Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL GIURISTA LUIGI DANIELE “OCCIDENTE COMPLICE. L’ITALIA IGNORA IL DIRITTO INTERNAZIONALE E PERSINO LE PROPRIE LEGGI SUL GENOCIDIO”
“Non può esserci più nessun dubbio sul genocidio di Gaza. Lo dimostra anche una legge
italiana”. A parlare, interpellato da Fanpage.it, è l’accademico Luigi Daniele – docente di Diritto dei conflitti armati e Diritto internazionale umanitario e penale alla Nottingham Trent University – tra i primi esperti a evocare il rischio di un genocidio nell’ormai lontano dicembre del 2023. All’epoca le sue parole parvero a molti premature, persino eccessive. Eppure, a un anno e mezzo di distanza, quell’accusa è arrivata formalmente alla Corte Internazionale di Giustizia e si è radicata nel dibattito pubblico, anche italiano.
Nella sua analisi Daniele ripercorre le tappe che hanno condotto alla legittimazione giuridica e morale dell’uso del termine “genocidio” per descrivere le azioni condotte da Israele nella Striscia di Gaza. Lo fa con l’accuratezza del giurista, ma anche con la lucidità di chi denuncia un fallimento collettivo: quello dell’Occidente, incapace di reagire e, in molti casi, complice nell’inerzia. A partire dall’Italia, che una legge per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio ce l’ha dal 1967. Peccato che venga ignorata proprio da quelli che, invece, dovrebbero applicarla.
Nel dicembre del 2023, pochi mesi dopo il 7 ottobre e l’inizio della risposta di Israele a Gaza, lei fu tra i primi a evocare il rischio di un genocidio; un anno e mezzo dopo quell’accusa non solo è finita alla Corte Internazionale di Giustizia, ma è diventata “senso comune” in parte importante della società italiana. Perché, dunque, è possibile oggi parlare di genocidio?
Non può esserci più nessun dubbio sul genocidio. Personalmente, per quanto i segnali fossero molto chiari, avrei preferito aver avuto torto quando ne discutemmo. Ma da allora non solo i massacri di civili e bambini palestinesi sono rimasti una prassi quotidiana, ma il dolo specifico necessario a configurare il crimine è stato pubblicamente e direttamente ribadito da Ministri chiave del Governo israeliano in numerose occasioni.
A quali dichiarazioni si riferisce?
Si pensi alle parole di Smotrich sullo “sterminio totale” e la “cancellazione di ogni traccia di Amalek”. Questo richiamo all’ordine divino di massacro degli Amaleciti nelle sacre scritture si salda alla nozione – riproposta in tutte le sedi dalle massime cariche israeliane e divenuta inno di un sentimento collettivo – per cui a Gaza non esisterebbero civili “innocenti”. Il risultato è inequivocabile: i palestinesi di Gaza ‘meritano’ in premessa una ‘pena di morte’ collettiva.
Più di recente, chiarissime le parole di Katz, in cui esigeva dalla popolazione civile palestinese proprio ciò che Israele non è riuscito a fare in un anno e mezzo di orrori: la restituzione degli ostaggi e l’esilio di Hamas. In caso contrario, rivolgendosi direttamente a tutto il gruppo nazionale palestinese a Gaza dai propri canali ufficiali, prometteva “distruzione e devastazione totale”.
O ancora, il Ministro Chikli, che dichiarava, togliendo ogni dubbio, che “una società che tollera simpatizzanti di Hamas al
proprio interno non ha diritto di esistere”. “Tollerare simpatizzanti”, in una democrazia e secondo i principi dello stato di diritto, non sarebbe titolo nemmeno per una sanzione amministrativa, men che meno penale. Qui invece diventa ragione per istituzionalizzare la meritevolezza di genocidio della società di Gaza.
Insomma, parliamo di un ideologia paradigmaticamente genocida, tipica di tutti i genocidi della storia, in cui il gruppo vittima viene rappresentato non solo come bersaglio legittimo di qualsiasi forma di atrocità, ma più profondamente come immeritatamente esistente, responsabile della propria stessa cancellazione.
Secondo il Ministero della Salute di Gaza le vittime accertate sarebbero oltre 55mila, ma da tempo autorevoli studiosi sostengono che questo dato sarebbe fortemente sottostimato…
Israele ha reso impossibile stimare le vittime civili, se non tragicamente al ribasso. Si accusa il Ministero della Salute di Gaza di non distinguere tra civili e combattenti nelle proprie conte delle vittime identificate (oltre 55mila), ma il problema è che neppure Israele stesso sembra avere idea di quanti combattenti e quanti civili abbia ucciso.
Un agghiacciante indicazione, quanto meno per deduzione, arriva da uno studio di Harvard, secondo cui le IDF stimano la popolazione superstite di Gaza nelle enclavi in cui essa viene forzatamente concentra in: 1 milione nell’area di Gaza City, 350mila nell’area centrale, 500mila nell’area attorno a Mawasi. Complessivamente, 1.850.000 persone, circa 450mila in meno rispetto alla popolazione della Striscia nel 2023, stimata in 2.300.000. Considerando che fonti palestinesi parlano di 100mila sfollati riusciti ad uscire da Gaza, mancherebbero comunque all’appello 350mila palestinesi dalle stime delle IDF. Con ciò non intendo dire che bisogna dedurne 350mila morti.
Non è chiaro se le stime escludano deliberatamente la popolazione superstite che si troverebbe ancora nell’80% di Gaza al di fuori delle enclavi-ghetto, cioè in aree sottoposte a ordini di evacuazione (zone che, dopo gli ordini, molti soldati hanno reso noto di interpretare come zone di sterminio indiscriminato autorizzato). Se così fosse, vorrebbe dire che la popolazione al di fuori delle enclavi non è considerata titolata a ricevere aiuti, dunque sostanzialmente condannata a morte certa alle attuali, indescrivibili condizioni di Gaza.
In ogni caso, negli studi sui conflitti, le stime in assoluto più caute e al ribasso sulla media delle vittime indirette (mancanza di accesso a cure, fame, sete, malattie) rispetto a quelle dirette (uccise dalle ostilità, da bombe, proiettili, droni) nelle guerre degli ultimi 20 anni sono di due ad una. Ma a Gaza, in cui uccidere indirettamente è risultato scientifico della politica militare di imposizione di condizioni distruttive per la sopravvivenza, è verosimile che il rapporto sia molto più alto.In ogni caso, le vere proporzioni del genocidio sono assolutamente imparagonabili a quelle che vengono citate continuamente. Si tratta già, verosimilmente, del triplo delle vittime totali. Gli approfondimenti scientifici che lo hanno spiegato sono tanto noti, quanto ignorati.
Come giudica il comportamento dei governi occidentali – alleati di Israele – di fronte a quello che sta accadendo a Gaza?
Sostengo da tempo, e mi fa piacere sia stato ripreso da tante voci autorevoli, che quello in atto sia un genocidio occidentale, non solo israeliano. I nostri governi e l’Europa stanno lasciando che il genocidio si completi con successo, senza alzare un dito, se non per qualche presa di distanza a fini puramente elettorali. Questo abisso, che segnerà per sempre la storia di questo secolo, poteva fermarsi in ogni momento con serie sanzioni ed embargo su armi e tecnologie di sorveglianza.
Se le classi dirigenti ci avessero dato ascolto, decine e decine di migliaia di civili palestinesi sarebbero ancora vivi e tutti gli ostaggi sarebbero tornati dalle proprie famiglie. Ma non è troppo tardi per tutte le vite ancora da salvare ed appese a un filo. E invece chi ci governa, in Italia e in Europa, continua a stare con “le mani in pasta e gli occhi al cielo”, provando a lavare l’onta sconcertante di 18 mesi di complicità con parole vuote o accogliendo qualche bambino da curare, mentre altre decine di migliaia vittime di sterminio sono state giustificate parlando di “legittima difesa”, “terrorismo” e “scudi umani” ogni settimana, per un anno e mezzo.
Di poteri pubblici e istituzioni che hanno “confuso” un genocidio con una forma di legittima difesa per 610 giorni, fino a quando le montagne di corpi di civili e bambini sono diventate così alte da fare ombra anche a Roma e a Bruxelles, nessun cittadino potrà mai più fidarsi, su qualsiasi altro tema. È lo stesso contratto sociale delle nostre democrazie, quindi quello cristallizzato nelle costituzioni, che si sta disfacendo di massacro in massacro.
Perché molti in Italia, sia a livello di governo di tra i grandi media, negano ancora il genocidio di Gaza?
In Italia si è installato un feroce negazionismo che, ormai è chiaro, non si fermerà di fronte a nulla, in quanto ideologicamente impermeabile alla realtà.
Ancora si sostiene che uccidere e lasciar morire qualche decina o qualche centinaio di migliaia di palestinesi, per poi espellere in massa i superstiti, non avrebbe niente a che vedere col genocidio, perché genocidio sarebbe solo la Shoah. Si costruisce così un folle salvacondotto per qualsiasi male presente e futuro non si elevi al male indicibile dell’Olocausto. “Procedete pure! Nessuno commette genocidio se non ci sono camere a gas e 6 milioni di vittime!”. Ma che razza di
messaggio sarebbe? Sarebbe questo un modo di onorare la memoria?! Lasciamo stare per una volta il diritto internazionale, tanto è evidente che per questo negazionismo organizzato la sua distruzione è necessaria e desiderabile, purché resti salda l’impunità dei criminali israeliani. Piuttosto, ignorare le nostra stessa legge, quella italiana, su cosa sia genocidio, si risolve in uno svuotamento della memoria.
Il crimine di genocidio è contemplato anche dalla legge italiana, dunque?
La legge italiana per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio, legge n. 962 del 1967, stabilisce che chiunque, al “fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale”, sottoponga “persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale del gruppo stesso”, è punito con la reclusione da 24 a 30 anni.
Ma il dato completamente ignorato dai negazionisti è che questa stessa legge, anticipando la giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia (Croazia c. Serbia, 2015, par. 163) codifica, all’art. 2, la deportazione a fine di genocidio: “Chi, al fine indicato nel precedente articolo, deporta persone appartenenti ad un Gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, è punito con la reclusione da 15 a 24 anni”.
Per la legge italiana, deportare i sopravvissuti di un gruppo nazionale sfuggiti agli eccidi, così da ridurre il gruppo nazionale a un insieme di piccoli gruppi di rifugiati in vari paesi, senza patria e senza autodeterminazione, significa eliminare il gruppo come tale, significa cioè genocidio. Il governo israeliano ha dichiarato decine di volte apertamente questo scopo di espulsione di massa. Sfido chiunque a trovare un esempio nel mondo di oggi più palese di Gaza di piano di espulsione a fine di distruzione, almeno parziale, di un gruppo nazionale.
Chi continua ad abusare dei propri podi a mezzo stampa e tv, fingendo di poter intimare ad altri cosa si possa o non possa dire, senza nemmeno prendersi la briga di leggere le definizioni legali, insomma, non fa altro che rendere nota la propria ignoranza sul tema. In questo senso, si tratta anzitutto di ignoranza della legge italiana e internazionale. In un dibattito serio, ciò non meriterebbe alcun diritto di tribuna. In un dibattito serio, l’ignoranza non è un’opinione.
(da Fanpage)
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL PROGRAMMA ATOMICO SARÀ RITARDATO DI QUALCHE MESE, FORSE UN ANNO, MA I RAID NON POTRANNO CANCELLARE LE CONOSCENZE ACQUISITE DAGLI AYATOLLAH – GLI IMPIANTI CRUCIALI SI TROVANO IN BUNKER SOTTO LE MONTAGNE: SOLO CON SPECIALI BOMBE IN POSSESSO DEGLI AMERICANI SI POTRANNO ANNIENTARE
La maggior parte del programma nucleare iraniano resta intatto dopo gli attacchi di Israele. Lo riporta il New York Times, sottolineando che nella prima fase di attacchi israeliani non è stato colpito il più probabile deposito di combustibile nucleare iraniano che si trova fuori dall’antica capitale Isfahan.
Nonostante sia uno dei più grandi siti nucleari del Paese, Israele si è mantenuto alla larga e, probabilmente, è stata una scelta ben precisa. Secondo gli esperti, Israele potrebbe essere preoccupato dalla possibile radiologico: bombardare il sito di stoccaggio non innescherebbe un’esplosione nucleare ma potrebbe rilasciare combustibile nell’ambiente, creando il rischio di radiazioni e trasformando di fatto l’impianto in una bomba sporca.
“Il livello di attività radioattiva dopo l’attacco di Israele ai siti nucleari iraniani è rimasto invariato e si attesta su livelli normali, indicando l’assenza di impatto radiologico esterno sulla popolazione o sull’ambiente”, ma ha prodotto una “contaminazione radiologica e chimica all’interno degli impianti”. A dirlo è Rafael Grossi, direttore dell’Aiea, al Consiglio di Sicurezza Onu, riferendo che l’Iran ha confermato che i siti di Fordow e Esfahn sono stati colpiti. “Il livello di radioattività è rimasto invariato e su livelli normali ma la contaminazione è gestibile prendendo misure adeguate”, ha aggiunto.
L’attacco israeliano al sito nucleare di Natanz ha “distrutto” l’impianto pilota di arricchimento dell’uranio situato in superficie, una zona chiave dell’impianto. Lo ha detto il direttore generale dell’Aiea Rafael Grossi in Consiglio di Sicurezza Onu. L’Iran sta arricchendo l’uranio fino al 60% di purezza, prossimo al 90% circa del grado bellico, presso l’impianto pilota, ma produce quantità di quel materiale inferiori rispetto a Fordow. Grossi ha aggiunto che i danni all’impianto in superficie avevano causato “contaminazione chimica e radiologica”, ma che la contaminazione poteva essere trattata con “misure appropriate”.
Tuttavia, “e’ molto difficile cancellare la conoscenza gia’ acquisita”, ha detto al “Jerusalem Post”, spiegando che solo un’azione militare prolungata o un cambio di regime a Teheran potrebbero garantire uno stop definitivo.
Uno degli obiettivi centrali dell’attacco e’ stato il sito nucleare di Natanz, cuore del programma di arricchimento dell’uranio. Anche se le immagini satellitari e i video mostrano esplosioni e fumo nella zona, resta difficile valutare la reale entita’ dei danni a causa della profondita’ e della fortificazione del complesso, sepolto a circa 50 metri sotto terra.
Secondo l’analista dell’INSS Danny Citrinowicz, se installazioni come Fordow – il sito piu’ segreto di Teheran – non sono state colpite, “l’Iran manterra’ comunque una capacita’ residua significativa”.
Infine, diversi esperti avvertono che le conoscenze tecniche e scientifiche del personale iraniano restano intatte.
“L’unico vero limite al programma nucleare iraniano – ha detto Kuperwasser – sara’ sempre politico, non tecnico. E per cambiarlo serve piu’ della forza aerea”.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL CATACLISMA POTREBBE ARRIVARE IN CASO DI BLOCCO DELLO STRETTO DI HORMUZ, DA DOVE PASSA UN TERZO DELLE FORNITURE PETROLIFERE VIA MARE : L’IRAN POTREBBE ATTACCARE LE PETROLIERE, O USARE LE “SUE” MILIZIE HOUTHI IN YEMEN
L’attacco di Israele contro l’Iran e la risposta di Teheran infiammano i mercati. Il greggio
statunitense va oltre i 73 dollari al barile, così come quello del Mare del Nord. Il Ftse Mib perde l’1,28%, Parigi e Francoforte cedono terreno, Wall Street subisce forti perdite, gli spread si allargano.
Gli investitori vedono una nuova escalation qualora il governo Netanyahu portasse avanti altre operazioni – un elemento dato per scontato dal consensus di Bloomberg – e ipotizzano che si possano toccare i 90 dollari, come riportato da Goldman Sachs.
Il quadro si complica alla luce delle tensioni commerciali scaturite dai dazi statunitensi. Secondo Morgan Stanley, Europa
e Stati Uniti rischiano di sperimentare un periodo di alta inflazione e bassa crescita. Un quadro che complicherebbe il tentativo di ripresa dell’eurozona.
Il punto critico sotto osservazione è lo Stretto di Hormuz, come ricordato dagli analisti di Barclays, da cui transitano 21 milioni di barili di greggio al giorno provenienti da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati, pari a un terzo delle forniture petrolifere mondiali movimentate via mare.
Riguardo all’oro nero, l’Iran può reagire in tre modi: attaccare le petroliere (come avvenne negli anni ’80 durante la guerra con l’Iraq), colpire infrastrutture regionali o i beni militari americani generando rincari stimati di 20 dollari. Però ogni opzione avrebbe dei costi anche per Teheran che, per esempio, esporta circa 1 milione di barili al giorno in Cina attraverso quello stesso stretto.
Le preoccupazioni però sono anche sulle scorte. Per il momento nessuno degli impianti petroliferi degli ayatollah, che produce circa 3,3 milioni di barili al giorno, è stato colpito dagli attacchi israeliani, ma nel raggio di azione iraniano ci sono alcuni dei più grandi giacimenti del mondo, tra cui quelli in Arabia Saudita e Iraq.
«Negli ultimi anni, il mercato petrolifero si è mostrato sorprendentemente poco reattivo agli shock», evidenzia Emily Stromquist, managing director della società di intelligence Teneo, focalizzata sul mercato energetico globale.
Tuttavia, dice, «i rischi legati a un’escalation comportano potenziali interruzioni delle esportazioni di greggio iraniano, ulteriori ostacoli al traffico marittimo nella regione e altre conseguenze che al momento i prezzi non sono in grado di prezzare pienamente».
In tal senso, afferma Stromquist, «considerata l’entità della crescita della produzione petrolifera al di fuori dell’Opec e il ritorno sul mercato di barili da parte dell’Opec+ a un ritmo sempre più sostenuto, attualmente esistono numerosi fattori di contenimento per il mercato».
E questi fattori «sono destinati a porre un tetto all’aumento dei prezzi, a meno che la situazione non degeneri in modo significativo». Certo, rimarca, «in uno scenario di escalation contenuta, la fascia bassa dei 70 dollari al barile dovrebbe rappresentare un limite superiore naturale per i prezzi».
A concordare è Eurasia, che non intravede conseguenze strutturali per i mercati, a meno che non ci sia una guerra duratura. In particolare, gli analisti della società statunitense suggeriscono che potranno esserci meno evidenze di squilibri su Wall Street rispetto alle crisi precedenti, come quella nata dopo l’attacco del 7 ottobre 2023.
Elevato, invece, potrebbe essere lo stress. Come ricorda Ing in una nota, «le politiche tariffarie, le preoccupazioni fiscali negli Stati Uniti e le prospettive di spesa nell’Ue hanno già contribuito a creare un contesto incerto, e l’escalation in Iran non fa che aumentare il livello di incertezza». Quindi, si sottolinea, ci potrebbero essere implicazioni per le banche centrali, come Bce e Federal Reserve. Allo stesso tempo, ricorda Ing, potrebbe esserci un allargamento degli spread.
Una parziale tranquillità arriva da Goldman Sachs. «La nostra previsione resta che la forte crescita dell’offerta al di fuori dello shale statunitense porterà i prezzi del Brent e del WTI rispettivamente a 59 e 55 dollari nel quarto trimestre del 2025, e a 56 e 52 dollari nel 2026». Molto è però soggetto al nuovo quadro.
In questo caso il primo scenario di Goldman Sachs «considera l’ipotesi che eventuali danni alle infrastrutture di esportazione
iraniane riducano l’offerta dell’Iran di 1,75 milioni di barili al giorno per un periodo di sei mesi, con una successiva ripresa graduale».
Ipotizzando che i Paesi core dell’Opec+ compensino con una produzione aggiuntiva pari alla metà del deficit massimo iraniano, gli analisti della banca statunitense stimano «che il prezzo del Brent possa salire fino a superare leggermente i 90 dollari al barile, per poi tornare nella fascia dei 60 dollari nel 2026 con il recupero dell’offerta iraniana». Un valore insostenibile per l’economia globale in una fase così complicata.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
“ISRAELE VUOLE IL DOMINIO IN MEDIO ORIENTE E LA FINE DEI DIRITTI DEI PALESTINESI AD AVERE UN LORO STATO”
Jeffrey Sachs, docente alla Columbia University, studioso di problemi internazionali ormai noto a livello mondiale, è alle Nazioni Unite ed è molto impegnato. “Sto entrando e uscendo da una serie di incontri molto serrati”, spiega al Fatto che lo ha contattato per chiedergli cosa pensa dell’attacco israeliano all’Iran e delle sue possibili conseguenze. Accetta di rispondere ad alcune rapide domande.
Israele dice di aver attaccato l’Iran per impedire lo sviluppo dell’atomica iraniana. È risaputo però che si tratta di laboratori ben protetti in bunker sotterranei. Qual è, dunque, a suo avviso, il vero obiettivo di Netanyahu?
Semplicemente quello che appare, il dominio in Medio Oriente, la risoluzione a proprio vantaggio dei tanti conflitti che vedono coinvolto Israele, e in questa strategia è compresa la fine della questione palestinese, nel senso di escludere definitivamente l’ipotesi di un loro Stato e di una loro autonomia politica.
Pensa che ci siano anche valutazioni di politica interna? Netanyahu è contestato e avrebbe dovuto prepararsi a una mozione di sfiducia.
Non credo ci siano questo tipo di valutazioni. Il piano di Netanyahu è noto da tempo, è trasparente ed è un piano trentennale, chiamato ‘Clean Break’, dal nome del documento politico preparato nel 1996 da un gruppo di studiosi guidato da
Richard Perle. Un documento che prevede il dominio in Medio Oriente, l’utilizzo dei valori occidentali come schermo per agire e anche una sostanziale autonomizzazione dagli Stati Uniti. Non è dunque una questione di politica interna.
Pensa che l’attacco sia particolarmente duro per l’Iran, che quindi rappresenti uno smacco per il regime degli Ayatollah?
Sì, non c’è dubbio. Israele ha portato contro Teheran un serio attacco finalizzato a decapitare i vertici militari e a infliggere danni seri. Il Mossad si è infiltrato nella sicurezza iraniana, proprio come ha fatto recentemente in Russia lo Sbu ucraino. Ci sono curiose analogie tra i due attacchi.
Il presidente Usa, Donald Trump, aveva assicurato che non ci sarebbero stati attacchi e in qualche modo voleva trovare un terreno negoziale con l’Iran. Pensa che questo attacco rappresenti una sconfitta per l’iniziativa di Trump?
Non credo si tratti di una sconfitta per Trump semplicemente perché l’attacco è stato pensato insieme agli Stati Uniti al di là delle dichiarazioni formali. Si tratta di una iniziativa che è parte integrante dell’alleanza Usa-Israele e in questo senso credo sia stata strettamente coordinata.
Dopo gli attacchi notturni Israele ha continuato a sferrare colpi anche nella giornata di ieri: lei pensa che ci sarà un allargamento della guerra nell’area
Sì, credo che Israele promuoverà una sorta di guerra eterna. Non può uccidere tutti gli arabi e gli iraniani, però ormai sogna di farlo o almeno di sottometterli.
A questo punto occorre pensare al peggio? Siamo più vicini a una guerra nucleare o addirittura alla terza guerra mondiale?
Sì, più vicini che mai. I nostri governi si comportano come bambini che giocano con i fiammiferi. E stanno appiccando un fuoco che non sarà facile spegnere.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL MOMENTO IN CUI L’IRRESPONSABILITA’ CRIMINALE DI TEL AVIV, SOSTENUTA DALLA COMPLICITA’ DI TRUMP, HA SPENTO OGNI POSSIBILE TRATTATIVA CONTRO LA PROLEFERAZIONE NUCLEARE
Gli eventi della notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 rimarranno nella storia come il momento
in cui l’irresponsabilità criminale di Tel Aviv, sostenuta dalla complicità di Washington e dall’impotenza dell’Europa, ha dato un colpo, forse mortale, al maggiore ostacolo verso la guerra atomica: il regime di non
proliferazione nucleare stabilito dal Trattato del 1970 (Tnp) e costruito pazientemente nei decenni successivi alla Guerra fredda.
Israele ha commesso un delitto di proporzioni storiche. Bombardando le installazioni nucleari civili di uno Stato parte del Tnp, posto sotto il controllo dell’Agenzia Atomica di Vienna (Aiea), Netanyahu ha violato simultaneamente il diritto internazionale, la Carta Onu e ogni principio di proporzionalità. Ma l’aspetto più grave è che questo atto ha fornito all’Iran la giustificazione giuridica perfetta per ritirarsi dal Tnp e sviluppare armi nucleari in piena legalità internazionale. L’articolo 10 del Tnp permette il ritiro quando “eventi straordinari abbiano messo in pericolo gli interessi supremi” di uno Stato. È difficile immaginare evento più straordinario di un assalto militare. La Corea del Nord invocò lo stesso articolo nel 2003 per molto meno. E tre anni dopo aveva la bomba, in regime di legalità internazionale perché non si è mai riusciti a proibire l’atomica.
L’Iran può ora citare un pesante attacco militare contro la sua sovranità territoriale e le sue installazioni militari legali. Netanyahu ha appena regalato all’Iran la strada legale verso l’arma nucleare. Gli Stati Uniti si sono resi complici di questa catastrofe diplomatica. La dichiarazione del Segretario di Stato Rubio di “non essere coinvolti” nell’attacco è farsesca: Israele non può operare senza il tacito consenso americano. Ma è la minaccia di Trump di altri attacchi “ancora più brutali” se l’Iran non firmerà l’accordo nucleare in discussione a rivelare la vera,
demenziale strategia: costringere con la forza l’Iran a firmare un accordo che da adesso in poi non potrà firmare. Se l’Iran dovesse cedere all’ultimatum militare sui negoziati, si creerà un precedente terrificante: qualsiasi Stato nucleare potrà bombardare i vicini per ottenere concessioni politiche o per punirli. Quale fiducia potranno più riporre gli Stati non nucleari in un trattato che non è riuscito a proteggerli dall’aggressione militare proprio mentre rispettavano i loro obblighi internazionali?
L’Iran, nonostante tutte le controversie degli ultimi anni, rimaneva sotto il regime di salvaguardia dell’Agenzia atomica. La bomba atomica era stata oggetto di una fatwa lanciata dai suoi leader supremi. I suoi impianti di arricchimento erano sottoposti a ispezioni internazionali. I suoi scienziati lavoravano in un contesto legale, seppur reso scomodo dalle sanzioni occidentali.
Ucciderli significa aver trasformato il nucleare civile in un obiettivo militare, distruggendo – stile Gaza – una delle più importanti distinzioni del diritto internazionale. L’Europa sta assistendo impotente al crollo di un suo capolavoro politico e diplomatico. L’accordo del 2015 che toglieva le sanzioni e reintegrava Teheran nel contesto internazionale era il simbolo del multilateralismo europeo, una prova che l’Europa poteva essere un attore globale autonomo. L’accordo fu stracciato da Trump nel 2018, ma è rimasto in vigore dal lato europeo. Oggi, Francia, Germania e Regno Unito si limitano a timidi appelli alla “moderazione” mentre il loro capolavoro viene distrutto sotto i loro occhi
Questa impotenza europea non è soltanto strategica, è
esistenziale. Se l’Europa non riesce a difendere il multilateralismo quando viene attaccato, quale è la sua ragion d’essere geopolitica? Il precedente è devastante: se uno Stato può bombardare le installazioni nucleari civili di un altro senza conseguenze, il Tnp è carta straccia.
Il Consiglio di Sicurezza, paralizzato dai veti incrociati, starà a guardare come già fece con la Corea del Nord. Il risultato sarà una spirale di proliferazione nucleare che coinvolgerà Arabia Saudita, Turchia, Egitto e altri attori regionali. L’incubo che abbiamo evitato per settant’anni potrebbe diventare realtà. L’Iran ha ora 90 giorni per ritirarsi dal Tnp, e avrà il diritto internazionale dalla sua parte. Un Iran nucleare non sarà più un “regime canaglia”, ma uno Stato sovrano che si difende in un mondo dove la forza sembra avere, al momento, sostituito il diritto.
Netanyahu, Trump e l’Europa hanno appena aperto il vaso di Pandora nucleare. Le conseguenze di questa irresponsabilità ricadranno sulle prossime generazioni.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL DISASTRO DI UN CRIMINALE RIFUGIATO IN UN BUNKER COI SUOI MINISTRI
“Attacchi mirati”, ma continuati, andati avanti per tutta la giornata. L’operazione “Leone nascente” lanciata ieri da Israele contro centinaia di siti militari in Iran ha fatto apparire la Repubblica islamica inizialmente indifesa, poi ha innescato la
ritorsione: un diluvio di missili sulle città israeliane. “Israele ci ha dichiarato guerra”, ha detto la guida suprema di Teheran, Ali Khamenei.
Con una complessa operazione aerea, l’aviazione di Tel Aviv ieri ha colpito 200 obiettivi in diverse ondate (con F-15 e F-35 che hanno sorvolato la Siria con l’assenso del nuovo presidente Ahmed Al-Sharaa). Altri obiettivi sono stati colpiti con droni, lanciati da dentro il territorio iraniano da cellule che il Mossad addestrava da mesi, composte da iraniani addestrati all’estero. I
missili israeliani hanno colpito i siti nucleari di Natanz, il più noto e il più devastato ma anche il meno rilevante, quello più importante di Fordow, vicino a Qoms, e un altro nella provincia di Isfahan. Le turbine di arricchimento si trovano centinaia di metri sottoterra, è noto che l’aviazione dello Stato ebraico non abbia le bombe necessarie a penetrare così in profondità, ma l’attacco “al cuore del programma nucleare iraniano”, come lo ha definito Benjamin Netanyahu, ha mostrato un obiettivo più ampio: politico. “La forza militare da sola non può neutralizzare il programma nucleare iraniano”, ha chiarito il capo del Consiglio di sicurezza nazionale di Israele Hanegbi: serve la pressione politica degli Stati Uniti, o l’implosione del regime.
Oltre a radar, lanciamissili e basi (anche nella capitale Teheran), sono stati colpiti gli appartamenti di generali, scienziati, leader delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Sono stati uccisi Mohammad Bagheri, capo di Stato maggiore delle forze armate e secondo comandante in capo dopo l’Ayatollah Ali Khamenei, i generali Abdolrahim Mousavi, Gholamali Rashid, Hossein Salami comandante delle Guardie rivoluzionarie islamiche e pure il comandante della Forza Quds, l’unità d’élite dei
pasdaran, Esmail Qaani. E ancora, il capo del programma missilistico iraniano, sei scienziati centrali nello sviluppo del programma nucleare e Ali Shamkhani, uno dei politici più influenti, stretto confidente della Guida suprema.
Le testate killer hanno bucato le pareti delle loro case e sono andati a cercarli nel letto, o al tavolo delle riunioni d’emergenza. L’intero vertice della forza aerea delle Guardie rivoluzionarie è stato eliminato così: “Sapevamo che i primi raid li avrebbero spinti a riunirsi e sapevamo dove aspettarli”, ha detto una fonte militare ieri a Fox News. I media iraniani contano 78 morti e 329 feriti in totale. Due caccia con la stella di David sarebbero stati abbattuti. Israele intende proseguire per due settimane.
Le difese di Teheran hanno risposto solo 15 ore dopo i primi attacchi. In serata, poi, la Repubblica islamica ha lanciato una raffica di centinaia di razzi, anche balistici, contro le città di Israele, per lo più intercettati da Israele anche grazie all’aiuto americano. Alcuni però sono caduti in centro a Gerusalemme e a Tel Aviv, dove è stato colpito il ministero della Difesa proprio davanti alla piazza dove si riuniscono da 20 mesi le famiglie degli ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre.
Praticamente tutti gli abitanti di Israele hanno ricevuto l’avviso di trovare riparo nei rifugi: 21 i feriti. Khamenei ha promesso strali, ma la sua ritorsione è parsa contenuta. Fonti israeliane ipotizzano che, in risposta, saranno colpite aree civili in Iran. Ieri è stata colpita una delle residenze della Guida suprema a Teheran, ma non ci sarebbero “piani per ucciderlo”. Ma questo “è solo l’inizio”, assicurano i vertici di Tel Aviv.
È invece la fine del negoziato sul nucleare aperto da Donald
Trump: l’Iran ieri si è ritirato dai colloqui con gli Stati Uniti sul nucleare. Il presidente Usa però si è detto convinto che l’offensiva spingerà l’Iran a scendere a compromessi, ha confermato di essere al corrente dei piani israeliani e di non essere spaventato da una escalation regionale.
Il premier israeliano ieri sera, da un bunker, ha parlato con Trump e in un video ha invitato il popolo iraniano a ribellarsi. Prima aveva rivelato di aver concepito l’operazione dopo l’uccisione di Nasrallah, perché l’Iran avrebbe accelerato sul nucleare dopo il crollo dei proxy: ora punta a usare la stessa tecnica di decapitazione della leadership usata su Hezbollah. Ieri Vladimir Putin ha offerto la mediazione della Russia nel conflitto.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
SOLO IL GIAPPONE ROMPE IL FRONTE ”OCCIDENTALE”: “DEPLOREVOLI”
Ha resistito poche ore la schiena dritta rispetto a Israele da parte di Uk e Ue, ritornate
subito, nelle risposte all’attacco dello Stato ebraico a obiettivi militari e popolazione civile iraniani, alla solita retorica. Che impone loro di premettere, sempre e comunque, il riconoscimento del diritto di Israele a difendersi in ogni caso, anche provocando una guerra regionale con ripercussioni globali.
“Riaffermiamo il diritto di Israele di difendersi contro qualsiasi attacco. È essenziale che tutti i canali diplomatici siano
mobilitati per ridurre le tensioni” per il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. Parigi manterrà l’impegno di riconoscere la Palestina alla conferenza di Parigi del 17-20 giugno?
Quasi identica la risposta del cancelliere tedesco Merz, che era stato informato del piano da Netanyahu: “Riaffermiamo che Israele ha il diritto di difendersi. Esprimiamo profonda preoccupazione per le ambizioni nucleari dell’Iran. Ma chiediamo a entrambe le parti di astenersi da passi che potrebbero portare a un’escalation e destabilizzare la regione”.
Era all’oscuro invece il primo ministro britannico Starmer: “Esortiamo tutte le parti a fare un passo indietro e a ridurre e tensioni”. Ma il ministero della Difesa ha dato notizia che, al contrario dello scorso anno, l’aeronautica militare Uk non è al fianco di Israele in caso di contrattacco iraniano.
Per il segretario generale della Nato Mark Rutte è “cruciale” lavorare per ridurre le tensioni. Ursula von der Leyen, presidente Commissione Ue, ha parlato di situazione “allarmante” esortando tutte le parti a esercitare moderazione, ridurre le tensioni e astenersi da ritorsioni perché “una soluzione diplomatica è più urgente che mai per la sicurezza regionale e globale”.
Sulla stessa linea un portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, che ha invitato entrambe le parti “a mostrare la massima moderazione, evitando a tutti i costi una discesa in un conflitto più profondo, una situazione che la regione può difficilmente permettersi”. Più netto Rafael Grossi, direttore generale dell’Aiea: “Qualsiasi azione militare
che comprometta la sicurezza delle strutture nucleari rischia di avere gravi conseguenze per il popolo iraniano, la regione e oltre”.
Condanne esplicite invece da Mosca, Pechino e Tokyo. Attacco “non provocato” e “assolutamente inaccettabile”, che viola lo Statuto delle Nazioni Unite, per il Ministro degli Esteri russo Lavrov. Lin Jian, portavoce del Ministero degli Esteri cinese: “Pechino si oppone alla violazione della sovranità, della sicurezza e dell’integrità territoriale dell’Iran, all’intensificazione delle tensioni, all’espansione dei conflitti”. Il ministro degli Esteri giapponese, Takeshi Iwaya: “In un contesto di sforzi diplomatici in corso l’uso della forza militare è deplorevole”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
“TRUMP HA ILLEGALMENTE USURPATO L’AUTORITÀ DEL PROGRAMMA, HA NEGATO LE BORSE DI STUDIO A UN SOSTANZIOSO NUMERO DI PERSONE CHE ERANO STATE SELEZIONATE PER RICEVERLE”
Dopo le università come Harvard e Columbia, Donald Trump mette nel mirino le celebri borse di studio Fulbright, che dopo la Seconda guerra mondiale hanno permesso a decine di migliaia di americani di studiare, insegnare e fare ricerche all’estero, e ad altrettanti stranieri di studiare negli Stati Uniti: il più noto e ampio programma di interscambio culturale, che ha permesso al mondo di conoscere la democrazia Usa.
L’intero consiglio di amministrazione del Fulbright Program ha
annunciato le dimissioni, accusando la Casa Bianca di interferenze politiche che rendono impossibile continuare il programma.
«Abbiamo deciso di dimetterci piuttosto che permettere azioni senza precedenti che a nostro giudizio violano la legge, compromettono gli interessi dell’America e minano la missione affidataci dal Congresso ottant’anni fa», informa un comunicato del consiglio di amministrazione.
I suoi membri affermano che il presidente Trump ha «illegalmente usurpato l’autorità» del Programma Fulbright negando le borse di studio a «un sostanzioso numero» di persone che erano state selezionate per riceverle. La Casa Bianca, aggiunge il comunicato, ha inoltre messo arbitrariamente sotto esame altri 1200 borsisti, che ora potrebbero vedersi revocare i fondi.
Senza fornire prove, la Casa Bianca accusa Harvard e in generale il mondo accademico di consentire l’iscrizione di pericolosi radicali, estremisti politici e addirittura criminali.
L’analoga accusa al Fulbright è di finanziare gli studi di americani all’estero o di stranieri in America selezionando persone e argomenti contrari alle posizioni di Trump.
Dal primo dopoguerra, più di 370 mila persone hanno beneficiato di borse Fulbright. Tra gli ex-borsisti ci sono stati 62 premi Nobel (fra cui l’economista Joseph Stiglitz), 88 premi Pulitzer, 40 futuri capi di Stato e di governo (tra i quali il premier britannico Rishi Sunak) e un segretario generale dell’Onu, l’egiziano Boutros Boutros-Ghali. […] Tra gli italiani che hanno ricevuto borse Fulbright figurano Giuliano Amato, Alberto Asor Rosa, Sabino Cassese, Umberto Eco, Margherita Hack e Federico Zeri.
Il New York Times riporta che il consiglio d’amministrazione aveva approvato borse per 200 insegnanti e ricercatori americani in procinto di partire questa estate, ma la Casa Bianca
le ha bloccate citando il soggetto dei loro studi come inappropriato. «Il Fulbright è nato per essere un’organizzazione bipartisan», protesta la senatrice democratica Jeanne Shaheen, «non soggetta ai favoritismi politici che distinguono l’amministrazione Trump».
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Giugno 14th, 2025 Riccardo Fucile
L’AZIENDA DI MOUNTAIN VIEW HA UN GROSSO VANTAGGIO RISPETTO ALLA CONCORRENZA: APPLE NON PUÒ ANCORA INTRODURRE FUNZIONALITÀ SIMILI IN EUROPA
Immaginiamo di partecipare a una riunione con persone che parlano una lingua per noi
incomprensibile. Solitamente in questi casi ci si accorda per parlare in inglese, ormai una lingua franca ma non sempre è sufficiente; oppure ci si deve affidare a un traduttore, accettando una comunicazione meno fluida e mediata da terzi.
E se la traduzione avvenisse in automatico mentre parliamo, facendoci ascoltare direttamente la voce dell’interlocutore che parla, tradotta nella nostra lingua quasi in tempo reale? Non è (più) fantascienza. È la funzionalità di traduzione vocale di Google Meet pronta a sbarcare in Italia, come annunciato ieri al Google Cloud Summit.
Una novità che arriva mentre, per esempio, altre Big Tech come Apple non possono ancora introdurre funzionalità simili in Europa, non solo perché non si è ancora adeguata alle richiest dei regolatori europei in tema di interoperabilità; ma anche perché ci sono ancora problemi di compatibilità linguistica con l’italiano.
Anche Microsoft su Teams ha un sistema analogo (chiamato Interpreter), così come sugli smartphone di Samsung e della già citata Apple sono previste funzioni di traduzioni vocali real time , ma non sono ancora molto efficaci o non sono disponibili in italiano. Il richiamo è, ovviamente, al mito biblico della Torre di Babele, dove l’umanità, un tempo unita da un’unica lingua, viene divisa in popoli che non si comprendono più.
Oggi, grazie all’Ai , questo obiettivo si realizza in modo nuovo: non con un’unica lingua globale, ma con strumenti in grado di tradurre in tempo reale le parole che ascoltiamo. Esattamente ciò che avviene con la traduzione vocale di Google Meet.
Il Corriere l’ha provato in anteprima per l’Italia. Possiamo dire che la trasposizione da inglese a italiano (e viceversa) funziona bene: nelle conversazioni che abbiamo fatto non ci sono stati errori.
Un dettaglio rivoluzionario è che la voce che sentiamo tradotta nella lingua da noi scelta (nel nostro caso inglese) è praticamente la stessa della persona che parla. Tono, intensità, emozione nella voce sono le medesime, cambia solo la lingua. [
Tutto questo progresso apre però anche una serie di riflessioni. Professionali (che fine faranno gli interpreti?), ma non solo. Anche ambientali. Quando tutto il mondo utilizzerà in maniera massiva queste applicazioni, quanta energia servirà per farle funzionare? I modelli linguistici avanzati e la generazione audio neurale, su cui si basano queste tecnologie, richiedono infatti una notevole potenza computazionale.
(da Corriere della Sera)
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