il denaro evitando che la rapidità vada a discapito di un corretto uso di quei fondi.
C’è anche chi invoca il modello Genova, che prevede diverse deroghe al Codice degli appalti. È un modello applicabile anche ai progetti del Recovery Fund?
Il modello Genova ha dato risultati esemplari ma è un unicum. Il timore è che la moltiplicazione di quell’approccio e quindi delle deroghe alle norme possa generare difficoltà nelle attività di controllo e monitoraggio.
Quello di Genova è un approccio emergenziale, non di sistema.
Appunto. È invece qui che bisogna intervenire, sui grandi numeri e su vasta scala, attraverso modelli non invasivi nè preclusivi. L’obiettivo è fare presto e fare bene.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
“IL NOSTRO PIANO VACCINI E’ IN ALTO MARE, C’E’ POCA INFORMAZIONE”
“Certamente AstraZeneca sta dando un vantaggio al Regno Unito, che accelererà sui tempi della vaccinazione”. Le notizie che arrivano dall’Inghilterra, e dalla Germania, non possono non far pensare a quelle che Silvio Garattini definisce “le implicazioni politiche” dell’affaire vaccini.
“Non si può negare che ci siano egoismi nazionalistici”, scandisce il celebre farmacologo, presidente dell’Istituto “Mario Negri” di Milano.
Novantadue anni, tra i sette testimonial del Vax Day lombardo, soffermandosi sulla campagna di immunizzazione italiana invita il Governo “a non lasciare le cose al caso e a impegnarsi per non ripetere gli errori del passato”. Quanto al nostro piano vaccini, Garattini ha pochi dubbi: “È in alto mare”.
Lei è stato tra i primi a vaccinarsi, professore. Perchè questa scelta?
La Regione me l’ha chiesto e l’ho fatto. Per spirito di servizio, per dare l’esempio e per rassicurare i dubbiosi sull’efficacia e la sicurezza del vaccino.
Come sta?
Bene. Mi aspettavo qualche lieve effetto collaterale, invece per fortuna non ho avuto proprio nulla.
Professor Garattini, il Regno Unito ha autorizzato il vaccino AstraZeneca/Oxford su cui l’Italia ha fortemente puntato. Il via libera di Londra contrasta con la dichiarazione dell’Ema, secondo cui è improbabile un’approvazione a gennaio in Europa. Il vaccino funziona in Gran Bretagna e non altrove?
Il via libera di Londra contrasta anche con le dichiarazioni, un po’ contraddittorie, della stessa AstraZeneca, quando ha parlato di rapporti con la Russia per cooperare alla sperimentazione sul vaccino Sputnik V. Dal canto suo, l’Ema ha dichiarato di non aver ricevuto la documentazione e la richiesta di approvazione da parte di AstraZeneca. Quanto al Regno Unito, bisogna vedere per cosa utilizzeranno il vaccino, per il quale c’era il problema che la mezza dose era più attiva della dose intera e l’effetto era molto ridotto negli anziani. Potrebbero pensare di utilizzarlo solo per gli adulti. Avendo a disposizione due vaccini, si può diversificare. Poi ci sono le implicazioni politiche.
AstraZeneca sta dando almeno un mese di vantaggio di forniture al Regno Unito?
Certamente. È anche questione di organizzazione. Ci sono molti fattori che andrebbero conosciuti dall’interno e che non conosciamo. Di sicuro il comportamento dell’Inghilterra è diverso da quello dell’Ue.
In che senso?
L’Europa si sta dimostrando più responsabile, più prudente, perlomeno vuole avere più garanzie.
In un’intervista a HuffPost dello scorso aprile, lei avvertiva sul rischio che il vaccino potesse non essere disponibile per tutti allo stesso tempo. Propose “una licenza obbligatoria sulla base della quale la casa farmaceutica che avrà in produzione il vaccino nel Paese in cui si metterà a punto prima, dia la possibilità di produrlo anche a case farmaceutiche di altri paesi”. Quel rischio si è avverato?
Purtroppo sì, non ci sono state iniziative per dare licenze obbligatorie. O, come avevano proposto India e Sudafrica, per togliere il brevetto nel periodo Covid. I Paesi occidentali hanno negato questa possibilità . Pensare all’immunizzazione dei Paesi a basso reddito è indispensabile.
Perchè?
Se in determinate aree del mondo si è tutti vaccinati, ma lo si lascia circolare in altre aree, il virus muterà e tornerà da noi, magari in varianti non suscettibili al vaccino. È interesse di tutti che la vaccinazione proceda in modo regolare nel mondo. Si tratta di buon senso.
Come con Pfizer mediante una procedura accelerata, anche con AstraZeneca Londra ha approvato il vaccino prima di tutti gli altri Paesi. Sullo sfondo c’è la Brexit: egoismi nazionali e interessi politici ed economici stanno prevalendo sulla solidarietà tra gli Stati cui l’Ue ha ispirato la strategia per la vaccinazione?
Non si può negare che ci siano egoismi nazionalistici. L’Usa fa per conto suo, come Russia, Gran Bretagna e Cina. Se ci fosse stato un accordo preventivo avremmo accelerato i tempi della vaccinazione globale.
Intanto, forse anche per stare al passo di Regno Unito, Usa e Cina sono partiti con largo anticipo, la Germania ha annunciato di aver prenotato per conto proprio 30 milioni di dosi extra dell’anti Covid prodotto da Pfizer (americana) in collaborazione con BioNTech (tedesca). Iniziativa “vietata dagli accordi”, ha spiegato il presidente Conte. L’intesa sancita sul piano europeo si è già infranta?
La Germania si è difesa e ha fatto per conto suo e questo le permetterà di accelerare, ma la prenotazione è stata fatta prima degli accordi europei. Avremmo potuto farlo anche noi. Con “Medici senza frontiere” avevamo detto al Governo di seguire lo sviluppo dei vaccini, di non puntare solo su uno o ci saremmo ritrovati in coda. Alle cose bisogna pensare per tempo, non si possono fare all’ultimo minuto. Anche con “Moderna” ci si è mossi alla fine e avremo poche dosi.
La Francia è in difficoltà con la “sua” Sanofi che, due settimane fa ha comunicato di poter consegnare le dosi del vaccino solo alla fine del 2021. Questo ritardo mette in difficoltà anche l’Italia, che aveva puntato su questo preparato. Dobbiamo preoccuparci professore?
Tutti i ritardi mettono in difficoltà tutti.
Che idea si è fatta del nostro piano vaccini?
Il nostro piano è ancora in alto mare. Non conosciamo i risultati del bando per reclutare 3000 medici e 12.000 infermieri. Non abbiamo informazioni sufficienti per poter calcolare la durata della campagna di immunizzazione. Bisognerebbe capire quante persone si vaccinano ogni giorno. Iniettare un vaccino richiede tempi precisi, anche per l’osservazione successiva. Non è che si può procedere a tappe forzate.
Governo e commissario continuano a rassicurare. Per ora, però, mentre aspettiamo il 6 gennaio per il via libera a quello di Moderna, abbiamo solo il vaccino Pfizer.
Rassicurare va benissimo, però sarebbe importante avere una campagna di informazione adeguata. Dobbiamo spiegare alla gente che cosa è, come funziona, come si somministra il vaccino, quali sono i vantaggi anche in termini numerici e quali gli effetti collaterali. Bisogna coinvolgere le tv e i mass media e non stancarsi di ripetere le cose. Informazione e comunicazione sono uno dei punti deboli delle istituzioni, come ha evidenziato l’emergenza Covid. Ancora oggi ci vengono presentati dati e statistiche senza rapportarli ai numeri della popolazione. Sa qual è il rischio?
Qual è?
Senza una comunicazione chiara la gente non capirà . Coinvolgiamo persone credibili, rappresentanti del mondo della cultura, attori, atleti. E si faccia sulla base di un piano, non lasciando tutto al caso.
Il presidente Conte ha detto che “in primavera inoltrata potremo avere un primo impatto significativo”, con il vaccino a 10-15 milioni di cittadini. Pesa, però, lo scetticismo diffuso anche tra medici e operatori sanitari.
Un medico che non vuole vaccinarsi è un incosciente, fallisce nella sua missione. Quanto ai numeri, a meno che Conte non abbia informazioni su nuovi e più massicci arrivi di fiale, i conti non tornano. Se riceviamo 450 mila dosi a settimana, in 12 settimane nè avremo circa 6 milioni e dunque, considerando che servono due iniezioni, vaccineremo 3 milioni di persone. Credo sia necessario un po’ di spirito critico. Per dire le cose come stanno e soprattutto per evitare gli errori commessi in passato con mascherine, tamponi e banchi.
Come si convincono gli indecisi a vaccinarsi?
Spiegando le cose come stanno. I fanatici non li convinceremo mai, non dobbiamo polemizzare con quelli. I dubbi sono legittimi, non va condannato chi li ha. Spetta a noi spiegare, se sapremo farlo la gente comprenderà l’utilità del vaccino. Ma bisogna sempre informare tempestivamente e raccontare la verità , anche nel caso in cui succedesse qualcosa di imprevisto o grave.
Si discute sull’ipotesi di introdurre l’obbligo per alcune categorie. Il Governo confida nella persuasione. È realistico, visto il clima segnato da indecisioni e tentazioni no vax?
L’obbligatorietà deriva da una reale necessità . Prima di parlare di questo, assicuriamoci di avere vaccini a sufficienza. Altrimenti sono solo polemiche inutili.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
E SUI MEDICI SCETTICI SULLE VACCINAZIONI: “CAMBINO MESTIERE, NON POSSONO PORTARE CONTAGI IN CORSIA”
Basta con l’esercito di negazionisti e disinformati che fanno campagna contro il vaccino mettendo a rischio non solo la propria salute, ma anche quella del prossimo.
Sulle vaccinazioni anti-Covid “è molto chiaro o convinci o costringi. Temo fortemente che i messaggi degli ultime settimane siano stati contraddittori e spero che la situazione del Veneto non sia antefatto di quello che possiamo aspettarci a gennaio”.
Lo ha affermato Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, ospite di ‘Agorà ‘ su RaiTre.
Ha poi aggiunto parlando dei medici scettici nei confronti della vaccinazione anti-Covid: “Chi non si vaccina cambia mestiere. Siamo tutti molto drastici su questo: c’è la responsabilità del medico di non portare l’infezione in corsia, e quindi lavorare in sicurezza anche nei confronti dei propri colleghi – ha aggiunto l’infettivologo – Poi c’è una questione morale, i medici devo convincere e se sei esitante sul vaccino non dai un buon esempio ai pazienti”.
(da agenzie)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
CONTE DOVREBBE SEGUIRE L’ESEMPIO TEDESCO
Durante la conferenza stampa di fine anno, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha risposto ad alcune domande riguardo ai vaccini e alle dosi fornite ai vari Paesi europei. Tra gli interventi c’è stato un commento in merito alle 30 milioni di dosi acquistate in più dalla Germania rispetto a quelli previsti dall’accordo europeo e una domanda sul perchè l’Italia non ha percorso la stessa strada.
Per giustificare una scelta diversa da quella tedesca, Giuseppe Conte ha affermato che le dosi per l’Italia, concordate attraverso la Commissione europea, sarebbero «assolutamente sufficienti».
Non solo, il Presidente del Consiglio ha citato l’articolo 7 del contratto europeo riguardante il divieto di intraprendere accordi bilaterali con le ditte produttrici coinvolte. La Germania lo ha fatto e avrebbe dunque violato l’accordo? Conte non risponde a questa seconda domanda sostenendo di non essere a conoscenza dettagliata dei fatti.
L’articolo 7 del contratto stipulato a livello europeo prevede effettivamente il divieto di accordi bilaterali per gli aderenti al contratto, salvo nel caso che qualche Paese non decida di uscirne:
Article 7: Obligation not to negotiate separately
By signing the present Agreement, the Participating Member States confirm their participation in the procedure and agree not to launch their own procedures for advance purchase of that vaccine with the same manufacturers.
In case an APA containing an obligation to acquire vaccine doses has been concluded with a specific manufacturer, the Member States having made use of the opt-out provided under the present Agreement can enter into separate negotiations with the same manufacturer after the APA under the present Agreement has been signed.
La Germania non è affatto uscita dall’accordo europeo, allora perchè ha concluso un accordo per ulteriori 30 milioni di dosi? La vicenda non è affatto nuova, spiegata in un articolo di Bloomberg del 2 dicembre: a detta del ministro della salute tedesco Jens Spahn, gli accordi intrapresi con la BioNTech SE, partner di Pfizer, sarebbero iniziati solo dopo che la società tedesca aveva garantito di poter soddisfare le richieste dall’accordo europeo.
C’è da dire che la Germania sta proseguendo accordi con aziende esterne al contratto europeo, come ad esempio la IDT Biologika GmbH che avrebbe garantito a Berlino 5 milioni di dosi.
A livello europeo sono state concordate un numero di dosi tale da soddisfare le richieste di ogni aderente al contratto, dosi garantite dagli stessi produttori man mano che verranno approvati dall’EMA. Secondo il piano strategico italiano dovremmo ricevere in totale 202 milioni e 573 mila dosi, di cui 26,92 milioni dalla Pfizer.
Numeri tutt’altro che sicuri, infatti possiamo al momento considerarli soltanto come una stima provvisoria in attesa delle autorizzazioni che le altre aziende farmaceutiche devono ottenere per i propri vaccini.
Cosa potrebbe accadere se parte di questi non superasse l’approvazione dell’EMA o subisse un forte ritardo a causa della sperimentazione? Parliamo pur sempre di 202 milioni di dosi per una popolazione pari a circa 60 milioni di abitanti, ma la prudenza non è mai troppa.
L’accordo «extra europeo» della Germania con la BioNTech SE non dovrebbe intaccare le promesse fatte per la fornitura delle dosi del vaccino Pfizer ai Paesi firmatari del contratto europeo, ma la ricerca di ulteriori fonti porta Berlino a garantire ai propri cittadini una copertura nel caso altre aziende e i loro vaccini rischino di inciampare o addirittura fallire la missione.
Una scelta che, in mancanza di contestazioni da parte della Commissione europea, poteva e potrebbe Giuseppe Conte e il Governo italiano potrebbe intraprendere facendone esempio.
(da Open)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
“RECOVERY PRONTO A META’ FEBBRAIO”
Il Recovery Plan “in Cdm nei primi giorni di gennaio”, poi il confronto con le parti sociali e la società civile, in modo da presentare “a metà febbraio” il piano all’Europa.
“È urgente una sintesi politica. Dobbiamo correre” e il Governo “non deve disperdere il suo patrimonio di credibilità ”. Ed è “chiaro che non si può governare senza la coesione delle forze di maggioranza, si può solo vivacchiare”.
Se venisse a mancare la fiducia di un partito come Italia Viva, “andrei in Parlamento” per una verifica, “il passaggio parlamentare è fondamentale”, ma “non voglio credere a uno scenario di crisi” e “non cerco un’altra maggioranza”.
Giuseppe Conte arriva alla conferenza stampa di fine anno nel pieno della tempesta politica. Si siede al tavolo di Villa Madama davanti ai cronisti proprio mentre in Senato ha appena terminato di parlare Matteo Renzi che invita il Governo a “decidere cosa fare da grande”, critica il mancato rispetto delle Istituzioni in occasione della legge di bilancio e sui Servizi segreti, avverte che “non saremo complici del più grande spreco di denaro della storia repubblicana”, con riferimento al Mes e al Recovery fund.
Il premier fa il punto di un anno vissuto intensamente, con l’Italia flagellata dal coronavirus, affrontato con 19 dpcm, con continue riunioni fra politici e tecnici e con decisioni complicate da prendere, intervallate quotidianamente da bollettini drammatici sul pesantissimo bilancio della pandemia.
Affronta anche le sfide del futuro più immediato, già a inizio gennaio dal Recovery Plan alla riapertura delle scuole, e di medio periodo, dallo scenario primaverile preoccupante del mondo del lavoro dopo lo sblocco dei licenziamenti al primo impatto significativo del piano vaccini, anche quello previsto in primavera.
Un breve preambolo per rispondere alle sollecitazioni del presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna sui problemi del settore, ma passa subito alle domande, che si susseguono per quasi tre ore.
La prima, inevitabilmente, riguarda la verifica nella maggioranza e il Recovery Plan.
“Dopo la legge di bilancio, il prossimo passaggio urgente è il Recovery Plan. Ci sono stati in questi giorni incontri dopo che le forze politiche hanno presentato documenti e osservazioni critiche. Dopo quella bozza tecnica, è urgente una sintesi politica. Va fatta nei prossimi giorni, non valgono qui i giorni di festa” spiega il premier.
Di fronte a “un’occasione storica”, Conte punta ad “andare in Cdm già nei primi giorni di gennaio e partire subito, il giorno dopo, con il confronto con le parti sociali e poi dare al Parlamento la possibilità di dare un ulteriore contributo. Questo ci dovrebbe consentire ragionevolmente di arrivare in tempo, metà di febbraio per il progetto definitivo”.
Per il Recovery, dice poi Conte in risposta a un’altra domanda “non ho detto che va tutto bene, se non abbiamo ancora la struttura di governance vuol dire che dobbiamo affrettarci. Dobbiamo correre” spiega il premier, aggiungendo che occorre pensare a “una clausola di salvaguardia”, perchè “se non si rispetta il cronoprogramma le erogazioni sono sospese o addirittura si devono restituire i fondi. Per questo serve un meccanismo che stabilisca una volta per tutte cosa succede se si accumulano ritardi e si rischia di perdere le somme”. E sulla struttura di governance “penso a un decreto: è una richiesta precisa della Commissione europea”.
(da agenzie)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
DOPPIA VITA: MILITARE ANTISEMITA E FINTO RIFUGIATO, VERRA’ PROCESSATO PER TERRORISMO
David Benjamin, un finto rifugiato siriano, rischia una condanna fino a 10 anni di carcere in Germania con l’accusa di terrorismo.
Durante il processo si parlerà di un militare di nome Franco A. facente parte di una rete di estremisti di destra, razzista e antisemita. Ciò che sconvolge in tutta questa vicenda è che il finto rifugiato e il militare estremista sono la stessa persona.
Franco, di cui si conosce solo l’iniziale «A» del cognome per una questione di privacy in Germania, ha vissuto per 16 mesi una doppia vita fingendosi un rifugiato siriano di nome David Benjamin assegnato nel 2016 in un centro di accoglienza vicino a Monaco di Baviera.
Non parlando arabo aveva destato i sospetti dei mediatori, ma possedendo una buona padronanza della lingua francese riuscì a farla franca raccontando di essere cresciuto in una colonia francese a Damasco.
L’addestramento militare
Non era un militare qualunque. Si arruolò nell’esercito ad appena 19 anni e venne successivamente selezionato per frequentare l’accademia militare di Saint-Cyr in Francia, luogo dove apprese la conoscenza della lingua francese utile per la sua lunga e macchinosa interpretazione. Il comandante francese dell’accademia rimase sbigottito di fronte alla tesi finale presentata nel 2013 da Franco, un elaborato razzista e antisemita tale da venire segnalato ai superiori tedeschi.
Nonostante la giovane età , Franco riuscì a convincere i suoi superiori che si era lasciato andare ottenendo soltanto un rimprovero e la presentazione di una nuova tesi. Non venne rimosso dall’esercito, non fu segnalato all’agenzia tedesca di monitoraggio dell’estremismo all’interno delle forze armate, mantenendo una condotta ritenuta esemplare in patria tale da non destare sospetti. Nel frattempo, però, Franco si era unito a un gruppo di estremisti di destra appartenenti alle forze dell’ordine tedesche.
L’arresto
Franco venne arrestato in Austria nel 2017 per possesso illegale di arma da fuoco, una Unique 17 calibro 7,65 francese nascosta in un bagno per disabili dell’aeroporto di Vienna. La polizia austriaca inviò le sue impronte digitali ai colleghi tedeschi per verificare la sua identità , ma questi vennero sorpresi nello scoprire che corrispondevano a un rifugiato siriano ospite nei pressi di Monaco di Baviera.
Come se non bastasse, il vaso di Pandora venne definitivamente scoperchiato grazie al contenuto dei dispositivi elettronici sequestrati al momento dell’arresto: in una chiavetta USB vennero trovati due manuali, uno riguardo gli esplosivi dei Mujahedeen e una guida per la guerriglia urbana durante la Guerra Fredda, mentre nel cellulare vennero riscontrate le frequentazioni di Franco a una rete di chat Telegram di estrema destra dove erano iscritti numerosi soldati e agenti di polizia tedeschi
L’estremismo razzista
Franco frequentava certi ambienti da diversi anni. Al suo ritorno in Germania dall’accademia francese, entrò in contatto con altri militari che condividevano le sue stesse ideologie estremiste. Fu allora che entrò a far parte delle chat frequentate da ufficiali dell’esercito e della polizia in cui discutevano del tema immigrazione in Germania.
Tra i leader di questa rete c’era un ufficiale chiamato Hannibal, membro delle forze speciali KSK e dirigente di un’organizzazione privata di nome Uniter che organizzava corsi di addestramento paramilitare.
Gli appartenenti alla rete estremista erano dei veri e propri survivalisti, accumulavano scorte di cibo e provviste per sopravvivere ad un eventuale collasso dell’ordine sociale tedesco.
Una probabilità che per Franco era sempre più vicina a seguito dell’accoglienza da parte della Merkel dei richiedenti asilo provenienti dal Medio Oriente. Secondo i pubblici ministeri tedeschi, Franco iniziò a considerare la ricerca di un «evento scatenante» che facesse «reagire» la popolazione tedesca.
Franco diventa David
A quel punto Franco decise di diventare David, presentandosi in una stazione di polizia tedesca come un richiedente asilo cristiano siriano di origini francesi. Tra il 2015 e il 2016, come ricorda nel 2017 il ministro dell’Interno della Baviera Joachim Herrmann (CSU), i richiedenti asilo venivano riconosciuti come tali senza una effettiva verifica della loro identità permettendo di fatto al finto rifugiato di farla franca ottenendo la protezione sussidiaria.
Nel cellulare di Franco vennero trovate non solo le chat Telegram, ma anche delle fotografie scattate all’interno di un parcheggio privato sotterraneo di Berlino.
Le immagini risalgono all’estate 2016 mentre Franco viveva la sua doppia vita da militare e finto rifugiato, ma a destare preoccupazione era il luogo dove si era recato: l’edificio della Fondazione Amadeu Antonio gestita dall’attivista ebrea Anetta Kahane, figlia di sopravvissuti e bersaglio dell’estrema destra tedesca.
Tra il materiale perquisito a Franco c’era anche una mappa con l’ubicazione esatta del parcheggio di Kahane contenente una frase inquietante dove affermava che «non potevano ancora agire come vorrebbero».
Durante la permanenza a Berlino aveva acquistato una guida per un mirino telescopico ed era stato visto in un poligono di tiro a provare alcuni accessori con un fucile d’assalto, tutte circostanze che avrebbero portato i pubblici ministeri a considerare l’eventuale omicidio da parte di un immigrato siriano dell’attivista ebrea come il precedentemente citato «evento scatenante».
L’antisemitismo e «la più grande cospirazione nella storia dell’umanità »
L’antisemitismo fa parte dell’indole di Franco, il quale era convinto che la Germania sarebbe stata tradita da una cospirazione dell’èlite ebraica e nella sua contestata tesi sostenne che gli ebrei fossero intenzionati ad ottenere il dominio globale attraverso «la più grande cospirazione nella storia dell’umanità ».
Il processo che attende Franco — che partirà all’inizio del prossimo anno — non riguarda solo la sua condotta. Politicamente parlando, quanto è accaduto resta comunque un duro colpo per l’amministrazione tedesca: da una parte la mala gestione delle richieste di asilo tra il 2015 e il 2016, che potrebbero aver portato alla ribalta altri «Franco», dall’altra la conferma di una rete di estrema destra neonazista e antisemita tra le fila dell’esercito e delle forze dell’ordine tedesche.
(da Open)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
SECONDO QUESTI DEMENTI IL VICE-PRESIDENTE DOVREBBE DICHIARARE LA VITTORIA DI TRUMP
Siamo alla follia pura: Mike Pence si è rifiutato di appoggiare un piano per rovesciare i risultati elettorali, nominando grandi elettori di Donald Trump negli stati chiave dove ha vinto Joe Biden, durante la sessione del Congresso che il vice presidente dovrà presiedere il prossimo 6 gennaio.
E’ quanto è stato rivelato dagli avvocati di Louie Gohmert, il deputato texano che, insieme a 11 Grandi Elettori repubblicani dell’Arizona, ha intentato una causa contro Pence affinchè un giudice federale riconosca che il vice presidente ha l’autorità di determinare i Grandi Elettori che devono decidere l’esito delle presidenziali
Nelle carte presentate per velocizzare il bizzarro precedimento legale, che anche alcuni esponenti repubblicani non hanno esitato a definire “folle”, emerge quindi che alla causa contro Pence si è arrivati dopo che il vice presidente non ha dato il suo sostegno al loro piano, fondato sulla contestazione come incostituzionale della legge a cui dal 1889 il Congresso si riferisce per il conteggio dei voti elettorali.
“In una teleconferenza gli avvocati dei ricorrenti hanno cercato di risolvere con l’accordo la disputa legale, anche riferendo agli avvocati del vice presidente l’intenzione di chiedere un’ingiunzione immediata se non si fosse raggiunto un accordo” si legge nel ricorso di Gohmert che conclude che “queste discussioni non hanno avuto successo”.
Ieri sera, il giudice distrettuale del Texas Jeremy Kernodle ha accolto parzialmente la richiesta chiedendo a Pence di presentare una risposta al ricorso entro domani e poi a Gohmert una nuova replica entro il primo gennaio. Il giudice comunque non ha accettato di convocare un’udienza
Di fronte al rifiuto di Donald Trump, e dei suoi irriducibili sostenitori, di riconoscere la sconfitta elettorale, Pence si troverà il 6 gennaio nella difficile posizione di dover presiedere la seduta, a camere congiunte del Congresso, che ratificherà definitivamente la vittoria di Biden.
(da agenzie)
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Dicembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
“DECISIONE RAZZISTA”… AVVISO ALLA CORTE DEI CONTI: ORA I 30.000 EURO DI SPESE LEGALI LI CACCINO DI TASCA LORO SINDACO E GIUNTA, NON I CITTADINI CHE NON SONO RAZZISTI
La Corte d’Appello del Tribunale di Milano ha respinto il ricorso del Comune di Lodi contro la sentenza del Tribunale di Milano che aveva accertato il carattere discriminatorio del regolamento per l’accesso ai servizi sociali agevolati, che aveva dato origine al famoso “caso mense”.
La nuova sentenza è nettissima, definisce “infondato” il ricorso e ne smonta pezzo per pezzo le ragioni
La Corte d’Appello scrive che “La differenziazione introdotta dal regolamento comunale in punto di documentazione su redditi/beni posseduti (o non posseduti ) all’estero costituisce una discriminazione diretta nei confronti dei cittadini di Stati extra UE per ragioni di nazionalità perchè di fatto, attraverso i gravosi oneri documentali aggiuntivi richiesti, rende loro difficoltoso concorrere all’accesso alle prestazioni sociali agevolate, così precludendo ai predetti il pieno sviluppo della loro persona e l’integrazione nella comunità di accoglienza.”
In modo ancora più chiaro che nella prima sentenza, è mostrata l’assenza di basi giuridiche per la delibera che ha istituito il regolamento discriminatorio “Nel caso in esame, non sussiste alcuna causa normativa della differenziazione introdotta dal Comune di Lodi ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate da parte di cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea”. In un comunicato il Coordinamento Uguali Doveri scrive in un comunicato : “La prescrizione del regolamento del comune di Lodi che aveva causato l’episodio di discriminazione che ha avuto una eco nazionale e anche internazionale è definita “irragionevole ed in contrasto con i limiti al potere normativo degli enti locali in materia di prestazioni sociali agevolate”.
Riassumendo, la Giunta ha violato tutte le norme (leggi ordinarie,Costituzione, Convenzione dei diritti dell’uomo) e ha compiuto un atto discriminatorio. Lo ha fatto in totale irragionevolezza, violando l’art. 3 della Costituzione. Ha inoltre legiferato arrogandosi un diritto che non le era consentito violando l’art.117 della Costituzione poichè è materia in cui lo Stato ( e non il Comune ) ha competenza legislativa esclusiva. si augura che il Comune di Lodi accetti la sentenza e metta la parola fine a questa triste vicenda, che è giusto si chiuda con una vittoria della solidarietà e del diritto.
(da agenzie)
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