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LA DEPORTAZIONE IN ALBANIA NON E’ SOLO UNO SPRECO DI SOLDI PUBBLICI, NON SERVE A NULLA PERCHE’ I RIMPATRI SONO FERMI: SOLO 3 MIGRANTI SU 100 CHIUSI NEI CPR TORNANO A CASA

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

PERCHE’ MELONI NON DICE LA VERITA’ AGLI ITALIANI SUI RIMPATRI REALI? NEL 2023 158.000 MIGRANTI ARRIVATI, EMESSI 28.000 ORDINI DI ALLONTANAMENTO, ESEGUITI 4.267… UN MIGRANTE CHIUSO IN UN CPR COSTA 71.000 EURO L’ANNO… DAL BENGLADESH 11.000 ARRIVI, RIMPRATRIATI 40… LA TUNISIA NE ACCETTA 320 AL MESE MA NON SIAMO RIUSCITI NEANCHE A RISPETTARE QUELLA CIFRA… E CON ALTRI PAESI MANCANO ACCORDI PER I RIMPATRI

In Albania siamo partiti male. Solo 16 migranti trasferiti, quattro portati in Italia il giorno stesso e così gli altri 12, liberati appena tre giorni dopo dai giudici di Roma. Da allora non si parla d’altro che dei costi esorbitanti e del conflitto tra politica e magistratura, dimenticando che l’obiettivo dichiarato del Protocollo Italia-Albania era rimandare nel loro Paese quante più persone possibili.
Il progetto di Meloni e soci rimane un azzardo. Perché se è tutto da dimostrare che l’accordo avrà un effetto deterrente sulle partenze, sull’efficacia dei rimpatri ci sono già dati ufficiali e nessuno a favore del governo.
Secondo il nuovo rapporto 2024 “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri” di ActionAid e del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari, l’efficacia dei Cpr italiani è al minimo storico.
Nel 2023 – su un totale di 158 mila migranti arrivati via mare – sono stati emessi 28 mila ordini di allontanamento di cui 4.267 eseguiti e solo 2.900 per persone passate da uno dei dieci centri attualmente operativi. Anche la percentuale di rimpatri sulle persone entrate nei centri è la più bassa degli ultimi cinque anni, il 44,5%. Numeri che non possono stupire, non quanto i governi che perseverano nonostante costi – per tenere un migrante nel Cpr di Brindisi arriviamo a spendere fino a 71 mila euro l’anno – e risultati.
Che dipendono soprattutto dagli accordi di riammissione con i Paesi d’origine. Come gli altri Stati europei, l’Italia ne ha stretti alcuni ma sono pochi quelli che funzionano davvero. Prima dello scadere della scorsa legislatura, la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson aveva spiegato che “ogni anno in Ue ci sono 300 mila decisioni di rimpatrio, ma solo 70 mila persone ritornano effettivamente nei Paesi terzi”.
Lo stesso concetto che la nuova Commissione ha ribadito di recente. Non a caso, la macchina dei Cpr italiani funziona solo per i rimpatri accelerati dei tunisini, che nel 2023 costituiscono meno dell’11% degli arrivi e il 13% quest’anno. Ma neanche l’accordo con la Tunisia , che prevederebbe due voli settimanali per un totale di 80 persone, viene rispettato.
Per essere trasferiti in Albania, gli uomini adulti soccorsi o intercettati nel Mediterraneo devono venire da Paesi d’origine sicuri. Sempre che le ambizioni sopravvivano alla querelle giuridica, oltre ai tunisini si tratta di bangladesi, egiziani e gambiani. Nei primi dieci mesi del 2024 ne sono arrivati 23 mila in tutto, dai quali escludere persone vulnerabili, donne e minori, compresi quelli non accompagnati che da soli rappresentano il 13% degli arrivi.
Attualmente l’85% dei rimpatri dai Cpr più “efficaci” riguarda i tunisini, che però rappresentano appena il 13% degli sbarchi totali (7200 persone). Più numerosi sono i bangladesi, più di 11 mila solo quest’anno. Ma il loro tasso di rimpatrio è così basso che l’anno scorso non ne abbiamo rimpatriati che poche decine. Anche ipotizzando di negare l’asilo a tutti i richiedenti trasferiti in Albania, difficilmente si riuscirebbe a rimpatriare più di 10 mila persone l’anno. Un traguardo per il quale il governo è pronto a spendere 800 milioni di euro
(da Il Fatto Quotidiano)

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COSA C’E’ DIETRO LA CLINICA PRIVATA DELL SOTTOSEGRETARIO GEMMATO (FDI)

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

FARMACISTI, MEDICI E LA RETE DEGLI AMICI: UN MICROCOMO DELLE RELAZIONI

Caccia all’estensore dei testi del sito Internet di Therapia. E’ stato lui, con il suo incauto riferimento ai “lunghi tempi del servizio sanitario pubblico” – da evitare ricorrendo alle cure della clinica – a scatenare la bufera che ha investito Marcello Gemmato.
In difesa del sottosegretario di Terlizzi, ieri, è continuata la processione degli attestati di solidarietà – l’ultima è Ylenja Lucaselli, deputata di Fratelli d’Italia: «Non c’è conflitto d’interessi: è l’ennesimo appiglio di una sinistra che non ha niente da dire».
Ma la difesa viene esclusivamente dal fronte meloniano, non dagli altri partiti del centrodestra. Sintomatico del potere ormai accumulato dall’ex ragazzo che ha cominciato a fare politica a quattordici anni, sulle orme del papà missino Alberto: riverito dai suoi, tenuto a distanza dagli altri partner di maggioranza, forse gelosi per la crescita del suo prestigio.
Ma l’influenza di Gemmato risiede proprio in società come Therapia, due sedi a Bitonto e una a Bari. Lui ci entra nel 2013 ma è già da qualche anno che Franco Bufano, imprenditore nel settore della sanità privata e fratello dell’ortopedico Ferdinando proveniente da Anthea, decide di mettere in piedi la società.
La maggior parte dei soci sono farmacisti, molto vicini a Gemmato, decisi a garantire una serie di accertamenti diagnostici anche sulla base della loro esperienza. A prendere le redini della srl è Piero Bufano, figlio di Franco, insieme al fratello Emanuele.
I Bufano sono molto intraprendenti – della famiglia fa parte anche Loredana, affermata chirurga plastica – e oltre a siglare convenzioni, la prima, nel 2014 è con l’ordine dei commercialisti, ai quali offrono una serie di accertamenti, dalla risonanza magnetica all’elettromiografia – diventano i medical partner del Bari calcio.
Gemmato, che insieme al fratello Ninni (sindaco di Terlizzi dal 2012 al 2022) alterna la sua attività di farmacista a quella di politico, resta nella società come una sorta di “cellula dormiente”: i suoi impegni politici non gli lasciano molto tempo per dare un contributo significativo al team, ma starci dentro gli consente di mantenere contatti con il suo mondo e con quei pezzi di sanità privata che in Puglia si stanno organizzando per “fare le scarpe” al pubblico.
Della società fa parte, per esempio, Edvige Carnevale, di formazione microbiologa e virologa, nello staff di Omnia Medica e titolare della rete Laboratori Carnevale di Lucera, che ha una convenzione con l’Asl di Foggia, in quanto soggetto aggregatore erogatore di prestazioni specialistiche.
E’ di un altro tipo, invece, la convenzione stipulata nel luglio di quest’anno dalla società Therapia con l’Asl di Bari: in questo caso non c’è alcun esborso da parte della struttura sanitaria, che invece in virtù della convenzione può “acquistare” dall’azienda sanitaria pubblica una serie di prestazioni che riguardano la lavorazione del sangue.
La clinica al centro delle polemiche politiche, in questi giorni, è invece una specie di microcosmo delle relazioni del sottosegretario. Ne fanno parte Andrea Vacca, figlio di Oronzo, fondatore della storica farmacia Matteotti di Bitonto. Giacinto Del Sole, altro farmacista bitontino, Nicola Ciocia e Giovanni Fasciano.
Una categoria molto devota a Gemmato. Soprattutto da quando ha dato la possibilità, per legge, di dispensare nei punti di vendita alcuni medicinali che in passato erano distribuiti solo attraverso le farmacie ospedaliere.
Una riforma che si accompagna alla rivisitazione della remunerazione dei farmacisti, che prima avveniva solo in termini percentuali in rapporto al valore delle molecole commercializzate, mentre adesso esiste un corrispettivo fisso che si aggiunge a uno proporzionale calcolato per “fasce”.
Questo ha scontentato alcuni farmacisti per esempio in Lombardia, dove si contava sulla capacità d’acquisto dei residenti, ma è stato accolto molto bene in altre zone d’Italia, come la Puglia, ad esempio.
Ecco perché Gemmato gode ora, nel suo mondo, di un consenso trasversale, che va dal presidente nazionale di Federfarma Marco Cossolo (origini politiche di centrosinistra, vicino all’ex ministro Roberto Speranza) a quello pugliese, Vito Novielli, anche lui con trascorsi progressisti. Nell’associazione di categoria, inoltre, il numero uno di Fratelli d’Italia in Puglia ha un suo fedelissimo: Vincenzo Lozupone, il più aperto alla politica della famiglia, che possiede molte farmacie nel quartiere Libertà di Bari. Lozupone è nel consiglio direttivo di Federfarma Puglia. Gemmato voleva piazzarlo all’Aifa, ma non ce l’ha fatta. Più che altro per ritrosia del giovane farmacista: se fosse stato per lui, avrebbe condotto la battaglia fino alla fine.
(da La Repubblica)

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JOHN ELKANN PREPARA LA VENDITA DI “REPUBBLICA”: ECCO IL PIANO PER SMANTELLARE IL GRUPPO GEDI (TRANNE “LA STAMPA”

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

CONFERITO IL MANDATO A UNA BANCA D’AFFARI PER TROVARE L’ACQUIRENTE “GIUSTO”

Il divorzio tra Repubblica e il gruppo Gedi è ormai nell’aria da settimane. E John Elkann, che ha già fatto un passo indietro nella governance, accelera per trovare un compratore. Secondo Il Giornale, Exor avrebbe già affidato a un’importante banca d’affari estera il compito di trovare un acquirente alla testata. Ma forse non solo quella. Potrebbe profilarsi infatti una dismissione di un’ampia parte degli asset dell’attuale conglomerato editoriale: via anche la concessionaria pubblicitaria Manzoni così come gran parte della batteria di testate cartacee controllate da Exor. L’unica a rimanere sotto il controllo degli eredi di casa Agnelli sarebbe, come da tradizione, La Stampa.
Le tre vie per vendere
Ma a chi vendere? La suggestione della cordata italiana (si fa il nome di Claudio Calabi, ex ad di Rcs e Sole 24 ore) c’è. Ma Elkann non ha chiuso nessuna porta. L’acquisizione sarebbe già stata proposta ad alcuni editori europei, e non si respinge neanche l’idea di uno sforzo ibrido Italia-estero. Sicuramente l’identikit del compratore è ben stabilito: un gruppo di livello, d’impronta progressista sul piano politico. Per permettere a Repubblica di chiudere il cerchio e ritornare ai valori politici e culturali delle origini. In questa direzione andava d’altronde il ribaltone ai vertici di un manciata di settimane fa, con l’addio di Maurizio Molinari e l’arrivo di Mario Orfeo alla direzione della testata, ma anche l’uscita di Elkann dalla presidenza del Gruppo Gedi, promuovendo nel suo ruolo Maurizio Scanavino e lasciando la sedia di Ad a Gabriele Comuzzo. Insomma, Elkann non sembra mai stato più pronto a salutare Repubblica.
Exor: Stellantis, il rosso di Repubblica e il futuro nella sanità
Altro paio di maniche è capire il perché di questa mossa. E su questo lato ci sarebbe forse bisogno di una duplice analisi. In primo luogo, i triti e ritriti problemi finanziari del Gruppo Gedi. La società ha registrato 166 milioni di perdite negli ultimi 4 anni, 103 milioni nell’ultimo anno. Un rosso a cui ha contribuito – e non poco – la crisi di Repubblica, perdendo il 10% di copie ad agosto (91mila al giorno).
Ma Gedi non è l’unico neo di una holding che, nonostante tutto, nei primi sei mesi del 2024 ha messo in cassaforte un utile da 14,7 miliardi di euro. È evidente l’impatto negativo sulla famiglia Agnelli delle grane Stellantis-governo Meloni. Questo, forse, l’ultimo strattone che ha convinto Elkann a cedere parte del suo impero editoriale. Di grana ne basta una. Soprattutto quando è evidente, sottolinea Il Giornale, la volontà di Exor di trasferire il suo focus nella sanità. La holding degli Agnelli ha già il 17,5% del capitale in Philips, su cui ha investito 3,3 miliardi, e si contano anche altre partecipazioni. Addio Repubblica, tentennamenti nell’automotive – viste anche le evidenti difficoltà del settore tra elettrico e concorrenza cinese. E in tutto questo la società invecchia.
(da agenzie)

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IMANE KHELIF IN COPERTINA SU VOGUE ARABIA: “L’OLIMPIADE? COME UNA VITA INTERA”

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

“NON MI VERGOGNO A DIRE CHE VENDEVO PANE PER STRADA E RACCOGLIEVO PLASTICA PER POTERMI PAGARE LA PALESTRA, SONO ANDATA AVANTI CON DETERMINAZIONE E SACRIFICI PER REALIZZARE IL MIO SOGNO DI DONNA”

Alla fine ci è finita sul serio sulla copertina della rivista di moda Vogue: non dell’inesistente edizione algerina, ma della più importante e blasonata Arabia. La pugile Imane Khelif, oro alle olimpiadi di Parigi 2024 nella categoria 66 kg, si è raccontata alla testata, dagli inizi umili al successo olimpico.
Nel mezzo tutte le polemiche sui livelli di testosterone in corpo e le accuse di non essere una donna: «Sono stata in grado di superare tutto grazie alla mia fede in Dio, in me stessa e nel mio sogno. Senza tali sfide, non sarei mai diventata una campionessa».
L’Olimpiade
«Il mio Paese mi è stato accanto con grande convinzione, guidato dal presidente Abdelmadjid Tebboune, che è stato il primo a sostenermi. Tutte le autorità e l’intero popolo algerino erano dalla mia parte e ne sono molto orgogliosa». Ha solo parole di riconoscenza la pugile per ricordare il sostegno che le è stato offerto in uno dei momenti più difficili della sua vita: la parentesi vittoriosa alle olimpiadi di Parigi 2024. «È stata un’esperienza molto difficile», ricorda Khelif, «nonostante la vittoria della medaglia d’oro, quell’evento è sembrato una vita intera. Le esperienze sono state molteplici e variegate. Senza tali sfide, non sarei mai diventata una campionessa».
La pugile è stata vittima dell’odio social con l’accusa di essere un uomo che aveva completato la transizione. Polemiche che si erano acuite dopo il ritiro dell’azzurra Angela Carini dopo solo 45 secondi dall’inizio dell’incontro. Khelif ha posato in tailleur e abiti da sartoria. Restando in ambito moda, la sportiva aveva aveva già partecipato alla Milano Fashion Week.
Khelif: «Vendevo pane in strada»
«La boxe è semplicemente una questione di volontà, determinazione, forza e pazienza. Richiede sacrifici. Ma qualsiasi cosa difficile per una donna può essere una fonte di ispirazione», spiega Khelif. Che rievoca il suo passato, già raccontato dal padre: «Vendevo pane ai bordi della strada e raccoglievo plastica, alluminio e ferro per risparmiare denaro per tornare in palestra. Il mio allenatore, Mohamed Chaoua, mi diceva sempre che un giorno sarei diventata una campionessa olimpica. Mi ha insegnato l’importanza e il valore di ciò. Ho fatto sacrifici in molti ambiti: nella mia vita personale, nella mia istruzione. Ho fatto di tutto per raggiungere la vetta».
(da agenzie)

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BEPPE GRILLO PUNTA SU UNA SORTA DI DISTRUZIONE DELLA SUA CREATURA PRIMA CHE L’ASSEMBLEA SI CONCLUDA: UNA SORTA DI CUPIO DISSOLVI STILE ‘MUOIA SANSONE CON TUTTI I FILISTEI’

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

OBIETTIVO EVIDENTE FAR SALTARE ALLEANZA CON IL PD ALLE PROSSIME REGIONALI E POLITICHE E GARANTIRE ALTRI 5 ANNI DI GOVERNO AI SOVRANISTI: QUALCUNO COMINCI A CHIEDERSI CHE INTERESSI CI SONO DIETRO

La disfida Grillo-Conte s’è arricchita ieri di un nuovo capitolo, sotto forma di una specie di parabola scritta dal Garante-Fondatore per accusare Conte di essere una persona falsa, e suggerire ai pentastellati (quelli almeno che ancora lo ascoltano) di non fidarsi di lui.
Grillo punta su una sorta di distruzione della sua creatura prima che l’Assemblea si concluda. Una sorta di cupio dissolvi stile “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Un piano non del tutto irrealizzabile, se si riflette sulle conseguenze che lo scontro ha già avuto sul risultato della Liguria, in cui Conte ha dimezzato i voti rispetto alle elezioni europee dell’8 giugno, anche per il forte disorientamento del suo elettorato. E potrebbe avere sulle regionali in Umbria, previste il 17 e 18 novembre.
Che possibilità avrebbe Conte di evitare il massacro quotidiano e limitarne gli effetti in un’elezione in cui, grazie al fatto che si presenta unito, il centrosinistra potrebbe contendersi con il destracentro la guida della regione? Realisticamente, poche.
Essendo da escludere una tregua, perché la lite è andata oltre il livello di guardia, con il plateale licenziamento di Grillo, e l’annuncio del mancato rinnovo del suo contratto da 300 mila euro alla vigilia dell’appuntamento elettorale, le speranze di Conte sono affidate alla sua capacità di convincere il popolo dei 5 stelle che malgrado Grillo non tutto è ancora perduto.
Intanto in vista dell’assemblea costituente a Roma del 23 e 24 novembre la minoranza filo-genovese si sta organizzando con un documento redatto dai cosiddetti “figli delle stelle”. Sono 27 pagine di contestazioni all’attuale guida e una serie di proposte programmatiche per il futuro. Dietro a questo lavoro c’è un pezzo del movimento giovanile, e vedendo le iniziative online finora organizzate si intuiscono i “grandi” che gli gravitano attorno: l’ex ministro Danilo Toninelli, la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone e, non in chiaro, la ex sindaca di Roma Virginia Raggi.
Prima recriminazione alla gestione dell’attuale presidente: «Verticismo e assenza di partecipazione». Seconda: «Non condividiamo l’autodefinizione di forza appartenente al campo progressista se intesa come posizionamento politico che ci collocherebbe obbligatoriamente al fianco o, ancor peggio, all’interno del centrosinistra».
Per questa ragione — si legge — il M5S «deve tornare ad imporsi nel panorama politico come la terza via alla destra e alla sinistra: stare più a sinistra delle sinistre sulle politiche sociali, del lavoro e ambientali, e più a destra delle destre nel sostegno alle piccole e medie imprese, sulle politiche industriali e gli investimenti strategici, infrastrutturali e tecnologici».
Dopodiché, da statuto il mandato a presidente di Conte scadrà ad agosto 2025 e quindi una possibilità è che all’assemblea di fine novembre venga messa ai voti una riconferma del suo ruolo. Erano state ipotizzate anche delle dimissioni, opzione che sarebbe stata scartata. Ma il tutto sarebbe un modo per rafforzare la leadership del già presidente del Consiglio, che magari si ritroverà ulteriormente minata dai risultati alle regionali in Emilia-Romagna e Umbria, dove le previsioni per i 5 Stelle non sono affatto buone.
Poi c’è la questione del limite dei due mandati che assilla un bel pezzo di gruppo parlamentare, presente e passato: in tanti aspettano il superamento e senza, già si parla di una quindicina di persone pronte a lasciare il partito.
Il presidente vive queste settimane chiuso in una specie di fortino, per così dire: la fatica a fidarsi degli altri, i suoi cinque vicepresidenti messi ai margini, l’organizzazione dell’assemblea appaltata all’esterno (finanche per la comunicazione), ogni ipotetica figura emergente guardata con sospetto. Insomma, un’aria difficile da respirare.
(da La Stampa)

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CONTE È PRONTO ALL’INCIUCIONE IN RAI: LA GRILLINA BARBARA FLORIDIA, PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE VIGILANZA, APRE AL DIALOGO SULLA NOMINA DI SIMONA AGNES COME PRESIDENTE

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

IL M5S CERCA L’ACCORDO PER VIALE MAZZINI PER OTTENERE IN CAMBIO IL TG3 (LASCIATO LIBERO DA MARIO ORFEO)

«Ondeggia M5S sulla Rai, ondeggia molto pericolosamente e si faranno male da soli». Allerta massima al Nazareno, quartier generale del Pd. Dove gli Stati Generali sul servizio pubblico e sull’informazione, che si terranno mercoledì e giovedì al Senato con superstar Barbara Floridia, presidente stellata della commissione di Vigilanza Rai e tanto centrodestra intorno a lei a cominciare dal padrone di casa (La Russa) e dal sottosegretario con delega all’editoria, l’azzurro Alberto Barachini, vengono visti dalla segreteria di Schlein come la prova d’inciucio tra M5S sempre più lontano dai dem e la maggioranza di governo.
Un inciucio per scegliere insieme, e contro l’aventiniana Elly, il presidente di garanzia della Rai. Simona Agnes? Le sue quotazioni sono in risalita. Perché il dialogo si sta facendo sempre più fitto tra gli stellati e i melonian-forzisti-leghisti e l’allestimento comune degli Stati Generali : niente Schlein e niente Pd, viene considerato un po’ da tutti come l’occasione per parlarsi, per dialogare e in prospettiva per sbloccare una situazione finora pietrificata.
Il grumo da sciogliere è quello, appunto, della presidenza Rai. Su cui però [va registrata un’apertura. Proprio da parte di Floridia che è contiana, che appartiene cioè al M5S sempre più tentato dalle mani libere rispetto al Pd.
«L’elezione del presidente Rai? E’ evidente che al momento qualcosa non quadra – dice la numero uno della commissione di Vigilanza – e che il presidente dev’essere condiviso con le opposizioni.
Se noi non vogliamo Simona Agnes? Non è che non si vuole la dottoressa Agnes ma è corretto che la maggioranza condivida con l’opposizione la scelta. Serve un dialogo e quindi mi sono inventata gli Stati Generali del Servizio Pubblico per provare a parlarci».
E poi: «Se votiamo Agnes? Finché non ci sarà un dialogo corretto e definito, in serenità, tra maggioranza e opposizione, non ci muoviamo e non votiamo». Ma ora il dialogo c’è, eccome. E ci sono le esigenze politiche che consigliano di sganciarsi dal Pd.
E c’è un’altra cosa. Molto importante. Di cui è regista Maurizio Gasparri, insieme a Antonio Tajani. Ed eccola: martedì, il giorno prima degli Stati Generali, Forza Italia presenta la sua proposta di legge di riforma del sistema radiotelevisivo e informativo che può incontrare il favore di M5S e di una parte delle opposizioni.
Perché, cancellando la legge Renzi che attribuisce al governo la piena facoltà di scelta della governance di Viale Mazzini, riporta al Parlamento, nel solco delle sentenze della Corte Costituzionale, la centralità nella selezione dei membri del Cda del servizio pubblico.
Per esempio: non si avrà più un amministratore delegato com’è adesso ma si tornerà alla figura del direttore generale come capo azienda che non fa parte del Cda, di nomina parlamentare, anche se vi partecipa.
Miele per le orecchie dei contiani? Sì. Ma poi, in cambio, voteranno Agnes, che sta a molto a cuore a Gianni Letta e al partito di Tajani? La politica non vive di automatismi ma di percorsi. E un percorso – fatto di dialogo, di aperture, di incontri culturali prima ancora che politici – sembra essere stato tracciato negli ultimi giorni. L’obiettivo è quello di dare piena funzionalità al servizio pubblico.
E chissà se, esclusa la Schlein che si tiene alla larghissima, agli Stati Generali prenderanno parte Tajani (probabile la sua presenza), Salvini (idem) e Conte (sarà la vera sorpresa nel caso si presentasse alle assise a Palazzo Giustiniani e non è affatto escluso), insieme all’ad e al dg Rai, Giampaolo Rossi e Roberto Sergio, ai ministri Giuli e Urso e al sottosegretario Barachini, ad Alberto Angela e a Marcello Veneiani, ad Aldo Grasso e a Monica Maggioni, a Giacomo Lasorella (Agcom) e a Francesco Giorgino e a Roberto Zaccaria e tanti altri. Poi da cosa nasce cosa, dicono i più. Il risultato finale, di tanto sforzo di elaborazione e d’incontro, sarà Agnes?
(da agenzie)

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CRIMINALI SOVRANISTI: DOPO LE MINACCE DI MORTE RAFFORZATA LA PROTEZIONE PER LA GIUDICE SILVIA ALBANO

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

“COLPEVOLE” DI AVER APPLICATO LA LEGGE NON CONVALIDANDO IL TRATTENIMENTO DEI MIGRANTI IN ALBANIA… I PENALISTI SOLIDALI CON I GIUDICI: “IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SI E’ MOSSO CON PRUDENZA, NESSUN ATTACCO ALLA POLITICA”

Il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica riunito in prefettura a Roma ha disposto la vigilanza a protezione della giudice della sezione immigrazione del tribunale di Roma Silvia Albano, uno dei sei magistrati che si è occupata dei trattenimenti dei migranti in Albania e che ha denunciato di aver ricevuto minacce di morte dopo i provvedimenti del 18 ottobre scorso che non hanno convalidato il trattenimento.
Secondo quanto si apprende, si tratta di una vigilanza generica radiocollegata che prevede passaggi di pattuglie con riferimento al luogo di lavoro e all’abitazione della giudice.
Il presidente delle Camere Penali Francesco Petrelli: «Il tribunale di Bologna si è mosso con particolare prudenza»
«Il tribunale di Bologna si è mosso con particolare prudenza collocando le sue richieste all’interno di corretti parametri normativi e giurisprudenziali sovranazionali e nazionali. Francamente impossibile cogliere in quella scelta, ricordiamolo, di interlocuzione pregiudiziale con la Corte di Giustizia, un attacco alla politica. I decreti non hanno cambiato la sostanza ma hanno spostato ancora una volta in avanti la storica contesa fra veritas e auctoritas». È quanto afferma il presidente delle Camere Penali italiane, Francesco Petrelli.
(da agenzie)

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SHAMSUL ISLAM E IL RICORSO ALLA CORTE UE SUL DECRETO “PAESI SICURI”: “IN BANGLADESH RISCHIO LA VITA”

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

LA STORIA DEL 30ENNE IL CUI RICORSO HA FATTO SCATTARE IL RINVIO PREGIUDIZIALE DEL TRIBUNALE DI BOLOGNA

È una storia di povertà, malattia e debiti usurari non pagati, che gli farebbero rischiare seri pericoli qualora fosse rimpatriato, quella di Shamsul Islam, il 30enne del Bangladesh il cui ricorso ha fatto scattare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea sul decreto cosiddetto “Paesi sicuri”.
Nei giorni scorsi infatti il Tribunale di Bologna, rispondendo al ricorso contro il diniego della protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Forlì, ha interpellato la Corte di giustizia europea per dirimere la controversia sorta tra il decreto del governo Meloni che individua 19 Paesi sicuri, tra cui appunto il Bangladesh, e le sentenze e le direttive europee che stabiliscono come innanzitutto i casi siano da discernere volta per volta dal giudice incaricato, ma soprattutto un Paese non possa essere considerato sicuro se anche solo una piccola minoranza di cittadini è a rischio.
Gli avvocati Francesco Umberto Furnari e Vanessa Di Gregorio avevano evidenziato nel ricorso al tribunale che il diniego della Commissione era motivato solo dall’inserimento del Bangladesh nella lista del governo, senza entrare nel merito della vicenda di Islam e avevano chiesto una sospensiva del rimpatrio.
Sospensiva scattata in automatico con il rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Bologna, il quale ha osservato che, paradossalmente, «anche la Germania nazista era sicura per milioni di tedeschi, ma il concetto di sicurezza non può essere parziale».
Shamsul Islam, che oggi vive a Ravenna, sarebbe invece in pericolo in patria perché, a causa dei gravi problemi di salute dei genitori, avrebbe contratto debiti sia con le banche che con gli usurai e adesso, in quanto capofamiglia, rischiererebbe sia il carcere che la vita.
Il 30enne aveva studiato in Bangladesh per una decina d’anni per poi lavorare in un negozio di telefonia. Quindi, dopo che i suoi genitori si erano ammalati gravemente, si era ritrovato a fare fronte da solo ai bisogni di tutta la famiglia.
Non potendo più restare in patria per i debiti non onorati, ha deciso di cercare fortuna in Europa: nell’ottobre 2023 è arrivato in Romania dove ha lavorato per sei mesi ma senza regolare paga. E così il 24 agosto scorso è entrato in Italia e, per timore di tornare in Bangladesh e subire le conseguenze per la mancata restituzione dei soldi, ha chiesto il riconoscimento della protezione internazionale.
In questura a Ravenna aveva ottenuto il 9 settembre un permesso provvisorio. Ma in seguito la commissione territoriale di Forlì-Cesena aveva rigettato la sua richiesta, trattata con procedura accelerata come prevede il decreto Parsi sicuri.
La decisione del Tribunale di Bologna di chiamare in causa la Corte europea per capire se quel decreto, come prevedono le norme comunitarie, vada disapplicato, ha scatenato un vespaio di polemiche, con la maggioranza di governo che accusa i giudici bolognesi di fare politica. «Si tolgano la toga e si candidino» ha detto il ministro del Trasporti Matteo Salvini, mentre per la premier Giorgia Meloni il provvedimento è «propagandistico». Anche il giudice Marco Gattuso, presidente del collegio che ha firmato il procedimento, è stato attaccato e l’Anm è insorta in sua difesa.
(da Il Corriere della Sera)

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IL MODELLO GENOVA SBANDIERATO DAI SOVRANISTI: ECCO IL CIMITERO DELLA CASTAGNA TRA DEGRADO E DISSESTO

Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

LA VISITA TRA OSSARI CROLLATI, CEDIMENTI STRUTTURALI E CINGHIALI: LE DENUNCE DEI CITTADINI INEVASE DA ANNI

Tombe distrutte dagli alberi abbattuti dal vento, ossari crollati, infiltrazioni, cedimenti strutturali praticamente ovunque, tracce di cinghiali che scavano tra i sepolcri monumentali.
Questo è quello che ancora una volta abbiamo visto attraversando il cimitero della Castagna, uno dei principali campisanti della città, all’interno del quale, no, non è sicuramente possibile riposare in pace.
Una visita, la nostra, – la terza in pochi anni – che parte dalla segnalazione di un nuovo crollo: un controsoffitto ha ceduto sotto il peso di una infiltrazione, obbligando la chiusura della galleria superiore di nord ovest.
“Non c’è nessuno avviso a riguardo – ci segnala una fiorista a cui ci rivolgiamo per chiedere una indicazione – questa mattina una signora, dopo aver comprato i fiori, è tornata pochi minuti dopo per restituirmeli, visto che non poteva accedere alla tomba del marito”.
Sulla situazione attuale del cimitero, la fiorista è categorica: “Non è cambiato nulla, anzi, forse la situazione è anche peggiorata – ci spiega – ci sono intere aree del cimitero che non sono più accessibili da tempo e ad oggi, transenne a parte, non si è visto fare nulla”.
Con questo “benvenuto” inizia il nostro breve viaggio all’intero di questi cimitero, dotato anche di una parte monumentale, che ospita i resti di personalità importanti per la nostra città, come Pietro Chiesa, Niccolò Barabino e Natalino Otto, insieme a numerose famiglie decisive per la storia di Genova, la cui memoria fu affidata – oggi diremmo ingenuamente – ai marmi del cimitero della Castagna, di fatto una “piccola Staglieno” del ponente genovese.
Oltre ai grandi, poi, decine di migliaia di cittadini “comuni”, il cui riposo eterno oggi è tutt’altro che assicurato.
Il tour dell’orrido
Salendo verso i settori più periferici il degrado ci accoglie già dai primi gradini, sconnessi e pericolanti. Ci dirigiamo subito verso i colombari di levante, interessati da un principio di frana da almeno una ventina d’anni. Tre anni fa avevamo trovato una vera e propria galleria dell’orrore, con casse rotte e resti umani alla luce del sole. Due anni prima avevamo incontrato lo stesso spettacolo. Oggi la situazione è pressoché rimasta invariata: ad essere state rinnovate sono solo le transenne, mentre qualche mano pietosa ha coperto o traslato i feretri più esposti.
Sono i loculi centenari o perpetui, acquistati nel dopoguerra quando ancora era possibile scegliere questa tumulazione. Del colombaro crollato non tutti i defunti hanno parenti o discendenti noti o in vita, e molti restano lì, in balìa degli eventi. Nel campo di fronte, dove vengono sepolti i resti non ancora consumati, sono disseminate le foto dei defunti, antiche e sbiadite, a testimoniarne la flebile presenza.
Il tour del degrado nel cimitero della Castagna
Poco distante la mandibola di un cinghiale ci anticipa quello che vedremo a breve. Salendo nella parte più antica e monumentale, il Boschetto Irregolare, la situazione peggiora, se possibile: molte sono le tombe dissestate, pericolanti, rotte. Alberi caduti ovunque bloccano i vialetti, sovrastano i sarcofagi su cui sono precipitati. Il selciato è totalmente ricoperto di terra, foglie, rami, funghi.
Ovunque segni del passaggio di cinghiali, con i classici solchi e “arature” che si diramano in mezzo alle sepolture, e talvolta ci finiscono dentro e da quei buchi emergono tracce di vestiti e tessuti. I marmi caduti riportano alla luce le bare, alcune in buone condizioni, altre marce, mentre da qualche cassa si intravede la miseria dei resti umani abbandonati agli elementi.
Torniamo indietro, scendiamo evitando la strada mattonata totalmente coperta da scivolosissimo muschio, e prima di uscire passiamo ancora una volta davanti ai colombari crollati. Incrociamo lo sguardo austero ma dolce di Lucia Carnelli, nata Dal Monte, venuta al mondo nel 1874 e morta chissà come nel 1945. Il loculo sotto il suo è vuoto, e nel buio si intravede la soletta interna alla struttura crollata. La bara della povera Lucia tutta sconquassata che fa capolino tra le macerie. Dallo “zetto” spuntano le tracce di vestiti. Poi il cranio, riverso in quella che sembra essere fango. Non indaghiamo oltre. “Non v’è più luce dove essi furono, tutto è sceso con loro nella gelida ombra“, recita laconicamente un epitaffio poco distante, le cui parole ci accompagnano in conclusione della nostra visita.
(da Genova24)

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