Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
E DATO CHE LE NAVI ITALIANE NON SCONFINANO IN ZONA LIBICA DAI TEMPI DI MARE NOSTRUM L’ACCORDO E’ CARTA STRACCIA
«L’accordo Italia-Albania non viola il diritto comunitario perché ne è al di fuori», annuncia la commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson. E nel giorno in cui la Corte Suprema inglese dichiara illegale il piano del premier Sunak per il trasferimento in aereo in Ruanda dei richiedenti asilo, a Roma il governo fa finta di tirare un sospiro di sollievo. Provando ad ignorare la seconda (e fondamentale) parte del verdetto degli uffici giuridici della Ue, e cioè che il protocollo firmato da Giorgia Meloni ed Edi Rama si pone fuori dal diritto comunitario nella misura in cui — spiega la commissaria europea — «l’intesa sembra applicarsi a tutti i soccorsi effettuati da navi italiane in alto mare, ovvero al di fuori delle acque territoriali italiane e quindi europee».
È questo il fondamento su cui basa la valutazione dell’Europa. Diversamente, un salvataggio condotto in acque europee porterebbe all’applicazione del diritto di asilo dell’Ue, come previsto dai trattati e dal regolamento di Dublino.
Ed è proprio qui che — di fatto — quello della Ue non si traduce affatto in un via libera all’accordo. Perché se è vero — come annunciato da Giorgia Meloni — che l’intesa riguarda esclusivamente i migranti che verranno soccorsi da navi militari italiane e portati direttamente in Albania, è altrettanto vero che motovedette e navi della Guardia costiera e della Guardia di finanza operano quasi esclusivamente in acque territoriali italiane e solo in casi di rischio imminente per l’incolumità dei migranti si spingono fuori dalle acque territoriali in una zona che, considerata la rotta principale da Libia e Tunisia, ricade tutt’al più in acque maltesi, dunque ad ogni effetto acque europee.
Di soccorsi “in alto mare”, acque internazionali che si spingono fino al confine con le acque libiche, i mezzi militari italiani non ne fanno dai tempi dell’operazione Mare Nostrum quando le regole di ingaggio erano ben altre e le nostre navi arrivavano fin sotto le coste libiche.
Ma non sono certo queste le circostanze immaginate da Meloni nel mettere a punto l’accordo con l’amico Rama. Accordo che, al momento, si limita ad una cornice che gli uffici legislativi dei ministeri dell’Interno, degli esteri e della Giustizia stanno cercando di riempire con norme in grado di rispondere all’indirizzo politico del governo (ieri riunione interlocutoria a Palazzo Chigi) ma che rischiano di cozzare con il diritto nazionale e con quello internazionale sovraordinato e che dovrebbero comunque passare dal Parlamento, dove il braccio di ferro tra maggioranza e opposizioni è già aspro. I capigruppo delle opposizioni alla Camera, compatti, hanno inviato una lettera al presidente della Camera Lorenzo Fontana chiedendogli «di compiere tutti i passaggi necessari, affinché l’accordo tra Italia e Albania sia trasmesso alle Camere nelle dovute forme e le prerogative del Parlamento siano compiutamente rispettate».
Perché i contenuti del protocollo, i deputati li hanno appresi da siti e giornali, italiani e albanesi, ma in Parlamento l’accordo non è stato mai trasmesso.
«L’articolo 80 della Costituzione prescrive che gli accordi internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importino variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi siano sottoposti alla ratifica del Parlamento», ricordano le opposizioni. Che avrebbero voluto anche sentire il ministro dell’Interno in commissione Affari costituzionali dove si sta esaminando il decreto Cutro. Ma Piantedosi ha declinato l’invito non ritenendo che l’intesa con l’Albania non abbia nessuna attinenza con il decreto Cutro e dunque che non sia quella la sede adatta.
Ad illustrarne i contenuti sarà il 21 settembre in aula il ministro dell’Interno Tajani che però insiste: «Verrò in aula a spiegare ma quello con l’Albania non è un trattato e dunque non ha bisogno di ratifica». In Albania, invece, l’accordo è stato approvato ieri dal governo e passerà alla ratifica del Parlamento.
Quanto al decreto Cutro, visto l’ostruzionismo delle opposizioni e i tempi stretti (il provvedimento dovrà essere convertito in legge entro il 4 dicembre), il governo ancora una volta forzerà la mano con un voto di fiducia previsto per il 24 novembre.
(da La Repubblica)
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Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
“SULLA MANOVRA DI BILANCIO SI DISCUTE NELLE SEDI ISTITUZIONALI”
l momento non sono arrivati inviti formali anche se, almeno
verbalmente il messaggio alla segretaria dem Elly Schlein con la richiesta di partecipare alla festa nazionale di Fratelli d’Italia Atreju a Roma, sarebbe stato recapitato. La risposta? No, grazie.
Dal Nazareno, infatti, fanno sapere di non essere favorevoli all’idea di una partecipazione della segretaria Schlein. Il motivo è semplice: in ballo ci sono questioni delicate, a cominciare dalla discussione sulla legge di bilancio. Tema caldo e che ha già indurito i rapporti tra maggioranza e opposizione e che potrebbe ulteriormente inasprire le posizioni in vista della chiusura, entro fine anno, della manovra.
E infatti, dal Nazareno, la risposta arrivata è chiara: «Con Fdi ci confrontiamo e discutiamo in Parlamento, a partire dalla manovra di bilancio». Insomma, meglio scegliere le sedi istituzionali. Anche perché i temi divergenti sono molti: dalla questione del salario minimo, alla gestione della sanità, piuttosto che le pensioni. Argomenti che ruotano attorno alla manovra e che rappresentano punti spinosi e divergenti tra maggioranza e opposizione.
La festa di FdI, in calendario dal 14 al 17 dicembre, non vedrà dunque la partecipazione della segretaria del Pd: secondo indiscrezioni Schlein avrebbe ricevuto verbalmente l’invito da parte della premier recapitato dal responsabile organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli nei giorni scorsi
Anche se, ieri, Donzelli aveva smentito spiegando che sul possibile invito di Schlein ad Atreju «l’ho letto dai giornali, sto gestendo un po’ io gli inviti, e mi sembra tutto un po’ prematuro». Precisando, però, che «ovviamente noi ci siamo sempre confrontati con chiunque, anche con chi ha idee diverse. Nella storia di Atreju sono venuti tutti, di ogni orientamento politico, perciò non abbiamo preclusioni, ma ancora non è partito alcun invito».
E ieri, nel corso della trasmissione “Agorà” su Rai Tre, era intervenuto sulla questione anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, anticipandone, di fatto, i contenuti. Rispondendo ad una domanda sul possibile invito alla segretaria del Pd a partecipare alla tradizionale kermesse di Fratelli d’Italia, aveva risposto così: «È una nostra tradizione quella di invitare tutti gli avversari politici. Invitammo anche Conte ai tempi, Letta e tutti i rappresentanti delle opposizioni, ma allora le parti erano invertite, per dire che secondo noi il terreno di scontro è il Parlamento ma non ci deve essere né ghettizzazione né criminalizzazione dell’avversario. Noi le abbiamo subite e non le facciamo. Sarebbe bello che il Pd di Schlein sapesse cogliere la sfida che la premier Meloni ha lanciato, cioè quella di cambiare l’Italia insieme». Aggiungendo: «L’invito ad Atreju è anche un invito a dire alle opposizioni che noi siamo disponibili al confronto e al ragionamento, che è l’esatto contrario di quello che fa una parte del sindacato che, a una richiesta di confronto, risponde con lo sciopero generale». Confronto che, invece, la segrtetaria dem preferisce «affrontare nelle sedi istituzionali».
Del resto la kermesse di FdI cade in un periodo dell’anno particolarmente delicato proprio sotto il profilo istituzionale. In ballo c’è la legge e sul tema lo scontro fra maggioranza e opposizione, già duro, potrebbe ulteriormente inasprirsi.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
“SEI UN MEDICO O UN INSEGNANTE? MELONI TI TAGLIA LA PENSIONE. SEI UNA MADRE? MELONI TI AUMENTA LE TASSE SUI PANNOLINI. HAI COMPRATO UNA CASA? TI AUMENTANO I TASSI DI INTERESSE.SEI UNA BANCA? MELONI TI PROTEGGE E NON PAGHI”
Giuseppe Conte attacca il governo Meloni sulla tassa dei cosiddetti extraprofitti delle banche, un provvedimento che si è rivelato un fallimento visto che i grandi gruppo bancari hanno già scelto di non pagare.
«Sei un medico? Meloni ti taglia la pensione, sei un insegnante Meloni te la taglia ugualmente. Sei una madre? Meloni ti aumenta le tasse sui pannolini, latte in polvere assorbenti. Sei un cittadino che ha comprato una casa? Aumentano i tassi di interesse, aumentano le rate del mutuo».
«Se invece sei una banca che sta guadagnando cifre spropositate all’aumento di tassi di interesse, stai tranquilla che c’è Meloni che ti protegge, decidi tu liberamente se vuoi pagare la tassa o no».
«Ma come, Meloni e Salvini non avevano annunciato una tassa sugli extra profitti delle banche? Spente le telecamere, il nulla, a Meloni sono tremate le gambe di fronte alle banche, ha cambiato idea, la tassa sugli extraprofitti è facoltativa. Ovviamente i 10 maggiori gruppi bancari hanno già deciso, non la pagheranno. Ecco l’Italia di Giorgia Meloni».
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
QUESTO SCIOPERO E’ L’UNICA OCCASIONE PER PORTARE ALL’ATTENZIONE DI TUTTI LA SCELLERATA LEGGE DI BILANCIO
Diciamo la verità: solo sentir parlare di sciopero ci fa girare le
budella, e il pensiero che per qualche ora i servizi pubblici vadano peggio del solito sa di beffa, perché le cose poi non cambiano e gli unici a pagare sono i cittadini e i lavoratori che ci rimettono pure un po’ dello stipendio. Così Salvini corre in discesa, inseguito dalla Meloni che ieri si è affrettata a far sapere di aver condiviso la precettazione decisa dal vicepremier per chi aderirà alla protesta di domani.
Ci sono all’orizzonte le elezioni europee e chi cavalca di più il malcontento per i “capricci” dei sindacati fa bella figura, questa volta anche tra gli elettori non di destra, dato che gli scioperi stanno sul naso a tutti. E pazienza se si infrange un diritto fondamentale, silenziando la generale indignazione per i tagli della prossima manovra economica, che al netto dell’inflazione e dei mutui alle stelle non prevede niente di buono per chi campa di stipendio.
Questo sciopero, infatti, è l’unica occasione per portare davvero all’attenzione di tutti la scellerata legge di bilancio in costruzione, sulla quale è stato aperto ogni tipo di paravento: dalla riforma costituzionale alla farsa del trasloco dei migranti in Albania. Diversivi congegnati per nascondere il tradimento delle promesse elettorali delle destre e i danni che stanno per combinare. A cui si aggiunge una sostanziale messa in discussione del diritto di manifestare, che incredibilmente pure la Cisl finge di non vedere. Pertanto gli scioperi sono un fastidio, ma in certi casi non sono solo necessari, ma pure sacrosanti.
(da La Notizia)
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Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
L’INCREDIBILE STORIA DEL “CRISTO DERISO” DI CIMABUE… STAVA PER FINIRE IN DISCARICA, IL MUSEO PARIGINO SE LO E’ AGGIUDICATO
Nel 2019 era stato trovato nella cucina di un’anziana donna francese. Oggi il Louvre lo ha acquistato per 24 milioni di euro.
Si chiude così il lungo periodo di peripezie del Cristo deriso di Cimabue, un piccolo dipinto di 20×25 cm risalente al XIII secolo.
Tutto ha inizio qualche anno fa, quando i familiari di un’anziana donna appena morta decidono di sgomberare la sua casa. Durante le operazioni, notano il dipinto appeso sopra il fornello della cucina e prima di buttarlo nella spazzatura decidono di inviarlo a uno specialista d’arte parigino per accertare il valore dell’opera. A quel punto arriva il primo colpo di scena: secondo l’esperto si tratta di un dipinto autentico di Cimabue, il maestro di Giotto, e ha un valore stimato compreso tra i 4 i 6 milioni di euro.
L’acquisto del Louvre
Quando l’opera viene messa all’asta, il Louvre di Parigi viene considerato il netto favorito per l’acquisto, con un’offerta di 19,5 milioni. Una cifra ben superiore al valore stimato del dipinto ma che viene incredibilmente sorpassata da una contro-offerta da 24 milioni di euro. Nel tentativo di salvare l’opera, interviene il ministero della Cultura francese, che dichiara il quadro «tesoro nazionale» e impone il divieto temporaneo di esportazione, dando così al Louvre il tempo necessario per raccogliere i fondi necessari per l’acquisto. Quel momento è arrivato e il museo più famoso di Parigi – ma anche del mondo – è riuscito finalmente ad accaparrarsi l’opera.
L’opera
Cimabue è un artista del XIII secolo noto soprattutto per essere stato il maestro di Giotto. All’artista fiorentino sono state attribuite solo una dozzina di opere, dal momento che preferiva non firmare i suoi dipinti. Il Cristo deriso che verrà ora esposto al Louvre è dipinto su un fondo di foglia oro su un pannello in legno di pioppo. Si ritiene che il quadro sia in realtà soltanto uno degli otto pannelli di un grande dittico. Tre di questi sono stati ritrovati, cinque sono ancora mancanti.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
È IL 70% IN MENO DEI COLLEGHI TEDESCHI, IL 41% IN MENO DEI BRITANNICI E L’8% IN MENO DEI FRANCESI… GLI AUMENTI IN BUSTA PAGA DA GENNAIO, IL CONFRONTO CON IL SETTORE PRIVATO E IL PROBLEMA DELLE SPECIALIZZAZIONI DESERTE
Se mancano i medici è impensabile fare funzionare gli ospedali e
garantire visite ed esami in tempi decenti. Agli errori di programmazione del passato dove non è stato formato un numero di specialisti sufficiente per sostituire chi va in pensione e dove sono state fatte scelte politiche assurde che scontiamo ancora adesso, come il blocco del turn-over, si aggiunge uno dei grandi problemi di oggi: lo scarso appeal della professione medica. Una questione che viene spesso collegata anche allo stipendio. Contratti alla mano vediamo, allora, quanto guadagnano davvero i 110 mila medici che lavorano a tempo indeterminato negli ospedali pubblici, e cosa cambierà dal 2024.
I contratti
Un primario di area chirurgica con incarico da oltre 25 anni prende 8.324 euro lordi al mese (per 13 mensilità); un medico con oltre i 15 anni d’anzianità 6.449 euro; un medico tra i 5 e i 15 anni d’anzianità 6.088; chi ha meno di 5 anni d’anzianità 4.495. A parità di potere di acquisto, è il 70% in meno dei colleghi tedeschi, il 41% in meno dei britannici e l’8% in meno dei francesi (qui i dati Ocse, alla voce «Remunerazione degli specialisti, PPA per consumi privati»).
Gli aumenti
Dopo infinite polemiche e mesi di trattative, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni che tratta per lo Stato (Aran) e le sigle sindacali a fine settembre hanno firmato il nuovo contratto collettivo nazionale che sta completando il suo iter burocratico. Da gennaio o febbraio 2024, dunque, la busta paga di chi lavora avrà degli aumenti che riguardano 4 voci e complessivamente valgono quasi 2,4 miliardi di euro.
Risultato: i primari vedono un aumento in busta paga di 276 euro lordi al mese (per 13 mensilità) pari al 3,3%, i medici oltre i 5 anni di 216,60 pari al 3,5%, e quelli con meno di 5 anni 197 euro pari al 4,4%. A queste voci vanno poi ad aggiungersi guardie, festivi e pronta disponibilità che possono valere intorno ai 200 euro lordi mensili. E a valere dal 2022, ai dirigenti medici operanti nei servizi di Pronto soccorso, compete un’indennità di 12 euro lordi per ogni turno di dodici ore di effettiva presenza in servizio.
I dubbi
Basteranno questi aumenti a motivare e a trattenere chi è già in corsia, vista la carenza di personale? E basteranno questi aumenti a sistemare le voragini in alcuni reparti cruciali ma dove nessuno vuol più andare? Dei posti banditi per il 2023 nelle Scuole di specialità sono rimasti vuoti l’87% di quelli di Radioterapia, l’85% di quelli per Patologia clinica e Biochimica clinica (dove s’impara, per intendersi, a fare le analisi di laboratorio), e il 74% di Medicina d’emergenza-urgenza. Al contrario sono tutti occupati i posti per Chirurgia plastica e ricostruttiva, Dermatologia e Oftalmologia, specialità super-gettonate perché danno facilmente accesso all’attività a pagamento.
Le regole del gioco
Dopo il sacrosanto aumento di stipendio ai medici ospedalieri, le questioni di fondo restano tali e quali. Le regole del gioco definite nel 1996 dall’allora ministro alla Salute Rosy Bindi sono queste: io Stato non sono in grado di pagarti quanto dovrei e, allora, ti consento di svolgere fuori dalle 38 ore settimanali una parte dell’attività in libera professione dentro all’ospedale o in un ambulatorio collegato.
Hanno scelto questa strada in 44.791. Il loro guadagno in media è di 20 mila euro in più all’anno, nella realtà c’è chi incassa meno e chi raddoppia, triplica lo stipendio. Di certo non saranno gli aumenti che scatteranno dal 2024 a spingerli a rinunciare alla libera professione: gli stessi soldi li portano a casa con una o due visite private al mese.
La seconda possibilità che la legge Bindi dà ai medici ospedalieri è quella di rinunciare al vincolo di esclusiva per poter lavorare a pagamento, sempre fuori dall’orario di lavoro, nelle strutture private. Nel 2022 hanno preso questa decisione in 4.134. Il vincolo di esclusiva per un primario vale 1.804 euro al mese, per chi ha oltre 5 anni di anzianità dai 1.000 ai 1.353, e per quelli sotto i 5 anni 246 euro: quello che perdono rinunciandoci lo incassano con meno di dieci visite. E, anche in questo caso, non saranno certo i 200 e rotti euro lordi in più al mese a tenerli di più in corsia. Morale: finché permangono queste regole, per le liste d’attesa non c’è speranza.
In fuga
Ci sono poi i 61.055 medici che non fanno nessuna attività a pagamento, stravolti da turni massacranti e straordinari, sempre più tentati di abbandonare il pubblico o di ritornarci da medici-gettonisti, non più dipendenti, ma pagati per i turni che svolgono.
Un medico ospedaliero assunto da più di 15 anni guadagna in media 52 euro lordi all’ora, per 6 ore e 20 minuti al giorno da contratto (che però vengono sempre superate) per 267 giorni l’anno. Il calcolo tiene conto di un giorno di riposo settimanale, 36 di ferie e 10 di festività. Gli stessi soldi un medico a gettone li guadagna facendo 84 turni da 12 ore, poiché la paga oraria minima in Ps e in Anestesia è di 87 euro lordi. Certo, a suo carico il gettonista ha ferie e malattia, ma c’è chi arriva a cumulare anche 20 turni al mese con uno stipendio che cresce esponenzialmente.
Umiliati per poche centinaia di euro
Non bastano, poi, questi aumenti in busta paga a risollevare dalla frustrazione medici che si vedono costretti a subire delle ingiustizie. Emblematico a tal riguardo è il caso dell’ospedale Niguarda, uno dei più importanti di Milano: i voti delle pagelle sulle capacità professionali dei medici, a cui sono legate poche centinaia di euro come parte variabile della retribuzione, vengono abbassati perché non ci sono abbastanza soldi nelle casse aziendali per pagarli secondo le reali competenze.
Più operi, più guadagni
Per chi si stanca di lavorare nel pubblico, stanno diventando sempre più attrattivi gli ospedali privati accreditati o il privato puro. Per i medici dipendenti che lavorano in queste strutture gli stipendi sono più bassi in media del 20-30%.
Ma qui una delle forme di ingaggio più diffuse è il pagamento in percentuale alle prestazioni effettuate: il 15% della tariffa di un intervento chirurgico che viene divisa tra l’équipe medica generalmente di 3 persone; il 30-40% delle tariffe di rimborso degli esami diagnostici e il 65% delle visite ambulatoriali. Più ne fai, più guadagni.
(da Il Corriere della Sera)
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Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
UNA NORMA-SALVAGENTE PER AGGIRARE L’OBBLIGO DI BANDI IMPOSTO DALL’UE – MA È UNA SOLUZIONE CHE DEVE ANCORA PASSARE IL VAGLIO DEI TECNICI DELL’UNIONE EUROPEA
Una norma per superare i rilievi dell’Europa che hanno portato a una procedura di infrazione contro l’Italia. I leader della maggioranza affrontano il nodo balneari e trovano l’accordo su una disposizione-salvagente, da inserire in un decreto o più facilmente in un disegno di legge già all’esame delle Camere, con la quale si apre alla possibilità di mettere a bando la gran parte delle coste italiane al momento non oggetto di concessione: una percentuale di litorale che ammonterebbe a circa il 67 per cento, secondo una mappatura che adesso viene utilizzata per dimostrare che non esiste quella «scarsità di risorse» alla base della direttiva Bolkestein che il nostro governo, secondo Bruxelles, non sta rispettando.
È una mano tesa ai concessionari che fanno pressione su Palazzo Chigi. La premier Giorgia Meloni ne ha parlato tra gli altri con i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, che già esulta: «Avanti compatti a difesa del lavoro, delle spiagge e del mare italiano». Ma è una soluzione che deve ancora passare il vaglio dei tecnici dell’Ue
Sul tavolo di un doppio vertice di Chigi anche la questione della ratifica del Mes. Meloni ha confermato che il via libera può arrivare solo se si concluderà positivamente il negoziato sul patto di stabilità, con condizioni maggiormente favorevoli per l’Italia. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha illustrato gli sviluppi della trattativa, che in ogni caso non potrà concludersi prima della prossima riunione dell’Ecofin, l’8 dicembre.
Se dovesse arrivare un esito favorevole al negoziato sul Patto, la maggioranza potrebbe prendere in considerazione, sul Mes, la mediazione proposta dal pd Enzo Amendola: la ratifica del trattato con una clausola «alla tedesca», che prevede il ricorso allo strumento finanziario mai amato dalla Destra solo in caso di un voto a maggioranza qualificata da parte delle Camere. Un punto di caduta ritenuto ragionevole, in ambienti di FdI (ma anche in parte della Lega)
Meloni ieri è salita al Colle in occasione del giuramento dei nuovi giudici della Corte costituzionale. Il capo dello stato e la presidente del Consiglio non si vedevano di persona dal 4 novembre. Ieri si sono salutati prima e dopo la cerimonia senza vedersi in disparte una volta terminato l’appuntamento .
I dossier, e i possibili punti di frizione, tra Palazzo Chigi e il Quirinale volendo non mancherebbero. Non solo per la scortese segretezza con cui il governo ha gestito l’operazione migranti in Albania, ma anche per i possibili rilievi del Colle sul dl carne sintetica per non parlare della vicenda balneari oggetto di una riunione di Meloni nel pomeriggio e soprattutto di una lettera dello scorso 24 febbraio di Mattarella “sulle norme da modificare rispetto alle concessioni”.
E proprio su questo punto l’atteggiamento del governo è attendista, ma anche di sfida nei confronti della Ue. Durante il vertice a Palazzo Chigi è emerso il timore che già la prossima settimana possa arrivare la lettera d’infrazione di Bruxelles. Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha messo questa ipotesi sul tavolo. Se dovesse scattare il cartellino rosso della Commissione l’esecutivo si metterà al lavoro per scrivere una norma di riordino partendo dalla mappatura.
Il tavolo tecnico ha sancito che è in concessione solo il 33 per cento delle coste italiane. Il 67 rimanente è quindi libero e questo dato sarebbe il punto sul quale insistere con la Commissione Ue per stabilire che la risorsa non è scarsa e, quindi, non è il caso di applicare la direttiva Bolkestein. Se nemmeno la norma di riordino non dovesse essere accettata il governo metterebbe a gara le concessioni balneari esistenti con dei paletti. Di sicuro per il centrodestra non sarebbe un buon viatico in vista delle elezioni europee di giugno.
Per il momento tutto rimane sospeso in attesa della possibile lettera di infrazione: la riunione è stata aggiornata alla prossima settimana. Di rinvio in rinvio e sempre seguendo questo sottile filo di tensione Meloni ha parlato con i suoi vice Matteo Salvini e Antonio Tajani più il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti anche di Mes, ma soprattutto di Patto di stabilità.
La trattativa per le nuove regole del bilancio è partita in salita e sembra questa la vera battaglia su cui si concentrano i timori del governo. Il sì alla ratifica del meccanismo salva stati per la premier è stata sempre un’arma negoziale da inserire nelle trattative ben più complesse sul Patto di stabilità.
Ecco perché in attesa di capire come finirà questa partita, il Mes resta parcheggiato. Sarebbe atteso la prossima settimana in Aula a Montecitorio, ma con due decreti in conversione e con l’informativa di Antonio Tajani è probabile che slitti tutto di altri dieci giorni. Ma per fare cosa? E’ convinzione diffusa del centrodestra, perfino anche di Matteo Salvini, che il sì sia inevitabile.
Bisogna capire i tempi. Non è escluso che in questo sovrapporsi di tavoli e strategie tra Roma e Bruxelles il governo voglia prendere ancora tempo rinviando il testo sul Mes in Commissione, da dove era stato licenziato su spinta di Italia viva. Il Pd, e questa è una notizia, sembra andare incontro a Meloni. Con una soluzione per salvare capre e cavoli.
La offre Enzo Amendola, capogruppo in commissione Esteri del Pd. La mediazione prevederebbe l’approvazione della cosiddetta “clausola alla tedesca” per la quale la eventuale futura attivazione può essere fatta solo con una maggioranza parlamentare qualificata. “Questa è l’ultima offerta – dice Amendola – e gli permette di uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati”.
(da la Repubblica)
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Novembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
LEGGI URGENTI PER ISTITUIRE PREMI PER IL MAESTRO DELLA CUCINA ITALIANA, DIVIETI CONTRO LA CARNE COLTIVATA (CHE NESSUNO COLTIVA)
Sta togliendo il mestiere a Sangiuliano, Urso e Piantedosi.
Promuove, vieta, difende e premia. E’ il ministro dei Beni Colturali, il ministro Francesco Lollobrigida, il ministro Patria, mestolo e divieti. Mentre scriviamo è a Parigi per festeggiare la cucina marchigiana del governatore di Fdi, Acquaroli. In Italia, in Parlamento, difenderà oggi il “manzo tricolore” minacciato dagli scienziati della carne coltivata. Non l’ha ancora coltivata nessuno, ma vietare è meglio che provare. Abbiamo un ministro e una commissione Agricoltura che avrebbero fatto felici Maccari, Guareschi, Latouche, tutta una stalla di pensatori da decrescita infelicissima, da Strapaese. La commissione è la XIII, Agricoltura, e lunedì 13, si è riunita per discutere un ddl urgente. E’ a firma del ministro Lollobrigida e prevede “l’istituzione del premio maestro dell’arte della cucina italiana”. Il premio è di 2 mila euro. La medaglia, e recitiamo, quanto scritto nel decreto, “è una medaglia di bronzo”. I premiati saranno coloro che hanno “esaltato il prestigio della cucina italiana e illustrato la patria”. C’è pure un comitato di esperti per valutarli e rimane in carica tre anni. E’ meglio dell’Accademia dei Lincei. E’ la Corte culinaria del popolo sovrano. Sangiuliano come può sopportare questo affronto? La cultura o la coltura? Lollobrigida gli ha portato via Prezzolini.
Chi vuole dunque trovare il paradiso del patriota non può che seguire le avventure del nostro simpatico ministro Strapaese, Lollobrigida. L’ultima battaglia, ma è solo l’ultima, denunciata dal partito +Europa, è questo ddl di governo sulla carne coltivata che vieta in Italia la produzione e la sua commercializzazione. Fermo restando che nessuno ha ancora fatto richiesta di produzione (solo in Olanda, una azienda) tenuto conto che l’Italia fa parte ancora dell’Europa, non si capisce perché l’Italia debba sostituirsi all’Efsa. E’ l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ed è lei che dovrebbe pronunciarsi, ma a Strapaese evidentemente non vale. Non si fida.
Il ddl contro “un’idea” (così l’ha definito l’onorevole Benedetto Della Vedova) arriva oggi alla Camera ed è un’ennesima puntata della lotta per la sovranità alimentare che è sempre la lotta della destra contro i suoi pipistrelli. Degli scorpioni e dei grilli, come ha detto Lollobrigida, in Francia, se ne occupa il Dipartimento Icqrf del Masaf. Spiega invece Giuseppe Castiglione, uno dei componenti della commissione Agricoltura, eletto in Azione-Italia viva, che siamo ormai arrivati alla “guerra santa delle parole”.
Si è infatti contro la lingua italiana e il termine “hamburger” (vegetale) che secondo la destra (era un disegno di legge della Lega e il Foglio ne aveva scritto a luglio) non si devono chiamare “hamburger”. Le società che le producono (c’è un mercato in espansione) da mesi protestano e chiedono: “Ma come dovremmo chiamarli: bottoni vegetali?”. Il mercato delle proteine vegetali va che è una meraviglia. L’Italia è al terzo posto in Europa per vendita al dettaglio di questi prodotti. Gli acquisti sono aumentati del 40 per cento tra il 2020 e 2022. I report confermano che gli italiani, più del 75 per cento, non sono tonti. Sanno di cosa si parla. L’intera produzione vale 680, 9 milioni di euro. Va così bene che si studia come ammazzarla. Sono battaglie meloniane, ma l’agricoltura italiana che numeri ha? L’ultimo report Istat parla di calo. Il valore in euro della produzione agricola è 74,7 miliardi e nell’ultimo anno c’è stata una flessione dello 0.8 per cento. Hanno pesato le condizioni climatiche, condizioni che la ricerca scientifica prova a contrastare. L’Italia che è un’eccellenza del grano duro viene ormai superata dalla Francia. Grazie alla ricerca scientifica, i maledetti franciosi seminano colture che resistono al clima. Il paradosso è che gli agricoltori italiani preferiscono coltivare il grano duro francese. Lo importano e pagano pure le royalty. Chi vuole fare un giro a Strapaese non ha che da consultare il sito della Camera e andare a vedere gli ultimi ddl esaminati dalla Commissione. Raccontano che i deputati di opposizione abbiano sorriso quando hanno letto che era urgente il “premio maestro dell’arte culinaria”. E però, la risata più fragorosa è stata per il ddl a firma Bergesio, il senatore della Lega e padre della nostra Miss Italia.
Il titolo del ddl su cui si ragiona in commissione è “disposizioni per il riconoscimento della figura dell’agricoltore custode dell’ambiente”. C’è bisogno di una legge per far sapere che l’agricoltore è custode dell’ambiente? Il ddl prevede anche l’istituzione della giornata dell’agricoltore. Sembra di stare all’ufficio cerimonie e nastri. Non finisce qui. C’è una quantità di made in Italy che si rischia l’indigestione. Domani, sempre in commissione Agricoltura, si discute del ddl “Disposizione organiche per la valorizzazione, promozione e la tutela del made in Italy”. C’è l’istituzione di un fondo e il fondo come si può chiamare? Naturalmente “sovrano”.
Questa complessa attività legislativa si porta via tutte le sedute. Non va meglio quando si è provato a legiferare sulla promozione e lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile. Anche questo era un ddl di governo. Erano 18 articoli. Bene. Otto sono stati riscritti, dieci cassati. Ma torniamo alla battaglia sulla carne e vediamo come va la lotta per l’autarchia. Ecco i numeri. Le importazioni di carni sono aumentate del 9.7 per cento dato che il mercato è sempre più internazionale. Significa che i divieti servono a poco e che avrebbe più senso, dice ancora Della Vedova, “stare al passo, farsi trovare pronti”. Pure il Pd si fa sentire. Contro lo Strapaese di Lollobrigida, l’ex ministro degli Affari Europei, Enzo Amedola, ha chiesto di ratificare il Ceta. E’ il Mes dell’agricoltura, un accordo commerciale di libero scambio tra Canada e Ue. L’Italia prende tempo. Urgente è del resto il premio “maestro della cucina italiana” e, sia chiaro, il primo che usa il mascarpone francese finisce, in cucina, a fare lo sguattero dello chef Lollobrigida. Nella sua trattoria l’omelette, come negli anni Venti, si chiama ovviamente “la frittata avvolta”.
(da ilfoglio.it)
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