Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
200MILA LAUREATI SONO SCAPPATI PER MANCANZA DI LAVORO NEGLI ULTIMI DIECI ANNI: SECONDO IL RAPPORTO SVIMEZ, NEL 2025 IL SUD CRESCERÀ SOLO DELLO 0,7% CONTRO L’1% DEL RESTO DEL PAESE… SULLA FRENATA INCIDE IL RALLENTAMENTO DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI, LO STOP ALLA DECONTRIBUZIONE PER CHI INVESTE AL SUD E I TAGLI AI SOSTEGNI PER LE FAMIGLIE – PER NON PARLARE DEI LAVORI DA FAME OFFERTI AI GIOVANI
Due anni di crescita superiore alla media nazionale hanno dato l’illusione che la “convergenza” inseguita per decenni fosse a portata di mano per il Mezzogiorno. Ma lo slancio del post-Covid, unito alla forte spinta degli investimenti del Pnrr, si sta già esaurendo: il Rapporto Svimez prevede per il biennio 2025-2026 un “ritorno alla normalità”, e cioè a una crescita più stentata per il Sud, rispetto alle altre aree del Paese.
Se quindi il 2024 si chiuderà con un rialzo del Pil dello 0,9% per il Mezzogiorno, contro una media dello 0,7% per il Centro-Nord, nel 2025 invece, a politiche invariate, il Sud metterà a segno solo una crescita dello 0,7%, contro l’1% per il resto del Paese. E per il 2026 il divario sarà della stessa misura (+0,8% contro +1,1%).
Sulla frenata del ritmo di crescita al Sud incidono soprattutto il rallentamento degli investimenti pubblici, il rientro delle politiche di stimolo agli investimenti privati (a cominciare dallo stop alla decontribuzione Sud) e i tagli ai sostegni per le famiglie (la riforma del reddito di cittadinanza ha ridotto da oltre 850 mila a meno di 480 mila nuclei familiari la platea dei beneficiari).
Ma giocano un ruolo non secondario anche le debolezze croniche del Mezzogiorno, che due anni di crescita sostenuta non hanno scalfito.
Il lavoro povero, che ha un impatto negativo sui consumi: anche al Sud in questi anni è aumentata l’occupazione, tra il 2019 e il 2024 si registrano 330 mila unità in più, ma ci sono tre milioni di lavoratori sottoutilizzati o inutilizzati, 1,4 milioni di lavoratori poveri, e i tre quarti degli occupati a tempo parziale subiscono anche il part-time involontario, contro una quota del 46,2% al Centro-Nord.
Una situazione che appare senza via d’uscita, e che spinge i giovani alla fuga: negli ultimi dieci anni 200 mila laureati hanno lasciato il Mezzogiorno per il Centro-Nord, facendo diventare giorno dopo giorno le regioni del Sud sempre più un deserto
Pesa la scarsa offerta di servizi pubblici, dalla scuola alla sanità. E nei prossimi anni potrebbe andare peggio, visto il blocco del turnover al 75%, ricorda la segretaria della Fp Cgil Serena Sorrentino: «Rischiamo di arrivare da qui al 2026 e verificare che, per esempio, abbiamo costruito grazie al Pnrr una serie di case di comunità, ospedali o asili nido che non potremmo utilizzare perché manca il personale, o di dover delegare ai privati la gestione dei servizi, aumentando le diseconomie». Gli investimenti del Pnrr al Sud valgono 1,8 punti percentuali di Pil, più che per il resto del Paese, ma vanno collegati ai fondi di coesione e a un progetto più ampio di rilancio, che passa anche per la Zes unica.
(da La Repubblica)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
FDI PERDE MEZZO PUNTO, IL PD GUADAGNA LO 0,4%
A distanza di dieci giorni dalla vittoria in Emilia-Romagna e Umbria del centrosinistra, cominciano a vedersi anche nei sondaggi gli effetti della tornata amministrativa.
In particolare, il Pd nella Supermedia di questa settimana cresce (+0,4%), mentre FdI perde mezzo punto, pur restando comunque nettamente primo partito. Si conferma l’estrema stabilità di M5s, anche questa settimana all’11,4%.
Distacco che però si riduce considerando che il Partito democratico sale al 23,2%. Un salto in avanti dello 0,4%, che di fatto permette di guadagnare terreno per quasi un punto (lo 0,9%) in due settimane. La distanza tra i dem di Elly Schlein e Fratelli d’Italia resta elevata, ma è al di sotto dei sei punti percentuali.
Questa, nel dettaglio, la Supermedia.
FdI 29,0 (-0,5)
Pd 23,2 (+0,4%)
M5S 11,4 (=)
Forza Italia 9,2 (+0,1)
Lega 8,8 (=)
Verdi/Sinistra 6,3 (-0,1)
Azione 2,7 (+0,2)
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
E’ FINITO AL CENTRO DELL’INCHIESTA CHE HA PORTATO ALL’ARRESTO DEL SINDACO LEGHISTA DI VIGEVANO
Dagli avversari definito il «Brad Pitt della politica», più famoso per le sue uscite mediatiche al limite del grottesco che per le sue battaglie, l’ex europarlamentare della Lega Angelo Ciocca è indagato all’interno dell’inchiesta per corruzione che ha portato all’arresto del sindaco di Vigevano Andrea Ceffa e di una consigliera comunale. Secondo la Procura, Ciocca insieme al presidente di Ance Alberto Righini avrebbe avvicinato «almeno uno dei consiglieri comunali con la promessa di ricevere la somma di euro 15 mila euro se avesse partecipato alle “dimissioni di massa”» per mezzo della quale avrebbero dovuto far cadere il sindaco Ceffa. Il tentativo di corruzione non sarebbe però andato a buon fine
Pavese doc, nasce nel capoluogo nel 1975. La sua carriera politica inizia nella provincia, a San Genesio ed Uniti. Poco a poco scala i vertici locali e regionali ricoprendo diversi ruoli fino alla candidatura al Parlamento europeo nel 2016: subentrerà a Gianluca Buonanno, che lo precedeva. Sarà rieletto nel 2019, ma con le elezioni dello scorso giugno si è dovuto arrendere dopo la scelta del generale Roberto Vannacci della sua circoscrizione per essere nominato.
Le “scenate” di Ciocca
Negli anni alla plenaria europea si è fatto conoscere per le sue campagne mediatiche provocatorie. Fortemente euroscettico, Ciocca si è reso protagonista di diverse “scenate” come quando ha calpestato le carte di Pierre Moscovici, ex commissario europeo per gli affari economici, con una scarpa “made in Italy”. Più recentemente, in occasione delle elezioni del 2024, Ciocca ha rincarato la dose. Durante una plenaria ha tirato fuori un cartellino rosso per “espellere” l’attuale presidente della Commissione Ursula von der Leyen e la direttiva sulle case green. O ancora quando in un video ha fatto il gesto dell’ombrello sempre alla leader dell’esecutivo europeo. E infine il video promozionale imbarazzante per invitare i cittadini della sua circoscrizione a votare per lui.
(da Open)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
L’ULTIMA SPARATA È DI FRANCESCO ROCCA, PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO, CONDANNATO IN PASSATO PER SPACCIO DI DROGA A TRE ANNI DI CARCERE. CHE IN CONSIGLIO REGIONALE SI È LANCIATO IN UN’INVETTIVA CONTRO “REPUBBLICA”, DICENDOSI FELICE DI SAPERE CHE PERDE COPIE, E FACENDO INTENDERE DI “BRAMARNE” LA CHIUSURA… IL CDR DEL QUOTIDIANO: “DOVREBBE VERGOGNARSI DELLE SUE PAROLE E DELLE INTIMIDAZIONI”
Il presidente del Lazio Francesco Rocca ieri ha utilizzato la sede istituzionale del Consiglio regionale per un inqualificabile attacco al nostro giornale a causa di alcuni articoli da noi pubblicati e a lui sgraditi.
Rocca si è detto felice di sapere che perdiamo copie, facendo intendere di bramare la nostra chiusura; nel farlo si è avventurato in una tragicomica lezione di giornalismo che tradisce la propria concezione di stampa come un soggetto non libero ma al servizio della politica.
Il presidente Rocca dovrebbe vergognarsi delle sue parole e delle neanche tanto velate intimidazioni, ma dubitiamo che lo farà. Sappiamo bene che al governo, del Lazio e del Paese, c’è una classe dirigente ansiosa di fare sfoggio di ignoranza e al contempo allergica a chi fa il nostro lavoro con serietà e indipendenza di giudizio.
Siamo quindi solidali con i colleghi coinvolti e con la redazione della cronaca di Roma. Lo abbiamo scritto più volte in questi anni: i potenti passano, il giornalismo resta.
Il Cdr di Repubblica
“Una improbabile lezione di giornalismo di quasi sette minuti nell’aula del Consiglio Regionale del Lazio offerta dal presidente Francesco Rocca, che comunica anche la sua ‘gioia per la velocità con cui perde copie’ Repubblica, evocandone persino la chiusura.
È la reazione scomposta, in una sede istituzionale, ad articoli in Cronaca di Roma sulla sanità che riportano tra l’altro un fatto ammesso dallo stesso Rocca: la differita assunzione di infermiere incinte vincitrici di concorso pubblico.
La sortita di Rocca è un episodio gravissimo che manifesta fastidio per l’informazione indipendente e il desiderio di una stampa allineata che chiede il permesso a chi amministra o governa”. Lo sottolinea in una l’Associazione Stampa Romana. “A tutti i colleghi di Repubblica, e in particolare agli autori degli articoli in questione Carlo Picozza e Clemente Pistilli, va la piena solidarietà dell’Associazione Stampa Romana”, conclude la nota.
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
IN TUTTO L’URSULA BIS HA PERSO 111 VOTI DALLA SUA MAGGIORANZA EUROPEISTA TRADIZIONALE, GUADAGNANDONE A DESTRA SOLO 37
La seconda Commissione von der Leyen ha incassato la fiducia del Parlamento europeo. Ma parte azzoppata. I 370 voti ricevuti, pur essendo la maggioranza, costituiscono un record storico negativo. Mai l’esecutivo europeo era sceso ad una quota così bassa di consensi.
Cinque anni fa, ad esempio, il suo primo collegio aveva ricevuto 461 sì. E lei stessa a luglio era stata eletta con 401 favorevoli. L’apertura alla destra dell’Ecr, dunque, porta un saldo pesantemente negativo di 74 “oppositori” rispetto alla quota potenziale. Va tenuto presente che lo scrutinio era palese e che non esisteva quorum. E anche i contrari, 282, non sono mai stati così tanti nella “fiducia” all’esecutivo europeo.
Una partenza ad handicap di cui dovrà tenere conto nel futuro. In primo luogo perché tutti i gruppi principali sono stati attraversati da spaccature importanti: dai socialisti ai liberali, dai Verdi fino ai Popolari. E persino i Conservatori dell’Ecr, con il consenso di Fdi, si sono strappati in due.
Sostanzialmente l’“Ursula bis” ha perso 111 voti dalla sua maggioranza europeista tradizionale guadagnandone a destra solo 37 dai Conservatori. Un quadro che rischia di paralizzare l’attività del Parlamento europeo e l’iniziativa legislativa della Commissione.
L’inquilina di Palazzo Berlaymont non se l’aspettava e pensava di poter contare su un consenso più ampio che le avrebbe permesso una libertà di manovra sostanziosa anche ricorrendo al cosiddetto “doppio forno” con la destra. Del resto non è un caso che nel suo discorso di ieri mattina von der Leyen non abbia citato un solo gruppo parlamentare o un partito limitandosi a fare riferimento alle formazioni «democratiche pro-europee» e avvertendo che comunque partirà «dal centro».
L’idea di creare di volta in volta maggioranze “à la carte” è un po’ meno praticabile. Basta fare un po’ di conti: nel gruppo socialista di S&D ha perso 43 voti dei 136 disponibili (25 no, molti i francesi, e 18 astenuti). I Verdi si sono spaccati in due con 20 no (tra cui gli italiani) e sei astenuti. I Liberali vedono sei astensioni e persino il Ppe ha dovuto accettare la protesta spagnola con 27 no e due astenuti.
Un risultato che fa ricadere critiche sul capogruppo, Manfred Weber. I Conservatori si sono divisi e ben 39 hanno confermato il no, 33 sono stati i sì (quasi tutti di Fdi) e quattro astenuti. Soprattutto Ecr non è stato determinante. La destra dei Patrioti, di cui fa parte la Lega, e i neonazisti di Afd hanno ribadito la loro contrarietà. Come anche la Sinistra di cui fanno parte M5S e Avs.
Von der Leyen aveva puntato su una linea da “grande coalizione”, dai Verdi all’Ecr, anche nell’intervento che ha aperto la seduta in cui ha illustrato un programma senza un colore definito: «L’Europa che amo è quella che si batte per la libertà ». Per poi aggiungere che «il compromesso è il messaggio del nostro lavoro».
Il risultato finale, però, non è stato quello sperato. E soprattutto i socialisti sono passati al contrattacco: «Weber voleva allargare la maggioranza – ha notato Nicola Zingaretti – e la maggioranza si è ristretta. Quindi io mi auguro che dentro il Partito popolare europeo si prenda coscienza che quel tentativo di sottoscrivere accordi, anche qualche giorno fa è stato ribadito, e poi con disinvoltura non rispettarli».
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
LA SITUAZIONE SARÀ DRAMMATICA NEI COMUNI CON MENO DI 125 BAMBINI DOVE IL RISCHIO CHIUSURA E’ CONCRETO
Il termine usato è un neologismo preso a prestito dal demografo Alessandro Rosina: «degiovanimento». Un effetto particolarmente perverso della crisi demografica. Vale a dire la perdita dei giovani, del capitale umano necessario alla crescita del Paese. Nel suo rapporto annuale, presentato ieri dal direttore generale Luca Bianchi, la Svimez ha spiegato quanto grave sia ormai questo fenomeno.
Lo ha fatto andando ad analizzare cosa accadrà da qui ai prossimi dieci anni in quella fascia di età, 5-14 anni, che costituisce il primo serbatoio dell’istruzione. Il calo sarà drammatico e metterà a rischio la sopravvivenza di ben 3 mila scuole primarie in tutta Italia.
Al 2035, spiega il Rapporto, la riduzione di studenti è stimata del 21,3 per cento nel Mezzogiorno, addirittura del 26 per cento nelle regioni del Centro e del 18 per cento nelle regioni settentrionali. Le tabelle pubblicate sono impietose. Solo il Lazio nei prossimi dieci anni perderà 142 mila bambini in questa fascia di età. Nessuno farà peggio. La Campania ne avrà 122 mila in meno, il Veneto 96 mila, la Sicilia 89 mila, la Puglia 84 mila, l’Abruzzo 28 mila, le Marche 32 mila. Il segno più non c’è per nessuna Regione.Le conseguenze si faranno vedere. Per la scuola primaria, spiega ancora il Rapporto, il rischio chiusura è concreto in 3mila Comuni con meno di 125 bambini, numero sufficiente per una sola “piccola scuola”: il 38 per cento del totale dei Comuni localizzati soprattutto nelle aree interne
Il contrasto al gelo demografico, spiega la Svimez, necessita di politiche di lungo periodo orientate al rafforzamento del welfare familiare, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando la frammentarietà degli interventi.
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
NON APRE IL SALVADANAIO PER D’ANNUNZIO, DUSE E GENTILE
ra i primi atti dall’insediamento di Alessandro Giuli al ministero della Cultura c’è la nomina della Consulta dei comitati nazionali e delle edizioni nazionali. La presiede il giornalista Ernesto Galli della Loggia ed è l’organo che, per conto del ministero, propone una ripartizione delle risorse per la celebrazione degli anniversari della storia, della cultura italiana e tutelare il patrimonio letterario. Soldi pubblici, insomma, veicolati su eventi e manifestazioni. Quest’anno il ministero ha messo sul tavolo 1.045.244 euro, quasi la metà della cifra stanziata nel 2023, pari 1.900.256 euro. Una spending review che ha portato all’esclusione di alcune iniziative: nonostante nella Consulta ci siano quattro rappresentanti espressi direttamente dal governo Meloni – come Francesco Farri, portato a Palazzo Chigi da Alfredo Mantovano – il ministero di Giuli ha chiuso i rubinetti anche per le commemorazioni di alcune icone della destra.
Per esempio, la Consulta ha derubricato come «poco rilevanti» le celebrazioni del centenario della nascita di Ida Magli. L’antropologa, morta nel febbraio 2016, raccontava della superiorità dell’Occidente. Scriveva sulla Padania, parlava dell’Unione Europea come «l’inizio della fine» e riteneva l’islam «incompatibile con la nostra visione del mondo». Sui migranti musulmani, già nel 1996, scriveva: «È indispensabile una legislazione rigida per fare in modo che almeno non ne arrivino troppi. Ripeto: gli islamici sono una popolazione forte, con una religione forte, non possono in alcun modo essere integrati nel nostro contesto». Magli non può che essere un idolo per molti esponenti della destra. Secondo il sito di Nicola Porro, che lamentava lo scarso risalto dato alla sua morte dalla stampa, le è stato «riservato un trattamento vergognoso, quello riservato ai “traditori” che passano da sinistra a destra».
Non sarà finanziata la nascita di un nuovo comitato per Magli. Nelle scelte, ed è più prevedibile, c’è anche qualche colpo alla sinistra. Nel caso del comitato – già costituito – per il centenario della nascita del comunista Lucio Libertini, la Consulta del ministero ha ritenuto di non concedere la proroga. Sono stati ritenuti «già sufficientemente finanziati» i comitati per il centenario della morte di Giacomo Matteotti e per la nascita di Pier Paolo Pasolini. Guardando più verso il centro della politica italiana, sempre in chiave Prima Repubblica, a Giovanni Spadolini non sarà dedicato un comitato per il centenario della nascita perché all’ex presidente del Consiglio «è intitolato un istituto già finanziato dal ministero». Il comitato per l’80esimo compleanno della Democrazia cristiana, invece, è invitato a «presentare domanda di rifinanziamento il prossimo anno». Rimandata la festa dei fan dello scudo crociato a causa dell’esiguità «dei fondi disponibili». Nello stesso capitolo dei rinvii al 2025 rientrano le celebrazioni del centenario della morte di Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’Annunzio.
Il Vate viene penalizzato dal dicastero di Giuli pure dal punto di vista letterario: non ci sono fondi per l’edizione nazionale dell’Enciclopedia digitale dannunziana. Alla promozione del lavoro di D’Annunzio vengono destinati appena 7.692,30 euro per l’edizione nazionale delle sue opere cartacee. Rimandata all’anno prossimo, sempre che il finanziamento venga poi concesso, anche l’edizione nazionale delle opere di Giovanni Gentile, ideologo del fascismo che aderì alla Repubblica sociale italiana. Non troppa indulgenza è stata riservata al mondo cattolico. Per le celebrazioni dell’ottocentenario del Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi, «nonostante l’importanza del personaggio e dell’opera», la Consulta ha deciso di respingere la richiesta di istituire un comitato. Strada sbarrata anche alla commemorazione degli 800 anni dalla nascita di San Tommaso d’Aquino. «Poco rilevante», infine, il 13esimo centenario della traslazione delle reliquie di Sant’Agostino a Pavia.
Non è stata riscontrata «l’eccezionale rilevanza storica» per i 350 anni dalla nascita di papa Benedetto XIV, mentre il Vaticano può esultare per il rifinanziamento di 20 mila euro del comitato – già esistente – vocato alle celebrazioni dell’elezione papale di Urbano VIII. Lo stanziamento più importante di questa tornata ministeriale lo riceve il comitato per le celebrazioni del IV centenario della nascita del pittore Carlo Maratta – o Maratti -, pari a 70 mila euro. Sul secondo gradino del podio, ex aequo, con la quota di 55 mila euro c’è il comitato per le celebrazioni del IV centenario della nascita dello scienziato Gian Domenico Cassini e quello per le celebrazioni del centesimo anniversario dalla nascita di Carlo Rambaldi, premio Oscar per gli effetti speciali e conosciuto in tutto il mondo per il suo lavoro nel film E.T. l’extra-terrestre. Il decreto ministeriale, già trasmesso alle Camere, dovrà essere sottoposto al parere delle commissioni Cultura di Montecitorio e Palazzo Madama entro il prossimo 21 dicembre.
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
IN RUSSIA È PARTITA LA CACCIA ALLA VALUTA ESTERA, LA SOLA UTILE PER IMPORTARE BENI DAL RESTO DEL MONDO
Che succede al rublo? La moneta russa precipita senza rete. Ieri è crollata fra il 6% e il 7% sull’euro, sul dollaro, sullo yuan cinese e sulla rupia indiana. Nelle ultime due settimane ha ceduto fra il 12% e il 14% su tutte e quattro queste valute: poco importa se monete di potenze con cui i rapporti commerciali sono in declino(Europa e Stati Uniti) o in aumento (Cina e India).
Si direbbe che tutti stiano vendendo e pochi abbiano voglia di mantenere la valuta di Vladimir Putin fra le mani. Voci dal sistema finanziario di Mosca riferiscono di una caccia diffusa alla valuta estera, la sola utile per importare beni dal resto del mondo: sembra essercene poca disponibile, mentre in molti cercano di disfarsi dei propri rubli. Ma questo è un sintomo, non una causa.
Altro sintomo, più emblematico, è che gli esportatori si stanno rifiutando di rimpatriare in Russia i proventi delle loro vendite all’estero. Si fidano di più delle banche cinesi o indiane, che di quelle di Putin. Ma anche questo è un altro sintomo allo stato latente da tempo. Sei giorni fa poi si è dimessa la numero due della Banca di Russia, Olga Skorobogatova, che in teoria avrebbe dovuto realizzare il rublo digitale per aggirare le sanzioni. […] L’annuncio sulla totale inutilità delle sanzioni era forse leggermente prematuro
Il rublo continua a perdere terreno. Sul mercato delle valute straniere, l’euro è arrivato a essere scambiato a 120 rubli, e il dollaro a oltre 110. Era dal marzo del 2022 che la moneta russa non toccava un punto così basso, cioè dal primo mese dell’invasione dell’Ucraina. Numeri molto lontani dai 75-80 rubli per dollaro di prima della guerra. Il motivo?
Gli analisti non hanno dubbi: a far volare il rublo rasente al suolo – dicono – contribuiscono le nuove sanzioni americane sul settore finanziario russo, che hanno colpito anche la terza banca di Mosca, GazpromBank, e potrebbero rendere ancora più difficile per la Russia attingere a valute straniere. Ma anche le tensioni internazionali attorno all’Ucraina, che si sono ulteriormente intensificate nelle ultime settimane.
Mosca vuole mostrare il bicchiere mezzo pieno, e il ministro delle Finanze, Anton Siluanov, ha dichiarato che un rublo debole favorisce le esportazioni. Una valuta più debole fa essere meno costose le proprie esportazioni sui mercati internazionali, ma costringe pure a pagare di più per le importazioni. E rischia di far salire ancora l’inflazione in un Paese la cui economia non è collassata per le sanzioni ma non gode neanche di ottima salute ed è surriscaldata dalla produzione militare.
Mosca (manca solo la firma di Putin) prevede di aumentare ancora le spese belliche il prossimo anno fino a 125 miliardi di dollari. Una cifra enorme, che supera le spese per istruzione e welfare, e che non include le altre risorse destinate all’esercito, come le spese che la Russia definisce di «sicurezza interna» e alcune classificate come «segrete». Intanto ieri Putin è volato in Kazakhstan, dove oggi è in programma un vertice della Csto, un’alleanza militare a guida russa (ma con voci discordanti).
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2024 Riccardo Fucile
“DIRE A ME A GINO, A CHIARA, A TUTTI I CUORI FRANTUMATI E LE OSSA ROTTE CHE VI DISPIACE SERVE SOLO A VOI STESSI PER SENTIRVI MEGLIO CON QUELLO CHE AVETE O NON AVETE FATTO”
Con un post la rappresentante della lista Rossoverde a Genova ha raccontato di aver avuto una telefonata con la presidente del Consiglio
«Ho parlato 20 minuti al telefono con il presidente Giorgia Meloni. Se avessi assecondato il motivo della sua telefonata probabilmente sarebbe durata pochi secondi», così la rappresentante al consiglio comunale di Genova della lista Rossoverde, Francesca Ghio, ha riassunto su Instagram il suo colloquio con la premier.
Ma l’esponente dell’opposizione, che ha denunciato durante una riunione del consiglio delle violenze subite quando era piccola, e su cui è stato aperto un fascicolo, ha colto l’occasione per denunciare l’operato del governo: «Se sono morta a 12 anni è anche per colpa di persone come lei che, pur avendo il potere nelle mani, pur avendo gli strumenti per cambiare, scelgono di guardare da un’altra parte trovando continuamente un capro espiatorio».
La posizione di Ghio
Nella sua lettera social, Ghio critica le posizioni dell’esecutivo Meloni sui temi del patriarcato e del femminismo, emerse anche nelle dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara durante la presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin.
Per la consigliera comunale, Meloni rientra tra quanti preferiscono «deresponsabilizzare le istituzioni, addossando al singolo la colpa per evitare di risolvere il problema, nascondendolo dietro parole retoriche». Ghio non ha colto alcun segnale dalla premier a sostegno della battaglia contro il patriarcato: «”Sono figli sani di un sistema malato”, non è uno slogan è la realtà quando le soluzioni. Come ho già detto ci serve la volontà politica di applicarle: non farlo è una risposta chiara».
La consigliera va avanti: «Cara presidente Giorgia Meloni ti ringrazio per la vicinanza, ma se ho parlato non è per avere supporto morale. La mia morale è solida e alle mie lacrime ci pensano le mie sorelle».
Ghio ha raccontato la sua storia affinché «nessun’altra persona debba continuare a passarci attraverso». E per questo consiglia alla premier: «Se davvero le sono arrivata, presidente Meloni allora lo dimostri con la potente azione politica che ha nelle sue mani. È una responsabilità, è un privilegio poter usare la politica per risolvere i problemi. Le parole ora risuonano vuote come il buio che ho attraversato».
Quindi rilancia la sua richiesta: «Chiedo una cosa, insieme chiediamo una sola cosa a grande voce: vogliamo l’educazione sessuo affettiva, all’emozione e al consenso in tutte le scuole del paese per tutti i bambini e le bambine di oggi, che saranno gli adulti di domani per mettere nelle loro mani e nei loro cuori gli strumenti potenti della consapevolezza e dell’amore».
«A noi serve un cambiamento»
Il racconto di Ghio prosegue: «Sono madre, mi ha detto al telefono. Sono madre anche io e lotto per mia figlia e anche per la sua, per i figli e le figlie di tutti noi per fare in modo che non ci sia altro dolore evitabile. Dire a me a Gino, a Chiara, a tutti i cuori frantumati e le ossa rotte che vi dispiace serve solo a voi stessi per sentirvi meglio con quello che avete o non avete fatto». Infine, conclude: «A noi serve un cambiamento. Siamo il grido Altissimo e feroce di tutte quelle persone che più non hanno voce».
(da agenzie)
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