Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
LA MINACCIA BAGNATA DEL VOTO ANTICIPATO, FATTA TRAPELARE SUL “CORRIERE” NON TIENE CONTO DI MATTARELLA (È IL CAPO DELLO STATO A SCIOGLIERE LE CAMERE) E TANTO MENO DEGLI ELETTORI: CON IL 30% SCARSO, SENZA LEGA E FORZA ITALIA, MELONI GOVERNA SOLO A CASA SUA … NON SOLO, IL PARTITO DI MARINA E PIER SILVIO CONTINUERÀ A FARSI MALTRATTARE COME UN SERVO DI SCENA O PREFERIRÀ SALTARE IL FOSSO E ALLEARSI CON IL PD DI ELLY SCHLEIN?
Dopo due anni abbondanti, Giorgia Meloni non ha ancora imparato come si gestisce il potere.
Malgrado la sua presenza come ministro della Gioventù (dal 2008 al 2011), in quota PDL nell’ultimo governo Berlusconi, invece di fare sua la lezione del Reuccio di Arcore, che convocava gli alleati di governo intorno ai famosi “caminetti” per dialogare, trattare, mediare, risolvendo i dissidi politici con il compromesso detto “Lodo Silvio”, la Ducetta cede sempre alla durezza e alla spigolosità del suo carattere borgataro, mostrando il pugno di ferro da Marchesa del Grillo: “Qui comando io” e non ha alcuna disponibilità con i sempre indispensabili alleati ad attenersi ai tre passaggi che impone la cultura del potere: dialogo, trattativa, compromesso.
L’ultima riprova si è avuta con l’ultima frase dal sen fuggita, repentinamente riportata dalla giornalista Monica Guerzoni sul “Corriere della Sera”: “Se Matteo e Antonio continuano, faccio saltare il governo e porto tutti al voto”.
Abbiamo perso il conto delle volte che gli otoliti in subbuglio hanno spinto la Ducetta a minacciare di sfanculare la maggioranza e andare a elezioni anticipate.
Un ragionamento che non fa i conti con Sergio Mattarella (è il capo dello Stato a sciogliere le camere) e con gli elettori: con il 30% scarso di Fratelli d’Italia, la Meloni senza Lega e Forza Italia non governa.
Non solo: la statista della Garbatella deve fare i conti anche con la crisi di voti e di dissidi interni di un Salvini in caduta libera. Altra domanda: il partito di Marina e Pier Silvio continuerà a farsi trattare come un servo di scena o preferirà saltare il fosso e allearsi con il Pd?
(da Dagoreport)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
I 15 POLIZIOTTI A PRESIDIO DELLA STRUTTURA SI RITROVANO A OCCUPARSI DEI CANI RANDAGI LOCALI… UN GRANDE SUCCESSO DEL GOVERNO MELONI, A SPESE DEGLI ITALIANI
In «un luogo desolato», «era stato barbaramente legato», «immobilizzato», «senza vie di fuga», «visibilmente disidratato e spaventato». È quanto accade a Gjadër, in Albania, nel luogo in cui sono stati costruiti i centri per migranti. Il racconto è stato pubblicato sulla rivista della polizia penitenziaria.
Perché, nel progetto fallimentare messo in piedi dal governo italiano dall’altra parte dell’Adriatico, è stato previsto anche un carcere da 20 posti. È stato costruito all’interno del complesso più grande che include il centro di trattenimento dei richiedenti asilo e il centro per i rimpatri. Destinato a chi, tra i migranti, avrebbe commesso reati nell’area considerata sotto la giurisdizione italiana.
Attualmente è presidiato da 15 agenti della polizia penitenziaria, un terzo rispetto al contingente originario che era stato distaccato in Albania.
Il racconto ha come protagonisti i cani randagi di Gjadër. E l’umanità degli operatori nei loro confronti.
I cani sono le uniche presenze, oltre agli agenti e agli operatori, nell’area dell’istituto. Nell’accordo Italia-Albania si prevedeva anche la costruzione di una «idonea struttura penitenziaria destinata a ricevere i migranti che dovessero rendersi responsabili di reati durante la permanenza nelle strutture gestite dallo stato italiano in quel territorio».
Per costruire il carcere, il cpa e i due centri sono già stati spesi oltre 60 milioni di euro. Quei centri, secondo il governo, avrebbero dovuto fermare l’immigrazione irregolare e invec, hanno allungato i giorni di navigazione per 24 naufraghi e assicurato affidamenti diretti a decine di aziende. Quel che è rimasto, in attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Ue in primavera, è un’area desolata e deserta nel nord dell’Albania, che Giorgia Meloni si ostina a rappresentare come modello. E i cani sono gli unici ospiti del prefabbricato adibito a carcere.
Un progetto inutile e costoso. Oltre al vitto, l’alloggio e i trasferimenti, i poliziotti che monitorano il carcere, vuoto, hanno una maggiorazione dello stipendio. Un poliziotto penitenziario in Italia incassa meno di duemila euro, in Albania ne porta a casa seimila. Nel carcere-prefabbricato da poco sono arrivati anche i frigo e le televisioni, anche se pare manchino ancora le antenne, per tentare, vanamente, di ovviare alla disparità di trattamento rispetto agli alberghi destinati ad altri operatori delle forze dell’ordine e alla violazione degli accordi contrattuali.
I quindici poliziotti penitenziari hanno trovato nella cura dei cani un’attività da svolgere. Uno degli animali è stato anche portato in Italia.
«Una storia bellissima di amore per gli animali», si legge sulla rivista, e «dimostra che la polizia penitenziaria non è fatta di aguzzini crudeli e torturatori come qualcuno vorrebbe far credere».
La storia è questa: «Un meticcio dagli occhi colmi di paura era stato barbaramente legato con un guinzaglio a un guardrail. Immobilizzato e senza via di fuga, il cane era visibilmente disidratato e spaventato».
Altri cani, pelle e ossa, vagavano attorno al complesso e il poliziotto penitenziario, che «non ha girato la testa dall’altra parte», si legge, ha liberato il cane legato e ha caricato gli animali sulla sua macchina. «Dopo le prime cure mediche», sono stati portati «all’interno del carcere», dove sono stati seguiti «durante la convalescenza». A Gjadër «hanno provveduto ai loro bisogni con amore e pazienza, garantendogli cibo, acqua, cure mediche quotidiane e soprattutto un ambiente sicuro e pieno di affetto», prosegue il racconto.
(da Domani)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
LA DEPUTATA MELONIANA SI SAREBBE SBAGLIATA AL MOMENTO DELLA VOTAZIONE: ERA A LEI CHE SI RIFERIVA L’INCAZZATISSIMA MELONI: “IO MI FACCIO UN MAZZO TANTO E POI C’È CHI NON SA PREMERE UN PULSANTE”… IL COLMO È CHE ALBANO È UN’ESPERTA DI INFORMATICA
Forse si è distratta. Ha pensato «no» ma poi ha optato per il «sì», succede, vai a saperlo. Improbabile che si tratti di una insospettabile «fronda ribelle». Fatto sta che la deputata di Fratelli d’Italia Lucia Albano, 59 anni, sottosegretaria all’Economia, secondo voci qualificate di Palazzo, avrebbe appoggiato l’emendamento leghista sul taglio del canone Rai.
Contravvenendo alle indicazioni del suo stesso partito, che aveva prudentemente deciso di non schierarsi. Rimettendosi alla volontà della commissione. Insomma né pro né contro. Invece la «sventurata» decise. A favore.
Coinvolgendo il governo nella disfatta di cui tanto si sta parlando. Era con lei che molto probabilmente ce l’aveva la premier Giorgia Meloni, d’umore nero, quando (con i fedelissimi) si sfogava così: «Io mi faccio un mazzo tanto e poi c’è chi non sa premere un pulsante». Il riferimento (sarcastico) appare non velato ma chiaro.
La protagonista non fornisce spiegazioni.
C’è un dettaglio che rende il fatto ancora più curioso. E spiega meglio l’irritazione della presidente del Consiglio. Lucia Albano, marchigiana di San Benedetto del Tronto, commercialista, laureata in Economia e Commercio (su Facebook, come sfondo, ha una foto con la premier) secondo la biografia web di Wikipedia sarebbe un’esperta in tecnologie informatiche e — dal 1993 — insegnante di informatica in istituti superiori di Ascoli Piceno. Una tecnica, insomma. Che non dovrebbe andare in confusione davanti a una procedura così semplice come una votazione in modalità elettronica. Invece qualcosa è successo.
Il «sì» è stato messo a verbale. Con le conseguenze che sappiamo. E quelle che forse non sappiamo. Ovvero quel che le avrà detto o scritto in privato Giorgia Meloni.
(da Il Corriere della Sera)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
È UN’ALTRA PROVA DOPO LA MAIL INVIATA LO SCORSO 5 GIUGNO DAL DIRETTORE DEGLI SCAVI DI POMPEI, GABRIEL ZUCHTRIEGEL, CHE DIMOSTRA COME LA BOCCIA HA AVUTO ACCESSO AD ATTI “SENSIBILI”
E’ arrivata la pistola fumante che non lascia dubbi sulla gestione a dirpoco allegra degli atti riservati del ministero della Cultura da parte di Sangiuliano.
Dopo la mail che prova che Maria Rosaria Boccia ha avuto accesso ad atti sensibili sul piano della sicurezza dello Stato attraverso lo scambio di mail tra il ministero e il parco archeologico di Pompei relative agli accessi e agli spostamenti dei ministri della cultura del G7, che erano nella disponibilità della Boccia, ora tocca a Report divulgare un audio che conferma la tesi di Maria Rosaria.
Si tratta del dialogo tra lei e il consigliere diplomatico del Ministero della Cultura, Clemente Contestabile in cui parlano di fissare un sopralluogo al Parco archeologico di Pompei alla presenza di entrambi.
E meno male che la Boccia non era “consulente” e mai informata di “notizie riservate” come ha sempre sostenuto Sangiuliano.
(da Dagoreport)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
“NOI DELLA NAZIONALE SIAMO SEMPRE STATI UNA FAMIGLIA. SE LEI NE AVESSE FATTO PARTE VERAMENTE, SAPREBBE CHE I PANNI SPORCHI SI LAVANO IN FAMIGLIA”
Angela Carini, la pugile che a Parigi ha abbandonato il ring nel match contro Imane Khelif, in un’intervista a Repubblica ha accusato le compagne di Nazionale di averla abbandonata una volta scoppiato il caso: le sue frasi non potevano non suscitare polemiche nel mondo della boxe.
E a rispondere è la più esperta pugile Irma Testa, prima boxeuse italiana ai Giochi a Rio 2016, e medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokyo 2020: la replica, secca, arriva da una storia Instagram.
Irma Testa risponde sui social
«Dico solo che eravamo cinque in una stanza quando siamo arrivate a Parigi, ma lei si è fatta cambiare alloggio dopo due secondi ed è andata a stare da sola. Troppo superiore per stare con noi? Non l’abbiamo mai vista, non ha mai pranzato o cenato con noi», inizia il messaggio di Testa, senza nomi, ma la storia precedente riguardava proprio l’intervista.
Isolamento, quindi, mentre Testa, Giordana Sorrentino, Sirine Charaabi e Alessia Mesiano continuavano a fare gruppo.
Ma non solo: «L’unica volta in cui ha chiesto aiuto è stato dopo il match — concluso con il ritiro dopo una quarantina di secondi, ndr — per farsi fare la valigia, perché troppo stanca dalle interviste per rientrare al villaggio con noi comuni mortali».
Solo dopo avere espresso questa insofferenza, Testa passa al contrattacco con un montante virtuale: «Mi dispiace Angela, ti avremmo anche aiutata e se tu fossi stata più tempo con noi ti avremmo evitato la brutta figura che hai fatto tu e che hai fatto fare a tutta l’Italia in mondovisione. NOI — tutto maiuscolo nel testo, ndr — della Nazionale siamo sempre stati una famiglia, nel bene e nel male con le nostre antipatie e simpatie. Se tu ne avessi fatto parte veramente, sapresti che i panni sporchi si lavano in famiglia».
(da Corriere della Sera)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
“25 DONNE E 4 BAMBINI PRESI CON LA FORZA DALLE MILIZIE LIBICHE, GLI UOMINI COSTRETTI A BUTTARSI IN ACQUA”… LA VERGOGNA DELL’ITALIA CHE FINANZIA QUESTI CRIMINALI: “LE TORTURE IN VIDEOCHIAMATA AI PARENTI PER COSTRINGERLI A PAGARE”
La nave Geo Barents di Msf ieri ha assistito a un respingimento illegale avvenuto nel Mediterraneo centrale. La dinamica è insolita: due gommoni libici, che si sono identificati come motovedette pur non avendo alcun elemento identificativo, si sono avvicinati a un altro gommone carico di migranti, e hanno iniziato a sparare, provocando la caduta in acqua di diverse persone. I migranti erano partiti dalla Libia ma provenivano da Etiopia, Eritrea, Yemen, Egitto.
Quello che è successo ieri è un fatto inedito, proprio per le modalità di azione dei libici. Come ci ha raccontato la responsabile dei soccorsi di Medici Senza Frontiere Fulvia Conte – che si trova in questo momento a bordo della Geo Barents, attesa al porto di Crotone domani pomeriggio – quando la nave dell’Ong si è avvicinata al barcone in difficoltà, dopo aver ricevuto una segnalazione da parte del call center per le persone nel Mediterraneo Alarm Phone, ha visto una scena inconsueta: a bordo della motovedetta dei libici c’erano 29 persone, 25 donne e 4 bambini, mentre sul gommone dei naufraghi c’erano solo uomini, e molti di loro erano finiti in acqua.
“Quando Alarm Phone ci ha avvisati del gommone in difficoltà eravamo a circa 8 miglia di distanza”, ha detto Fulvia Conte a Fanpage.it, “Eravamo abbastanza vicini, quando siamo arrivati sul posto abbiamo visto che il gommone era circondato dalle motovedette libiche, prive di un segnale di identificazione. Via radio, una delle due imbarcazioni si è identificata come Guardia costiera libica, identificando anche l’altra come tale. Ci hanno chiesto di effettuare il soccorso, perché l’imbarcazione stava affondando. Ma quando i nostri RIB sono arrivati, si sono trovati davanti a una situazione drammatica: su uno dei due grossi gommoni libici c’erano 25 donne e 4 bambini che erano stati presi con la forza e con la violenza. Le persone sono state minacciate, picchiate con il calcio del fucile, e i libici hanno sparato in aria. Gli uomini sono stati costretti a buttarsi in acqua. Le nostre imbarcazioni per il soccorso sono riuscite a recuperare le 70 persone finite in mare. Nonostante diverse comunicazioni, via radio dal nostro ponte e a voce dai RIB, non siamo riusciti a impedire che i gommoni libici con le donne e i bambini facessero rotta verso la Libia”.
Quanto accaduto ieri significa che molti nuclei familiari sono stati separati con la forza. La Geo Barents ha salvato in tutto 83 maschi, di cui 37 sono minori: “Molte famiglie sono state divise. C’è un uomo che è stato separato dalla moglie e dai suoi due figli, uno di 11 e uno di 3 mesi. Ci ha racontato che le milizie sono arrivate vicino al loro gommone e hanno preso sua moglie e i due bimbi. Lui ha cercato di spiegare che faceva parte della stessa famiglia, chiedendo di non essere separato da loro. Ma non c’è stato nulla da fare, sotto minaccia armata lo hanno respinto”, ha detto Fulvia Conte.
“Le torture in Libia avvengono in videochiamata”
“È una dinamica che risulta strana anche a noi, fino ad ora non si era mai vista, anche se di intercettazioni in mare ne avvengono tantissime, e veniamo a sapere solo di una piccola parte di queste, grazie alle testimonianze delle Ong. Questa separazione forzata avvenuta ieri non ci è molto chiara. Le donne nelle carceri libiche sono ancora più vulnerabili, sono più esposte a violenze fisiche e sessuali, i bambini sono spesso testimoni delle torture subite dalle loro madri. In queste dinamiche atroci a volte non c’è una vera ragione sensata. C’è solo la volontà disumana di fare profitto il più possibile sulle persone in movimento”, ha detto ancora Fulvia Conte a Fanpage.it.
“Alcuni migranti ci hanno raccontato che le milizie hanno iniziato a prendere le persone a bordo quando hanno visto i nostri RIB in avvicinamento. Ma sappiamo benissimo che in genere i naufraghi vengono deportati in Libia perché poi viene chiesto un pagamento alle loro famiglie, e quindi i migranti vengono torturati a scopo di estorsione. Spesso vengono fatte le torture in videochiamata: avere moglie e figli ancora in Libia ti costringe ad arrivare in Europa per cercare di guadagnare dei soldi da mandare, per tentare di far uscire i tuoi cari dalla prigione”.
“Gli 83 migranti che sono con noi sono molto angosciati. Hanno subito in passato violenze, fisiche, mentali e sessuali, e in più in questo caso devono anche affrontare questa separazione drammatica, avvenuta davanti ai loro occhi. Ieri ci dicevano si essere perfettamente consapevoli di quello che donne e bambini vivranno da stasera: saranno stuprati e torturati tutti i giorni”.
Domani pomeriggio la Geo Barents attraccherà a Crotone, ma si fermerà solo per il tempo necessario per far scendere gli 83 naufraghi. Subito dopo ripartirà per una nuova missione. “Siamo stati già a terra due mesi, per un fermo imposto dal governo italiano – ha detto Conte a Fanpage.it – Il nostro obiettivo ora è quello di stare in mare il più possibile dove c’è bisogno”.
(da Fanpage)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
L’OPS DI ORCEL FA SALTARE LA FUSIONE BPM-MPS-ANIMA, CON L’INGRESSO NELL’OPERAZIONE DEI DUE IMPRENDITORI CARI ALLA FIAMMA MAGICA DI PALAZZO CHIGI, CALTAGIRONE E MILLERI, CHE PUNTANO ALLA CONQUISTA DI MEDIOBANCA-GENERALI .. GIORGETTI, A DIFESA DEL “PADRINAGGIO” DELLA LEGA SU BPM, SPARA CAZZATE: LA GOLDEN POWER IMPONE AL GOVERNO DI INTERVENIRE SOLO IN CASO DI MINACCIA “ALL’INTERESSE NAZIONALE”
Il mantra è quello di vent’anni fa, prima della grande crisi del 2008, il momento in cui si mostrò la debolezza del sistema bancario europeo, molte banche fallirono e si posero le basi per costruire un sistema di vigilanza unico sulle grandi banche. Dice Matteo Salvini: «Ritengo assolutamente contrastante con l’interesse nazionale una concentrazione bancaria che allontana le banche dai territori».
Poco importa se i primi due azionisti di Banco Bpm siano un istituto francese – il Credit Agricole – e il fondo americano Blackrock. La Lega ha trovato nella proposta di fusione di Unicredit le ragioni per una battaglia politica d’altri tempi.
Una battaglia che ancora ieri costringeva il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti a contorsioni politiche: «Esiste il mercato e la legge di mercato, e poi esiste una legge che non ho scritto io, quella del golden power che il governo valuterà perché la deve valutare».
Giorgetti omette di dire che quella legge – i cui ambiti di applicazione toccano pressoché ogni settore ritenuto “strategico” – impone al governo di intervenire solo in caso di minaccia «all’interesse nazionale».
E dunque, sin d’ora si può dire che in nome di quell’interesse, se fosse vera la voce secondo la quale il Credit Agricole aveva iniziato a rastrellare le azioni di Banco Bpm in nome di un’offerta ostile di acquisto, la scelta del governo dovrebbe essere a favore dell’ipotesi di fusione con Unicredit, e non il contrario
Non è un caso dunque se fra tutte le voci che in questi giorni si sono levate contro l’operazione di scambio di azioni lanciata dal numero uno della banca milanese Andrea Orcel manchi ancora quella della premier Giorgia Meloni.
Il monito di ieri del numero uno del principale concorrente di Unicredit- ovvero Intesa di Carlo Messina – renderà ancora più difficile l’arrocco del partito di Salvini e Giorgetti, preoccupati delle conseguenze dell’operazione sul consenso del partito in Lombardia.
L’atteggiamento del governo italiano contro Unicredit sta creando parecchio imbarazzo in tutto il mondo finanziario e ai piani alti della Banca centrale europea, dove da anni si auspica la nascita di campioni europei capaci di fare concorrenza ai concorrenti americani e cinesi.
Le classifiche internazionali parlano chiaro: se si valuta il parametro della capitalizzazione di Borsa, fra le prime dieci banche del mondo nessuna ha la sede nella zona dell’euro. Le prime due sono americane – Jp Morgan Chase e Bank of America – la terza è cinese (Industrial and Commercial Bank of China), la decima è la britannica Hsbc. Dietro di lei c’è la svizzera Ubs, la spagnola Santander, poi Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas e Unicredit. Per avere un termine di paragone, quest’ultima vale un quinto della prima banca americana.
Va detto che la difesa corporativa dello status quo non è una peculiarità italiana: se Orcel ha deciso di lanciare l’operazione Banco Bpm è per la resistenza della politica tedesca alla proposta di fusione con la tedesca Commerzbank. E’ evidente che di qui alle elezioni di febbraio il governo di Berlino non darà alcun assenso alla fusione con Unicredit, e che con molta probabilità quel veto verrà confermato.
Stessa cosa è accaduta in questi mesi in Spagna, con il no della politica all’operazione di fusione fra il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria e Sabadell. Due giorni fa la Commissione europea non ha sollevato obiezioni sull’operazione, tuttora osteggiata dai vertici di Sabadell.
La preoccupazione di fondo è la stessa per tutti, ovvero che le fusioni portino con sé una ristrutturazione dei soggetti più piccoli. Ieri Unicredit ha dovuto smentire l’ipotesi che nei piani della banca in caso di aggregazione ci siano seimila esuberi.
Nel caso italiano una peculiarità c’è: l’intervento di Unicredit ha rotto le uova nel paniere al progetto sostenuto dal governo che avrebbe portato alla creazione di un terzo polo fra Banco Bpm e il Monte dei Paschi di Siena. Salvini lo dice apertamente: «E’ un’operazione (quella di Unicredit, ndr) partita non per costruire, ma per bloccare».
(da agenzie)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX SOTTOSEGRETARIO SI DIFENDE AFFERMANDO CHE L’OPERA NON ERA DI SUA PROPRIETÀ, MA DI UN NON PRECISATO “AMICO”. EPPURE IL “FATTO” HA SCOPERTO CHE FU PROPRIO SGARBI A CHIEDERE PER DUE VOLTE IL DISSEQUESTRO DEL QUADRO INCRIMINATO…SE IL PROPRIETARIO È UN ALTRO, A CHE TITOLO LO CHIEDEVA?
Perché Sgarbi fece clonare il Manetti con la sua candela posticcia ed espose la copia? Per la Procura di Macerata per nasconderne la provenienza illecita e aumentare il valore dell’originale rubato. Ma per farne cosa? Forse per poi venderlo all’estero, esattamente come tentò di fare con il Valentine de Boulogne, che fu però sequestrato sulla via di Montecarlo: entrambe le opere figurano infatti in un elenco redatto a questo scopo che il Fatto ha potuto consultare.
Sgarbi si difende, “il Valentine non è mio”. Ma ecco il nome del misterioso proprietario che, essendo tale, ne chiese il dissequestro: Vittorio Sgarbi.
A Imperia, Sgarbi è imputato di esportazione illecita di beni culturali per il dipinto Concerto con bevitore del caravaggesco francese. A Macerata per riciclaggio, autoriciclaggio e contraffazione per la Cattura di San Pietro del senese Rutilio Manetti, la tela che fu rubata a Buriasco (Torino) nel 2013. In ultimo si è aggiunta la ricettazione per un terzo quadro, un Compianto sul Cristo morto attribuito all’Ortolano, riapparso a 40 anni dal furto come opera di sua proprietà. Tutti e tre i dipinti, si vedrà, erano in una lista redatta per valutare quali vendere per “fare cassa”.
Il processo in Liguria si apre il 12 febbraio. Il Fatto ha rintracciato un documento che può sgretolare un pilastro della difesa. Da sempre Sgarbi ripete che il Valentine sequestrato non era suo, bensì di un mai precisato “amico” che glielo avrebbe dato perché facesse un expertise, che a detta di Sgarbi non fece perché “si trattava di una copia di poco valore, circa 10 mila euro”; dunque inferiore ai 13.500 per i quali serve un attestato di libera circolazione all’estero.
Ma ecco il colpo di scena: l’effettivo proprietario del dipinto che Sgarbi&C. volevano vendere tra i 3,5 e i 5 milioni però esiste e si chiama Vittorio Sgarbi. Fu lui infatti a chiederne il dissequestro, due volte. Ma come, se il proprietario del bene è un altro, a che titolo lo chiedeva lui?
Il sequestro è del 5 febbraio 2021. Sgarbi ricorre al Tribunale del Riesame di Siracusa, che il 1 luglio gli dà torto. Allora impugna l’ordinanza di rigetto davanti alla Cassazione, che il 19 novembre 2021 gli dà ancora torto, tanto che lo condanna pure a pagare i 3 mila euro di sanzione.
La Suprema Corte rileva la manifesta “illogicità” della richiesta. “Laddove questi (Sgarbi, ndr) dichiara di non essere titolare di alcuna posizione soggettiva in ordine al quadro attinto dal sequestro, non sarebbe neppure legittimato alla proposizione del presente ricorso”
Ma c’è di più. L’indagine di Imperia torna a incrociarsi con quella di Macerata. Le chat dimostrano che a marzo 2020 gli imputati sono a caccia di soldi. Oltre a Sgarbi, la compagna Sabrina Colle e l’impresario d’arte Gianni Filippini valutano varie opzioni, compresa la vendita di opere che sono state selezionate in un elenco per circa “18 milioni di valore, forse qualcosa di più”, scrive Filippini a Colle: un foglio Excel che comprende appunto il Manetti, senza indicazione del valore, e il Valentine con la stima di 4 milioni.
Su incarico di Sgarbi, furono entrambe clonate, a distanza di un mese, nel laboratorio di riproduzione di Correggio G-Lab. In mostra nel 2021 a Lucca finì poi la copia del Manetti anziché l’originale che, stando nello stesso elenco, avrebbe potuto seguire la strada dell’altro.Non avendo più l’originale del Valentine e un’indagine a carico, Sgarbi incaricò i titolari del laboratorio di recarsi alla Chigiana per acquisire una foto in alta risoluzione della copia di Concerto con bevitore lì conservato, proprio come avevano fatto col Manetti. Per il clone paga loro una fattura da 5.600 euro. Il motivo è da chiarire, ma è plausibile fosse per sostenere il perno della sua difesa: la versione “incriminata” è solo una delle tante.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Novembre 29th, 2024 Riccardo Fucile
I NUOVI INGRESSI NON COPRONO NEMMENO LA META’ DEI VUOTI LASCIATI,,, I MEDICI CI SONO MA VOGLIONO FARE TUTTI GLI SPECIALISTI, SI GUADAGNA DI PIU’
Quando si parla di salute la prima figura che ci viene in mente, anche solo per riflesso, è quella del proprio medico di base, la prima interfaccia tra il cittadino ed il sistema sanitario nazionale, quello pubblico, per decenni vanto dell’Italia nel mondo. Lo scenario prospettato dai sindacati dei medici di base entro i prossimi due anni, mette quindi i brividi: entro il 2026 dai 15 ai 20 milioni di italiani saranno senza il medico di base. Il numero di dottori che andrà in pensione non verrà nemmeno lontanamente assorbito dai nuovi ingressi, che al momento non arrivano nemmeno a coprire ogni anno, la metà di quelli che concludono la propria attività. Nessuno vuole più fare il medico di base, così come nessuno vuole fare più il medico di pronto soccorso.
Eppure i medici ci sono, a poco serve eliminare il numero chiuso nelle facoltà, il problema è che tutti vanno a fare gli specialisti. A stravolgere completamente la professione è il nuovo mercato del lavoro della medicina che, dopo il Covid, ha mandato in soffitta i contratti collettivi nazionali per fare posto ai contratti individuali, ai gettonisti, alle prestazioni a pagamento all’interno stesso del sistema pubblico. E le soluzioni immaginate dal governo, al momento, sembrano non riuscire a mettere nemmeno una toppa all’emergenza.
“Tutti vogliono fare gli specialisti, e nessuno fa più il medico di base”
Partendo dai numeri, la situazione è davvero drammatica. Il picco della crisi dei medici di base sarà toccato nei prossimi tre anni, tra quest’anno ed il 2026, quando appunto avremo un numero che oscilla tra i 15 ed i 20 milioni di italiani che non avranno più il medico di base. Al numero di medici che vanno in pensione equivale un numero di nuovi ingressi che è pari a meno della metà dei vuoti lasciati, inoltre ai concorsi non si presenta nessuno. Il quadro ci viene fornito da Silvestro Scotti, segretario nazionale della Fimmg, sindacato dei medici di base: “Il Pnrr aveva portato a circa 2000 le borse di studio annuali, ma questo dato, oltre a non coprire nemmeno lontanamente i circa 4000 pensionamenti all’anno che abbiamo di fronte, deve fare i conti anche con la mancanza di attrattività della professione. Il concorso ultimo è stato fatto meno di un mese fa, ed i numeri di dicono che oltre il 40% di queste borse rimane non coperto, ed in più si aggiunge una percentuale importante legata all’abbandono”. Uno scenario che già si sta vivendo il moltissime regioni italiane, innanzitutto al Nord, dove l’assenza cronica di medici di base è un fenomeno in costante aumento, ma ora anche al centro ed al Sud la situazione è in picchiata, e non basta più la cosiddetta “pletora medica” per colmare il buco.
Non ci sono più medici? Le cose non stanno esattamente così. Il problema è che si guadagna molto di più facendo altro, piuttosto che ricoprendo la figura di massima prossimità tra il cittadino ed il servizio sanitario pubblico. “Non è vero a mio avviso che non ci sono medici – spiega Scotti – il problema è che tutti vogliono fare i dermatologi, i medici estetici, gli igienisti, tutti vogliono fare attività che in questo momento sono meno significativi rispetto ai livelli essenziali di assistenza previsti dal sistema sanitario nazionale. Quindi nessuno vuole andare in pronto soccorso, nessuno fa più la chirurgia generale, nessuno vuole fare il medico di famiglia, l’Italia sta formando una marea di specialisti ed ha aumentato i posti nelle specializzazioni, ma l’offerta specialistica si può mai immaginare di presentarla come cura primaria? Alla fine le cure primarie scompariranno, siamo il paese con il rapporto più basso dei paesi OCSE”.
Davanti ad un aumento della pressione, davanti al malfunzionamento della sanità pubblica, chi è in prima linea accanto ai cittadini vive una qualità del lavoro pesantissima, che incide inevitabilmente sulla qualità della vita. Davanti a possibilità di guadagni enormemente maggiori, addirittura all’interno del pubblico, ma a chi conviene fare il medico di base o il medico di pronto soccorso?
La fuga dalla professione viene incentivata dal cattivo funzionamento generale del sistema sanitario nazionale pubblico. “Qui quando ci mettiamo alla scrivania, non curiamo solo i pazienti, ma andiamo in guerra” ci dice Salvatore Caiazza, medico di base di Quarto (Na). “I giovani questo lavoro non lo vogliono fare più – spiega – non è più attrattivo perché soprattutto sui nostri territori il medico di famiglia è da solo su un territorio che funziona poco e male. Non si riesce a risolvere le problematiche assistenziali come vorremmo, il paziente diventa agitato, e scoppiano le aggressioni all’interno degli ambulatori”.
Liste d’attesa infinite, esami e diagnostica pubblica ferme al palo, costi esorbitanti per eseguire accertamenti presso i centri privati, una rincorsa continua alle ricette, un fondo per la sanità convenzionata che si esaurisce alla velocità della luce, provocano un tale stress nelle persone, che la prima interfaccia, quindi il medico di famiglia (così come quello di pronto soccorso) diventa la figura su cui sfogare la rabbia. “Qui a Quarto rispetto ai posti per medici di base, uno è rimasto vacante – racconta Caiazza – l’anno prossimo avremo altri due pensionamenti che non saranno coperti. Se allarghiamo ai Comuni limitrofi il dato è peggiorativo, se andiamo a vedere tutta la Asl Napoli 2 Nord il dato diventa esponenziale. È stata sbagliata completamente la programmazione, ma non solo in Campania, ma in tutta Italia”. In altre zone la situazione sembra uguale se non peggiore. “Qui a Frattamaggiore dovremmo essere 18 medici, invece ne siamo 11, abbiamo una carenza di 7 medici di base” ci dice Luigi Costanzo, medico di base anche lui. “Per lungo tempo molti concittadini sono stati senza medico di base, così come oggi molti sono costretti ad andare nei Comuni limitrofi per capire dove c’è posto per trovare un medico di base, una situazione insostenibile” spiega Costanzo.
Nel suo studio si fanno anche diverse iniziative sociali, come il ticket sospeso, proprio per garantire ai cittadini una assistenza ulteriore davanti ai costi alti delle cure e le inefficienze del sistema pubblico ormai croniche. “Io credo che si sta spingendo verso la privatizzazione – sottolinea – tutto quello che sta accadendo ci porta verso lo smantellamento del sistema sanitario pubblico per come lo abbiamo conosciuto”.
Un fenomeno come l’assenza esponenziale dei medici di base, non può trovare radici solo nello stress della professione rispetto ad altri rami della professione medica, i soldi contano, e pure tanto. Dopo il Covid il mercato del lavoro medico è stato completamente stravolto, per fronteggiare all’emergenza pandemica si è dato il via a tutta una serie di misure che garantiscono profitti importanti all’interno del sistema sanitario pubblico. “Prima c’erano i contratti collettivi nazionali e gli accordi nazionali – spiega Silvestro – dopo il Covid si è passati ai contratti individuali ed alle possibilità di guadagnare tantissimo con prestazioni a gettone. Se io domani mattina cambio lavoro e vado a fare il gettonista negli ospedali pubblici, solo per codici bianchi e verdi, io mi faccio 9 turni al mese e guadagno 6mila euro di stipendio”. Ma davanti a queste possibilità, chi si metterebbe a fare il medico di base? Oggi i medici di famiglia raccolgono 3,50€ a paziente, per prestazione non urgente, a fronte di un numero ottimale per l’assistenza, di 1300 pazienti, se si volesse visitare una volta al mese ogni paziente, impresa più che ardua visti i numeri, non si arriverebbe ai guadagni di un “gettonista”.
Per mettere una toppa alla scomparsa progressiva del medico di base sul tavolo il governo ha avanzato due proposte: la prima è un aumento del numero massimo di pazienti fino a 2500 assistiti per ogni medico di base; la seconda prevede un sistema a prestazione oraria dei medici di base all’interno delle case di comunità. Peccato che entrambe sia abbastanza inverosimili. “Dire ad un medico che deve assistere fino a 2500 pazienti, significa dirgli che non farà più il medico. E’ scontato che davanti ad un numero simile, quel medico andrà a fare il gettonista, o andrà ancora prima in pensione, oppure opterà per la sanità privata. Si tratterebbe di una pressione lavorativa gigantesca, oltre al fatto che assistere bene 2500 persone è un’impresa impossibile” sottolinea Scotti. Sulle case di comunità invece, il problema principale è che, soprattutto al Sud, semplicemente non ci sono ancora. Restano un’ottima idea di sanità di prossimità, ma la loro concreta realizzazione, nonché i soldi per metterle in funzione, sono processi in divenire.
“Le case di comunità esistono solo sulla carta – commenta Luigi Costanzo – sono bei progetti ma sulla carta, io fatico proprio a vederne anche solo l’organizzazione da qui ai prossimi 3-4 anni. E nel frattempo cosa si fa?”. Un problema gigantesco quindi le cui soluzioni sembrano essere improbabili. Ma in generale questo fenomeno della scomparsa dei medici di base ci aiuta a capire il futuro della sanità italiana. Mentre il governo dibatte di presunti aumenti dei fondi destinati alla sanità pubblica, le trasformazioni del sistema sanitario accelerano sempre di più, come ci dice anche il dottor Caiazza: “A questi poveri cittadini li vogliamo solo prendere per i fondelli, e dirgli che sulla carta hanno la sanità pubblica, ma se ti vuoi curare veramente devi andare dal privato. Altrimenti o il tuo stato di salute peggiore, oppure nella peggiore delle ipotesi, muori”.
(da Fanpage)
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