Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
PARCHEGGIATO DA PIU’ DI CINQUE ANNI
Abbandonato da cinque anni e nessuno sa cosa farne.
Presentato dall’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli durante il governo Renzi, l’Airbus di Stato sta facendo la ruggine nell’aeroporto di Fiumicino di fronte agli ex hangar Alitalia.
Rinominato “Air Force Renzi”, il velivolo era stato voluto con l’idea di dotare gli esponenti dell’esecutivo italiani di un aereo in grado di coprire distanze lunghe senza dover fare scali. Ma, appena insediato, il governo giallo-verde di Conte ha sciolto il contratto con Etihad Airways.
Nessuno sa cosa fare con l’aereo abbandonato a Fiumicino
“Meno spreco di denaro pubblico, meno spese inutili. Una decisione sacrosanta, tutt’altro che simbolica”, aveva commentato nel 2018 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Ebbene, dopo ben quattro governi, l’Airbus A340-500 è ancora lì, parcheggiato e lasciato al suo triste destino. E nessuno ha idea di cosa farne, né di chi sia la responsabilità dell’eventuale smantellamento.
Interpellato dal Corriere della Sera, un dirigente di Etihad Airways (il quale ha chiesto di mantenere l’anonimato) ha dichiarato che “è ancora un tema delicato e nessuno vuole esporsi”.
Cosa prevede il contratto di leasing
Ma passiamo ai soldi. Secondo i documenti citati nel 2018 dall’ex ministro Toninelli, per l’Italia il conto da pagare sarebbe di ben 150 milioni di euro in otto anni, una mazzata da quasi 19 milioni l’anno.
Nel dettaglio, la voce leasing incide per ben 81 milioni, la manutenzione 31 milioni, l’handling per 12 milioni e 4 milioni di euro per l’addestramento dei piloti.
(da affaritaliani.it)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
EMENDAMENTI AD HOC PER LIMITARE I POTERI DELLA CORTE
Alla Camera arrivano gli emendamenti ad hoc per limitare i poteri della Corte dei conti sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Saranno inseriti nel decreto Assunzioni Pa, ancora in commissione. Viene dato immediato seguito alle intenzioni del ministro del Pnrr, Raffaele Fitto, che aveva lamentato un approccio poco «costruttivo» dei magistrati contabili. Prosegue così l’operazione di costruzione dei nemici da parte della destra con la conseguente delegittimazione delle autorità indipendenti, colpevoli di non avallare acriticamente la narrazione meloniana.
Meglio non sapere. E per riuscirci è fondamentale mettere a tacere. Il governo sembra aver messo a punto i nuovi motti per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, con una strategia all’insegna della negazione della realtà: evitare di ascoltare e diffondere informazioni che non suonino come musica lieta alle orecchie di palazzo Chigi, dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al ministro del Pnrr, Raffaele Fitto. Altrimenti si arrabbiano e colpiscono duro, senza sconti. La maggioranza ha già pronti due emendamenti ad hoc da inserire nel decreto Assunzioni Pa, in esame in commissione a Montecitorio, per limitare i poteri della Corte dei conti.
Nel dettaglio si interverrà sul controllo concomitante sul Pnrr da parte della magistratura contabile e sullo scudo, che limita la possibilità di contestare il danno erariale solo ai casi più rilevanti. Detto, fatto: appena Fitto se l’è presa con le relazioni non «costruttive» della Corte, subito è stata armata la mano parlamentare per limitare il raggio d’azione di chi osa alzare la testa
NARRAZIONE DI GOVERNO
Il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, si è affannato a puntualizzare: «Limitiamo i poteri sul Piano, non quelli ordinari». Solo che l’ipotesi di un depotenziamento della Corte dei conti appariva lunare fino a qualche settimana. Ora invece c’è il bollino del governo con tanto di proposte nero su bianco dirette a Montecitorio.
Il livello di tensione viene così alzato ulteriormente. Lo scaricabarile sul precedente esecutivo non è più efficace, perché a sette mesi dall’insediamento non è sufficiente addossare le colpe a chi c’era prima, che sia Giuseppe Conte che ha ottenuto troppe risorse o Mario Draghi che ha predisposto il piano prendendo dai cassetti tutti a disposizione.
Serve un’idea diversa, che attinge dal bagaglio culturale della narrazione meloniana: prendersela con gli altri con una presunta ostilità del mondo esterno, presentare come l’underdog sempre e comunque. E quindi delegittimare le opposizioni politiche o i giornali che la presidente del Consiglio ha fieramente detto di «non leggere». Perché fanno delle ricostruzioni che non piacciono o danno informazioni che vanno ignorate, grossomodo come i dossier della Corte dei conti sul Pnrr, che non soddisfano i criteri dell’edulcorata narrazione governativa. «Non passa giorno che il governo non cerchi di nascondere la sua incompetenza cercando qualche capro espiatorio», ha osservato in tal senso Francesco Silvestri, presidente dei deputati del Movimento 5 stelle.
I NUOVI MOSTRI
Nella creazione dei nuovi mostri, insomma, i magistrati contabili rappresentano il nemico ideale da mettere all’indice e arrivano al momento giusto, quello dell’assenza di presunte minacce esterne, per impartire la lezione all’insegna del “vi togliamo i poteri per silenziarvi”. Le opposizioni, intanto, si stanno appena scuotendo dall’iniziale indolenza di fronte all’operazione strapotere, annunciata e portata avanti dal governo. «La limitazione delle competenze dei magistrati contabili ci preoccupa molto. Non vogliamo una dittatura», ha sottolineato la capogruppo dell’Alleanza verdi-sinistra alla Camera, Luana Zanella, intervenendo in aula.
E che la trasparenza non fosse il tratto distintivo del Pnrr a trazione meloniano, era un fatto ormai acclarato. Il sistema Regis sembra celare un’oscura e burocratica sigla, eppure incarna il perfetto esempio di uno strumento che avrebbe le caratteristiche per essere il vessillo della trasparenza. Solo che viene blindato e reso un fortino accessibile solo ai tecnici governativi.
Di che si parla nello specifico? Regis è la piattaforma unica, che fa capo alla Ragioneria dello stato, attraverso cui le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato dovrebbero mettere insieme i dati sullo stato del Piano. Una miniera d’oro per avere un panorama completo sull’avanzamento dei progetti, delle risorse allocate e di quelle realmente spese.
PNRR SECRETATO
La potenziale mappa a 360 gradi sul Pnrr è però messa sotto chiave. Nonostante la legge prescriva un portale web per la trasparenza, il governo sceglie un’altra strada, limitandosi ad aggiornare il sito Italia Domani, dedito più alla comunicazione istituzionale che alla raccolta dei dati da mettere a disposizione dell’opinione pubblica. L’associazione Openpolis è rimbalzata più volte contro il muro di gomma. Le richieste di accesso agli atti sono state respinte al mittente. Il ministero dell’Economia ha in sostanza riferito che i dati richiesti non erano disponibili. E detta così suonerebbe come l’ammissione peggiore, quella di un Pnrr lasciato a briglia sciolta, senza che nessuno sia in grado di compiere l’azione di monitoraggio.
Nei fatti, il Mef non rende pubblici i dati del Regis, perché bisogna sottoporli a verifiche e validazioni che tuttavia tardano ad arrivare per ragioni mai chiarite. Insomma, ci sono ma non si possono divulgare, rendendo impossibile conoscere nel dettaglio lo stato di avanzamento dei progetti. Il Pnrr diventa un segreto. Una situazione che oggi è davanti agli occhi di tutti.
«C’è anche un altro problema», dice Vincenzo Smaldore, responsabile editoriale di Openpolis, «quello delle relazioni governative che mancano». Nelle prossime ore dovrebbe arrivare la prima dell’èra Meloni. «Ma – osserva Smaldore – non c’è stata la relazione né per la legge di Bilancio, né per il def, che sono le misure più importanti economiche a cui il Pnrr è inevitabilmente legato. Le relazioni sono gli strumenti chiave per chiarire la visione politica».
(da editorialedomani.it)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
DI QUESTI, SOLO 300 SONO STATI RIPORTATI A CASA, 10 MILA SONO STATI “LOCALIZZATI” SUL TERRITORIO RUSSO MENTRE DEGLI ALTRI 5 MILA NON SI SA PIÙ NULLA… MOLTI DI LORO VENGONO AFFIDATI A FAMIGLIE RUSSE CHE RICEVONO SUSSIDI STATALI PER OSPITARLI – UNA VOLTA IN RUSSIA, I BAMBINI VENGONO INDOTTRINATI PER DIVENTARE STRUMENTI DELLA PROPAGANDA DI MOSCA
A Mosca si sta scrivendo un nuovo testo scolastico di Storia in
cui l’invasione dell’Ucraina viene descritta come una necessaria guerra di difesa, unica soluzione all’aggressione dell’Occidente, che starebbe usando l’Ucraina come un «pugno» per colpire la Russia e come «punto d’appoggio per un attacco della Nato contro la Russia». Il testo, che entrerà in classe a settembre, ribadisce la linea del Cremlino secondo cui l’obiettivo sarebbe quello di «demilitarizzare e denazificare» l’Ucraina e si conclude con una frase di Viaceslav Molotov riesumata dai tempi di Urss e nazisti: «La nostra causa è giusta! Il nemico sarà sconfitto! La vittoria sarà nostra!».
A leggere quelle righe saranno 16 mila bambini ucraini, figli di quei «nazisti» che la Russia vuole eliminare dalla faccia della terra. Dall’inizio dell’invasione russa sono in totale 16.226 i bambini ucraini deportati in Russia. Di questi, solo 300 sono stati riportati alle loro famiglie o comunque in patria, mentre in totale quelli che sono stati «localizzati» sul territorio della Federazione sono 10.513. Degli altri cinquemila che mancano all’appello non si sa più nulla. Si sa, invece, come raccontato dal Guardian, che alcune famiglie russe hanno tentato di nascondere bambini ucraini per non perdere i sussidi garantiti per l’affido.
Basta consultare le pagine web delle associazioni ucraine che stanno cercando i bambini deportati per capire che una grande parte dei piccoli scomparsi dai radar abitavano a Mariupol e nei territori occupati. Contrariamente a quanto immaginato, a sparire oltreconfine non sono stati solo gli orfani e bambini non accompagnati, ma anche allievi di collegi e bambini separati dalle famiglie a causa dei bombardamenti.
Alcuni bambini sono spariti da oltre un anno . Di alcuni si hanno tracce grazie alla spudoratezza russa, che li ha usati come bandiera della propaganda. Uno dei casi più eclatanti lo scorso febbraio: al culmine dello sfarzo a Mosca per celebrare il primo anniversario dell’inizio della guerra, il Cremlino ha mostrato alle tv di Stato i bambini «salvati» da Mariupol, in modo che potessero “ringraziare” gli invasori.
Una delle protagoniste di questa orgia di patriottismo è stata Anna Naumenko, quindicenne dai capelli neri, che è stata spinta sul palco dello stadio Luzhniki di Mosca per ringraziare un soldato soprannominato “Yuri Gagarin” La mamma di Anna, Olga Naumenko, era morta per le schegge di un a bomba russa.
Per Anna, e per gli altri 16.225 bambini, la Corte penale internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di cattura contro il presidente russo Vladimir Putin e la commissaria russa per i diritti dei bambini, Maria Lvova-Belova, con l’accusa di crimini di guerra per aver deportato illegalmente bambini ucraini in Russia.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI “REPORT” SI PREANNUNCIA SCOTTANTE
Il gruppo STM, la cui holding di controllo è partecipata dal Ministero dell’Economia, produce microchip. In un momento in cui c’è carenza, per via del conflitto ucraino, è divenuto ancora più strategico per il paese. Tuttavia il gruppo incontra delle difficoltà a parlare con il ministro Urso, per colpa della burocrazia. Dicono.
Per facilitare l’interlocuzione con il Ministero delle imprese, Stm paga una consulenza a Carmen Zizza. Che avrebbe un ruolo di “facilitatrice”, come ammette un manager della STM che è consapevole di parlare con un giornalista di “Report” ma non di essere registrato.
L’assurdità della vicenda è dovuta al fatto che STM è un’azienda partecipata dal Mef. In un paese normale, il ministro Giorgetti chiamerebbe Urso per dirgli: “Collega, tra un po’ ti passa a trovare il manager di una società per discutere di microchip e investimenti strategici per il Paese”.
E invece STM passa attraverso la consulenza della signora Zizza e con un contratto, da 6mila euro al mese, finalizzato al “supporto alle relazioni istituzionali con Ministeri ed Autorità Locali” (Che vor di’?)
Il ministro Urso, sul ruolo da consulente di Carmen Zizza, scrive a “Report” che “tutti i dati relativi ai portatori di interesse sono resi pubblici in linea con le misure di trasparenza e accountability di cui il ministero si è dotato, e sono consultabili al sito del ministero”. Eppure nonostante le verifiche, la squadra di Sigfrido Ranucci non ha trovato il nome della Zizza.
Secondo il manager di STM sentito da “Report”, a presentare Carmen Zizza all’azienda sarebbe stato Alessandro Daffina, amministratore delegato di Rothschild Italia. Daffina ha smentito sostenendo che l’ipotesi che si sia adoperato per far gestire alla Zizza i rapporti tra il Ministro Urso e la STM è solo “una illazione”.
Secondo “Report” quello che Rothschild ha certamente fatto è stato presentare a STM una due diligence positiva su Carmen Zizza. Solo che anche “Report” ha fatto la sua “due diligence” e ha trovato la denunce per spese pazze della signora quando era Direttore generale nella società che controllava l’autostrada milanese.
Per queste accuse, Zizza è stata condannata in primo grado dal Tribunale civile di Milano a risarcire 73 mila euro. La signora sostiene “che si tratta di una cifra che corrisponde a meno di un quarantesimo di quanto avevano originariamente richiesto”. Inoltre, la Zizza è stata consulente di Rothschild per conto di Vivendi, azionista di riferimento di Tim, seduta al tavolo con Urso e Daffina
(da Report)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
“SE I GIOVANI PROTESTANO PER TENTARE DI IMPORRE ALLA POLITICA DEI TEMI, LA POLITICA HA IL DOVERE DI ASCOLTARLI”… “PERCHE’ UNA COSA CONFUSA E CENSURABILE E’ COMUNQUE SEMPRE MEGLIO CHE L’APATIA”
«E poi ci sono questi ragazzi, no? Che avranno dei modi di
protestare che a volte sembrano confusi, che per certi aspetti possono apparire censurabili ma che in ogni caso la politica ha il dovere di ascoltare, soprattutto per i temi che sottopongono alla nostra attenzione». Gianfranco Fini non fa mai un esplicito riferimento al movimento «Ultima generazione», ma il suo pensiero è chiaro e il riferimento definito.
Non foss’altro perché, quando l’ex presidente della Camera pronuncia queste parole — decisamente in controtendenza col sentire di quel centrodestra di governo di cui è stato uno dei fondatori e decisamente in dissenso rispetto alla classe dirigente degli ex An di cui è stato il nume tutelare — l’agenda della politica è ancora sintonizzata sull’ultima azione eclatante dei giovani attivisti che vogliono imporre nel dibattito pubblico il tema del cambiamento climatico, e cioè il versamento del liquido nero a base di carbone vegetale che ha fatto finire la versione total black della Fontana dei Trevi sui giornali mondiali.
Siamo a metà della scorsa settimana. L’ex presidente della Camera partecipa alla presentazione de La bolgia dei dannati, l’ultimo giallo a sfondo giuridico del magistrato Marcello Vitale in un albergo nel centro di Roma. A un certo punto, il discorso di Fini arriva alla politica. Anzi, per essere più precisi, a come si declina l’impegno politico nel terzo millennio. «La cosa che più deve spaventarci, riguardo ai giovani, è l’apatia», dice Fini. «Per cui, se i giovani protestano per tentare di imporre alla politica dei temi, anche se questa protesta a volte assume connotati che appaiono confusi e forse anche censurabili, la politica ha il dovere di ascoltarli. Perché una cosa confusa e censurabile è comunque sempre meglio che l’apatia». Certo, aggiunge l’ex leader di An, «ogni protesta deve rimanere all’interno della legge. Ma possiamo sostenere che questi giovani facciano cose più gravi di quelle che si vedevano nel secolo scorso?».
Non rimarrà nella storia come l’equivalenza tra il Ventennio e il «male assoluto» di vent’anni fa e forse neanche nella cronaca del 2023 come l’invito, partito il 25 aprile scorso e diretto a Giorgia Meloni, a cogliere l’occasione per chiudere i conti col fascismo. Ma il punto di vista finiano, questa volta sulle proteste dei giovani, potrebbe aprire un altro dibattito a destra. Con punti di caduta tutt’altro che scontati.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
MENIA VUOLE INSERIRE LA NOSTRA LINGUA N COSTITUZIONE PER DIFENDERLA DALLA PRESUNTA INVASIONE DEI MIGRANTI
Ci hanno provato con la razza, poi con l’etnia, poi con il ceppo e ora hanno trovato la leva: la lingua.
L’idea è del senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia che ha depositato un Ddl per mettere mano addirittura alla Costituzione. Obiettivo: aggiungere all’articolo 13 il comma “L’italiano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerlo e il diritto di usarlo”. Il senatore ha già pronto anche lo slogan: “Sacralizzare la lingua italiana – spiega – riconoscendola costituzionalmente è al tempo stesso riconoscere un patrimonio inestimabile e assieme proiettarlo nel futuro!”.
L’urgenza di inserire la lingua Italiana in Costituzione, secondo il senatore di Fratelli d’Italia, è urgente “per una pluralità di motivi”. Innanzitutto, dice Menia, perché “nel secolo della globalizzazione vanno mantenuti e rafforzati gli elementi identitari che danno un senso comune alla vita di una nazione” la lingua quindi diventa “elemento costitutivo e identificante della comunità nazionale, a prescindere dalle diversità locali”.
Dalle parti di Giorgia Meloni devono avere pensato che se la lingua “contiene tutti gli elementi qualificanti la storia e l’identità del popolo che la parla” allora la si può usare tranquillamente al posto della razza senza incorrere nelle sculacciate del Presidente della Repubblica e della comunità internazionale. Spiega Menia che “nell’articolazione del linguaggio non c’è soltanto l’espressione del pensiero in termini comprensibili, ma vi si condensano esperienze, relazioni, contatti, abitudini, vicende, aspirazioni e creazioni che, nel loro insieme, rappresentano l’evoluzione secolare di una comunità, cioè la sua identità nazionale”.
Il ceppo, l’etnia, la lingua. Ma l’invasione? Leggendo il testo del Ddl si trova anche quella: secondo il senatore rinsaldare il valore unificante della lingua serve “anche di fronte ad alcuni segnali negativi che vengono da alcune parti del territorio nazionale, in cui la centralità della lingua italiana è messa seriamente in discussione”. Eccoli qui, i nemici. L’idea di usare la lingua – strumento per aprirsi – per chiudersi è il cortocircuito della cultura di questa destra.
L’iniziativa fa il paio con il disegno di legge di un nutrito gruppo di senatori Fdi (prima firmataria la senatrice Giovanna Petrenga) che vorrebbero coinvolgere l’Unesco per salvare il liceo Classico.
“Latino e greco – scrivono i senatori di Fratelli d’Italia – vengono considerate lingue non più parlate (infatti non lo sono nda), senza alcuna utilità pratica ed immediata, morte, e in quanto tali inutili, sebbene il nostro Paese abbia ovunque monumenti ed opere che riportano frasi in latino e corsi di laurea importanti dove la conoscenza di parole nelle lingue latina e greca non è affatto trascurabile. Nuove generazioni di laureati italiani che non sono in grado di leggere il significato di una scritta in latino su un monumento al contrario di molti loro coetanei stranieri”. Per in leggere i cartelli sui monumenti. Non stanno scherzando.
Del resto proprio ieri il ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano, dopo averci fatto sapere di essersi “imposto” di leggere un libro al mese come se fosse un’afflizione” ha annunciato di voler regalare un libro a ogni nato. Peccato che nell’età dai 4-14 anni il 96% dei ragazzi e delle ragazze ha letto almeno un libro non scolastico nell’ultimo anno. I libri andrebbero fatti leggere agli adulti che li vedono come questione di “disciplina” e non come opportunità. Cioè a quelli esattamente come il ministro Sangiuliano.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
ELEZIONI, L’ANALISI DI CACCIARI
Durissimo j’accuse del filosofo Massimo Cacciari all’indirizzo
del Pd e del M5s, all’indomani della sconfitta del centrosinistra in molti Comuni alle elezioni amministrative.
Ospite di Otto e mezzo (La7), Cacciari esordisce sottolineando il crollo del reddito dei lavoratori dipendenti e dei pensionati: “Il loro potere d’acquisto è inferiore a quello di 25 anni fa. Non c’è stata finora una politica fiscale in grado di intervenire su questo problema e manca qualsiasi politica fiscale veramente e seriamente redistributiva. C’è l’evasione fiscale e cosa si è fatto? Non si sa. Questi grandi temi non vengono minimamente affrontati e non sono né nell’agenda di questo governo, né in quella del Pd, né in quella delle socialdemocrazie europee”.
Il filosofo spiega: “Le socialdemocrazie europee stanno franando su quella che era la loro missione fondamentale a partire dal secondo dopoguerra: le politiche fiscali redistributive a tutti i costi e in tutti i modi. Stanno fallendo su quello che era il loro core business. Se falliscono lì, non c’è ciccia per niente. Possono inventarsi qualunque altra cosa sui diritti sociali o sui diritti umani, ma falliscono, come effettivamente stanno fallendo. Se non si capisce questo, che è l’abc della storia politica europea dal dopoguerra a oggi, è impossibile ragionare”.
Cacciari aggiunge un’ulteriore critica al Pd: l’aver abbandonato le istanze territoriali, come quelle dell’autonomia e del federalismo. E prende ad esempio quanto sta avvenendo in Sicilia, dove una parte del Pd è favorevole al ponte sullo Stretto.
“Ma dove volete che vadano? – afferma l’ex sindaco di Venezia circa l’ipotesi di un campo progressista – Come il centrosinistra, neanche la destra ha una identità, perché Salvini e Meloni hanno storie completamente diverse. Ma ogni volta si ritrovano, fanno politica, a differenza del Pd e del M5s. Questo è il punto fondamentale. Sanno che devono trovare una intesa elettorale per governare il paese, sperabilmente meno male di quanto abbiano fatto i loro predecessori. Questo vuol dire fare politica in una situazione tutta liquefatta di transizione, come è quella europea”.
Finale staffilata di Cacciari ai 5 Stelle: “Non esistono sul piano amministrativo-locale e se ne fottono. Ma che intesa elettorale vuoi fare tra due forze (Pd e M5s, ndr) di cui una si disinteressa del proprio radicamento sociale? Stiamo praticamente ragionando di fumo”.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
“AVRO’ UNA PENSIONE DIGNITOSA?”
«Avrò mai una pensione dignitosa?» A uno degli interrogativi più ricorrenti tra i giovani prova a dare una risposta la Corte dei Conti. I magistrati contabili nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica hanno elaborato una specifica proiezione, partendo da dati Inps, per offrire uno spaccato delle posizioni previdenziali dei quarantenni che alla fine del 2020 erano occupati e quindi si trovavano totalmente nel regime contributivo. Delle 11 «figure-tipo» prese in considerazione soltanto per due, sulla base del cosiddetto «zaino previdenziale» (ovvero il montante contributivo sulla base del quale viene calcolato l’assegno pensionistico), si profila un trattamento adeguato: gli assunti nel comparto delle Forze armate e in quello della sanità. Le posizioni più fragili si presenterebbero nel settore autonomo e, in particolare, tra i parasubordinati e i coltivatori diretti, ma anche per le lavoratrici private.
Il campione
L’analisi della Corte dei Conti parte da un campione Inps che complessivamente presenta «circa 1.700 posizioni assicurative di soggetti che al 31 dicembre 2020 avevano 40 anni, con 92 mila individui assicurati, rappresentativi di 800mila soggetti». Isolando poi lavoratori attivi che rientrano nel sistema di calcolo interamente contributivo, è stata individuata «una platea di 575 posizioni assicurative per corrispondenti 56mila giovani rappresentativi di una popolazione di quarantenni assicurata pari a 486mila unità».
Il 28% dei giovani con una retribuzione lorda sotto i 20mila euro l’anno
Nel dossier si fa notare che dalla platea presa in considerazione emerge che in circa 235 posizioni su 575 (il 40,8%) «si riscontra una retribuzione lorda inferiore a 20 mila euro». Che riguarderebbe quindi il «28% dei giovani coinvolti».
Le 11 «figure-tipo» con 40 anni d’età totalmente «contributive»
La Corte dei Conti, avendo come base il campione Inps, ha preso in considerazione 11 «figure-tipo» di 40enni occupati e, pertanto, totalmente «contributivi». Della «squadra» fanno parte: lavoratori dipendenti privati, lavoratrici dipendenti private, lavoratori autonomi artigiani, lavoratori autonomi commercianti, lavoratori autonomi coltivatori diretti, lavoratori autonomi parasubordinati, «mobilitati/disoccupati», lavoratori del comparto sanitario, lavoratori del comparto Stato, lavoratori del comparto scuola e lavoratori del comparto Forze armate.
Pensioni adeguate solo per Forze armate e comparto sanitario
Nel rapporto della magistratura contabile si afferma che «la squadra esaminata ha evidenziato situazioni assai disomogenee con figure che presentano posizioni molto rassicuranti (soprattutto nel comparto delle forze armate e sanitario) e altre, per esempio nel comparto dei lavoratori autonomi parasubordinati o dei coltivatori diretti, particolarmente fragile». Per i militari e gli occupati nel settore delle Forze armate il montante contributivo «in essere» (considerato sulla base dell’anzianità contributiva maturata alla fine del 2020) raggiunge nel «valore mediano» circa 235mila euro, mentre quello del lavoratori occupati nella sanità supera i 178mila euro. In entrambi i casi «zaini previdenziali» non proprio leggeri, dunque. Anche perché «accomunati da retribuzioni medie che si collocano molto al di sopra di quelle presentate dalle altre tipologie di lavoratori».
Dai parasubordinati al comparto scuola: sei categorie con «zaini previdenziali» troppo leggeri
«Per tutte le altre tipologie di lavoratori considerate, la consistenza degli “zaini” previdenziali appare relativamente modesta: non supera i 100mila euro in 6 casi su 11», afferma la Corte dei conti nel dossier. I montanti contributivi più bassi sono nel settore dei lavoratori autonomi, a partire da quelli dei parasubordinati e dei coltivatori diretti. Ma tra i 40enni che a fine 2020 risultano con una potenziale copertura pensionistica particolarmente bassa ci sono, sempre sulla base del campione analizzato dalla magistratura contabile, i lavoratori in situazione di mobilità/disoccupazione, i commercianti, i lavoratori del comparto scuola e gli artigiani. Con uno «zaino previdenziale» appena sopra i 100mila euro sono stimati i lavoratori statali e le lavoratrici del settore privato. Mentre il montante contributivo dei dipendenti privati è calcolato, nel «valore mediano», in poco più di 137mila euro.
(da ilsole24ore)
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Maggio 30th, 2023 Riccardo Fucile
“NON SI CAMBIA IN DUE MESI, CI VORRA’ TEMPO PER RICOSTRUIRE”
Comincia male la corsa del Pd di Elly Schlein verso le europee
del 2024, i ballottaggi delle comunali sono una doccia gelata per la segretaria e per il nuovo gruppo dirigente che sperava di incassare almeno qualche vittoria importante in questa tornata elettorale.
Il secondo turno va bene solo a Vicenza, dove il giovane Giacomo Possamai vince di un soffio sul sindaco uscente di centrodestra Francesco Rucco. È l’unica gioia in una giornata da dimenticare, negli altri comuni capoluogo vince ovunque il centrodestra. Schlein riunisce la segreteria, poi scende a commentare davanti alle telecamere e non si nasconde: «È una sconfitta netta», dice, mentre fuori piove su Roma. E, in mattinata, annulla la trasferta a Bruxelles mantenendo l’incontro, in modalità online, con la delegazione degli europarlamentari Pd.
La segretaria indica soprattutto due ragioni per il risultato delle comunali: da un lato lo “spirito dei tempi”, «il vento a favore delle destre è ancora forte». E, poi, pesa la litigiosità del centrosinistra: «Il fatto che il Pd sia il primo partito nel voto di lista non è per noi una consolazione», dice rimarcando almeno un dato positivo di questa tornata elettorale.
Ma, insiste, «è evidente che da soli non si vince». Tanto più che la destra «è divisa su tanti temi, ma al voto quantomeno si presenta unita». Un messaggio rivolto chiaramente ai “vicini” di opposizione, M5s – soprattutto – e centristi: «Sentiamo la responsabilità della ricostruzione di un campo che credibilmente contenda alla destra la vittoria. Ma è una responsabilità che non riguarda solo il Pd».
Qualcuno dei parlamentari più vicini a lei, nelle chiacchiere in Transatlantico, prova leggere quello che è successo come un’eredità del «vecchio Pd», perché in fondo la segretaria è al lavoro solo da un paio di mesi. Ma è una strada pericolosa, rischia di incrinare una sempre precaria unità del partito. Subito, infatti, qualche parlamentare vicino a Enrico Letta fa notare che «quando lui era segretario le amministrative il Pd le ha vinte per due anni di fila». Lo stesso, ricorda un altro parlamentare, è accaduto con Nicola Zingaretti. Schlein, infatti, non segue la strada di scaricare le responsabilità sui suoi predecessori.
In segreteria ribadisce che è fondamentale tenere insieme il partito. Chiede di rilanciare i temi dell’agenda Pd, dalla sanità al diritto alla casa, al Pnrr. Invita anche a difendere il lavoro di Stefano Bonaccini in Emilia Romagna, contro i «manganellatori» che Giorgia Meloni gli scatena contro dopo aver mostrato il volto buono negli incontri istituzionali. Assicura che il Pd non farà sconti sulla nomina di un altro commissario.
Del resto, la segretaria sa bene che la sconfitta rischia di far saltare la “pax democratica” imposta dalle primarie. La minoranza sì fa sentire, l’ex capogruppo al Senato Simona Malpezzi dice che «è importante e urgente fare il punto nelle sedi opportune perché ogni sconfitta esige una riflessione». Matteo Ricci, coordinatore dei sindaci Pd e primo cittadino di Pesaro, dice: «Male i ballottaggi. In particolare è dolorosa la sconfitta di Ancona». Lorenza Bonaccorsi, vicina a Paolo Gentiloni, scrive su Twitter: «Debacle in senso figurato: disfatta, sconfitta clamorosa». Un clima di insofferenza, tanto che Lorenzo Guerini, raccontano, conversando con qualche parlamentare ha invitato a «non drammatizzare: sarebbe un errore, come è stato un errore il facile entusiasmo per i sondaggi delle scorse settimane…».
Certo, raccontano, anche per lui la sconfitta è «pesante» e ora ci sarà «da riflettere» perché per vincere «serve una proposta che parli a molti e chiudersi solo in determinati perimetri culturali rischia di regalare spazi ad altri». Ma anche Gianni Cuperlo si fa sentire: «Servirà riflettere a fondo. Le sconfitte di Ancona, Brindisi, Siena, Massa, Pisa e Catania segnalano una difficoltà che non deriva solo dai contesti locali».
Non bisogna usare un voto locale per un giudizio «di tutt’altro ordine, ma egualmente sbagliato sarebbe aggirare i nodi che questi ballottaggi pongono». E Andrea Orlando, che pure parla di vento di destra, non manca di dare qualche “consiglio” alla segretaria: «A livello locale ci sono una serie di problemi: c’è l’esigenza di costruire un partito, in molte realtà cominciamo ad avere problemi nella selezione della classe dirigente». Un altro parlamentare dell’ala sinistra: «Se arriviamo alle europee così, il giorno dopo scatta il redde rationem…».
(da agenzie)
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