Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
SI E’ BUSSATO A TUTTE LE PORTE DEGLI AMICI E SPONSOR DI HAFTAR SENZA OTTENERE NULLA DI CONCRETO
Una cosa appare certa: passeranno il Natale da ostaggi. Perchè nonostante aver bussato a tutte le porte degli amici e sponsor del sequestratore, i 18 marittimi di Mazara del Vallo non vedono la luce in fondo al tunnel. Sequestrati da oltre 100 giorni in Libia, ecco la loro condizione nel racconto di oggi del Corriere della Sera: “I due pescherecci italiani sequestrati sono ormeggiati alla banchina principale della zona militare costruita ai tempi di Gheddafi nel grande porto di Bengasi. Ieri poco dopo mezzogiorno non erano visibili sentinelle lì attorno. Sono fermi e vuoti da quando sono stati sequestrati dalle motovedette del maresciallo Khalifa Haftar, la notte tra l’uno e il due settembre. L’Antartide e il Medinea hanno le reti arrotolate sul ponte di poppa, vicino alle casse vuote, ben impilate, del pescato. I 18 membri dell’equipaggio (8 italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi) si trovano invece chiusi nella palazzina di quattro piani dell’amministrazione, sita a circa 500 metri dalle due barche. Secondo un collaboratore locale del Corriere, che è stato al porto militare ieri, i prigionieri sono relegati in un grande stanzone al secondo piano. Il cibo viene servito regolarmente: una dieta a base di pasta, pesce e verdura. Trascorrono il tempo guardando la televisione, hanno servizi igienici sempre accessibili. Sin dall’inizio del sequestro, e come già nei numerosi casi simili nel passato, le autorità italiane hanno chiesto che i marinai non venissero chiusi in un carcere con altri prigionieri. Alcune settimane fa era girata la notizia che fossero stati spostati nel carcere civile di El Kuefia, una quindicina di chilometri da Bengasi. Ma dal campo testimoniano il contrario. Si tratta però di prigionia a pieno titolo. Non hanno alcuna libertà di movimento. L’intera area è circondata da un muro di cemento. Vi si accede dal centro città soltanto da un posto di blocco controllato dalle teste di cuoio con l’uniforme blu dei commando della marina di Haftar, addestrate dai consiglieri militari russi ed egiziani. Quattro o cinque sentinelle stazionano notte e giorno all’entrata della palazzina. A sentire gli ufficiali di Haftar ci sono poche speranze che siano liberati per Natale. ‘La prossima settimana inizierà il processo agli italiani qui nel tribunale di Bengasi. Attendiamo il verdetto. E dobbiamo valutare se il governo di Roma è disposto a scambiare i calciatori libici condannati a 30 anni di carcere dai tribunali italiani’, spiega un alto graduato che comanda la difesa del porto, riferendosi al caso dei quattro giovani libici accusati nel 2015 dal tribunale di Catania di essere trafficanti di esseri umani e di aver causato la morte di 49 migranti.
Fonti locali spiegano inoltre la differenza del caso italiano con quello dei 17 marinai turchi a bordo del mercantile Mabruka fermati dai guardiacoste di Haftar il 5 dicembre e liberati solo 5 giorni dopo su pagamento di una cauzione da parte di Ankara.
Dicono: «La nave turca è stata ispezionata. Non trasportava armi o merce illegale. Gli italiani stavano invece gettando le reti nella zona esclusiva libica di pesca. Sapevano di contravvenire le nostre leggi e non era la prima volta”.
Il nulla di Roma
Una conferma che ormai non contiamo più nulla nello scacchiere mediterraneo viene da New York. Nei giorni scorsi il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la proposta del segretario generale, Antonio Guterres, di nominare il bulgaro Nickolay Mladenov come nuovo inviato speciale in Libia.
Mladenov sostituirà Ghassan Salamè, che aveva lasciato l’incarico lo scorso marzo per motivi personali. Il diplomatico bulgaro è stato negli ultimi anni il mediatore dell’Onu nel conflitto israelo-palestinese.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato contemporaneamente la proposta di Guterres di nominare il norvegese Tor Wennesland nuovo inviato Onu per il processo di pace in Medio Oriente. Wennesland ricopriva il ruolo di inviato speciale della Norvegia per il Medio Oriente. Wennesland prenderà il posto di Mladenov, nominato nuovo inviato speciale in Libia. Dunque: un bulgaro e un norvegese rappresenteranno le Nazioni Unite in un’area Sud rivestendo ruoli che l’Italia ambiva.
Il caso della nave turca
Il portavoce dell’armata del generale Khalifa Haftar, cioè dell’Esercito nazionale libico (Lna), Ahmed al Mismari, ha annunciato giovedì scorso che la nave turca Mabrouka, battente bandiera giamaicana, è stata rilasciata dopo la perquisizione e l’interrogatorio del suo equipaggio. Il colonnello al-Mismari ha dichiarato in una nota che la nave turca, il cui fermo da parte delle motovedette di Haftar risale al 5 dicembre, quando il cargo venne dirottato nel porticciolo di Raas al-Hilal, 80 chilometri a ovest di Derna e 40 a nord di al-Baida, sede del governo della Cirenaica.
La nave “è stata rilasciata dopo che è stata pagata una multa per aver navigato nelle acque territoriali libiche senza autorizzazione nonchè per essere entrata in una zona di operazioni militari” ha aggiunto al-Mismari. Secondo l’Lna la nave cargo, che aveva a bordo 17 uomini di equipaggio, di cui 9 cittadini turchi, era entrata in una zona proibita al largo di Derna.
Alla nave turca è stata comminata una multa mentre per liberare navi e marittimi italiani pare che Haftar voglia la liberazione di quattro rampolli di importanti clan che sostengono il feldmaresciallo, uomini che in Libia vengono definiti “calciatori” e che da noi sono in galera con condanne per reati gravissimi, incluso l’omicidio, legati allo sfruttamento dell’immigrazione illegale.
Uno “scambio di prigionieri” che si addice più ad accordo tra due nemici dopo un cessate il fuoco che a un sequestro arbitrario di cittadini italiani allo scopo di ricattare e umiliare Roma.
Dopo 100 giorni di prigionia nè Palazzo Chigi nè la Farnesina hanno usato termini inequivocabili e perentori paragonabili a quelli utilizzati dai turchi e che solitamente ogni Stato utilizza in simili circostanze. Roma ha di fatto informato il mondo che prendere di mira gli interessi (e i cittadini) italiani non comporta per nessuno “gravi conseguenze” e chi attua questa minaccia non verrà considerato un “obiettivo legittimo”.
Sul piano diplomatico il ministero degli Esteri non ha mai nominato un inviato speciale in Libia, figura la cui istituzione era stata annunciata un anno or sono dal ministro Luigi Di Maio poi rimasta lettera morta, che oggi avrebbe forse potuto essere di qualche utilità nella gestione della crisi dei pescatori.
Roma mostra così la sua inconsistenza, una resa incondizionata a chiunque abbia interesse a minacciare l’Italia, al punto che il governo Conte non ha neppure dichiarato che ‘nessuna opzione venga esclusa’ per riportare a casa i connazionali: formula solitamente utilizzata da sempre in circostanze simili per esprimere una deterrenza credibile che include anche opzioni militari graduali, dal blitz per liberare gli ostaggi a successive rappresaglie”.
“Ora diciamo basta: è ora che chi di dovere intervenga, anche con corpi speciali, affinchè i pescatori possano fare rientro nelle loro famiglie” aveva detto qualche giorno addietro il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero.
Le rassicurazioni del governo non bastano più. I familiari non ci stanno al silenzio della Farnesina e si dicono pronti a tornare a protestare a Roma. Compresi i parenti dei pescatori senegalesi, tunisini e indonesiani, ai quali, in questi lunghissimi 103 giorni di sequestro, non è stato concesso di poter sentire al telefono i propri cari in Libia.
Un lato oscuro di un’intricata vicenda che è davvero più complessa di quella che si pensasse in un primo momento. “In altri tempi abbiamo tollerato episodi simili che si sono conclusi in tempi molto più ravvicinati. Adesso diciamo che è stata superata ogni misura”, ha commentato monsignor Mogavero.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
RENZI SBRAITA MA NON SI MUOVE… LA CABINA DI REGIA E’ UN TERRENO GIA’ SMINATO
Il clima proprio non c’è. E neanche l’affascinante coreografia di una crisi degna di questo nome,
fatta di incontri, più o meno clandestini, falchi, colombe, pontieri e pompieri, movimenti, dichiarazioni preparatorie, titoli e sottotitoli.
Dopo ampia ricognizione delle fonti, telefonate informate e approfondimenti del caso, il cronista arriva alla conclusione che anche la crisi di governo, paventata e minacciata a giorni alterni, va in lockdown.
Magari non proprio in zona rossa, ma arancione sì. Almeno fino a Capodanno.
Certo Renzi si presenterà all’incontro con Conte giovedì mattina con un suo documento, un’agenda, diciamo così, “polemica” che non prevede cabine di regia, ma una severa richiesta di una regia, chiederà di ridiscutere tutto con maggiore serietà sul Recovery — risorse, allocazione, strumenti — a partire dalla sanità , pronuncerà la parola Mes, la più divisiva di tutte, eccetera, eccetera, però l’atto, quello vero, al momento, non è previsto. Perchè, al netto dei titoloni, e il leader di Italia viva è bravissimo nel giocare sul filo della simulazione e della dissimulazione, il gesto che di fatto renderebbe il gioco duro è uno e uno solo: il ritiro della delegazione dei ministri dal governo. Non sarebbe l’apertura formale della crisi, ma e lì che si capisce se il gioco di fa serio oppure no.
Immaginate la scena, dopo un lungo e sofferto incontro: “Signori, abbiamo sempre detto che siamo qui per la politica, non per le poltrone. E la politica dice che le condizioni per una nostra permanenza nel governo non ci sono più, il che non significa che lasciamo la maggioranza, in questo momento delicato per il paese. Continueremo a sostenere i provvedimenti che ci convincono, ma ci rimarremo in modo autonomo, valutando di volta in volta ciò che riteniamo utile per gli italiani”. Insomma, mani libere, segno di una grande forza politica e morale propria di chi ha il controllo della situazione e non teme di perderlo.
Al momento questa eventualità non sembra esserci, perchè il problema è proprio questo: il controllo della situazione. È proprio questo controllo che manca, dato che accomuna tutte le parti in commedia: il premier che non ha chiaro il punto di caduta, e non solo quello, ripeterà lo schema nel quale ha acquisito una certa maestria, “troncare e sopire”, collezionare documenti e richieste per poi prendere tempo per un “documento di sintesi”; Renzi che pure era partito con la marcia alta ingranata ma ora non può spingere il pedale fino ad andare a sbattere perchè i suoi hanno timore che, in questi tempi di improvvisazione politica, si possa andare a sbattere, metti mai che la situazione impazzisce sul serio e si rischia davvero di andare alle elezioni.
E così, come in un gioco dell’oca, a voler fare una previsione si ritorna al punto di partenza. Che è un po’ quello che aveva detto il Pd a inizio novembre quando coniò la mitica formula del “patto di legislatura” per poi valutare, una volta stipulato, la necessità di mettere mano alla squadra di governo. Insomma, tutti prigionieri di un equilibrio fragile, ma senza alternative.
Per le crisi vere servono le cose enormi e le cose enormi coinvolgono le responsabilità corali. Parliamoci chiaro, la cabina di regia per gestire la ricostruzione, argomento rilevante, ma non proprio in cima alle preoccupazioni degli italiani, è un terreno già sminato perchè non c’è più l’emendamento alla legge di stabilità .
E, ormai è acclarato, se ne discuterà in Parlamento.
Sui servizi la Fondazione per la cybersicurezza è stata già stoppata. E anche il Mes, con tutto il rispetto, pur essendo rilevantissimo come sono rilevanti 36 miliardi sulla sanità in tempi di pandemia e ospedali in affanno è materia che non porta da nessuna parte perchè in questo Parlamento non c’è una maggioranza sul Mes, nè col Conte due nè col Conte ter: se cioè rompi su quello non c’è un governo successivo che può realizzarlo.
Ecco, ciò che spiega il perchè non ci sarà la crisi sono proprio i terreni scelti che non incrociano il vero argomento della discussione: i morti, la seconda ondata, le strategie messe in campo per affrontare l’emergenza sanitaria, il mancato rapporto dell’Oms, le accuse del viceministro Sileri sui “piani fantasma” e sui “manager sciatti” alla Sanità , insomma il principio di realtà .
Proprio oggi Italia Viva ha rinunciato a partecipare all’incontro dei capidelegazione di maggioranza dove si discuteva del lock down di Natale, che non è un provvedimento dei tanti, ma “la” decisione che più impatta sulla vita degli italiani, sulle imprese, sul Pil, ovvero l’assunzione massima di responsabilità in questa fase, una di quelle scelte “politiche” che rende legittima non una crisi ma una discussione vera e sofferta.
Nel comunicato che spiegava l’assenza si legge: “Sulle ulteriori misure da adottare il partito sosterrà lealmente la posizione del governo, purchè si decida tempestivamente e si diano ai cittadini regole chiare”.
Una vale l’altra. Chiaro, no?
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
LA MAGGIOR PARTE DEI CITTADINI FAVOREVOLE A NON RENDERLI OBBLIGATORI, NORD-EST IN TESTA
Otto italiani su dieci dicono sì al vaccino anti-Covid. Anche se più della metà dei favorevoli non vorrebbe farlo subito, ma tra qualche mese, quando si avranno più evidenze sulla reale efficacia.
Resta però uno zoccolo duro del 19% che non farebbe in ogni caso il vaccino.
E’ quanto emerge da un sondaggio Emg-Different/Adnkronos, realizzato il 14 dicembre 2020 con il metodo della rilevazione telematica su panel, su un campione di 1664 casi.
Per più della metà dei cittadini (53%) comunque la somministrazione non deve essere obbligatoria ma una libera scelta dei singoli. Il 37% ritiene invece che debba essere obbligatorio per tutti, mentre il 10% non risponde.
Tra chi opta per il vaccino ‘libera scelta’, le donne al 56% appena sopra gli uomini al 50%. Diversificata la risposta per fasce d’età .
Tra chi vuole il vaccino facoltativo, il 62% ha meno di 35 anni, il 58% è nella fascia tra 35 e 54 anni, mentre solo il 44% ha più di 55 anni.
Nella divisione geografica, spicca il 71% del Nordest tra i favorevoli alla libera scelta. Dato che scende al 61% al Sud, al 55% al Nordovest, al 46% nelle Isole, fino al 30% al Centro.
Sostanzialmente positivo l’approccio al vaccino: il 77% del campione si dichiara disponibile a sottoporsi al vaccino: di questi, il 34% lo farebbe subito senza esitazioni, mentre il 43% aspetterebbe qualche mese prima di vaccinarsi. Il 4% degli intervistati non risponde.
Tra quanti dicono di voler fare il vaccino, l’82% di uomini e il 73% di donne. Risultato diversificato in base alle fasce d’età : sempre sui favorevoli a vaccinarsi, il 63% è under 35; il 71% nella fascia tra i 35 e i 54 anni; ben il 90% ho più di 55 anni.
Numeri alti tra i favorevoli al vaccino nel Nordest (con l’87%) e al Centro (85%); al Nordovest il dato si attesta al 78%, in linea con il dato medio nazionale; si scende invece nelle Isole (71%) e al Sud (65%).
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
TIKHANOVSKAYA: “LOTTIAMO PER LA DEMOCRAZIA”
Il parlamento europeo ha assegnato il Premio Sakharov per la libertà di pensiero all’opposizione
bielorussa, che continua a battersi contro la contestata rielezione del presidente Aleksandr Lukashenko, al potere senza interruzioni dal 1994.
Il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, ha consegnato il premio a Svetlana Tikhanovskaya e Veronika Tsepkalo, in nome di tutta l’opposizione democratica rappresentata dal Consiglio di coordinamento, organismo che riunisce diverse figure della società civile bielorussa, compresa la scrittrice premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievic.
Durante la cerimonia, che si è eccezionalmente svolta a Bruxelles, Sassoli ha detto: «Noi così come il mondo intero siamo pienamente consapevoli di quanto sta accadendo nel vostro Paese. Vediamo il vostro coraggio. Il coraggio delle donne. Vediamo la sofferenza. Vediamo abusi indicibili. Vediamo la violenza. Vediamo la vostra aspirazione e determinazione a vivere in un Paese democratico in libertà e tutto questo ci ispira. Vi sosteniamo nella vostra lotta»
Tikhanovskaya: «Lottiamo per la democrazia»
Mentre Tikhanovskaya ha voluto rendere omaggio al suo popolo: «Lottiamo per la democrazia. Ogni singolo cittadino bielorusso che prende parte alla protesta pacifica contro la violenza e l’illegalità è un eroe. Ognuno di loro è un esempio di coraggio, compassione e dignità . I bielorussi scendono in strada ogni settimana dalle elezioni del 9 agosto. Marciano per il proprio futuro e per il futuro di chi non può essere lì. Marciano per la libertà e la dignità dei bielorussi, degli europei, per la vostra e la nostra. Senza bielorussi liberi, neppure l’Europa è completamente libera. Ho un unico desiderio per quest’anno. Voglio che tutti i bielorussi che ora sono in prigione o sono stati costretti a vivere in esilio ritornino a casa»
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
I SONDAGGI PREMIANO LA SCELTA DELLA MERKEL
Il bilancio più nero dei morti per Covid in Germania arriva nel primo giorno del lockdown parziale implorato la scorsa settimana da Angela Merkel ai Laender.
Il numero diffuso oggi dal Robert Koch Institute è da brividi: 952 morti.
La cifra effettiva delle ultime 24 ore – riferiscono i media tedeschi – è in realtà inferiore a causa di un ritardo nella comunicazione dei dati della Sassonia, uno degli Stati federali più colpiti dalla pandemia.
Le autorità sanitarie del Lander orientale hanno fornito solo oggi il dato mancante di lunedì — 153 decessi — il che fa scendere il bilancio odierno a quasi 800 morti. Un dato comunque pesantissimo, che segna il record dei decessi in Germania dall’inizio dell’epidemia.
È passata una settimana esatta dal discorso della cancelliera al Bundestag, quello in cui, quasi tra le lacrime, definì “inaccettabile” il “prezzo di 590 morti al giorno”. Berlino ci ha messo alcuni giorni per convincere i governatori a piegarsi al lockdown generalizzato, che comunque in Germania non impone il divieto di uscire di casa, ma la chiusura delle attività economiche non essenziali e lo spostamento delle lezioni online (gli asili nido restano aperti solo per famiglie con esigenze considerate “straordinarie”). Le misure includono la chiusura di bar, ristoranti e tutti i negozi non essenziali (ad eccezione quindi di supermercati, alimentari, farmacie e poco altro); il divieto dei mercatini di Natale e di ogni manifestazione/evento pubblico; contatti sociali limitati. Per gli incontri privati è stato stabilito un “tetto” di cinque persone da due nuclei familiari, esclusi i minori di 14 anni.
Solo nei giorni delle festività natalizie si potranno incontrare quattro persone oltre il proprio nucleo familiare stretto. Secondo un sondaggio effettuato da YouGov per conto dell’agenzia Dpa, la formula è approvata dalla stragrande maggioranza dei tedeschi, il 73%.
A poco sono serviti gli appelli del governo tedesco a “comprare solo lo stretto indispensabile” e limitare al massimo i contatti già prima dello scattare del lockdown. Malgrado le misure già in vigore e la nuova stretta, il virus ha continuato la sua corsa: l’Istituto Robert Koch ha segnalato oggi 27.728 nuove infezioni, un aumento del 33% rispetto a una settimana fa.
Dopo aver sperimentato un numero relativamente basso di infezioni e decessi rispetto ad altri Paesi europei in primavera, l’agenzia tedesca per il controllo delle malattie ha registrato più di 400 morti per 11 giorni consecutivi. Lothar Wieler, a capo del Robert Koch Institute, ha rimarcato che la situazione ”è più grave che mai” e c’è il pericolo che “il quadro peggiori e diventi sempre più difficile gestire la pandemia e le sue conseguenze”.
In alcuni Stati, come la Sassonia, la situazione è drammatica. “Nei giorni scorsi siamo già stati costretti più volte a dover decidere chi riceve l’ossigeno”, ha affermato un medico di Zittau, Mathias Mengel, durante un forum online. Le sue dichiarazioni sono rimbalzate sui media tedeschi e internazionali lasciando alcuni interrogativi. Secondo alcune interpretazioni, Mengel si sarebbe riferito alla necessità di applicare il triage presso la propria clinica — la Oberlausitzer Bergland — per decidere quali pazienti Covid accogliere in una terapia intensiva già satura e quali ridirezionare verso altre strutture, ma è indubbia la pressione straordinaria a cui sono sottoposti gli ospedali e le cliniche del Lander, in lockdown già da lunedì scorso.
Il ministro-presidente della Sassonia, Michael Kretschmer, ha rivolto un appello ai cittadini: “Non andate in chiesa a Natale”. “Siamo estremamente allarmati nel vedere che i numeri dei contagi continuano ad aumentare”, ha aggiunto, annunciando che per i prossimi giorni non esclude nuove misure sulla mobilità interna nella regione.
Le restrizioni rimarranno in vigore fino al 10 gennaio, ma potrebbero essere estese se i tassi di infezione non diminuiranno. Lo ha messo in chiaro il ministro della Salute tedesco Jens Spahn, che in un’intervista a N-tv ha parlato anche del possibile inizio della campagna vaccinale “subito dopo Natale”.
Un punto, questo, possibile grazie all’accelerazione — impressa da Berlino — con cui l’Agenzia del farmaco europea dovrebbe approvare il vaccino Pfizer/Biontech il 21 dicembre. Ma iniziare a vaccinare non significa poter abbassare la guardia, ha sottolineato Spahn: “Avremo bisogno delle misure anti-contagio anche il prossimo anno”; soltanto dopo aver raggiunto una quota di vaccinati dal 55 al 65% della popolazione si potranno escludere ulteriori blocchi e immaginare un ritorno graduale alla normalità .
Secondo il già citato sondaggio Dpa/YouGov, il nuovo lockdown – con negozi chiusi (tranne quelli essenziali) e ritorno all’insegnamento a distanza per gli studenti – è approvato dal 73% dei tedeschi.
Solamente il 20% degli intervistati si è detto contrario, con un 7% che non si è pronunciato.
Perfino tra gli elettori di Alternative fur Deutschland, il partito di destra che ha aspramente criticato le azioni messe in campo dal governo Merkel per fronteggiare la pandemia, c’è una maggioranza favorevole alle nuove misure restrittive. Per il 51% la stretta è necessaria. La conta dei morti, forse, sta facendo paura anche a loro.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
LO AVESSERO FATTO DUE MESI FA PER DUE/TRE SETTIMANE ORA NE SAREMMO FUORI
Continua il confronto sulle nuove misure anti Covid che dovrebbero regolare riunioni familiari,
aperture e spostamenti nel periodo natalizio: al braccio di ferro tra i rigoristi che chiedono la zona rossa almeno nei festivi — i ministri Speranza, Boccia e Franceschini — e Conte, che si accontenterebbe di istituire la zona arancione in tutta Italia perchè “le misure stanno funzionando”, si sono uniti adesso i governatori.
Sono soprattutto i leghisti a invocare una zona rossa nazionale, e subito.
Primo tra tutti il presidente Luca Zaia, perchè in Veneto i numeri fanno rabbrividire
All’appello sulla linea rigorista del governatore veneto, quella del lockdown nazionale immediato, si sono uniti gli altri presidenti regionali in quota Lega, Massimiliano Fredriga e Maurizio Fregatti (presidente del Trentino Alto Adige).
Con loro anche il governatore del Molise di Forza Italia Donato Toma (Fi) e Nicola Zingaretti, d’accordo con l’idea di far rientrare “al più presto” l’Italia in zona rossa. Proprio il governatore della Regione Lazio ha condiviso sulla sua pagina Facebook le parole del ministro Franceschini.
“È tempo di scelte rigorose di governo e parlamento, solo regole più restrittive durante le festività potranno evitare una terza ondata di contagi. Per noi che abbiamo responsabilità istituzionali è un dovere intervenire oggi senza esitazioni per salvare vite umane domani”, ha scritto il ministro per i Beni Culturali.
Più flessibili Attilio Fontana e Alberto Cirio, che si sono detti disponibili a una stretta, ma senza l’intransigenza che pretendono i leghisti.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
AUTOCERTIFICAZIONE PER QUALSIASI SPOSTAMENTO, RISTORANTI CHIUSI E VIETATE LE VISITE A PARENTI E AMICI
Ecco cosa prevede la zona rossa
Gli spostamenti
Vietato qualsiasi spostamento all’interno delle zone rosse: sia all’interno del proprio Comune che fuori. Le uniche eccezioni sono per esigenze di lavoro, salute o necessità . Tutte esigenze che devono essere sempre giustificate da un’autocertificazione altrimenti rischiano multe. Si può, ad esempio, andare ad acquistare beni essenziali in un Comune limitrofo: come fare la spesa, andare in profumeria, libreria o a tagliarsi i capelli dal parrucchiere.
Non ci può neanche spostare al di fuori della propria Regione. Il divieto non vale, anche in questo caso, se ci sono esigenze di tipo lavorativo, di salute o di necessità . Tuttavia si può sempre far ritorno alla propria residenza, domicilio o abitazione. Anche se le Regioni di provenienza e di arrivo sono di colori diversi, il rientro a casa è sempre garantito, ma va giustificato con l’autocertificazione.
Non si possono neanche raggiungere le seconde case, anche se si trovano nello stesso Comune o Regione. E se c’è un imprevisto? L’unico caso in cui si può andare è quello dell’emergenza improvvisa: si rompe l’impianto idraulico, c’è un crollo nell’abitazione o avviene un’effrazione. Il tempo di permanenza nella seconda casa, però, deve essere solo lo strettamente necessario a risolvere il problema.
Gli spostamenti sono vietati, se non ci sono esigenze comprovate, che vanno giustificate in ogni caso. Se non si rispettano le regole, il rischio è quello di incorrere in multe o sanzioni.
Negozi e ristoranti
I bar e ristoranti sarebbero aperti dalle 5 alle 22 solo per asporto, la consegna a domicilio sarebbe invece sempre possibile.
Chiusi i negozi, tranne supermercati, generi alimentari e commercio al dettaglio di beni di prima necessità . Oltre a edicole, tabaccherie, farmacie e parafarmacie restano aperte anche le lavanderie, le ferramenta, negozi di vernici e materiali per costruire, i rivenditori di elettrodomestici, prodotti di informatica ed elettronica di consumo, di ottica e fotografia, benzinai e autosaloni.
Rimangono aperti anche parrucchieri e barbieri, librerie e cartolerie, fiorai, rivenditori di macchine per l’agricoltura e attrezzi da giardinaggio, concessionari di auto e moto, rivenditori di cosmetici, saponi e prodotti igienico- sanitari, articoli sportivi, biciclette e articoli per il tempo libero; aperti i negozi di biancheria, di confezioni e calzature per bambini e di giocattoli. Chiusi, invece, i negozi di abbigliamento per adulti e i centri estetici.
I mercati
All’interno del mercato centrale e dei mercati rionali è consentita la vendita dei soli generi alimentari e del settore fiori-piante-animali, in considerazione del fatto che, per quest’ultimo genere di attività , valgono le norme del DPR 228/01, per le quali l’attività svolta sulle aree pubbliche è equiparabile a quella svolta in azienda.
Visite a parenti e amici
Non si possono vedere amici o parenti che non siano conviventi in qualsiasi luogo, che sia aperto o chiuso. Le uniche eccezioni sono per chi si prende cura di un parente o un amico non autosufficiente, dei genitori separati o divorziati che devono andare a riprendere i figli minorenni, o anche dei genitori che accompagnano i bambini dai nonni. Quest’ultimo caso è fortemente sconsigliato ma non vietato, se c’è la necessità — entrambi i genitori lavorano tutto il giorno — è consentito.
Sport e passeggiate
In base all’art. 3 del Dpcm del 3 novembre, l’attività motoria (come la passeggiata) è consentita solo in prossimità della propria abitazione, nel rispetto della distanza di almeno un metro da altre persone e con obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezioni individuali. L’attività sportiva (come jogging o bicicletta) è possibile solo all’aperto e in forma individuale e può essere svolta, con l’osservanza del distanziamento interpersonale di almeno due metri e del divieto di assembramento, anche presso aree attrezzate e parchi pubblici, ove accessibili, non necessariamente ubicati in prossimità della propria abitazione. Non è più praticabile all’aperto presso centri o circoli sportivi, che vengono chiusi.
Chiese e cimiteri
Rimangono aperti con l’obbligo di restare all’interno dei confini comunali, evitando assembramenti e con obbligo di mascherina.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
I GIORNI ROSSI SAREBBERO 24,25,26,27 E 31 DICEMBRE, 1,2 E 3 GENNAIO
Il possibile compromesso nel governo potrebbe essere quello di istituire una zona rossa nei giorni
prefestivi e festivi dal 24 dicembre al 3 gennaio.
Si tratta dei giorni: 24, 25, 26, 27, 31 dicembre e 1, 2, 3 gennaio. Sarebbe stata l’ultima proposta di mediazione del premier Giuseppe Conte, rispetto all’idea del Pd e di Speranza di un lockdown dal 21 dicembre al 6 gennaio, oppure dal 24 dicembre al 6 gennaio.
Determinante per far passare la linea dura sono state al momento le insistenze di Dario Franceschini, Francesco Boccia e del ministro della Salute, che hanno comunque fatto accettare all’avvocato l’idea di un lockdown totale anche se non esteso a tutto il periodo delle feste. Manca però ancora il via libera di Italia viva, che sarà presente in un vertice delle prossime ore.
Il teso confronto è iniziato nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Il premier Giuseppe Conte si sarebbe opposto alle misure che puntano a limitare il contagio attraverso l’istituzione di una zona rossa nazionale per tutto il periodo delle feste.
Per il capo del governo, le misure attualmente in vigore hanno funzionato e il modello utilizzato finora non va modificato.
Se necessario, l’avvocato è disponibile a inasprire alcune norme ma non sarebbe intenzionato ad accettare la zona rossa per due settimane. Fortissimo il pressing di Roberto Speranza, Dario Franceschini, Francesco Boccia e, con qualche sfumatura diversa, anche del Movimento 5 Stelle.
Tutti chiedono una zona rossa nazionale dal 24 dicembre al 6 gennaio. Tutti hanno ricordato a Conte che anche le regioni si sono espresse oggi a favore del lockdown, senza differenza tra amministrazioni di centrodestra e centrosinistra.
Il capo del governo sarebbe contrario anche a misure che frenino l’esodo nel prossimo weekend, del 19-20 dicembre. E spera di evitare la zona rossa anche per lasciare aperti i negozi durante le feste. Con il compromesso, resterebbero aperti almeno dal 28 al 30 dicembre e dal 4 gennaio in poi.
Il vertice a Chigi si riaggiornerà per permettere la partecipazione anche della rappresentante di Italia Viva, Teresa Bellanova, in queste ore di rientro da Bruxelles.
Si ragiona e si discute, dunque. Il ministro Roberto Speranza ha ricordato come nelle regioni che sono entrate in zona rossa ci sono stati significativi risultati, mentre gli altri territori in zona gialla hanno sofferto maggiormente.
Troppo pericoloso – questo il ragionamento di Speranza e del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia – tenere aperti nelle festività natalizie.
Le regioni
Il presidente della Regione Veneto Zaia si è detto d’accordo (“Con i ministri abbiamo parlato della necessità di misure restrittive, il tema è quello del prossimo fine settimana e del periodo natalizio. Non voglio anticipare quali saranno, ormai è questione di ore, vediamo quale sarà la soluzione”) mentre Eugenio Giani, presidente della Toscana, preferisce non pronunciarsi “perchè è il governo che è competente sulle zone, sui colori, e conseguentemente sarà il governo a prendere i provvedimenti eventuali”.
Possibile nuovo Dpcm
Non è esclusa l’ipotesi dell’adozione di un nuovo Dpcm contenente le norme più restrittive per il Natale. Le ultime misure sulle feste, ritenute ora insufficienti, erano state definite in un decreto ad hoc, che aveva affiancato l’ultimo Dpcm. Ora, invece, visti forse anche i tempi stretti, il governo sarebbe più orientato all’adozione di un Dpcm ad hoc.
“È tempo di scelte rigorose di governo e parlamento: solo regole più restrittive durante le festività potranno evitare una terza ondata di contagi. Per noi che abbiamo responsabilità istituzionali è un dovere intervenire oggi senza esitazioni per salvare vite umane domani”, scrive su Twitter Dario Franceschini, capo delegazione Pd al governo. E il segretario del Pd Nicola Zingaretti rilancia il tweet del capo delegazione dem che sollecita governo e Parlamento a misure “rigorose” e più restrittive per il Natale.
In una diretta Facebook, anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è dell’idea che “se vogliamo evitare una terza ondata dobbiamo invertire la curva del contagio ora, per questo servono scelte decise”.
Le mozioni
Intanto, il Senato ha approvato la mozione della maggioranza sugli spostamenti tra i comuni nei giorni di Natale e Capodanno. Il testo è passato con 140 voti favorevoli, 118 contrari e cinque astenuti. È stata bocciata, invece, la mozione del centrodestra con 114 sì, 142 no e sette astenuti.
Ipotesi Italia rossa
Nella zona rossa vengono vietati i movimenti non essenziali fuori dalla propria abitazione. Una sorta di lockdown generalizzato con la serrata dei negozi e il divieto di spostamenti non essenziali fuori dalla propria abitazione. Potrebbe essere lasciato però un margine di flessibilità per il giorno di Natale, in modo da garantire la partecipazione ai riti religiosi.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
IL RETROSCENA DELL’INCHIESTA SULLA MORTE A SIENA DI DAVID ROSSI
Da sette anni, da quando cadde dalla finestra del suo ufficio nel cuore del centro storico di Siena, la morte di David Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi dell’era Mussari, resta avvolta da una serie di misteri, o presunti tali, che hanno a loro volta alimentato una lunga serie di inchieste giornalistiche, indagini di varie procure, cause e denunce per diffamazione.
Domani, a Genova, potrebbe chiudersi l’ultimo di una serie di cerchi concentrici giudiziari generati dallo schianto di quel corpo in vicolo di Monte Pio il 6 marzo 2013.
Ma anche quest’ultimo capitolo si accompagna ad un retroscena perlomeno inaspettato.
L’escort leghista
E riguarda l’identità di “Stefano”, ovvero il giovane che in una nota puntata de Le Iene, programma di Italia 1, andata in onda il 25 marzo del 2018, veniva presentato come un escort omosessuale con importanti rivelazioni da fare.
Stefano, ma non è il suo vero nome, raccontava di essersi prostituito a festini a base di coca e sesso, gay ed etero, nei dintorni di Siena, nel periodo 2012/2013, ai quali avrebbero partecipato importanti uomini dell’establishment senese ed in particolare magistrati e appartenenti alle forze armate.
Quella ed altre puntate generarono l’apertura di un’inchiesta della procura di Genova, competente territorialmente se gli accertamenti riguardano colleghi toscani.
Gli inquirenti hanno individuato e interrogato l’escort, che risulta essere un attivista della Lega, già collaboratore di un assessore regionale del nord Italia e oggi assistente di un eurodeputato della Lega a Bruxelles.
Stefano, continuiamo a chiamarlo così, è stato identificato dalla polizia dopo una perquisizione a casa del giornalista delle Iene autore del servizio, ed è stato interrogato nel gennaio del 2019.
La sua testimonianza è apparsa al procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati e alla pm Cristina Camaiori assai meno convincente di come risultava in video, e decisamente più titubante sui riconoscimenti di quanto lo era stato sullo schermo mentre gli venivano mostrate foto di presunti partecipanti ai festini.
Particolare non secondario, avrebbe sì riconosciuto dalle foto la tenuta in cui si sarebbero svolti gli incontri, ma non avrebbe spiegato che la conosceva bene anche perchè in quello stesso luogo ci era stato almeno un anno prima, in occasione di una festa di famiglia.
I dubbi e la richiesta di archiviazione
La procura genovese ha chiesto l’archiviazione per un fascicolo che riguarda vari aspetti. Intanto, pur ammettendo che la prima inchiesta sulla morte di David Rossi sia stata carente e imprecisa, al punto che i pm genovesi hanno scoperto verbali di interrogatori che nella prima indagine erano stati clamorosamente persi, la seconda – conclusa nel 2017 – avrebbe colmato alcune delle lacune della precedente e le conclusioni alle quali giunge, ossia che Rossi si suicidò e non venne ucciso, sono condivisibili o perlomeno non emergono elementi che facciano pensare diversamente.
I racconti dell’escort circa i festini ai quali avrebbero partecipato magistrati con la conseguenza che sarebbero stati ricattati o ricattabili, non hanno trovato alcuna conferma. Ma anche ammettendo l’esistenza dei festini, non sarebbero stati individuati con certezza i partecipanti e non emergerebbero motivi di possibili interferenze con l’inchiesta sulla morte di Rossi. Il Csm, che seguiva l’inchiesta genovese fin dalle prime battute, ha comunque chiesto copia degli atti.
Domani il capo dell’ufficio gip Franca Borzone, al termine dell’udienza, deciderà se procedere all’archiviazione o invece, come hanno chiesto con un atto di opposizione i famigliari di David Rossi, ordinare nuove e più approfondite indagini.
Gli interrogativi
All’interno del fascicolo resta comunque avvolto da una serie di interrogativi il ruolo dell’escort. Il giovane ha spiegato come quel periodo fosse coinciso con una fase della sua vita psicologicamente burrascosa e di come molti anni dopo, ascoltando in tv l’appello dei famigliari a farsi avanti ad eventuali testimoni, lui avesse sentito il bisogno di contattare Le Iene. Lo avrebbe fatto nonostante all’epoca il suo attivismo politico si fosse già trasformato in un lavoro (alle dipendenze di un assessore regionale) che gli permetteva di frequentare i vertici del partito (sui suoi profili social, oscurati da qualche mese, si trovavano sue foto con il capitano Matteo Salvini) e che da lì a poco, nel maggio del 2019, lo avrebbe portato fino a Bruxelles come assistente di un neo parlamentare fra i fedelissimi di Salvini.
Una posizione quella di Stefano che, nei prossimi mesi, potrebbe essere messa in imbarazzo dalle cause per diffamazione che gli sono state intentate da alcuni dei soggetti che lui, protetto dall’anonimato televisivo, nel 2018 aveva indicato come uomini potenti dediti a vizi inopportuni.
(da agenzie)
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