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FILIPPO FACCI LASCIA LIBERO, LE DIMISSIONI DOPO L’ARRIVO DI SECHI ALLA DIREZIONE DEL GIORNALE

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

A FACCI ERA STATA TOLTA LA SUA RUBRICA IN PRIMA PAGINA

Il giornalista Filippo Facci si è dimesso da Libero oggi 29 settembre, da poco passato sotto la direzione di Mario Sechi e Davide Capezzone. Facci ha condiviso la notizia data da Dagospia, in cui si racconta della decisione presa a sorpresa e spiegata dal giornalista «agli amidi di redazione» in una lettera.
Nel giorno in cui Sechi si è insediato alla direzione del quotidiano della famiglia Angelucci, dopo essere stato portavoce di Giorgia Meloni a palazzo Chigi, sulla prima pagina del giornale era sparita la storica rubrica «L’appunto di Facci», che andava avanti dalla fine degli anni ’90 prima sul Giornale e poi sul quotidiano fondato da Vittorio Feltri.
Di recente Facci era stato al centro delle polemiche per la rubrica che avrebbe dovuto tenere su Rai2, poi sfumata dopo che il giornalista era finito sotto accusa per le sue frasi sul caso di La Russa jr.
Nel giro di un mese la firma di Libero ha perso così due rubriche, con le ultime dimissioni al buio. Il giornalista non avrebbe al momento un’alternativa visto che, aggiunge Dagospia, nel corso dell’ultima estate sarebbe saltato anche un suo possibile passaggio a Il Giornale ora diretto da Alessandro Sallusti.
(da agenzie)

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LA RUSSIA HA AGGIRATO LE SANZIONI AUMENTANDO IL PREZZO DEL PETROLIO, MA PER PUTIN E’ STATO UN BOOMERANG

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

VOLA L’INFLAZIONE A MOSCA

La Russia di Vladimir Putin è riuscita in gran parte ad eludere le sanzioni sul petrolio e il price cap a 60 dollari al barile e insieme all’Arabia Saudita sta portando il prezzo del barile a sfiorare i 100 dollari provocando una nuova fiammata dell’inflazione a livello internazionale. La mossa però sta rivelandosi un boomerang per Putin, perché l’inflazione rischia di travolgere prima di tutto i russi, come spiega con efficacia l’ultimo rapporto pubblicato dalla governatrice della banca centrale di Russia, Elvira Nabiullina.
In un ampio servizio del 25 settembre scorso il Financial Times ha raccontato come «quasi tre quarti dei flussi di greggio russo via mare hanno viaggiato senza assicurazione occidentale, una leva utilizzata per fare rispettare il tetto di prezzo del petrolio di 60 dollari al barile imposto dal G7. Mosca sta diventando più abile nell’aggirare il limite massimo, consentendole di vendere più petrolio a prezzi più vicini a quelli del mercato internazionale». Quindi seguendo quella corsa al rialzo provocata dalle scelte dell’Arabia Saudita e di molti paesi produttori, che provocano così una nuova fiammata dell’inflazione.
L’inflazione in Russia è ufficialmente al 5,2% secondo il dato di agosto con un target al 4% da realizzare entro la fine del 2024. Ma la Nabiullina, che è economista non sempre sdraiata sulla ragione di Stato, sa che la verità è un’altra. E nell’ultima settimana di settembre l’ha pure divulgata dando alle stampe il rapporto della Banca di Russia sulla inflazione attesa dalla popolazione e dalla imprese (che spesso con il loro sentiment anticipano il prossimo rialzo dei prezzi che hanno già in mente di fare).
Il rapporto svela che la percezione dei russi sul caro prezzi è ben diverso dai numeri ufficiali: «La stima mediana dell’inflazione», scrive Banca di Russia, «attesa dalla popolazione nei prossimi 12 mesi, secondo il sondaggio della LLC “InFOM”, a settembre è salita all’11,7%». Il rapporto poi spiega che «a settembre è aumentata la preoccupazione degli intervistati per la crescita dei prezzi della maggior parte dei beni inclusi nel questionario. Gli intervistati hanno segnalato un forte aumento dei prezzi della benzina, della carne e del pollame. La preoccupazione degli intervistati per la crescita dei prezzi di questi beni ha raggiunto il massimo dell’anno. Un po’ meno frequentemente rispetto al mese precedente, gli intervistati hanno segnalato un aumento dei prezzi delle abitazioni e dei servizi comunali, del sale e dello zucchero».
Per quanto riguarda le 11mila imprese campione della rilevazione «le aspettative sui prezzi sono aumentate nella maggior parte dei settori. I motivi principali, come nel mese precedente, sono stati l’indebolimento del rublo e la crescita dei costi, tra cui l’aumento del prezzo di carburanti e lubrificanti e la crescita dei salari in condizioni di carenza di personale». Ecco il boomerang del petrolio, che incide pure su singoli settori: «Nel settore del commercio, le aspettative di prezzo hanno continuato a crescere sia nel segmento del commercio all’ingrosso che in quello al dettaglio (ad eccezione del commercio di automobili), rimanendo le più alte tra tutti i settori. Il tasso medio di crescita dei prezzi previsto dai dettaglianti nei prossimi tre mesi è stato del 14,4% in termini annuali».
Che può fare la Nabiullina davanti a questa attesa di alta inflazione? La stessa cosa che ha fatto Christine Lagarde alla guida della Bce: tornare ad usare il rialzo dei tassi. E infatti il rapporto si conclude con questa previsione: «Secondo le previsioni della Banca di Russia, il tasso di inflazione annuale continuerà ad aumentare nei prossimi mesi. I bassi valori degli aumenti mensili dei prezzi nell’autunno 2022 continueranno a essere esclusi dal calcolo. Negli ultimi mesi si sono concretizzati significativi rischi pro inflazione: la crescita della domanda interna superiore alle possibilità di espansione della produzione e l’indebolimento del rublo. In queste condizioni, era necessario un aumento del tasso di riferimento per limitare l’entità della deviazione dell’inflazione dall’obiettivo e il suo ritorno al 4% nel 2024. Secondo le previsioni della Banca di Russia, l’inflazione annuale si attesterà al 6,0-7,0% nel 2023. In base alla politica monetaria in corso, tornerà al 4% nel 2024 e rimarrà in seguito a questo livello target».
(da Open)

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TAJANI IMPARI A LEGGERE LE NORME VIGENTI PRIMA DI DIRE CHE “LE ONG PORTINO I MIGRANTI IN GERMANIA”

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

UN MINISTRO DEGLI ESTERI DOVREBBE CONOSCERE LA CONVENZIONE DI AMBURGO, SOTTOSCRITTA DALL’ITALIA, IL REGOLAMENTO DI DUBLINO E LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO DEL 2O12 CHE IN PASSATO HA GIA’ CONDANNATO L’ITALIA… OPPURE FACCIAMO COSI’: LA GERMANIA SI PRENDE I 130.000 MIGRANTI SBARCATI IN ITALIA E L’ITALIA SI PRENDE 1.100.000 MIGRANTI ACCOLTI QUEST’ANNO DALLA GERMANIA, COSI’ FINITE DI ROMPERE I COGLIONI A TUTTO IL MONDO

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani insiste sull’attacco alleOng e al governo tedesco: “Con la Germania ci sono interessi comuni”, “poi ci sono governi, come quello attuale, che possono avere una visione diversa dalla nostra per esempio sui migranti. Il Parlamento tedesco ha finanziato delle Ong perché salvino immigrati in mare ma poi dove li portano? In Italia. Non sarebbe più logico che chi finanzia, poi le porti nel proprio Paese? Se le Ong tedesche salvano migranti allora è giusto che li portino in Germania”, ha detto il ministro degli Esteri, e segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, dal palco tre giorni di festa nazionale del partito in corso a Paestum, in Campania.
Ma quello che chiede il governo italiano, cioè che una nave battente bandiera tedesca come nel caso di alcune Ong, si occupi dei salvataggi e poi porti i migranti in Germania, in realtà non si può, per almeno due ragioni.
La prima è che secondo la Convenzione di Amburgo del 1979, i migranti salvati in mare in realtà devono essere condotti al più presto nel primo “porto sicuro” disponibile, quindi quello più vicino geograficamente.
È evidente che un salvataggio effettuato nei pressi Lampedusa non possa chiudersi con uno sbarco in Germania, perché questo metterebbe a rischio la vita dei migranti.
Inoltre il regolamento di Dublino, ancora in vigore, stabilisce che la domanda di protezione internazionale da parte di un migrante debba essere esaminata dal Paese di primo approdo.
Secondo Tajani, e secondo la premier Meloni, quindi il regolamento di Dublino andrebbe applicato anche a bordo delle navi: in pratica se un salvataggio viene effettuato da Sea Watch allora in teoria quell’imbarcazione, battente bandiera tedesca, andrebbe già considerato territorio tedesco.
Ma le cose non stanno affatto così, e lo conferma anche una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2012 si espresse sul caso Hirsi, condannando l’Italia per la politica dei respingimenti in mare voluta dal governo Berlusconi. In pratica solo a sbarco ultimato, e quindi una volta a terra, scattano le norme dell’accordo di Dublino, che non vale quindi a bordo delle navi.
(da Fanpage)

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IL PATTO PER L’ASILO E I MIGRANTI, CON L’ACCORDO TRA SPAGNA E GERMANIA, VA DI TRAVERSO A MELONI E PIANTEDOSI PERCHE’ ESCLUDE LE ONG DALLE MISURE CONTRO CHI UTILIZZA I FLUSSI MIGRATORI COME UN’ARMA IBRIDA

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

L’ACCORDO ABBIA GIA’ UNA MAGGIORANZA DISPOSTA A VOTARLO E LA POSIZIONE DI ROMA DIVENTA IRRILEVANTE, QUINDI MELONI PUO’ SOLO DECIDERE CON CHI STARE: CON FRANCIA E GERMANIA O CON POLONIA E UNGHERIA

Ancora una capriola del governo sulla questione migranti. Adesso, infatti, è stata l’Italia a stoppare il nuovo Patto per l’asilo e i migranti. Ed è tornata a schierarsi con il fronte sovranista insieme a Ungheria e Polonia. Eppure il nuovo provvedimento, approvato dal Consiglio europeo a giugno scorso, era stato propagandato dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, come un decisivo passo avanti nella battaglia contro le migrazioni illegali.
Ieri, però, al Consiglio dei ministri Ue degli Interni è andata in scena una totale inversione delle parti. Con la Germania (che fino all’altro ieri bloccava l’accordo finale) pronta a dire sì e Roma che svolta a destra, prende tempo e lascia in standby la mediazione proposta dalla Spagna.
Risultato: sull’emergenza migratoria c’è un nuovo rinvio e l’Italia si ritrova isolata.
Il Coreper (il comitato che riunisce i 27 ambasciatori) è infatti slittato a lunedì e in quell’occasione è previsto il via libera definitivo. Ma il punto è che il governo italiano si è infilato ancora in un cul de sac.
Con l’avallo di Berlino (che ha ottenuto norme più stringenti sul rilascio dell’asilo e la decisione a maggioranza per la dichiarazione dello stato di “emergenza migratoria”, da cui dipende il ricollocamento obbligatorio degli extracomunitari), il nuovo Patto ha infatti la maggioranza sufficiente per l’approvazione anche senza il nostro Paese.
Sostanzialmente, quindi, il messaggio inviato alla squadra meloniana è stato: verificate pure se questa formulazione va bene, ma sappiate che noi contiamo su una maggioranza solida. [Dunque, l’esecutivo di centrodestra deve decidere se stare con i sovranisti di Orban e Morawiecki o nel triangolo insieme a Francia e Germania.
«Se manca il riferimento alle Ong, non so se possiamo accettare questo testo», è stata la posizione del titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che ha evitato di parlare pubblicamente durante la riunione del Consiglio. Ha scosso la testa e ha passato il testimone. Chiarendo i suoi dubbi al solo ministro spagnolo e alla Commissaria Johansson, senza però verbalizzare l’opposizione proprio per non formalizzare la contrarietà e tenere aperto il canale del dialogo.
C’è comunque un punto, nella formula sottoposta all’esame dei ministri, che ha suscitato le perplessità italiane. I riflettori si sono accesi nuovamente sulle Ong che si occupano dell’assistenza ai migranti. Dopo la lettera inviata da Meloni al Cancelliere tedesco Scholz resta quindi un punto dolente per Palazzo Chigi. La ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha fatto polemicamente notare al collega italiano Antonio Tajani che il 95% dei migranti che sbarcano nel nostro Paese sono salvati dalle autorità italiane.
Nella parte del nuovo Patto in cui si prevedono le misure contro chi utilizza i flussi migratori come un’arma ibrida (di recente è accaduto al confine tra Bielorussia e Polonia) si fa riferimento solo ai “Paesi terzi” e non, appunto, alle Organizzazioni non governative. L’Italia vuole che si citino anche le Ong.
Fino a lunedì, quindi, ci sono ancora quattro giorni per trovare una via d’uscita. Anche se il segnale lanciato a Piantedosi è stato inequivocabile: prendete il vostro tempo, preferiamo che l’Italia sia nell’accordo, ma ricordatevi che una maggioranza c’è già. La Commissaria svedese Johansson ha ricordato che nei primi nove mesi del 2023, sono già entrati illegalmente nell’Ue 250 mila migranti e sono pervenute oltre 600 mila richieste di asilo. Dati che consigliano rapidità nelle decisioni.
(da La Repubblica)

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SANTANCHÉ È DI MANICA LARGA (COI SOLDI PUBBLICI): IL MINISTRO DEL TURISMO DA’ UN CONTRIBUTO DI 90 MILA EURO ALLA STILISTA ALBERTA FERRETTI, IL CUI GRUPPO FATTURA 352 MILIONI L’ANNO, PER UNA SFILATA

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

IL DÉFILÉ, CHE E’ ANDATO IN SCENA COME “SOLIDALE”, HA RACCOLTO CIRCA 57 MILA EURO (MENO DI QUANTO HA SGANCIATO IL MINISTERO)… E SUL FINANZIAMENTO LA RAGIONERIA GENERALE HA SOLLEVATO PIÙ DI UN DUBBIO

Una passerella sul fango con soldi pubblici. Chi l’avrebbe mai detto che la moda può salvare il mondo, un abito da 3 mila euro alla volta? Quel che non è chiaro, è se un ministro sia autorizzato a sponsorizzare una stilista o se Alberta Ferretti abbia bisogno della Santanchè. Dal suo ministero, spunta però un contributo da 90 mila euro per promuovere l’evento di un privato che ha boutique di lusso in tutto il mondo e fatturati da capogiro. Soldi pubblici per una sfilata-evento che, causa alluvione, si farà poi “solidale”.
Ma, alla fine, raccoglierà 57 mila euro, cioè meno di quanto ha ricevuto. Un altro “miracolo” della ministra-imprenditrice, in linea con la moltiplicazione delle spese in Cina da 155 mila euro per sei delegati, compresa lei. Ma partiamo dall’inizio. Il 26 maggio 2023, l’Emilia-Romagna affonda ancora nell’abisso di fango. […] Nel centro di Rimini, invece, si accendono i riflettori, parte la musica a palla. Dalle mura di Castel Sismondo fuoriescono modelli avvolte in abiti leggeri, trame di seta e veli di chiffon.
Va in scena “Ferretti Resort24”, la sfilata-evento della stilista romagnola fondatrice del gruppo quotato Aeffe che ferma i marchi Ferretti, Moschino e Pollini. In prima fila una parata di vip e politici. Spicca Daniela Santanchè con il suo Dimitri Kunz d’Asburgo, indagato con lei per le vicende Visibilia, che parla col prefetto Padovan. Ci sono la sottosegretaria alla Cultura Lucia Bergonzoni, Geronimo La Russa, il deputato Pd Andrea Gnassi. E poi ospiti stranieri, attori, cantanti e perfino due generali. Non era scontato. Fino a tre giorni prima, l’evento è stato in forse con 14 morti e 26 mila sfollati.
Alla fine prevale il carisma della Ferretti, romagnola doc, che il 23 maggio conferma che la sfilata si farà ma diversa: sarà solidale. Aeffe promette di organizzare un’asta benefica con Sotheby’s, mettendo in vendita pezzi speciali d’archivio e una t-shirt con la scritta “Io ci sono”.
I dipendenti devolveranno il corrispettivo di un’ora di lavoro alla causa, e l’azienda farà una donazione equivalente. L’evento è salvo e nessuno polemizzerà. Racconta chi c’era che le uniche parole dedicate alle vittime vengono sussurrate a bassa voce. E che finché la stilista non li chiama sul palco, pochi hanno notato gli “angeli del fango” per i quali Ferretti ha disegnato la maglia. “Per aiutare la Romagna a ripartire, io ci sono”, twitta la Santanchè, che la indosserà giorni dopo, ma subito la impone alla povera Venere di Open to Meraviglia. Per quell’ora di sfilata, quando ancora nulla aveva di solidale, la ministra aveva dato 90 mila al gruppo da 352 milioni di fatturato.
Aeffe Spa chiede il contributo il 31 di marzo, il 10 maggio il segretario generale del Mitur firma la determina che assegna direttamente alla società, senza gara, le risorse per “provvedere ai servizi di organizzazione e promozione dell’evento”. Non è facile motivare la spesa. Il funzionario cammina sul velluto: chiama in causa “il carattere di unicità dell’evento” (e perché Armani o Fendi no?), la “risonanza mediatica che avrebbe generato”, “esternalità positiva a beneficio del tessuto economico e sociale”. Non stupisce che la Ragioneria generale abbia sollevato dubbi: nel “Piano strategico di Sviluppo” del ministero – 112 pagine – non c’è traccia di finanziamenti a operatori privati della moda. Epilogo, per polemiche preventive.
Ma alla fine, quanto è stato raccolto per gli alluvionati? A distanza di quattro mesi le istituzioni paganti non lo sanno, manifestano anzi un certo fastidio per la domanda (“pure su questo fate polemica!”). Tocca chiedetelo al Gruppo Aeffe: si scopre che il ricavato è stato di circa 57 mila euro “interamente devoluti alla Protezione civile della Regione”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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SEAWATCH: “NOI A LAMPEDUSA NON E’ UNA NOVITA’, ANCHE LA GUARDIA COSTIERA CI CHIEDE SUPPORTO QUANDO SIAMO LI'”

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

“LE MISSIONI NON SI ADATTANO ALL’AGENDA DI QUESTO O QUEL POLITICO”

“Le missioni in mare richiedono settimane se non mesi di preparativi. Di sicuro non possono seguire l’agenda di questo o quel politico”. Non si fa attendere Sea Watch.
Alle squallide accuse del ministro degli Esteri Antonio Tajani, reduce dal duro faccia a faccia con la Germania sul ruolo delle navi ong nel futuro patto europeo su migrazione e asilo e sui finanziamenti stanziati dal governo tedesco in favore di alcune di loro, la veterana delle ong tedesche attive nel soccorso in mare risponde immediatamente.
“La notizia di sette navi di ong, alcune battenti bandiera tedesca, altre no, che vanno verso Lampedusa conferma la nostra preoccupazione” ha detto il ministro.
“Aurora Sar – ribattono dall’ong tedesca- è l’assetto veloce di Sea-Watch e non può considerarsi una novità che faccia base a Lampedusa, visto che la sua funzione è proprio quella di partire dal punto più vicino ai possibili casi di emergenza”.
Lo sanno le autorità italiane – si ricorda – che lì l’hanno bloccata per ben due volte, o che da lì le hanno chiesto di intervenire in supporto alla Guardia Costiera sopraffatta dalle troppe richieste di aiuto che in quei giorni arrivavano dal canale di mare fra Sfax e Lampedusa e incapace di rispondere a tutti in tempi utili.
“Nell’ultima missione siamo stati coordinati dalle autorità italiane che in quei giorni erano oberate, ad esempio”, ricordano da Sea Watch. Succedeva poco più di due settimane fa: nel corso di due diverse operazioni di salvataggio, l’equipaggio di Aurora ha soccorso prima 34 persone da un barchino di legno, poi altre 48 da un guscio di latta. In dodici sono state poi trasbordate su una motovedetta e accompagnate a Lampedusa per permettere alla piccola nave ong di raggiungere in sicurezza il porto assegnato di Catania. Lo stesso è successo con altre navi e velieri ong, a partire da Nadir di Resqship.
“Su 76.683 persone salvate in mare – dichiarava l’inquilino del Viminale a fine agosto – quelle prese a bordo dalle ong sono 4.769”. Poco più del 6 per cento. Numeri che Sea Watch ricorda e mette in fila. “Vale la pena ricordare – sottolineano dall’on tedesca – che le navi di soccorso della società civile hanno soccorso e fatto sbarcare solo una piccola percentuale delle persone arrivate in Italia nel 2023. Circa il 94 per cento è stato soccorso dalle autorità italiane o è arrivato autonomamente”
(da agenzie)

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L’EX CASERMA DIVENTATA UNA TENDOPOLI PER MIGRANTI

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

ECCO COME SI VIVE DENTRO IL MAXI CENTRO ACCOGLIENZA DI ODERZO: L’EDIFICIO E’ INAGIBILE, I MIGRANTI DA ANNI VIVONO IN TRE TENDONI “PROVVISORI”

È una vera e propria tendopoli, quella che si è creata nel cortile dell’ex caserma Zanusso e che ospita centinaia di richiedenti asilo. Persone che vivono tra letti a castello ammassati l’uno sull’altro, mangiano in una mensa improvvisata e appendono ciò che hanno sulle reti di un cortile esterno. Il posto all’interno, del resto, non c’é. L’edificio dell’ex caserma in provincia di Treviso (Veneto), ormai da tempo dismessa, è inagibile e così il centro di accoglienza straordinario è stato organizzato in tre tensostrutture allestite nel perimetro dell’ex base missilistica.
Doveva essere tutto temporaneo, eppure le tende sono lì dal 2016. Dentro al centro vivono centinaia di persone, secondo alcuni al momento sarebbero ben oltre la capacità massima di 260 posti. Dentro queste strutture sono allestiti dei letti a castello, appiccicati tra loro. Fanpage.it è entrata in possesso di alcune immagini scattate all’interno di queste strutture: si vedono brande in fila una dietro l’altra, divise da corridoi larghi giusto lo spazio necessario a far passare una persona.
Come si vive nella tendopoli per migranti
C’è chi ha appeso delle lenzuola o delle tendine di plastica ai paletti di ferro con cui sono costruite le brande, alla ricerca di un po’ di privacy. Difficile pensare che abbia funzionato: i letti sono letteralmente l’uno sull’altro, carichi di sacchetti della spesa e molti altri oggetti.
Tutto ciò che hanno i richiedenti asilo del centro è ammassato sopra ai materassi, ma quello che non ci sta viene appeso sulle reti in cortile. Attorno alle tre tende, dove quest’estate si sono raggiunte temperature torride, c’è solo cemento, qualche cestino e una pompa dell’acqua.
I migranti mangiano all’interno di una mensa allestita sotto un tendone. Ci sono tavoli in legno e panchine dove gli ospiti del centro siedono per i pasti. Lo stesso sindaco di Treviso e presidente dell’Anci Veneto, Mario Conte, quest’estate – di fronte all’aumento degli arrivi – aveva lanciato un appello a superare la logica dei grandi centri per tornare all’accoglienza diffusa sul territorio. “Tendopoli e maxi assembramenti non possono essere la soluzione”, diceva il primo cittadino leghista. Il sistema Sprar però, va detto, fu smantellato proprio dal leader del Carroccio, Matteo Salvini, con i decreti Sicurezza, varati nel 2018.
La visita delle due europarlamentari M5s
Ieri due eurodeputate del Movimento Cinque Stelle, Sabrina Pignedoli e Laura Ferrara, si sono recate in visita al centro, per verificare le condizioni di vita dei richiedenti asilo nella tendopoli. “Giorgia Meloni ha chiesto al ministero della Difesa di individuare in ogni Regione delle caserme dismesse da trasformare in nuovi Cpr per i migranti. Il fallimento di questa vecchia ricetta lo abbiamo visto con i nostri occhi durante il sopralluogo nell’ex caserma Zanusso, a Oderzo, in provincia di Treviso, che ospita oltre 260 migranti. Nonostante la buona volontà degli operatori e il loro impegno per mantenere dignitosi e puliti gli spazi del centro, i migranti vivono in una situazione di estremo degrado ed emarginazione”, hanno poi commentato in una nota.
E ancora: “L’ex caserma doveva essere una soluzione provvisoria e invece a otto anni dalla sua apertura si è trasformata in un vero e proprio ghetto. I diritti fondamentali dei richiedenti asilo sono negati: dormono in letti a castello di fortuna ammassati uno a fianco all’altro, non esistono programmi di accoglienza diffusa, vengono esposti al rischio caporalato. Questa mancata integrazione rappresenta anche un problema di sicurezza – e della sua percezione – per gli abitanti del territorio della provincia di Treviso. Questa non è la strada giusta. Noi diciamo no alle tendopoli. No al modello Meloni di accoglienza e gestione dei migranti arrivati in Italia”.
Le due europarlamentari Cinque Stelle hanno concluso ribadendo come questa non possa essere la soluzione: “L’obiettivo di Giorgia Meloni è quello di accelerare le procedure di espulsione dei migranti che provengono dai Paesi sicuri, ma senza accordi di rimpatrio queste persone vanno poi per strada con in mano un semplice foglio di via e nient’altro. Senza progetti di inclusione sarebbero facili prede della criminalità organizzata. Le proposte della destra alimentano il caos, per governare fenomeni così complessi serve la solidarietà europea: solo con i ricollocamenti negli altri Paesi riusciamo a svuotare i nostri centri coì da rendere più gestibile l’inclusione di queste persone”.
(da Fanpage)

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ENERGIA, MIGRANTI, SVILUPPO: IL PIANO MATTEI ANNUNCIATO DALLA MELONI NON ESISTE

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

DA ANNI STANZIAMO CIRCA UN MILIARDO L’ANNO MA CON RISULTATI SCARSI

Forse sarà annunciato a ottobre, ma è un anno che Giorgia Meloni ne parla. L’ormai noto “Piano Mattei” è famoso soprattutto perché (ancora) non esiste. Tutto ciò che sappiamo è stato annunciato dalla stessa Presidente del Consiglio. I propositi sono chiari e nobili: se i Paesi africani da cui provengono o dove transitano i migranti aumentassero il proprio grado di sviluppo, i flussi dovrebbero interrompersi.
A tale scopo serve un piano di investimenti per promuovere la crescita di questi Stati e, perché no, con l’occasione ottenere quelle risorse, in primis energetiche, necessarie ad alimentare la nostra economia. Insomma, chiudere il rubinetto dei migranti e aprire quelli di gas, petrolio, e altre materie prime. A vantaggio di tutti.
«L’Italia vuole contribuire a creare un modello di cooperazione, capace di collaborare con le Nazioni africane. Una cooperazione da pari a pari», ha annunciato Meloni il 20 settembre all’Onu. «E così, offrire un’alternativa seria al fenomeno della migrazione di massa, un’alternativa fatta di lavoro, formazione, opportunità nelle nazioni di provenienza». Un sogno, o quasi, ma molto simile a quello della personalità da cui prende il nome. «Enrico Mattei, un grande italiano che sapeva conciliare l’interesse nazionale italiano con il diritto degli Stati partner a conoscere una stagione di sviluppo e progresso».
Non è un caso che il Piano Mattei sia stato dedicato al fondatore di Eni, anche perché il tema centrale di tutta l’iniziativa sembra essere proprio l’energia. A rivelarlo è la stessa premier nel suo libro-intervista con Alessandro Sallusti, “La versione di Giorgia”: l’obiettivo, secondo Meloni, è «investire in Africa sulla produzione di energia, che vuol dire sviluppo per loro e autonomia energetica per entrambi». Il tutto, a detta della premier, per far diventare l’Italia l’hub energetico del Mediterraneo e per tutta l’Europa. «Una scelta strategica per noi, che diventiamo lo snodo di tutto». Tranne dei migranti, ovviamente.
Il problema è che l’Italia investe già molto in questo senso ma il tanto sperato sviluppo in Africa non s’è visto.
Tra il 2013 e il 2021, secondo Sace, l’agenzia di credito controllata dal Mef, lo Stato ha sostenuto 27 progetti in Africa emettendo circa 7,2 miliardi di euro sotto forma di assicurazione del credito, finanziamenti diretti, fideiussioni o altre garanzie.
Tra questi figura lo sviluppo di un giacimento di gas in Mozambico gestito da Eni (1,6 miliardi), la costruzione della più grande raffineria africana in Nigeria da parte del gruppo locale Dangote (300 milioni) e di tre dighe in Kenya (altri 300 milioni con la partecipazione di banche e imprese italiane). I fondi hanno finanziato i singoli progetti ma le annunciate iniziative per lo sviluppo locale non sono mai state completate, alimentando il sospetto che non sia un problema di risorse.
Ad ogni modo, per quanto riguarda la cooperazione, il nostro Paese è già tra i più impegnati al mondo, anche senza il Piano Mattei.
Nel 2021, ultimo dato disponibile secondo Openpolis, l’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Italia era pari allo 0,29% del reddito nazionale lordo, circa 5,145 miliardi di euro, in aumento del 36% annuo, il maggior incremento tra gli Stati del Comitato per l’assistenza allo sviluppo dell’Ocse. Per questo motivo Meloni cerca sponde all’estero, non solo in Africa, ma soprattutto in Europa e all’Onu per trovare le ingentissime risorse necessarie a raggiungere obiettivi così ambiziosi.
Il punto però è a chi andranno i fondi del Piano Mattei perché, come ammette anche la premier, spesso si tratta «di Paesi instabili o governati da personalità che non dimostrano interesse per lo sviluppo della loro collettività». «Ma per questo serve portare investimenti strategici: perché se è vero che la democrazia porta sviluppo, è vero anche il contrario». Purtroppo molti esempi, Cina in primis, dimostrano che non è sempre così.
(da tpi.it)

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FDI TOGLIE I VINCOLI AI TAGLI DEI BOSCHI CON UN EMENDAMENTO: UN REGALO ALLA FILIERA DEL LEGNO

Settembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

E POI HANNO IL CORAGGIO DI VANTARSI DI AVERE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE DI AREA

Centinaia di boschi italiani situati in aree definite come di “notevole interesse pubblico” – ovvero zone dove vi siano, tra l’altro, “bellezze naturali e panoramiche”, “memoria storica” e “singolarità geologica” – potranno essere tagliati senza più l’autorizzazione paesaggistica della sovrintendenza.
L’emendamento al Decreto Asset presentato dal senatore e presidente della IX Commissione (Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) Luca De Carlo, approvato il 27 settembre, ha modificato l’art.149 comma 1 lettera c del codice dei Beni culturali (dlgs 42/2004) con l’obiettivo di “rilanciare l’industria del legno”. È stato festeggiato come un alleggerimento del carico burocratico da diverse sigle associative legate all’economia forestale.
Per Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde, invece, “distrugge i pilastri della tutela della biodiversità”. Bonelli accusa Fdi di “violare l’articolo 9 della Costituzione, che pone in capo allo Stato la tutela della biodiversità”.
L’abrogazione di una norma molto utilizzata a tutela dei boschi del nostro Paese è una sconfitta per l’associazione Gufi (Gruppo Unitario per le foreste italiane): “È stata modificata la Legge Galasso che considerava i boschi come parte integrante del paesaggio – spiega Valentina Venturi, portavoce dei Gufi – mentre il paesaggio boschivo non sarà più tutelato, ne beneficerà una filiera del legno di scarso valore, quello destinato alla combustione”.
I principali beneficiari: filiera della legna da ardere e del pellet
“Si vogliono tagliare più alberi in Italia per evitare l’importazione di pellet e biomassa legnosa da altri Paesi, ma il problema è che nel nostro Paese se ne brucia troppa”, aggiunge Venturi.
Come conseguenza di ingenti incentivi che sono stati dati negli anni alle stufe a legna e pellet, il nostro Paese è infatti il maggior consumatore di pellet in Europa con 3-4 milioni di tonnellate all’anno bruciate nelle case degli italiani, ma circa il 90% di questo è importato. Inoltre – sottolineano i Gufi – circa l’85% del legname estratto in Italia è destinato alla combustione, principalmente come legna da ardere. Per questo l’associazione dell’Energia dal Biomasse Legnose Aiel, insieme ad altre sigle, si è in passato opposta al vincolo paesaggistico come nel caso di tagli boschivi bloccati dalla sovrintendenza sul monte Amiata. “Proprio a causa dei frequenti tagli boschivi le nostre foreste sono giovani e per questo inadatte all’uso nella filiera di maggior valore aggiunto, come quella del mobile”, aggiunge Venturi.
Le regioni restano gli unici soggetti politici a decidere sul destino dei boschi – I Gufi sottolineano come il paesaggio sia definito come “quella parte del territorio espressiva di identità”, dallo stesso Codice dei Beni Culturali, che è stato modificato. “Pensiamo all’area del castello Monte Massi, in Toscana, contornato da monti, olivi secolari e boschi, dipinto da Simone Martini nel 1300. È stata perimetrata dal ministero della Cultura attraverso uno specifico decreto. Ogni modifica degli edifici deve passare l’esame del sovrintendente, che però non potrà più pronunciarsi sul taglio dei boschi. Da oggi gli unici soggetti politici in grado di decidere sul destino delle foreste italiane saranno le regioni”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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