Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
CONTE: “TENTA IL SABOTAGGIO, GRILLO E’ PASSATO DALLA DEMOCRAZIA DIRETTA AL QUI COMANDO IO”
Beppe Grillo ha chiesto ufficialmente la ripetizione del voto dell’Assemblea costituente e ha inviato una richiesta formale per una nuova consultazione, come ha confermato l’entourage del leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e del co-fondatore precisando che la richiesta è stata inoltrata oggi. La votazione avverrà a stretto giro, probabilmente nei prossimi giorni.
Conte: “Faremo rivotare i quesiti impugnati da Grillo”
Interviene Giuseppe Conte: Beppe Grillo “è passato dalla democrazia diretta al ‘qui comando io’ e se anche la maggioranza vota contro di me non conta niente. Come già nei precedenti tentativi di sabotaggio ci sta dicendo che non conta più la regola democratica ‘uno vale uno’, perché c’è uno che vale più di tutti gli altri messi assieme – ha scritto il presidente del M5S sui social – Potremmo contestare questa vecchia clausola, retaggio del passato e vincere con le nostre buone ragioni un contenzioso legale. Ma dobbiamo occuparci del Paese reale, a cui noi del Movimento vogliamo offrire soluzioni e battaglie da vincere, non capricci e beghe personali del fondatore. Il ruolo dell’azzeccagarbugli lo lascio quindi a Grillo. Noi preferiamo ancora e sempre la democrazia, la partecipazione, la vostra libertà di scelta. Per questo, dateci qualche giorno, e torneremo a votare sulla rete i quesiti sullo Statuto impugnati da Grillo”, ha concluso Conte.
Toninelli: “Grillo impugnerà, il simbolo è suo”
Ieri la base del M5S con il 63 per cento di sì ha detto addio al garante e fondatore Beppe Grillo. Prima della richiesta di Grillo, si era fatto sentire Danilo Toninelli, nel collegio dei probiviri del M5S, ai microfoni di Radio Cusano Campus. “Qui si è perso un round, non certo la guerra”, “Grillo di certo chiederà la rivotazione, quindi tutto quello che si è votato si dovrà rivotare”, “lui attiverà la norma” che lo consente “entro cinque giorni dalla pubblicazione degli esiti delle votazioni. Impugnerà”. Poi “il proprietario del simbolo è Beppe Grillo e lui quasi certamente, non credo sia così scoraggiato da non farlo, farà un’azione legale e Conte sarà costretto a fare anche nel nome il suo partito”, ha aggiunto.
“Stanno pensando di calpestare il cadavere del leone, ma non hanno capito che il leone è ferito – certamente – ma ha molte altre zampate da dare”, ha aggiunto Toninelli. Che ha poi aggiornato le sue storie whatsapp pubblicando la foto di una macchina per fare pop corn e ha scritto: “Sediamoci a goderci il neonato Movimento5mandati”.
L’avvocato Borrè: “Grillo può riattivare la procedura di impugnazione del vecchio Statuto”
L’uscita di scena dell’Elevato dalla creatura che lui stesso ha fondato nel 2009 non sarebbe così scontata. Lorenzo Borrè, storico avvocato dei ‘dissidenti’ pentastellati, ‘reo’ di aver costretto Grillo e Gianroberto Casaleggio, con le sue tante cause, più e più volte a cambiare le regole del M5S, ha spiegato all’Adnkronos che le armi in mano all’ormai ex garante, almeno dal punto di vista giuridico, sono molte di più rispetto a quelle di Giuseppe Conte che, dalla sua, può sicuramente contare sulla base, come ampiamente dimostrato nella due giorni di ‘Nova’.
Ma quali sono effettivamente questi strumenti? Il garante può, in prima istanza, riattivare la procedura di impugnazione del vecchio Statuto, quello del 2022, che lui stesso aveva definito ‘seicentesco’, perché ci sarebbero, dice il legale, “dei vizi di approvazione” tali da invalidare lo Statuto in cui era prevista la figura del presidente, come avvenne già nel febbraio 2022 quando il Tribunale di Napoli deliberò la sussistenza di gravi motivi per sospendere l’efficacia dell’approvazione dello Statuto e dell’elezione di Conte.
L’impugnazione della seconda votazione non fu accolta, ma per il legale i vizi che inficerebbero anche la seconda approvazione dello Statuto rimangono sul tappeto. Con questa mossa, “sostanzialmente si eliminerebbe la figura di Conte”, ha spiegato ancora Borrè e sarebbe “l’ordalia finale, perché ne rimarrebbe soltanto uno”.
Non è l’unica possibilità di Grillo per rimanere al timone del Movimento 5 Stelle. Quella di ieri, ha precisato l’avvocato, “è stata solo una consultazione”. Le indicazioni uscite dalle ‘urne’, secondo il legale, per diventare effettive devono essere tradotte in uno nuovo Statuto, che poi deve essere rimesso ai voti dell’Assemblea. Anche in questo caso, trattandosi di modifiche allo Statuto, serve che si raggiunga un quorum: il 50% più uno degli iscritti al M5S deve prendere parte alla votazione. Se non si dovesse arrivare a dama al primo tentativo, e le modifiche fossero approvate in seconda battuta senza il quorum qualificato, il comico genovese potrebbe chiedere di rinnovarla, mettendo la base di fronte allo stesso bivio: la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto deve prendere parte alla votazione affinché la cancellazione di Grillo diventi reale. E se le truppe grilline disertassero la votazione il raggiungimento del quorum salvifico questa volta potrebbe essere più problematico.
Il commercialista di Grillo: “Conte restituisca il simbolo”
L'(ex) Elevato tornerà dunque a impugnare le carte bollate per impedire a Conte l’utilizzo del simbolo o accetterà quanto stabilito dall’assemblea dei votanti? “Valuteremo”, dice sempre all’Adnkronos Enrico Maria Nadasi, amico e commercialista di Grillo. “È opportuno che Conte adesso si faccia il suo simbolo, ‘Oz con i 22 mandati’, e lasci perdere quel simbolo lì. Il Movimento che abbiamo fondato non può essere stravolto. Se continua col simbolo del Movimento, si valuterà il da farsi. Beppe – ha spiegato ancora il commercialista – ha espresso la volontà di rivolere il simbolo indietro e di estinguerlo. Questo è quello che vuole Beppe e io sono d’accordo con lui”.
(da La Repubblica)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
COSA FARA’ GRILLO DOPO LA “SFIDUCIA” DEL M5S
La parola chiave è scissione. Il progetto è quello di una causa legale per rivendicare nome e simbolo. E poi un nuovo Movimento 5 Stelle. Con Virginia Raggi, Alessandro Di Battista e Danilo Toninelli. Beppe Grillo, sfiduciato dall’Assemblea Costituente del Movimento 5 Stelle, non ha intenzione di mollare la sua creatura a Giuseppe Conte senza combattere. E dopo la battuta sui francescani diventati gesuiti si prepara a dare battaglia.
Intanto ricordando il detto «falso come un gesuita», che i suoi vorrebbero appioppare all’ormai ex Avvocato del Popolo. Mentre sarebbe in preparazione un video per annunciare la nuova discesa in campo. E soprattutto la guerra legale. Che potrebbe cominciare proprio con una richiesta all’Assemblea. Quella di chiedere un nuovo voto sulle regole statutarie. Per la quale il Garante ha cinque giorni di tempo.
La guerra legale
Il fondatore sta valutando. Chiedere la ripetizione del voto fa parte proprio delle prerogative da Garante che nel frattempo gli sono state tolte proprio con quel voto. Ma soprattutto, la sua paura è che l’esito sia lo stesso. C’è chi invece spera che i 15 mila iscritti pro garante si tirino fuori dalle votazioni successive. Per far cadere il quorum raggiunto. La parte più interessante è il tempo. Ovvero che un’eventuale nuova votazione dovrebbe avere cinque giorni per la richiesta e 13 tra preavviso per la macchina organizzativa e per gli iscritti. Si tratta di un tempo che metterebbe i bastoni tra le ruote a Conte. E che rappresenterebbe appunto solo il primo tempo di una partita da giocare nelle aule dei tribunali.
La via della guerra legale sarebbe comunque complicata e costosa. E questo è uno dei motivi per i quali Grillo è titubante. Mentre far partire un altro movimento senza Gianroberto Casaleggio appare complicato.
La nuova creatura
L’ipotesi di una nuova creatura politica si fa sempre più concreta. A renderla viva sono anche i contiani. Che parlano di una discesa a Roma di Grillo alla vigilia di Nova, con discesa in un hotel a Roma Nord invece che in quello classico ai Fori Imperiali. Non a caso dove in zona abitava Di Battista. Che giorni fa sarebbe stato visto in un bar a Ponte Milvio con una storica collaboratrice di Grillo, secondo quanto racconta oggi Repubblica. Paola Taverna in un’intervista a La Stampa intanto ha un messaggio per i 35 mila iscritti che non hanno votato e per chi ha contestato pubblicamente: «Su 89 mila iscritti, più del 60% ha partecipato attivamente. L’invito a chi ha scelto di non farlo è di tornare a dare il proprio contributo. A chi invece si è trovato in minoranza o ha contestato dico che la democrazia va rispettata».
(da Open)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
VISTO LO STALLO, FINO ALLA FINE DELL’ANNO LE DELEGHE DI FITTO RESTERANNO A PALAZZO CHIGI. SE NE RIPARLA NEL 2025
Di domenica pomeriggio viene aperta la sala stampa della Camera e di Palazzo Chigi. Cronisti allertati, luci accese. Convocati per le 18 per l’atteso vertice di maggioranza sulla manovra. Ma dopo poco tutti si accorgono che è un bluff, un depistaggio. A Chigi non si vede nessuno. I leader di governo non ci sono. Sono stati invitati personalmente all’Eur a casa della premier Giorgia Meloni.
Si presentano con le peggiori intenzioni, ma prima i leader si accomodano sul divano a guardare la Coppa Davis e la partita Napoli-Roma. Poi si passa alla politica. Stavolta a fare da attaccabrighe è Tajani che vuole dimostrare che i rapporti di forza sono cambiati nella maggioranza dopo le elezioni regionali.
Restano da affrontare anche le riforme e il successore di Fitto: sull’autonomia è Tajani a dire che va rallentata e chiede di avere una “riforma bandiera” come gli alleati, quindi accelerando sulla riforma della giustizia. Per il post-Fitto, invece, la premier vorrebbe Elisabetta Belloni agli Affari Europei ma il ministro degli Esteri è contrario: ha paura di finire commissariato. La premier fa sapere che fino alla fine dell’anno le deleghe resteranno a Palazzo Chigi. Se ne riparla nel 2025.
(da il Fatto quotidiano)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
“LO SPOSTAMENTO A DESTRA? C’È UNA LEGA DELLA POLITICA E UNA DEGLI AMMINISTRATORI. SONO CONVINTO CHE DOVREMMO RITARDARE COMUNQUE MOLTE SCELTE E CHE LA PARTITA IDENTITARIA SIA FONDAMENTALE. BISOGNA ESSERE PROGRESSISTI SU ALCUNI TEMI SENZA LASCIARLI A UNA SOLA PARTE POLITICA” … “LE FRASI DI VALDITARA SULLA VIOLENZA SULLE DONNE SONO STATE INOPPORTUNE”
«Qual è la convenienza di spostare la Lega così a destra?», chiede Fabio Fazio. E la risposta di Luca Zaia, ospite ieri di Che tempo che fa , sembra diretta a Matteo Salvini: «C’è una Lega della politica e una degli amministratori. Sono convinto che dovremmo ritarare comunque molte scelte e che la partita identitaria sia fondamentale. Bisogna essere progressisti su alcuni temi senza lasciarli a una sola parte politica».
Il governatore veneto, poi, ha parlato anche della legge sull’Autonomia: «La Consulta ha detto cose importanti, ma bisogna evitare mistificazioni. L’Italia non ha più il controllo di gestione, è una sfida interessante ed è ovvio che nessuno va lasciato indietro. C’è una questione meridionale e una settentrionale, ma siamo legati come gemelli siamesi». Il terzo mandato? «Non ho la più pallida idea. Per 11 mesi ho ancora la Regione Veneto».
“Su temi come questi, della violenza sulle donne, non ci vorrebbe polemica. Servirebbe una sorta di ‘no fly zone’. Le frasi di Valditara in quell’occasione sono state inopportune, anche se immagino il ministro non volesse essere inopportuno. Sicuramente eravamo davanti ad una ragazza ammazzata, da un ragazzo italianissimo”.
Così Luca Zaia, ha commentato, nel corso di ‘Che tempo che fa’, le frasi con le quali il ministro Valditara, in collegamento con la cerimonia di presentazione della ‘Fondazione Giulia Cecchettin’ aveva tracciato un parallelo tra l’aumento dell’immigrazione clandestina nel nostro Paese e i casi di violenza. “Guardavo le statistiche sul fenomeno dei femminicidi – ha proseguito Zaia – siamo ormai davanti ad un bollettino di guerra. Gino Cecchettin è un grande, e come Regione abbiamo detto subito che lo aiuteremo nelle attività della Fondazione”.
“Musk si è autodefinito ‘il Doge’ ? Si’, ma io sono quello vero”. E’ la battuta con quale il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha risposto durante la puntata di ‘Che tempo che fa’ a Fabio Fazio che, ricordando come uno dei suoi soprannomi fosse quello del capo dell’antica Serenissima, ha chiesto a Zaia se avesse notato che anche Elon Musk, in una foto, si era ripreso sotto alla scritta “Doge”.
Sul suo futuro in politica, nel caso non venisse cambiate la legge sul massimo dei tre mandati prima delle prossime regionali, Zaia ha sostanzialmente tergiversato: ” non ne ho la più pallida idea, è fondamentale restare concentrati sull’oggetto sociale. Per 11 mesi ho ancora la Regione del Veneto, e io amo il Veneto”.
“Non è un’eresia parlare del premierato, penso che qualora accadesse dovranno essere sentiti i cittadini. Quanto al bilanciamento dei poteri cercheremo di capire quale sarà la proposta, perchè ad oggi non ce n’è una sulla quale si può discutere”.
Poi il tema del blocco dei due mandati per governatori e sindaci, che, allo stato attuale, gli impedirà di ricandidarsi per la terza volta alla presidenza del Veneto. “Nel mio ultimo libro – ha proseguito Zaia – parlo di quello che è già accaduto, dopo i referendum degli anni novanta, per i sindaci e i presidenti di Regione, con l’elezione diretta dei cittadini. una direzione giustissima”.
Cosa accadrà con la legge del massimo di due mandati ? “Non so dire onestamente, potrei dire – ha risposto – che negli anni cambierà la legge, perché è un’anomalia. Poi dovremo capire cosa accadrà con la Regione Campania, perché avendo recepito il blocco dei due mandati dopo averne fatti due il presidente se ne troverebbe quattro alla fine”..
Per Zaia infine “non c’è una contraddizione “tra autonomia ed eliminazione dei due mandati”, perché la possibilità di ricandidatura di sindaco e presidente di Regione “da’ stabilità, da’ modo di programmare. Dopodiché i cittadini sono sovrani. Nel suo contratto sociale Rousseau diceva che il popolo ti delega a rappresentarlo, quando non lo rappresenti più ti toglie la delega”.
(da Corriere della Sera)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL DEMOGRAFO ALESSANDRO ROINA: “I GIOVANI VIVONO IN UN MONDO DI INCERTEZZE E ANSIE PER IL FUTURO A CAUSA DELLE GUERRE E DEL RISCALDAMENTO GLOBALE, MA ANCHE DI UNA INSTABILITÀ LAVORATIVA ED ECONOMICA”
Egoisti, individualisti, carrieristi. È così che i ragazzi e le ragazze della Generazione Z, i giovani nati dal 1997 al 2012, ora si beccano una nuova etichetta: “Generazione No Kids”. Di figli non vogliono neanche sentir parlare e alla fatidica domanda «Vuoi avere bambini?» rispondono con decisione: «No, devo pensare alla carriera. Ed è meglio essere liberi».
Sembra una convinzione ferrea. Elena, 28 anni, coordinatrice di studi clinici a Torino, ha ormai fatto il callo a queste conversazioni. Da quando era adolescente, ha un’unica certezza: i figli non sono nei suoi piani. «La maternità? Non fa per me», spiega la giovane.
«Ogni volta che vedo la mia famiglia, so già cosa mi aspetta: “E tu, quando un bambino?” È una domanda così prevedibile che ormai potrei farmela da sola». Poi aggiunge: «Amo la mia libertà e il mio lavoro. Inoltre, stare sempre in ospedale non aiuta. L’idea di avere un figlio mi toglie il sonno».
Anche Paola che di anni ne ha 35 è molto chiara sui motivi del suo “no”: «Primo, la situazione economica: non guadagno abbastanza per mantenere un figlio. Secondo, il tempo: i primi anni di vita sono i più importanti, ma chi si può permettere di stare a casa e lasciare il lavoro?Terzo, trovare il partner giusto».
La prova del fenomeno si riscontra nella crescita delle comunità incentrate proprio su questo tema, come quella dei Childfree, una rete globale nata per offrire supporto e dare voce a chi sceglie consapevolmente di vivere senza figli. Non si tratta di un caso isolato, ma di un trend in espansione tra i giovani italiani.
E secondo la ricerca Generationship 2024 a cura di Kkienn Connecting People and Companies per il Gruppo Unipol, condotta tra giovani tra i 15 e i 35 anni viene confermato che per oltre il 50% dei ragazzi avere figli o sposarsi è poco o per nulla importante.
A prevalere, infatti, sono altre priorità secondo la ricerca: il 47% dei ragazzi considera fondamentale ottenere un titolo di studio, mentre il 44% si concentra sulla ricerca di un lavoro stabile. Inoltre, l’84% degli intervistati pone al primo posto il benessere economico, dimostrando quanto la stabilità finanziaria sia diventata un obiettivo irrinunciabile.
Le donne, in particolare, risultano più orientate alla carriera (+40% contro il +11% degli uomini) e meno interessate a matrimonio e bambini (-58% contro -41%). Ecco il punto: non si tratta solo di “non volere figli”.
Alessandro Rosina, demografo e professore all’Università Cattolica di Milano, offre una chiave di lettura interessante: «Fare figli oggi non è una scelta obbligatoria. È un atto libero. Ma è anche una scelta irreversibile, a differenza di altre. E questo spaventa i giovani, che vivono in un mondo di incertezze e ansie per il futuro a causa delle guerre e del riscaldamento globale, ma anche di una instabilità lavorativa ed economica». Rosina sottolinea come la generazione “No Kids” non sia semplicemente individualista, ma consapevole.
«Oggi si fanno figli solo se ci sono le condizioni adeguate: stabilità economica e di carriera, oltre al benessere personale. Ma il problema non è convincere chi non vuole figli. La vera sfida è sostenere chi li desidera: serve un sistema di welfare che renda la genitorialità meno onerosa».
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
L’EVENTO DELLA FONDAZIONE PELLEGRINI IN TRIENNALE, CON AL BANO, VECCHIONI, SOCIOLOGI E BANCHIERI
Nella Milano dell’attrattività e dell’eventismo, c’è una povertà fatta di vite al minimo, di persone che cercano di risalire su un ascensore sociale e non ce la fanno. Sono storie di uomini e donne invisibili sopraffatti dalle emergenze, che mostrano un distacco dalla vita civile e si nascondono nella vergogna di una coda per un piatto di minestra nelle mense della solidarietà ambrosiana.
Segnalano qualcosa di nuovo: la povertà che non si riscatta più lavorando, con i salari inadeguati al costo della vita; la povertà che limita gli accessi ai circuiti del benessere e cresce nel vuoto lasciato da quello che si è perduto: la casa, la salute, la famiglia, un’istruzione, persino il senso di appartenenza alla stessa società e alla stessa città.
Milano vive nelle sue contraddizioni questo passaggio: da una parte passano le onde emotive della modernità, dall’altra crescono solitudini e disuguaglianze. Per ridurre le distanze e riavvicinare due mondi sempre più separati, la Fondazione Ernesto Pellegrini ha voluto battere un colpo contro l’inerzia e creare le premesse per disegnare un nuovo modello di welfare ambrosiano.
In Triennale la povertà di ieri e quella di oggi si sono incrociate nei racconti di chi ha conosciuto la città dove non faceva mai freddo, quella del miraggio, del sogno e del miracolo, riassunta con emozione da Al Bano.
Anche Roberto Vecchioni ha indicato piste di ripartenza recuperando la memoria, contrastando il destino che non può essere una condanna, avvicinando Milano alla città ideale per costruire un futuro
Prima uno e poi l’altro hanno riempito di senso di musica e di canzoni l’anniversario di Ruben, il ristorante a un euro che Ernesto Pellegrini ha inaugurato dieci anni fa al Lorenteggio in omaggio a un povero della sua infanzia morto assiderato, trasformato in un simbolo di conforto per i nuovi poveri.
La sociologa Chiara Saraceno ha indicato con precisione che cosa vuol dire essere poveri nella ricca Milano, non potersi più permettere una casa, costretti a un faticoso pendolarismo, inseguiti da bollette da pagare: un rischio in evoluzione sottolineato da Stefano Boeri e dal presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone.
In ascolto il sindaco Sala, che ha raccolto l’invito della Fondazione Pellegrini a mettersi insieme, pubblico e privato: «Da soli non ce la facciamo», ha detto, perché le emergenze crescono e le risorse sono sempre meno.
(da editorialedomani.it)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
VITALIZI, REDDITO CITTADINANZA, 11O%, FINANZIAMENTI EUROPEI: TUTTI MIRACOLI POLITICI
Ho sempre trovato i grillini pessimi, ultrapessimi, di loro ho detestato tutto, la democrazia diretta del piffero, il rousseauianesimo abborracciato e pseudoromantico, l’essere laureati in massa e ignoranti in salsa individuale, il vaffanculo, l’odio per le istituzioni della Repubblica, per le classi dirigenti da arrestare in nome della retorica dell’onestà-tà-tà, il fiancheggiamento dei peggiori ceffi della magistratura d’assalto, la presunzione del bravo cabarettista annoiato che li ha fondati e ora vuole calare il sipario perché si è annoiato anche di loro, la loro calata era per me una sciagura peggiore perfino di quella dei leghisti loro alleati, e Conte avvocato gentile e buffo, con la voce di Tina Pica, è stato un ottimo presidente del Consiglio solo quando i partiti storici lo hanno sottratto al grillismo e la pandemia lo ha obbligato alla funzione di primo secondino d’Europa e siringa vaccinale, funzione svolta con un certo coraggio e competenza notturna.
Per loro, per Grillo, ero e sono un contenitore di merda liquida, e non lo dico per vantarmene, ne sono proprio orgoglioso. Ora li vedo spersi, con un filologo che giustamente porta con nonchalance e fierezza il nome grandissimo del padre, addirittura Filippo Maria Pontani, e la sua scienza umanistica, intento a spiegargli che non devono più essere un movimento un po’ anarchico, che c’è spazio per il recupero dei teti e degli zeugiti astensionisti nell’atmosfera periclea della loro Atene V secolo, e non rido nemmeno, rispetto consigli e sconsigli degli intellettuali in politica, persino quando sono dati dalla tribuna che ha sostenuto il partito di Ingroia e altre tonterias. Non rido e non godo della ria sorte dei grillini, non posso dire di augurare loro ogni bene ogni pace ogni buona volontà, prima vengono gli ucraini e gli israeliani, prima le armi e poi le bellurie. Sono una vecchia pantegana del sistema dei partiti, però, e per questo ho notoriamente maturato una forma anche eccessiva di rispetto per le virtù trasformatrici della politica italiana, che fa della destra di governo una cosa seria, a sorpresa, che un domani restituirà senso e efficacia al centrosinistra armocromista, e ha fatto dei grillini un partito riformatore con i fiocchi.
Questa verità non si può dire e per questo va ripetuta incessantemente. Decidano come vogliono su quisquilie pinzillacchere come il secondo mandato, la differenza tra progressismo e sinistra, il ruolo del garante spilorcio, facciano quel che vogliono. Ma non si può cancellare il miracolo trasformista italiano, grandioso a suo modo, che ci ha dato il primo governo ultrapopulista con un presidente scelto dagli uomini del Quirinale per la sua disponibilità pregrillina, il Conte I, e un buon centrosinistra che ha fronteggiato con onore pandemia e crollo, il Conte II, consentendoci poi con Draghi di risalire la china della credibilità, e con l’alternanza finale di avere stabilità e maggioranza Ursula intestata a quelle dragonesse che sono le Sorelle Meloni d’Italia.
Ripeto. Hanno messo le mani nelle tasche dei parlamentari, affaire vitalizi. Miracolo politico. Hanno ridotto il numero dei parlamentari con due maggioranze diverse, una volta con i populisti una volta con i partiti storici, con i tacchini pronti a farsi servire farciti al pranzo del ringraziamento. Miracolo politico. Hanno introdotto il reddito di cittadinanza, il solito sussidio di cui alla fine non fregava niente a nessuno, come si è visto quando fu abolito, senza scassare il bilancio dello stato. Miracolo politico.
Si sono fatti burle dei pieni poteri dopo aver lavorato per il loro araldo Salvini, al quale hanno sottratto lo sgabello di sotto il culo. Miracolo politico. Hanno inventato la genialata del 110 per cento rimettendo in moto l’economia postpandemia. Miracolo politico con un debito da spalmare in tempi di vacche meno magre, e senza pericoli per la finanza pubblica nella tempesta famosa dei mercati. Miracolo politico. Hanno contrattato un paio di centinaia di miliardi fra finanziamenti e prestiti, altro che gli Eurobond, aprendo un campo arato dall’articolo di Draghi sul debito da contrarre e sulla differenza tra debito buono e debito cattivo, whatever it takes. Miracolo politico. Sono come Pinocchio che sotterra le monete d’oro nel campo dei miracoli su consiglio del gatto e della volpe, e ci hanno fatto vivere fuori della realtà, nel paese dei balocchi: miracolo iperpolitico. Li detesto come sempre, spero scompaiano del tutto, ma che venga ricordato come siamo stati bravi a trasformarli in formidabili riformisti.
Giuliano Ferrara
(da ilfoglio.it)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
ZALUZHNY, CHE RICACCIO’ I RUSSI DA KIEV, FU SPEDITO A LONDRA COME AMBASCIATORE DA ZELENSKY, GELOSO DELLA SUA CRESCENTE POPOLARITÀ … MA E’ ANCORA COSI’ AMATO CHE SE SI VOTASSE OGGI IN UCRAINA POTREBBE RICEVERE OLTRE L’80% DELLE PREFERENZE
«La Terza guerra mondiale è già scoppiata. Si sta combattendo qui, vicino alle nostre case europee. E c’è un’altra cattiva notizia: l’Europa non è pronta per combattere un attacco prolungato della Russia, mitigata dal fatto che, almeno per il momento, anche Putin è a corto di risorse».
Parola di Valeryi Zaluzhny, che di sfide militari con la Russia se ne intende. L’ex capo delle forze armate ucraine, il generale che contro ogni previsione seppe fermare l’avanzata russa verso Kiev nel febbraio-marzo 2022 e nei mesi seguenti addirittura liberare larghi settori del suo Paese, dopo un lungo silenzio torna a parlare.
«Ovvio che siamo nella Terza guerra mondiale, è avvenuto quando la Russia ha coinvolto nelle battaglie le dittature alleate, come Iran e Corea del Nord, e costruisce missili con le componenti cinesi, costringendo l’Ucraina a dipendere sempre più dagli aiuti occidentali», spiega Zaluzhny alla stampa ucraina.
Brutte notizie per Volodymyr Zelensky, che l’aveva silurato in febbraio dal suo ruolo militare per mandarlo ambasciatore a Londra. Secondo l’opinione comune nei corridoi di Kiev, il presidente era geloso della sua crescente popolarità, a fronte invece della propria crisi di consenso interno.
Noi stessi avevamo percepito in diretta il malcontento dei soldati sulle prime linee del Donbass: c’erano unità che minacciavano addirittura la diserzione per protesta contro il licenziamento del comandante in capo. Se si dovesse votare oggi, Zaluzhny potrebbe ricevere oltre l’80% delle preferenze, mentre il tasso di popolarità di Zelensky resta inferiore al 50%, contro l’oltre 90 del primo anno di guerra. Il portale Ukrainska Pravda prevede che l’ex generale sarà il prossimo presidente.
«Oggi Zaluzhny rappresenta il nuovo, ha lo stesso ruolo che permise a Zelensky di riceve il 75 per cento dei voti nel 2019», dicono all’Istituto di sociologia dell’università di Kiev. I sondaggi mostrano una netta caduta dei consensi per la classe politica e invece la crescente fiducia negli uomini delle forze armate.
Così, dopo otto mesi di silenzio, l’ex militare diventato diplomatico suo malgrado ha deciso di parlare. Lo fa con forza: tra pochi giorni uscirà «La mia guerra», il primo volume dei tre della sua autobiografia, che vorrebbe essere anche lo specchio del Paese chiamato alle armi. Il secondo s’intitola «La nostra guerra» e il terzo «La loro guerra». Se è vero che gli ucraini mancano di soldati, anche i russi sono a corto […] Putin sta cercando reclute tra gli Houthi yemeniti, ne avrebbe già assoldati parecchie centinaia. Mosca cancella sino a 90.000 euro di debiti ai cittadini che partono volontari.
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2024 Riccardo Fucile
TUTTI I SONDAGGI DAVANO PER VINCENTE IL PREMIER USCENTE, MARCEL CIOLACU, CHE È ARRIVATO TERZO, DOPO ELENA LASCONI, SINDACO DI CENTRO-DESTRA DI UNA PICCOLA CITTÀ
Nuova sorpresa in Romania: il premier europeista Marcel Ciolacu, favorito alle elezioni presidenziali, è stato escluso dalla corsa dopo il primo turno, secondo i risultati quasi definitivi pubblicati questa mattina dalla Commissione elettorale.
Dopo lo spoglio di oltre il 99% delle schede, il premier è retrocesso al terzo posto con il 19,16% dei voti, dietro a Elena Lasconi, sindaco di centro-destra di una piccola città, che lo supera per circa 700 voti, mentre il candidato filorusso Calin Georgescu, a sorpresa è arrivato primo con il 22,94% dei consensi.
Risultato a sorpresa alle presidenziali di domenica in Romania. Con il 98,66% dei voti scrutinati a vincere il primo turno è stato Calin Georgescu, candidato filorusso e di estrema destra, smentendo tutti i sondaggi pre-elettorali.
Calin Georgescu, classe 1962, filorusso, praticamente sconosciuto sul piano politico fino al giorno della sua candidatura, è specializzato in ambiente e sviluppo sostenibile, ha coordinato progetti per il governo rumeno, tra cui la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.
Per lui l’Unione Europea e la NATO non rappresentano adeguatamente gli interessi della Romania e che la guerra in Ucraina sia condizionata dalle aziende militari statunitensi.
Quello di domenica 24 novembre è stato il primo di tre appuntamenti alle urne che ci saranno nelle prossime settimane in Romania: il 1° dicembre le elezioni parlamentari e l’8 dicembre il ballottaggio delle presidenziali, dove si conoscerà il successore del presidente uscente, il liberale Klaus Iohannis, che negli ultimi dieci anni con due mandati, ha proiettato la Romania nell’Ue e nella Nato, in linea con una ben definita posizione filo-occidentale.
Tutti i sondaggi della vigilia avevano previsto un’affermazione al primo turno del premier Ciolacu.
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