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I DATI: NEL 2023 POVERTA’ ASSOLUTA PER 5,7 MILIONI DI ITALIANI, PIU’ GRAVE AL SUD

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

IN POVERTA’ ASSOLUTA L’8,4% DELLE FAMIGLIE RESIDENTI IN ITALIA, AL SUD ARRIVA OLTRE IL 10%

Nel 2023 vivevano in condizione di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie (8,4% sul totale delle famiglie residenti, valore stabile rispetto al 2022) e quasi 5,7 milioni di individui, 9,7% sul totale degli individui residenti, come nell’anno precedente. A sottolinearlo stamane è l’Istat, secondo cui l’incidenza di povertà assoluta fra i minori si attesta al 13,8% (quasi 1,3 milioni di bambini e ragazzi, dal 13,4% del 2022), valore più elevato della serie storica dal 2014 mentre è all’11,8% fra i giovani di 18-34 anni (pari a circa 1 milione 145mila individui, stabile rispetto al 2022).
Per i 35-64enni la povertà assoluta si conferma al 9,4%, anch’esso valore massimo raggiunto dalla serie storica. Sostanzialmente invariata è anche l’incidenza di povertà assoluta fra gli over 65 (6,2%, quasi 887mila persone).
L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si mantiene più alta nel Mezzogiorno (dove coinvolge oltre 859mila famiglie, 10,2% del totale), seguita dal Nord-ovest (8,0%, 585mila famiglie) e Nord-est (7,9%, 413mila famiglie), mentre il Centro conferma i valori più bassi (6,7%, 360mila famiglie). Tra le famiglie povere, il 38,7% risiede nel Mezzogiorno (41,4% nel 2022) e il 45,0% al Nord (42,9% nel 2022). Il restante 16,2% risiede nel Centro (15,6% nel 2022).
La stabilità dell’incidenza di povertà registrata a livello individuale è frutto di dinamiche territoriali differenti: aumenta per i residenti nel Nord-ovest (9,1% dall’8,2% del 2022), mentre si riduce per chi vive nel Sud (12,0% dal 13,3% del 2022). L’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è pari al 30,4%, si ferma invece al 6,3% per le famiglie composte solamente da italiani. L’incidenza di povertà relativa familiare, pari al 10,6%, è stabile rispetto al 2022; si contano oltre 2,8 milioni di famiglie sotto la soglia. In lieve crescita l’incidenza di povertà relativa individuale che arriva al 14,5% dal 14,0% del 2022, coinvolgendo quasi 8,5 milioni di individui.
Nel 2023 la quota di famiglie di operai in “povertà assoluta” è aumentata dal 14,7% del 2022 al 16,5%.
Le famiglie numerose
L’incidenza della povertà assoluta si conferma più elevata tra le famiglie con un maggior numero di componenti: raggiunge il 20,1% tra quelle con cinque e più componenti e l’11,9% tra quelle con quattro. Invariati anche i valori dell’incidenza delle famiglie di tre componenti (8,2%).
Il disagio più marcato si osserva per le famiglie con tre o più figli minori, dove l’incidenza arriva al 21,6%; e, più in generale, per le coppie con tre o più figli (18,0%). Anche per le famiglie di altra tipologia, dove spesso coabitano più nuclei familiari e/o membri aggregati, si osservano valori elevati (15,9%), così come per le famiglie monogenitoriali (12,5%).
L’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento con almeno 65 anni assume i valori più contenuti; il massimo si registra per le famiglie con un anziano (6,8%). In generale, si confermano valori contenuti dell’incidenza all’aumentare dell’età della persona di riferimento; infatti, le famiglie più giovani hanno generalmente minori capacità di spesa poiché dispongono di redditi mediamente più bassi e di minori risparmi accumulati nel corso della vita o beni ereditati
Il ruolo dell’inflazione
Nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023 (+2,1% di occupati in un anno), registrato anche nei due anni precedenti, l’impatto dell’inflazione ha contrastato la possibile riduzione dell’incidenza di famiglie e individui in povertà assoluta. Nel 2023, la crescita dei prezzi al consumo è risultata ancora elevata (+5,9% la variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo), spiega l’Istat, con effetti che risultano più marcati proprio sulle famiglie meno abbienti (+6,5% la variazione su base annua dei prezzi stimata per il primo quinto di famiglie).
Le spese per consumi di questo gruppo di famiglie, che include anche quelle in povertà assoluta, non hanno tenuto il passo dell’inflazione e, pur in forte crescita in termini correnti, hanno subito un calo dell’1,5% in termini reali della spesa equivalente. I bonus sociali per l’energia e il gas – seppur fortemente ridimensionati nel 2023 rispetto al 2022 – hanno contribuito a contenere la crescita della povertà, secondo l’istituto di statistica. Si stima che questa misura ne abbia ridotto l’incidenza di quattro decimi di punto rispetto ai sette decimi dello scorso anno.
(da agenzie)

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LA MANOVRA DI MELONI, IN MODALITA’ “IO SO’ IO E VOI NON SIETE UN CAZZO”, DELUDE TAJANI E SALVINI E A BRUXELLES SCATTA IL VERTICE NOTTURNO DEI LEADER

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

IL CAPITONE MASTICA AMARO SULLE PENSIONI ANTICIPATE, LA FLAT TAX SOPRA GLI 85MILA EURO CHE RESTA UN MIRAGGIO E PER LE TASSE SUI BANCHIERI (È RIMASTO UNO SLOGAN)… TAJANI, AVREBBE VOLUTO ABBASSARE L’IRPEF AL CETO MEDIO, ”. MA LA MELONI HA GIÀ DATO L’ORDINE: NIENTE ASSALTI ALLA DILIGENZA

Prima di prendere l’aereo con Giorgia Meloni verso Bruxelles – lei per il Consiglio europeo, lui per il vertice del Ppe – Antonio Tajani ha consegnato ai colonnelli di FI questo messaggio: «Tranquilli, la manovra non è chiusa». Ventiquattr’ore dopo il Consiglio dei ministri, nessuno in maggioranza ha voglia di recitare la parte del guastafeste. Dunque sulle agenzie di stampa è tutto un incensare le misure del governo. Ma dietro le quinte, lo schema approvato a Palazzo Chigi martedì notte lascia i due junior partner di FdI con l’amaro in bocca.
Tanto che nella notte Salvini, giunto nella capitale belga per una riunione dei Patrioti, si unisce per un vertice di maggioranza a Meloni e Tajani al bar dell’hotel Amigo, dove poco prima la premier aveva cenato con il segretario di FI e il commissario europeo in pectore Raffaele Fitto
La sensazione è che l’unico vero provvedimento bandiera passato al vaglio del Mef sia il bonus bebè, priorità di via della Scrofa. È soprattutto la Lega, che peraltro esprime il ministro dell’Economia, a mugugnare. Perché sulle pensioni anticipate non ci saranno avanzamenti veri; la flat tax sopra gli 85mila euro per ora resta un miraggio; e lo slogan «tassare i banchieri» di Matteo Salvini è rimasto appunto quello: uno slogan.
Ai due vicepremier non resta che duellare sul contributo delle banche. «Qualcuno diceva che non avrebbero dato una lira», è la narrazione di Salvini. «Nessuna imposizione», rivendica Tajani, mentre il deputato azzurro che segue il dossier manovra, Alessandro Cattaneo, insiste sul fatto che «una tassa avrebbe mandato in fibrillazione i mercati».
Schermaglie a distanza. In attesa che il match si sposti alla Camera, dove Meloni ha già dato l’ordine: niente assalti alla diligenza, solo modifiche mirate e a costi invariati. Ma uno spiraglio c’è. Non a caso Tajani ieri parlava in modo un po’ ovattato di «migliorie» da apportare in Parlamento, magari pescando dalle risorse del concordato, i cui risultati in termini d’incasso sono attesi per fine mese. Ma da quella posta, se va bene, potranno arrivare 1-2 miliardi al massimo.
Dunque FI, che avrebbe voluto abbassare l’Irpef al ceto medio dal 35 al 33%, alzando lo scaglione da 50mila a 60mila euro, potrebbe strappare un taglio di un punto solo e a platea invariata. «Interventi sull’Irpef? Dico solo che sono fiducioso.
Che il capitolo sia tutt’altro che chiuso, lo dimostra anche la discussione sui tagli ai ministeri chiesti da Giancarlo Giorgetti. Salvini, tramite il fidato viceministro Edoardo Rixi, ha già fatto capire che per il suo ministero non è aria, anche perché deve tenere conto dell’aumento dei costi delle materie prime. Anzi, gli uffici dei Trasporti avrebbero consegnato al Mef la richiesta di fondi in più. Come ha fatto l’Agricoltura: «Non avremo tagli, ma più risorse», fa sapere Francesco Lollobrigida. E anche Guido Crosetto è certo di non avere sforbiciate alla Difesa.
Su una cosa, invece, scommettono tutti: il fondo per gli emendamenti dei parlamentari non sarà azzerato, come veniva fatto circolare l’altro ieri notte. Deputati e senatori, anche a questo giro, avranno alla fine un po’ di cassa, per accontentare i collegi.
(da Repubblica)

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ESEGUITE IN TUTTA ITALIA PERQUISIZIONI CONTRO UN GRUPPO DI SUPREMATISTI: DIECI MINORENNI E DUE MAGGIORENNI SONO INDAGATI PER ISTIGAZIONE A DELINQUERE PER MOTIVI DI DISCRIMINAZIONE RAZZIALE ETNICA E RELIGIOSA

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

SEQUESTRATE REPLICHE DI ARMI LUNGHE E PISTOLE ANCHE PRIVE DEL TAPPO ROSSO, MAZZE, TIRAPUGNI, COLTELLI, UN MACHETE, DIVERSE BANDIERE E SIMBOLI RIFERIBILI AL NAZI-FASCISMO E AL SUPREMATISMO

-La Polizia di Stato di Milano ha eseguito in tutt’Italia perquisizioni delegate dalla Procura dei Minorenni e da quella del Tribunale Ordinario nell’ambito di un’indagine contro l’incitamento alla violenza per motivi razziali.
Le persone perquisite, dieci minorenni e due maggiorenni, sono tutte indagate per il reato di cui all’art. 604 bis c.p. (Propaganda e Istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa). Sequestrate repliche di armi lunghe e pistole anche prive del tappo rosso, mazze, tirapugni, coltelli, un machete, diverse bandiere e simboli riferibili al nazi-fascismo e al suprematismo.
L’attività della Digos di Milano nasce dall’esecuzione di una misura cautelare eseguita il 19 marzo scorso a carico di un minore di origini ucraine arrestato per aver compiuto, di notte, diverse aggressioni sulla linea “M2 verde” nei confronti di extra-comunitari e tentati furti a bordo di alcune auto in sosta. Il minore, dichiaratamente nazi-fascista, in più occasioni, prima di compiere le azioni criminose mostrava la svastica tatuata sul petto ed esaltava il regime fascista esclamando “i fascisti sono tornati”.
Gli agenti della Digos di Milano, quindi con il coordinamento della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, hanno ricostruito una rete in ambito nazionale, composta per lo più da soggetti minorenni, che con chat di messaggistica istantanea incitavano alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Gli indagati sono residenti in diverse città d’Italia e l’attività è stata portata a termine con la collaborazione delle Digos delle Questure di Torino, Roma, Firenze, Venezia, Novara, Ravenna, Biella e di operatori della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione.
(da Open)

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IL GOVERNO SE NE FREGA DEL DIALOGO CON I MUSULMANI: I MEMBRI DEL CONSIGLIO PER LE RELAZIONI CON L’ISLAM, INSEDIATO PRESSO IL VIMINALE, SI SONO DIMESSI IN BLOCCO. E HANNO SCRITTO UNA LETTERA DI FUOCO AL MINISTRO PIANTEDOSI

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

“L’ORGANISMO È PRIVATO DI OGNI STRUMENTO OPERATIVO E CON OGNI EVIDENZA GIUDICATO NON RILEVANTE PER LA DEFINIZIONE DI ORIENTAMENTI E POLITICHE NEI CONFRONTI DELL’ISLAM ITALIANO”… IL CONSIGLIO, CHE NON ERA CONVOCATO DAL LUGLIO 2023, ERA COMPOSTO DA GIURISTI, SOCIOLOGI, POLITOLOGI, ISLAMOLOGI

Un passo indietro deciso e attuato insieme, con una lettera inviata al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, alla sottosegretaria Wanda Ferro e ai prefetti Laura Lega e Alessandro Tortorella, rispettivamente capo Dipartimento Libertà civili e immigrazione e direttore centrale per gli affari dei culti. Così l’altro ieri i membri del Consiglio per le relazioni con l’Islam, insediato presso il Viminale, ha deciso di prendere cappello e salutare i vertici del ministero.
Nella lettera, che Avvenire ha potuto visionare, sono esposte le motivazioni: «Con vivo rincrescimento, rassegniamo le nostre dimissioni da un organismo ormai pletorico, privato di ogni strumento operativo» – si legge – e «con ogni evidenza giudicato non rilevante per la definizione di orientamenti e politiche nei confronti dell’islam italiano e, più in generale, delle varie comunità di fede». Un gesto eclatante, dunque, che il Viminale, almeno fino a ieri sera, ha preferito non commentare.
Il Consiglio era composto, a titolo gratuito, da una dozzina di accademici di diversa formazione: giuristi, sociologi, politologi, islamologi, alcuni dei quali avevano già fatto parte di precedenti tavoli di dialogo (come quello aperto dal ministro Giuseppe Pisanu nel 2005).
Nella lettera, il coordinatore Paolo Naso e gli altri componenti denunciano come l’organismo – dopo una riunione il 13 luglio 2023 – non sia stato più convocato. In quella riunione, ricostruiscono i dimissionari, «sia i membri partecipanti che la sottosegretaria Ferro convennero su un piano di lavoro che sarebbe stato sostenuto con le risorse della nuova programmazione Fami».
Nei mesi seguenti, coerentemente con quelle aspettative, il Consiglio ha coinvolto diverse università per approntare «varie proposte in linea con le indicazioni generali ricevute dal Ministero». Ciononostante, lamentano ancora, «non si è concretizzato nulla. Il Consiglio non è stato più convocato. I rapporti per la definizione dei progetti Fami sono stati sospesi»
«Per alcuni di noi si conclude così una lunga collaborazione col Ministero, iniziata oltre dieci anni fa, carica di risultati importanti sul piano delle relazioni con la comunità islamica italiana», annota fra gli altri la professoressa Maria Chiara Giorda, docente di Storia delle Religioni all’università Roma Tre, rivendicando come il Consiglio abbia «prodotto vari documenti a beneficio delle istituzioni, d’intesa coi ministri di ogni parte politica succedutisi al Viminale » e sia riuscito «a favorire un processo di ravvicinamento tra le varie componenti» islamiche, culminato nel 2017 nella sottoscrizione comune del «Patto per un islam italiano».
(da Avvenire)

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MELONI ESCLUSA DA BIDEN DAL “QUARTETTO” DI BERLINO PER IL VERTICE SULL’UCRAINA

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

PER LA SECONDA VOLTA IL PRESIDENTE USA NON LA INVITA AL VERTICE CON SCHOLZ, MACRON E STARMER

Succede per la seconda volta. E non è un caso. Joe Biden esclude Giorgia Meloni dal vertice ristretto sull’Ucraina convocato con gli alleati Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Keir Starmer. Un incontro che, informa la Cnn, si terrà venerdì a Berlino. La riunione con Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito era stata indetta già la scorsa settimana, senza l’Italia. Poi l’uragano Milton – e la stanchezza dell’ottantunenne presidente americano – avevano fatto slittare il viaggio nella capitale tedesca di Biden e, di conseguenza, il summit. Ieri la conferma: Roma fuori, ancora. Nell’anno in cui guida il G7.
Per pesare l’intensità di questo attrito diplomatico, basta riportare le parole di Meloni consegnate ieri a Bruxelles a margine del vertice tra i Ventisette e i paesi del Golfo. Le domandano: che spiegazione si è data dell’esclusione, per giunta reiterata? «Non potrei in ogni caso partecipare – è la replica – perché sarò in Libano. Penso sia molto utile continuare a confrontarsi e parlarsi. Forse, più utile che parlarci tra di noi, è farlo con gli attori della regione. Quindi per ora la mia priorità è questo viaggio».
Il messaggio è chiaro, ostile: i partner si riuniscono per discutere tra loro di Ucraina, io vado sul terreno a ragionare con i protagonisti della crisi libanese.Ricostruzione interessata. Ma che chiarisce il livello dello scontro tra Cancellerie. Ovviamente anche Stati Uniti e Francia si muovono per contenere il conflitto in Medio Oriente. E trattano con l’Arabia Saudita, avversario giurato dell’Iran: ieri Emmanuel Macron ha ostentatamente fatto attendere per quindici minuti i leader Ue per la “foto di famiglia”, prima di presentarsi al fianco del principe saudita Mohammad Bin Salman dopo un colloquio riservato.
Screzi e competizione spinta, che torneranno a manifestarsi oggi anche su altri dossier, quando Meloni riunirà una quindicina di leader favorevoli a quello che definisce «modello Albania» sui migranti per portare la discussione nel Consiglio Ue. Ma torniamo al “quartetto”. La premier è irritata e allarmata per l’esclusione di Berlino. Anche stavolta decide di non restare a guardare. Una settimana fa aveva fatto coincidere la data del summit (poi annullato) con la visita di Voldymyr Zelensky a Roma. Questa volta, la premier pianifica una missione in Libano e Giordania. E la fissa proprio per venerdì, non a caso.
Una mossa necessaria per mostrarsi vicina al contingente Unifil, bersagliato dagli attacchi dell’Idf. Ma anche per reagire al mancato invito e non restare a guardare mentre a Berlino si riunisce la cabina di regia occidentale. Per comprendere la portata dell’esclusione, d’altra parte, bisogna ricordare un dettaglio decisivo: l’Italia è membro del “quint”, un formato che si è riunito più volte negli ultimi due anni proprio per sostenere Kiev. Biden e Scholz, adesso, lo rimpiazzano con la formula del “quartetto”.
Non basta la spiegazione semi-ufficiale che circola in queste ore a esaurire il caso diplomatico. I quattro leader, è la tesi, devono discutere quanto concedere all’Ucraina sul piano dell’utilizzo di armi a lungo raggio in territorio russo e l’Italia, paralizzata dal veto di Matteo Salvini, si tira naturalmente fuori. Dietro il mancato invito c’è dell’altro. Certamente l’ostilità franco-tedesca, che punta a tenere ai margini Meloni. Ma c’è soprattutto il progressivo disincanto dell’amministrazione Biden verso la premier.
Lo spartiacque, si apprende da fonti diplomatiche, sarebbe stato l’interesse dimostrato da Meloni verso Elon Musk – l’uomo più vicino a Donald Trump – corteggiato da Palazzo Chigi per premiare la leader nella cerimonia dell’Atlantic Council. A poche settimane dal voto, è sembrata (e probabilmente è stata) una scelta di campo. Peggio: un investimento spregiudicato sul tycoon e contro Kamala Harris. Se il 5 novembre la scommessa dovesse dimostrarsi perdente, la mossa non resterebbe priva di conseguenze diplomatiche per Palazzo Chigi.
(da agenzie)

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LA POVERTA’ CHE VOLA, I NUOVI “MISERABILI” E IL REDDITO DI BOSSI

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

AFFAMARE I CITTADINI PER COSTRINGERLI AD ACCETTARE LAVORI PRECARI E SALARI DA FAME

Due storie di casa nostra. La scorsa settimana, alle porte di Mantova, una signora di 65 anni è stata beccata mentre mangiava in un supermercato cibo che non poteva permettersi, 18 euro di prima necessità. Quando sono arrivati i carabinieri, che hanno pagato il conto, è scoppiata a piangere spiegando che attraversava una grave crisi economica, che quello era il suo unico pasto della giornata e che aveva fame.
A Roma un disoccupato di sessant’anni è svenuto per la strada mentre era in giro a cercare un lavoro per mantenere se stesso e il figlio di 12 anni: non mangiava da tre giorni. Aveva bussato a moltissime porte, invano. Anche in questo caso è stato provvidenziale l’intervento della Polizia locale che ha improvvisato una colletta di beni di prima necessità tra cui anche un telefonino, per non perdere i contatti.
La storia è finita sui giornali e poi ancora, con molta più enfasi, qualche giorno più tardi, quando la moglie del presidente della Lazio ha chiamato il sessantenne per offrirgli un lavoro.
Martedì la Banca mondiale ha reso noto uno studio secondo cui quasi 700 milioni di persone, pari all’8,5% della popolazione mondiale, vivono in condizioni di povertà estrema, con meno di 2,15 dollari al giorno. La lotta alla povertà è a un punto morto: “I progressi si sono bloccati a causa della bassa crescita, delle battute d’arresto dovute al Covid-19 e della crescente fragilità”.
Anche l’Italia fa la sua splendida figura: secondo un’inchiesta dell’economista Andrea Segrè e della professoressa Ilaria Pertot – che si può leggere in La spesa nel carrello degli altri. L’Italia e l’impoverimento alimentare (Baldini+Castoldi) – per arrivare a fine mese un italiano su tre è costretto a scegliere prodotti in scadenza, uno su due ad acquistare online a caccia di offerte super scontate, uno su tre a fare la spesa esclusivamente in discount. Ieri è stato diffuso il “Rapporto sulle povertà nella diocesi ambrosiana”: nel 2023 si è registrato un aumento significativo di lavoratori che, nonostante uno stipendio, non riescono a far fronte alle spese mensili e si rivolgono alla Caritas.
Secondo l’Istat nel nostro Paese l’indice di povertà assoluta è passato, nell’ultimo anno, dal 7,7 per cento all’8,5 per cento della popolazione, cioè più di 5,7 milioni di cittadini. L’inflazione ha toccato in particolare i generi alimentari, causando un incremento della spesa per le famiglie del 9 per cento, e questo ovviamente ha pesato soprattutto sulle fasce più deboli.
In questa sempre più drammatica situazione sociale, come è noto, sono stati aboliti reddito e pensione di cittadinanza, a seguito di una vergognosa campagna contro i “furbetti” portata avanti con la bava alla bocca dai maggiori mezzi d’informazione, eccitati come cani da muta per la sola ragione che il reddito era una misura voluta dai 5 Stelle. Risultato? Per colpire qualche disonesto hanno affamato gente che sviene per la strada cercando lavoro o che si ritrova a 65 anni a dover rubare un pezzo di pane al supermercato, come Jean Valjean nei Miserabili. L’attuale governo ha abolito il reddito con lo slogan “da oggi chi può lavorare e si rifiuta di farlo non prenderà più un euro dallo Stato” (Salvini in testa). A proposito di Lega, Riccardo Bossi, primogenito del Senatur, è appena stato rinviato a giudizio perché secondo i pm avrebbe percepito indebitamente il reddito di cittadinanza, incassando 43 mensilità da 280 euro per un ammontare di quasi 13 mila euro. Ma a parte i furbetti, dai cognomi illustri o meno, il punto è che il governo che letteralmente affama i cittadini lo fa perché così sono costretti ad accettare contratti sempre più precari (vedi ddl Lavoro) e salari, appunto, da fame. Per la gioia (anche) di padroni e padroncini, i loro elettori.
(da il Fatto Quotidiano)

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SANITA’, BASTA LEGGERE IL DOCUMENTO PROGRAMMATICO DI BILANCIO PER SMENTIRE LE BALLE DEL GOVERNO

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

L’AUMENTO PREVISTO PER IL 2025 E’ DI SOLI 880 MILIONI, NON DI 3,5 MILIARDI … HANNO RAGIONE I MEDICI QUANDO PARLANO DI “CLAMOROSA MISTIFICAZIONE”

È stato approvato da poco più di ventiquattro ore il testo della legge di bilancio 2025, che deve ancora arrivare al Parlamento – dove i partiti di maggioranza cercheranno di apportare le proprie modifiche nei limiti consentiti dal budget limitato – ma sono già scoppiate le polemiche. Una di queste riguarda i fondi per la sanità. Da sempre la spesa pubblica per il Servizio sanitario nazionale riceve una particolare attenzione, viste le difficili condizioni in cui si trova. E per l’anno prossimo, la presidente del Consiglio Meloni ha rivendicato che “non ci sono mai state così tante risorse” sulla sanità. Eppure opposizioni e medici hanno lanciato la protesta. Ecco cosa dicono i numeri e i documenti del governo.
Cosa vuol dire la “cifra record” rivendicata da Meloni
Come già fatto in passato, bisogna chiarire di cosa si parla. La leader di Fratelli d’Italia ha parlato di “cifra record” riferendosi al fatto che il Fondo sanitario arriverà a 136,5 miliardi di euro l’anno prossimo. Cosa che la premier ha rivendicato anche sui social, dicendo che “il resto sono mistificazioni”. Ma non è proprio così.
Si tratta effettivamente di un aumento rispetto a quest’anno, e quindi della somma più alta mai raggiunta. Ma bisogna chiarire che, come ha spiegato la fondazione Gimbe in altre occasioni, il Fondo sanitario aumenta quasi sempre di anno in anno. Negli ultimi dieci anni non è mai sceso, e anzi è sempre cresciuto, quindi ogni anno si sarebbe potuto parlare di “cifra record”. In più la premier ha parlato di “+2,37 miliardi nel 2025”. Una somma su cui torneremo a breve.
In ogni caso, altra questione è quanta percentuale del Pil si dedica alla sanità. Su questo, il Piano strutturale di bilancio varato dal governo ha già chiarito che la percentuale resterà al 6,3% l’anno prossimo (un dato ben al di sotto della media Ocse e di quella europea, e più basso del 7% auspicato anche dal ministro della Salute Schillaci), per poi scendere al 6,2% nel 2026-2027. Da questo punto di vista, quindi, ci sarà un calo, e non un aumento.
Quanti soldi in più arriveranno nel 2025 alla sanità
Infine, c’è il punto più concreto: quanti soldi in più, rispetto alle somme già previste, arriveranno l’anno prossimo alla sanità grazie alla nuova legge di bilancio? A questo si può rispondere guardando il Documento programmatico di bilancio (Dpb), approvato dal governo Meloni insieme al testo della manovra, che dà più dettagli sul costo delle singole misure.
Qui si riporta che per i prossimi anni ci sono “risorse a favore del personale sanitario” e per “l’incremento del livello di finanziamento del Fondo sanitario nazionale”. Per il 2025 non è indicata una cifra, ma una percentuale del Pil: lo 0,04%. Quanto vale lo 0,04% del Pil? Circa 880 milioni di euro. Questo, quindi, è l’aumento stanziato per l’anno prossimo. Poco meno di un miliardo di euro.
Il ministero dell’Economia aveva annunciato che per la sanità ci sarebbero stati circa 2,37 miliardi di euro in più rispetto a quest’anno, ed è la somma che anche Meloni ha ripreso sui social. Ma per arrivare a questa cifra bisogna tenere conto anche di 400 milioni di euro stanziati per il rinnovo dei contratti pubblici di medici e infermieri, e del miliardo di euro che era già stato inserito nella scorsa manovra. L’aumento ‘nuovo’ e dedicato interamente alla sanità invece vale circa 880 milioni. Per il 2026 invece si prevede uno stanziamento più importante: lo 0,148% del Pil, che equivarrebbe a poco più di tre miliardi di euro.
La polemica di Conte e Schlein
Sulla cifra per l’anno prossimo sono nate polemiche. Il sindacato dei medici Anaao-Assomed ha parlato di “scandalosa mistificazione”, Elly Schlein ha attaccato la “buona dose di propaganda quotidiana” del governo, che “annuncia 3,7 miliardi in più sulla sanità pubblica, ma la verità è che per il 2025 mettono soltanto 900 milioni”, e Giuseppe Conte si è rivolto al ministro Schillaci: “Sei un tecnico, se non ti danno i finanziamenti, devi battere i pugni, devi farti valere, e se del caso metti sul tavolo le dimissioni”.
(da Fanpage)

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IL GOVERNO VICINO AI POTERI FORTI E IL PATTO SEGRETO TRA PALAZZO CHIGI E MUSK: UL PIANO DA 1,5 MILIARDI SVELATO DALL’INCHIESTA SOGEI

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

LE TRATTATIVE IN ESTATE: LA COPERTURA ALL’ITALIA PER LE COMUNICAZIONI CRIPTATE DI SERVIZI E AMBASCIATE

«Il governo è con voi». C’è un’intercettazione telefonica agli atti dell’indagine Sogei della procura di Roma che descrive al meglio questa inchiesta di mazzette vecchia maniera, certo. Ma anche di una corruzione sul futuro: una speculazione su un affare da un miliardo e mezzo. Un affare in discussione tra Palazzo Chigi e la società Starlink di Elon Musk che, testimoniano una serie di documenti che Repubblica ha potuto consultare, consentirebbe comunicazioni satellitari sicure al nostro Paese sfruttando le infrastrutture di Musk.
Angelo Masala, l’uomo chiave
A pronunciare quella frase oggi nell’inchiesta della Procura è l’ufficiale di Marina Angelo Masala. È al telefono con Andrea Stroppa, l’uomo di Musk in Italia. Masala è, apparentemente, un militare non di primissima fascia distaccato al sesto reparto dello Stato maggiore, rivelatosi in realtà un assai informato e scaltro facilitatore: mentre lui nei tavoli istituzionali parlava per nome e per conto dello Stato, l’azienda di sua moglie cercava di entrare negli stessi affari. Masala, si diceva, non parla al telefono con un signore qualunque. Quel «il governo è con voi» è indirizzato ad Andrea Stroppa, un informatico che da ragazzino divenne famoso perché da Tor Pignattara divenne uno degli hacker più attivi del gruppo Anonymus e che oggi, dopo aver lavorato al fianco di Marco Carrai e aver contribuito a svelare alcune campagne di disinformazione di pagine vicine alla Lega e al Movimento 5 Stelle, è diventato il referente italiano di Elon Musk.
L’accordo sui satelliti
Ma in cosa il governo Meloni è con Musk? Masala faceva riferimento all’accordo che Palazzo Chigi aveva cominciato a discutere con la Starlink, la società di Musk, per l’utilizzo dei satelliti nelle comunicazioni sicure delle nostre forze della Difesa, della Farnesina e dell’intelligence. Accordo che si trovava già in una fase avanzata e che lui personalmente stava discutendo nei singoli ministeri interessati: Difesa, Esteri oltre al Dipartimento di Chigi che segue direttamente i Servizi.
Chi sapeva tra la maggioranza
Di questa intesa, fino all’intervento della Procura, nessuno sapeva nulla: non era arrivato in commissione Difesa, come avrebbe dovuto nella sua definizione trattandosi nei fatti di un programma militare. E ancora ieri nulla sapevano deputati di maggioranza e uomini dell’intelligence tanto che in aula da Fratelli d’Italia parlavano di «voci tirate fuori dai cassetti» per rispondere a chi (Enrico Borghi di Italia Viva) chiedeva chiarimenti sull’affaire Starlink.
L’interlocuzione avanti per mesi
Repubblica è oggi in grado di ricostruire che l’interlocuzione esiste. E che va avanti da mesi, tant’è che quando martedì è arrivata la Finanza ad arrestare il direttore generale di Sogei in molti sono saltati sulla sedie: «Speriamo che non si fermi tutto» dicono, «sarebbe una grande perdita per il nostro Paese». L’interlocuzione, si diceva, comincia all’inizio dell’estate quando la presidenza del Consiglio comincia un dialogo con Starlink per valutare la fornitura dei satelliti di Musk. L’Italia è in difficoltà a causa dei ritardi di Iris2, la costellazione europea che dovrebbe essere pronta nei prossimi anni. E per i tempi troppi lunghi per realizzare un’eventuale costellazione nazionale. C’è fretta: l’esigenza è rispettare gli obiettivi del Pnrr e raggiungere anche le cosiddette “zone bianche”, i sette milioni di cittadini cioè che oggi non hanno accesso alla banda larga. Ma anche avere connessioni sicure e performanti in particolari situazioni di crisi: come è già accaduto (recentemente proprio in Ucraina) gli Stati possono spegnere i ripetitori telefonici e dunque è necessario comunicare utilizzando altri sistemi
Il ruolo di Masala e le informazioni girate a Stroppa
Secondo la proposta di Starlink inviata informalmente a Chigi, la società offrirebbe una rete governativa che utilizzerebbe satelliti di Starlink e stazioni terrestri in Italia. L’accordo durerebbe cinque anni per un costo totale di un miliardo e mezzo. L’infrastruttura messa a disposizione è quella di Musk che manterrebbe la proprietà dei satelliti, mentre a gestire i dati criptati sarebbe il nostro Paese. Il passaggio non è scontato: si tratta di informazioni da cui passa la sicurezza nazionale e, dunque, potrebbe essere un problema affidarle a una società privata, per lo più fuori dall’Unione Europea. Non a caso da quello che risulta a Repubblica proprio la Farnesina ha indicato la possibilità di chiudere un accordo, contemporaneamente, anche con gli Stati Uniti, come ulteriore garanzia per l’Italia. Anche la Difesa aveva mosso alcune indicazioni così come emergerebbe da alcuni verbali che Masala avrebbe prontamente girato a Stroppa e che la Finanza ha già individuato sul solo telefonino sequestrato al genio della cyber italiano. Non si tratta di documenti classificati. E sarà complicato, stando così le cose, anche dimostrare una corruzione visto che l’accordo non era ancora definito e soprattutto, per come era stato impostato, sembrava non essere destinato a una gara.
(da La Repubblica)

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GIULI, IL MINISTRO DANDY CON L’AQUILA SUL PETTO, TRA NOMINE E RITI PAGANI

Ottobre 17th, 2024 Riccardo Fucile

IL PERSONAGGIO TRA CLAMOROSI RITARDI E MAGNIFICHE SUPERCAZZOLE

Tutti aspettiamo da oltre un’ora il ministro Giuli, qui, in platea, nella sala Sinopoli dell’Auditorium, dove la diciannovesima edizione della Festa del Cinema sta per cominciare, anzi dovrebbe cominciare con la proiezione del film Berlinguer – La grande ambizione, solo che lui non arriva, il nuovo ministro della Cultura non arriva e così tutti guardiamo l’orologio e chiediamo notizie alle signore del cerimoniale, chicchissime signore in tailleur con sguardi allibiti, mai successo prima, pazzesco, incredibile, allargano le braccia e allora ci tocca telefonare a un gentile sottoposto di Giuli, che risponde biascicando: «Sono… appena… uscito dal dentista. Però non faccio il portavoce, Giuli non ce l’ha. Io so solo che sta tornando da Francoforte. Poi, boh. Scusate… ma ho un dente in fiamme».
Siamo dentro un meraviglioso situazionismo, con lo sguardo che scorre sui numerosi politici di sinistra (da Veltroni a D’Alema, da Franceschini a Bersani, Boccia, Fratoianni, Speranza), su registi e attrici e attori di sinistra, compreso il protagonista, un Elio Germano bravissimo nel ruolo del mitologico segretario: ed è inevitabile che un ritardo così diventi, in puro cazzeggio, prima plot, materia per un soggetto cinematografico, e poi evolva. Di colpo, divampa l’analisi politica. Si volta uno seduto accanto a Gianni Letta (il berlusconiano con più amici a sinistra): «Giuli doveva partire in anticipo, punto. Un ministro non può rischiare una figura simile. La verità è che questi arrivano al potere. Ma poi non sanno come ci si comporta al potere».
Beh, insomma.
Con il panciotto e il cravattino proprio da Giuli (dandy aristocratico, lui adora). E pure con il pizzetto brizzolato da Giuli (prima del suo, solo un pizzetto più famoso nella destra italiana: quello di Italo Balbo). Più il sorriso curiale e accogliente da Giuli, Alessandro Giuli sta arrivando, forse arriverà portandosi addosso tutto il suo personaggio, perché dopo appena 40 giorni da ministro della Cultura è già diventato un gran personaggio, per stile e voce soffiata, una certa allergia agli imperiosi desideri di Fratelli importanti (tipo La Russa e Fazzolari), tra ruvide polemiche, clamorosi ritardi e magnifiche supercazzole, anche se poi il personaggio non è comunque certo ancora «personaggione» come il predecessore, che nei giornali e dentro i talk ci ha fatto svoltare l’estate con quella storia sublime piena di politica, corna e ricatti (sempre grazie, Jenny).
D’accordo: ma Giuli viene a vederselo questo film, sì o no?
Chiacchiere, nell’attesa. Appunti mentali. Sono già successe tante cose. «La verità è che il processo di mostrificazione nei miei confronti è stato facile, perché si antipatizza in un attimo — spiegò, con ironia, a Brucoli, all’ultima convention di Fratelli d’Italia —. Ad esempio, sui riti celtici. L’ultima cosa che mi hanno detto, è stata: “Sul serio mangi fegato crudo?”. È una cosa che fanno i salafiti dopo avere squartato gli infedeli. Io, però, non sono altro che uno studioso di riti religiosi».
Beh, insomma.
Anche suonatore di flauto. Ex camerata di Meridiano zero, tra gente che menava. Ex ultrà della Roma. Una laurea in Filosofia prevista per primavera. Un brutto tatuaggio sul petto («Ma non è, come dicono, un’aquila fascista»). Collezionista di sigari pregiati.
Mai imparata tanto velocemente la biografia di un collega (è stato pure condirettore del Foglio, coccolato — raccontano — da un fuoriclasse assoluto come Giuliano Ferrara).
Giuli comunque vorrebbe essere qui, giurano. Mentre Gennaro Sangiuliano, un anno fa, cosciente che avrebbe rimediato ghigni e mugugni, lasciò che a fare il gran cerimoniere, a promettere che la destra di governo si sarebbe presa pure il cinema, fosse Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura della Camera, un altro dandy di spicco tra i Fratelli, lui stasera addirittura in smoking e con bretella argentata.
Sangiuliano, di suo, per dimostrare che invece la nuova egemonia da qualche parte germogliava, si limitò a presenziare alla proiezione del film di Duilio Coletti, Divisione Folgore, appena restaurato (evitare commenti, please).
Giuli è molto più scaltro di quel simpatico borbonico, che andava in giro spiegandoci come persino Dante fosse di destra: Giuli è uno a cui da ragazzo il Movimento sociale faceva ribrezzo, lui voleva qualcosa di più estremo ed elitario, e adesso si sta scapicollando per venire a vedersi il film su Berlinguer dopo aver scritto un libro in cui teorizza che «Gramsci è vivo».
Giuli è affascinato dal paganesimo e però anche dal potere, e così s’è voluto rapidamente trasformare in protagonista, ma a modo suo; inaugurando la Buchmesse di Francoforte, poche ore fa, s’è esibito in un discorso assai conturbante: «Spazio alla libertà del dissenso, anche contro il governo…». A Palazzo Chigi, dove da tempo si sentono accerchiati: «Cioè, intendeva contro di noi?».
Stupore. Apprensione. Il tipo è irregolare. E spavaldo. Dovrebbe infatti essere chiaro a tutti — mettendoci un po’ di onestà intellettuale — che il contorto discorso da Conte Mascetti con cui ha illustrato alla Camera la sua idea di cultura («… la rivoluzione permanente dell’infosfera globale…») è stato scritto proprio per stupire. E provocare.
Gesto plastico, marinettiano. Insomma: li ha sfottuti. Ma non se ne sono accorti. Chiaro a tutti, invece, il comportamento adottato per sostituire Francesco Gilioli, il capo di gabinetto accusato di «intelligence» con i cronisti: ho scelto Francesco Spano e ci metto Spano, ci ho lavorato al MAXXI, mi fido di lui e voi — da Ignazio a Giovanbattista — potete avere tutti i dubbi che vi pare. Io me ne frego!
«Ma davvero ha detto così?». Vabbé. Qui, intanto, abbiamo cominciato senza di lui.
(da corriere.it)

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