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“SUL CASO ALMASRI IL GOVERNO ITALIANO NON HA OTTEMPERATO AI SUOI OBBLIGHI”: LO SCHIAFFONE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE A GIORGIA MELONI E A CARLO NORDIO, CHE “HANNO IMPEDITO AL TRIBUNALE DI ESERCITARE LE PROPRIE FUNZIONI”

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

IL PROCURATORE DELLA CPI NAZHAT SHAMEEM KHAN SMONTA PUNTO PER PUNTO GLI APPIGLI LEGALI USATI DA NORDIO PER GIUSTIFICARE IL RIMPATRIO DI ALMASRI… IN UN PAESE NORMALE STASERA NORDIO AVREBBE DOVUTO DIMETTERSI CON DISONORE

Nessuna giustificazione plausibile. La procura della Corte penale internazionale accusa senza mezzi termini il governo
italiano di «non aver ottemperato ai suoi obblighi» sul caso Almasri e di aver così «impedito alla Corte di esercitare le sue funzioni». Cioè di processare il capo della polizia giudiziaria di Tripoli, accusato di crimini contro l’umanità per le violenze e le torture nei confronti dei migranti detenuti nelle prigioni libiche.
Nelle 14 pagine di «osservazioni» firmate l’altro ieri dal procuratore Nazhat Shameem Khan viene demolita pezzo per pezzo la memoria difensiva inviata da Roma a L’Aja lo scorso 6 maggio, in replica alle accuse di mancata cooperazione formulate il 17 febbraio dalla Cpi.
In particolare, viene contestato l’appiglio giuridico a cui, da ultimo, si è aggrappato il governo per risolvere il pasticcio. Cioè la presunta richiesta di estradizione formulata dalla Libia lo scorso 20 gennaio, due giorni dopo l’arresto di Almasri a Torino in esecuzione di un mandato di cattura internazionale.
Una richiesta, viene sottolineato, resa nota «oltre tre mesi dopo il rilascio di Almasri» e, vale la pena ricordarlo, mai menzionata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, nelle sue informative in Parlamento.
Il fatto è che «la documentazione fornita dall’Italia non include alcun mandato d’arresto presumibilmente emesso dalle autorità libiche». E poi sappiamo che, alla fine, Osama Almasri «non è stato né consegnato alla Corte né è stato estradato (e arrestato) in Libia al suo ritorno – si legge – ma trasferito in piena libertà a Tripoli, dove fu accolto da una folla festante».
Trasferito con un nostro aereo di Stato, con tanto di bandiera italiana ben visibile. Dunque, sottolinea il procuratore de L’Aja, «l’Italia sembra aver ritenuto di poter esercitare discrezionalità
nel determinare se potesse dare priorità alla richiesta di estradizione della Libia rispetto alla richiesta di consegna della Corte», mentre aveva «aveva l’obbligo di consultare la Corte e la sua mancata consultazione costituisce di per sé una grave inadempienza».
In fondo, il principale addebito che arriva da L’Aja è quello di aver agito senza un confronto e uno scambio di informazioni «di fronte a qualsiasi problema percepito che potesse ostacolare l’esecuzione della richiesta di consegna della Corte, ai sensi dell’articolo 97 dello Statuto». Come se a Palazzo Chigi fosse stato già deciso che, in un modo o nell’altro, Almasri dovesse essere riportato in Libia da uomo libero.
C’è poi una parte dedicata proprio al ministro Nordio, che è «l’unico destinatario delle richieste di cooperazione della Corte» e dovrebbe «semplicemente eseguire la richiesta trasmettendola al Procuratore generale».
Senza alcuna facoltà di valutare la congruità dei capi di imputazione. Cosa che invece il Guardasigilli ha fatto, come ha spiegato lui stesso in Parlamento, contestando «un’incertezza assoluta sulla data dei delitti commessi: nel mandato di arresto non si capisce se il reato fosse iniziato nel 2011 o nel 2015», queste le sue parole alla Camera.
Più in generale, si legge nel documento, «la conclusione dell’Italia è giuridicamente e di fatto insostenibile» e le osservazioni inviate a L’Aja «non forniscono alcuna spiegazione praticabile, tantomeno una giustificazione, per la sua incapacità di cooperare». La conseguenza di questa complessiva bocciatura della linea difensiva del nostro governo è inevitabile: la procura della Corte penale internazionale «chiede alla Camera di emettere un accertamento formale di inadempienza nei confronti dell’Italia e di deferire la questione all’Assemblea degli Stati parti e/o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». Il caso Almasri è tutt’altro che chiuso.
(da La Repubblica)

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ACQUAROLI FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI E FRATELLI D’ITALIA MANDA IL BADANTE BOCCHINO NELLE MARCHE

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

ARIANNA MELONI, PREOCCUPATA ALL’IDEA DI PERDERE LA REGIONE, HA DECISO DI COMMISSARIARE IL GOVERNATORE MELONIANO FINITO ALL’ULTIMO POSTO NELLA SPECIALE CLASSIFICA DEL “SOLE 24ORE” SUL GRADIMENTO DEI PRESIDENTI DI REGIONE… BOCCHINO E’ L’IDEALE PER ASSESTARGLI IL COLPO DI GRAZIA

La notizia è, diciamo così, sfiziosa assai. E per raccontarvela bisogna andare a Macerata. Sapete come funziona: ogni volta che una regione può diventare decisiva in una tornata elettorale, con scarsa fantasia diciamo che diventa l’Ohio d’Italia. Stavolta, tocca alle Marche. Elly Schlein è infatti convinta di vincere in Puglia, Campania e Toscana. E dà per scontata la sconfitta in Veneto.
La partita marchigiana diventa perciò decisiva per trasformare una possibile vittoria alle regionali, in trionfo (per 4 a 1). Al Nazareno sono, come accade spesso, piuttosto baldanzosi, anche perché il loro candidato è Matteo Ricci, l’ex sindaco di Pesaro, ora a Strasburgo, un tipo considerato sveglio e rampante, appassionato, con il dono dell’empatia, molto mediatico.
E così arriviamo alla notizia: perché il candidato del centrodestra è il governatore uscente Francesco Acquaroli, un fratello d’Italia tra i più cari alle sorelle Meloni. Il fatto che Acquaroli sia finito all’ultimo posto nella speciale classifica del Sole 24ore sul gradimento dei presidenti di regione è considerato un dettaglio (del resto, i partiti, indistintamente tutti i partiti, quasi mai si preoccupano del talento e dei risultati ottenuti dai propri uomini: ciò che conta è la fedeltà).
A preoccupare, e molto, Arianna – comandante in capo del partito – sono piuttosto le modeste (delicato eufemismo) capacità oratorie di Acquaroli, e una sua certa predisposizione all’inciampo (pensate che, nel 2019, partecipò, senza rendersene conto, a una cena organizzata per celebrare l’anniversario della Marcia su Roma).
Se dobbiamo perdere, almeno perdiamo con onore, si sono quindi detti in via della Scrofa. Il nostro candidato va affiancato. Serve un badante (politico). Che conosca il mestiere. E che magari sia pure bravo nell’arte del comunicare. Uno tipo Italo Bocchino, il direttore del Secolo d’Italia. Poche ore dopo, Bocchino era già operativo. Aiuterà Acquaroli? Vedremo. Intanto s’è messo subito a rilasciare interviste (al Foglio). Dico lui, Bocchino. Mica Acquaroli.
(da agenzie)

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ALLE REGIONALI IN VENETO, IL GOVERNATORE E’ TENTATO DALLO STRAPPO DOPO LA BOCCIATURA DEL TERZO MANDATO CHE LO HA MANDATO SU TUTTE LE FURIE.

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

ZAIA, ANCHE PER SMARCARSI DA SALVINI IN ASSE CON I GOVERNATORI DEL NORD, PENSA A UNA LISTA IN PROPRIO E A UN “SUO” CANDIDATO. UNA IPOTESI CHE FRATELLI D’ITALIA VEDE COME IL FUMO NEGLI OCCHI

Una lista a suo nome, come quando Luca Zaia era il candidato presidente. Cassato definitivamente il terzo mandato, torna a farsi largo quella ipotesi che a Fratelli d’Italia non era mai andata a genio tanto che, quando il clima in casa centrodestra era più disteso, si era pensato a un piano B, ossia che al simbolo della Lega fosse sostituito «Salvini» con appunto il nome di «Zaia» per contenere una possibile diaspora di preferenze verso una lista scollegata dai tre partiti della coalizione o al nome di correrà davvero per il governo di palazzo Balbi.
Una ritrosia comprensibile, nel 2020 «Zaia presidente» fece incetta di voti: più di 916 mila pari al 44,5%, contro i 348 mila della Lega (16,9%),
I malumori verso Salvini
La disponibilità a fare un passo indietro, appunto sulla lista Zaia, ora viene rimessa in discussione. Nell’arco di nemmeno un mese le cose hanno preso un’altra piega: dopo il quinto stop al terzo mandato anche la speranza di far slittare dall’autunno alla primavera le elezioni sembra avere poco fondamento.
E così, da un mormorio di sottofondo contro le scelte romane, sempre di più anche nei confronti del leader leghista Matteo Salvini, l’entourage veneto starebbe iniziando ad alzare la voce, Zaia compreso, il cui disappunto per come si è chiusa la partita è palpabile per quanto non ancora espresso.
Un malumore verso la coalizione in generale e nei confronti del leader leghista che non avrebbe creduto abbastanza al terzo mandato e nemmeno agito con fermezza in difesa dei suoi governatori del Nord e cioè Zaia, Massimiliano Fedriga (Friuli-Venezia Giulia), Maurizio Fugatti (provincia autonoma di Trento).
L’asse tra i tre si sarebbe rinsaldata e inizierebbe ad allargarsi al lombardo Attilio Fontana: la loro appartenenza alla Lega non è in dubbio ma sarebbe sempre più forte la volontà di cambiare le cose in seno al partito.
L’ipotesi di un nome sostenuto da Zaia
In tal senso, i rumors veneti parlano chiaro: a ottobre potrebbe esserci la lista del presidente, non del candidato che sarà scelto dalle consultazioni romane tra i segretari nazionali bensì dell’uscente. Una lista di centrodestra, ma non è detto che il sostegno andrà a chi sarà nominato a diventare il nuovo governatore. Potrebbe spuntare cioè un altro nome e potrebbe addirittura avere il sostegno dello stesso Zaia. Se si tratti di una
forma di pressing per smuovere le cose a Roma o di uno scenario realistico non è chiaro, ma l’ipotesi di un candidato «autonomo» viene raccontata come una possibilità.
Cosa accadrà, dipenderà dalle decisioni che prenderanno i segretari nazionali Antonio Tajani (FI), Salvini (Lega) e la premier Giorgia Meloni per FdI. Sul piatto però non ci sono solo le regionali venete, vanno rinnovati anche governatori e consigli di Marche, Toscana, Puglia, Valle d’Aosta e Campania.
(da agenzie)

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SALVATE IL SOLDATO SALVINI! DA QUI ALLE REGIONALI D’AUTUNNO, SARANNO GIORNI DA INCUBO PER IL PIÙ TRUMPUTINIANO DEL BELPAESE

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

I DELIRI DEL “BIMBOMINKIA” (COPYRIGHT FAZZOLARI) SU UE, NATO, UCRAINA SONO UN OSTACOLO PER IL RIPOSIZIONAMENTO DELLA DUCETTA VERSO L’EURO-CENTRISMO VON DER LEYEN-MERZ, DESTINAZIONE PPE…AL VERTICE DELL’AJA, LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” HA INIZIATO INTANTO A SPUTTANARLO AGLI OCCHI DI TRUMP: SALVINI È COSÌ TRUMPIANO CHE È CONTRARIO AL RIARMO E PROFONDAMENTE OSTILE AI DAZI

Salvate il soldato Salvini! Da qui alle regionali d’autunno, saranno giorni da incubo per il più trumputiniano del Belpaese. Scazzo dopo scazzo, vaffa dopo vaffa, la Ducetta deve asfaltare o ridurre all’impotenza il “Bimbominkia” (copyright Fazzolari).
I deliri del leader della Lega su Ue, Nato, Ucraina sono un ostacolo non solo nella sua opera di concentrazione di potere ma anche per il suo riposizionamento geopolitico verso il centrismo tedesco del cancelliere Merz, destinazione Partito Popolare Europeo (Ppe), un passaggio che i volponi di Bruxelles danno come altamente probabile
Avere al fianco, come vicepremier, un tipino poco fino che becera, come è successo a margine dell’incontro precongressuale della Lega a Padova dello scorso marzo: “La burocrazia di Bruxelles è sicuramente dannosa, sia per noi che per chiunque altro. Se l’Europa è rappresentata dalla Von der Leyen e da Macron è morta, è finita”; beh, è un ostacolo insostenibile per l’ultimo, scaltro camaleontismo della Meloni in modalità Ursula.
Ma depotenziare il Carroccio e ridurre l’ex Truce del Papeete all’irrilevanza politica e staccarlo gradualmente dalla maggioranza di Governo, non è un obiettivo facile visto gli ultimi dati dei sondaggi licenziati da Pagnoncelli. Se si somma il 28,2% di Fratelli d’Italia all’8,4% di Forza Italia, la coalizione non può fare a meno dell’8,8% del Carroccio.
Testona e irriducibile com’è, la “Giorgia dei Due Mondi” si è intanto portata avanti con il lavoro di demolizione, iniziando a sputtanarlo agli occhi di Trump.
Al recente vertice dell’Aja, l’ex compagna di Giambruno ha avuto gioco facilissimo nel far capire al presidente americano che quello che si era autoproclamato il più trumpiano del reame non solo è contrario al riarmo, tanto richiesto e imposto dalla Casa Bianca ai paesi Nato, ma è profondamente ostile, vista la sua base di imprenditori del Nordest, anche al dazismo senza limitismo, tanto caro all’’’America First” e Maga, che King Donald vuole imporre all’imbelle Unione Europea.
Se dalle alleanze internazionali e riposizionamenti tra Aja e Bruxelles, si scende poi alla politica politicante di Roma, il discorso però cambia. La Statista della Garbatella sa bene che
mai come in questo momento Matteo Salvini è in una condizione di massima difficoltà e debolezza: i sondaggi danno l’8,8% della Lega figlio per metà di Zaia e Fedriga e l’altra del post-fascio Vannacci.
Alle Europee, infatti, almeno il 2% di consensi della Lega è arrivato grazie alla stampella del generalissimo della Decima, che ai suoi camerati, attovagliati alcune settimane fa all’Hotel Hyatt di Milano, ha assicurato più strafottente che mai che prenderà più voti della Meloni alle politiche del 2027 (ciao core!).
Ma la Thatcher del Colle Oppio sa altrettanto bene che un animale ferito è un animale pericoloso. Capace di gettare alle ortiche il suo governatore del Veneto, Luca Zaia, affondando la trappola del terzo mandato lanciata come ballon d’essai da Donzelli, preferendo tenersi per altri due anni il potere nella regione più ricca del Belpaese: la Lombardia.
Certo, qualora Zaia trovasse il coraggio di chiamarsi fuori dai giochi politici romani, e convogliasse il suo bacino elettorale su un suo candidato nella Liga Veneta, l’elettorato del centrodestra si spacchetterebbe e l’opposizione potrebbe tentare il tutto per tutto convergendo su un candidato civico, e ripetere il “miracolo” Verona, dove nel 2022 vinse il moderatissimo Damiano Tommasi, in quota dem.
Il big bang tra i duellanti di Palazzo Chigi è dunque rinviato all’esito delle Regionali d’autunno: in caso di una scoppola da 4 a 1 a favore dell’opposizione miracolosamente unita nel fatidico “campo largo”, la situazione potrebbe precipitare (all’orizzonte c’è “Azione” di Carlo Calenda che si sta scaldando per salire sul carro del governo Meloni…).
(da Dagoreport)

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TRA MENTANA E LA7 TIRA ARIA DI DIVORZIO: IL POST SU INSTAGRAM, AL SAPORE DI ADDIO, DEL DIRETTORE DEL TGLA7: “IL 2 LUGLIO RADUNERÒ NELLO STESSO STUDIO IN CUI CI CONOSCEMMO 15 ANNI FA TUTTI COLORO CHE HANNO CONTRIBUITO A QUESTA LUNGA CAVALCATA. NON SCOMPARIRÒ”

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

“NON HO MAI SCRITTO NÉ DETTO CHE VADO DA QUALCHE ALTRA PARTE” … A DIVIDERE LE STRADE DEL GIORNALISTA E CAIRO NON C’E’ DI MEZZO IL DIO QUATTRINO, BENSI’ QUESTIONI DI LINEA POLITICA (GIA’ NEL 2004 MENTANA FU PRATICAMENTE “CACCIATO” DAL TG5 DOPO UN VIOLENTISSIMO SCAZZO CON SILVIO BERLUSCONI)

“Viste le reazioni immediate, anche di amici e addetti ai lavori: non ho mai scritto né detto che vado da qualche altra parte”. Lo scrive il direttore del Tg La7, Enrico Mentana, su Instagram a pochi minuti da un suo precedente post in cui aveva scritto: “Il 2 luglio radunerò nello stesso studio in cui ci conoscemmo 15 anni fa tutti coloro che hanno contribuito a questa lunga cavalcata”, riaccendendo evidentemente, e immediatamente, le supposizioni, circolate da giorni, su un suo addio alla direzione telegiornale della Tv di Urbano Cairo.
Nel primo post, Mentana commentava inoltre “Molti ringraziamenti a tutti quelli che mi hanno scritto qui per dire la loro, in un modo o nell’altro. Non scomparirò!”. Non è chiaro – stando a quest’ultima frase – se Mentana manterrà la direzione del TG di La7 o se ricoprirà un ruolo diverso.
Il direttore aggiunge poi una frecciata rivolta ai leoni da tastiera: “E un saluto speciale a tutti gli odiatori, professionali e dilettanti, e ai calunniatori malvissuti. È un onore e un privilegio sapervi così inutilmente livorosi”.
(da agenzie)

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SOLDATI ISRAELIANI CONFERMANO: “ABBIAMO L’ORDINE DI SPARARE SUI CIVILI IN ATTESA DEL CIBO”

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

LE TESTIMONIANZE AL GIORNALE ISRAELIANO HAARETZ

“Gaza è un campo di sterminio, abbiamo l’ordine di sparare sui civili disarmati in attesa di aiuti, la nostra forma di comunicazione con la popolazione è il fuoco”, con queste parole un soldato dell’esercito israeliano ha raccontato l’orrore quotidiano che vive la popolazione palestinese nella Striscia dopo l’invasione dell’Idf che ha messo a ferro fuoco l’enclave. Il racconto fa parte di una serie di testimonianze che soldati e ufficiali dell’esercito israeliano hanno raccontato, in forma anonima, al quotidiano locale Haaretz confermando che i militari hanno avuto l’ordine di sparare sulla folla inerme in attesa di aiuti.
“Dove ero di stanza, ogni giorno venivano uccise da una a cinque persone. Vengono trattate come una forza ostile: niente misure di controllo della folla, niente gas lacrimogeni, solo fuoco vivo con tutto l’immaginabile: mitragliatrici pesanti, lanciagranate, mortai. Solo quando gli spari cessano sanno di potersi avvicinare. La nostra forma di comunicazione è il fuoco” ha spiegato uno dei testimoni.
“Spari sulla folla hanno fatto oltre 500 morti tra i civili”
Nell’ultimo mese sono diverse le segnalazioni di spari sulla folla in attesa di aiuti con centinaia di morti tra la popolazione civile. Dai racconti dei militari emerge che non si tratta di casi isolati ma vi sarebbe una direttiva precisa dei comandanti che avrebbero ordinato alle truppe di sparare sulla folla per allontanarla, controllarla o disperderla, anche se non rappresenta alcuna minaccia.
Secondo le testimonianze raccolte da Haaretz, le IDF sparano sistematicamente alle persone che arrivano prima dell’orario di apertura dei centri ridistribuzione per impedire loro di avvicinarsi, e anche dopo la chiusura dei centri per disperderle. “Apriamo il fuoco la mattina presto se qualcuno cerca di mettersi in fila da poche centinaia di metri di distanza ma non c’è pericolo per le forze. Non sono a conoscenza di un singolo caso di fuoco di risposta. Non c’è nemico, non ci sono armi” ha raccontato un soldato.
Secondo il Ministero della Salute di Gaza, guidato da Hamas, dal 27 maggio oltre 500 persone sono state uccise vicino ai centri di soccorso e nelle aree in cui i residenti attendevano i camion di cibo delle Nazioni Unite.
“Abbiamo sparato anche con le mitragliatrici dai carri armati e lanciato granate. C’è stato un incidente in cui un gruppo di civili è stato colpito mentre avanzava avvolto nella nebbia. Non è stato intenzionale, ma queste cose succedono” ha rivelato un ufficiale ammettendo che il perimetro di sicurezza delle IDF comprende carri armati, cecchini e mortai.
Un alto ufficiale israeliano il cui nome ricorre ripetutamente nelle testimonianze sulle sparatorie vicino ai siti di distribuzione
degli aiuti a Gaza è il generale di brigata Yehuda Vach, comandante della Divisione 252 delle IDF. “Questa è la politica di Vach ma molti comandanti e soldati l’hanno accettata senza fare domande. I palestinesi non dovrebbero essere lì, quindi l’idea è di assicurarsi che se ne vadano, anche se sono lì solo per procurarsi del cibo” ha rivelato un ufficiale.
“Tecnicamente, dovrebbe essere un fuoco di avvertimento, per respingere la gente o impedirle di avanzare ma ultimamente, sparare proiettili è diventata una pratica standard. Ogni volta che spariamo, ci sono vittime e morti, e quando qualcuno chiede perché sia ​​necessario un proiettile, non c’è mai una risposta convincente. A volte, il solo fatto di porre la domanda infastidisce i comandanti” ha rivelato un altro militare, raccontando: “A volte ci dicono che si stanno ancora nascondendo e che dobbiamo sparare nella loro direzione perché non se ne sono andati. Ma è ovvio che non possono andarsene se, nel momento in cui si alzano e scappano, apriamo il fuoco”.
“Sai che non è giusto. Senti che non è giusto: che i comandanti qui si stanno facendo giustizia da soli. Ma Gaza è un universo parallelo. Questa cosa di uccidere innocenti è stata normalizzata. Ci veniva ripetuto continuamente che non ci sono civili a Gaza, e a quanto pare questo messaggio è stato recepito dalle truppe” ha dichiarato un altro ufficiale della riserva, concludendo: “Parlano di usare l’artiglieria su un incrocio pieno di civili come se fosse normale. L’aspetto morale è praticamente inesistente. Nessuno si ferma a chiedere perché decine di civili in cerca di cibo vengano uccisi ogni giorno”.
(da Fanpage)

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LA CASSAZIONE BOCCIA IL DECRETO SICUREZZA, PROVVEDIMENTO BANDIERA DEL GOVERNO MELONI: SBAGLIATO NEL MERITO, NEL METODO, CONTRADDITTORIO, A RISCHIO DI INCOSTITUZIONALITÀ E IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA NORDIO SI DICE “INCREDULO”

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

DALLA NORMA CHE AMPLIA L’OPERATIVITÀ DEI SERVIZI SEGRETI CONSENTENDO LORO DI CREARE PERSINO GRUPPI EVERSIVI, AI NUOVI REATI DI RIVOLTA CARCERARIA E RESISTENZA PASSIVA, NON C’È ARTICOLO CHE PER LA CORTE NON RISULTI SCIVOLOSO … LE OPPOSIZIONI ATTACCANO: “MELONI E MANTOVANO INSISTERANNO SULLA STRADA DA SUDAMERICA ANNI ’70?”

Sbagliato nel merito, nel metodo, contraddittorio, a rischio di incostituzionalità. La plateale bocciatura del decreto sicurezza, provvedimento bandiera del governo Meloni smontato dalla Cassazione in 129 pagine di relazione dell’Ufficio del Massimario, riapre lo scontro fra governo e magistrati.
«Incredulo», si dice il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che fa sapere di aver ordinato di «acquisire la relazione e di conoscerne l’ordinario regime di divulgazione». Parla di «invasione di campo» il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, mentre la Lega con il sottosegretario Andrea Ostellari ricorda: «Quel parere non ha carattere vincolante»
Vero, ma il rischio che metta in discussione il futuro del provvedimento c’è. Per i giudici, le indicazioni contenute nel Massimario sono un imprescindibile punto di riferimento interpretativo. E i rilievi sono numerosi, fanno scricchiolare persino i pilastri su cui il decreto poggia. Per i giudici c’è «un’evidente mancanza» dei presupposti di «necessità e urgenza» che giustificano un provvedimento del genere «e questo ne inficia legittimità costituzionale».
Dalla norma che amplia l’operatività dei servizi segreti e ne decreta la non punibilità, consentendo loro di creare persino gruppi eversivi, ai nuovi reati di rivolta carceraria e resistenza passiva, non c’è articolo che per la Corte non risulti scivoloso. Più di un dubbio è stato sollevato poi in relazione alle nuove norme di criminalizzazione del dissenso, dal nuovo reato di “terrorismo della parola” alle “aggravanti di luogo e di contesto” per proteste e cortei.
Anche lo stop alla vendita della cannabis light è problematico: in assenza di basi scientifiche è solo una violazione della libertà d’impresa. «Un atto d’accusa durissimo» per i 5S, «la conferma di come questa destra stia trasformando la legge penale in propaganda» per il deputato di Avs, Angelo Bonelli. Ma sono tutte le opposizioni a chiedere al governo a tornare in aula. «Così si mette in discussione il senso della nostra democrazia», denuncia il senatore dem Francesco Boccia, mentre il senatore Enrico Borghi gela tutti: «Meloni e Mantovano insisteranno sulla strada da Sudamerica degli anni Settanta?».
Dalla maggioranza, solo voci che assicurano: «Nessun passo indietro».
(da La Repubblica)

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“OLTRE A DARVI I SOLDI CHE ALTRO DEVO FARE?”: NEI GUAI IL RAS SICILIANO DI FRATELLI D’ITALIA GAETANO GALVAGNO, PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA: DECIDEVA I FINANZIAMENTI PUBBLICI NEL SALOTTO DI CASA SUA

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

IL FEDELISSIMO E CONTERRANEO (DI PATERNÒ) DEL PRESIDENTE DEL SENATO LA RUSSA NONCHÉ CANDIDATO ALLA SUCCESSIONE DEL GOVERNATORE SCHIFANI, SI RITROVA INDAGATO PER CORRUZIONE… TIRA UN’ARIA PESANTE PER FDI IN SICILIA: IL PARTITO E’ STATO COMMISSARIATO

Un’organizzatrice di eventi, Marianna Amato, sponsorizzata da un altro esponente di Fratelli d’Italia, gli diceva: «Se trovo associazioni che vogliono fare un evento con l’Ars, magari tu mi dai una mano per un supporto economico finanziario». E si mettevano già d’accordo per un contributo di quindicimila euro.
Poi, parlavano anche di altri eventi da foraggiare. «Non capite l’importanza della cultura», sorrideva la donna e non sospettava di essere intercettata dai finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo. Quella volta, era l’8 luglio del
2024, il presidente la riprese: «L’importanza di cosa? Nascondete il business dietro la parola cultura. Questa è la verità».
Ma Galvagno ha continuato ad elargire finanziamenti agli amici.
E, adesso, il fedelissimo e conterraneo (di Paternò) del presidente La Russa nonché candidato alla successione del governatore Schifani, si ritrova indagato per corruzione dalla procura diretta da Maurizio de Lucia. Insieme all’attivissima Marianna Amato, che nelle intercettazioni veniva indicata come «segnalata» da “Uomo 6”. Chi ci sarà dietro quell’omissis su una persona allo stato non indagata?
Una cosa è certa, questa inchiesta è nata indagando su un altro scandalo siciliano, quello dei fondi milionari per una mostra a Cannes organizzata dell’assessorato al Turismo all’epoca diretto da Manlio Messina, deputato FdI che si è dimesso qualche mese fa dalla carica di vicecapogruppo alla Camera.
Le intercettazioni hanno svelato anche le antipatie all’interno del “cerchio magico” di Galvagno: l’imprenditrice Marcella Cannariato, la moglie di Tommaso Dragotto (il patron di Sicily by car), pure lei indagata per avere incassato tanti finanziamenti, detestava Marianna Amato. Ma Galvagno non voleva sentire ragioni: «Marianna è di “Uomo 6”, non la può fare fuori, perché i soldi glieli sto dando».
Il presidente era perentorio: «Io più di darvi i soldi, cosa devo fare?».
C’era un rapporto forte fra il presidente dell’Ars e la signora Dragotto, animatrice della omonima fondazione. Il 30 novembre 2023, le telecamere piazzate dalla Finanza davanti casa di Galvagno, nel centro di Palermo, registrarono un incontro fra Galvagno e Marcella Cannariato. Alle 8.46 del mattino. Alle 10.46, Cannariato tornò per parlare con Sabrina De Capitani, la portavoce del presidente, pure lei indagata. Parlarono per due minuti, chissà cosa avevano da dirsi di così riservato.
Per certo, Galvagno avrebbe fatto avere nel dicembre 2023 un contributo di 100 mila euro al “Magico Natale” organizzato dalla fondazione Dragotto per i bambini bisognosi di Palermo. Ma di bambini bisognosi non ce n’era neanche uno. «Hanno tutti felpe da 300 euro», dicevano nelle intercettazioni.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, il meccanismo era rodato: Galvagno dava i finanziamenti e gli imprenditori davano incarichi ai suoi collaboratori. La più retribuita era la portavoce di Galvagno, Sabrina De Capitani, che è stata intercettata mentre diceva a Marianna Amato: «Io non mi devo dimenticare che lavoro per il partito e non per il Parlamento». E, poi, ancora: «Noi dobbiamo essere delle lobbiste». Meditavano di fare un “gruppo, una fondazione”. Ma, poi, quando parlava con Galvagno, c’era solo lei, Sabrina De Capitani: «Ho a che fare con la Dragotto, con la Monterosso (l’ex presidente della Fondazione Federico II, ndr), con la Amato… potessero uccidersi… meno male che facciamo anche l’evento sulle donne».
Tira un’aria pesante per Fratelli d’Italia in Sicilia: dopo liti e inchieste è stato inviato un commissario, Luca Sbardella
(da agenzie)

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AGENTI O PROVOCATORI? GLI INFILTRATI IN POTERE AL POPOLO SI FINGEVANO STUDENTI E GRIDAVANO SLOGAN CONTRO MELONI

Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile

GIOVANI POLIZIOTTI INFILTRATI NEL PARTITO DI SINISTRA IN BASE A QUALE MOTIVO LEGITTIMO? QUESTI SISTEMI LI USANO LE DITTATURE

Erano lì in prima fila di fronte al Teatro dal Verme di Milan per contestare Carlo Calenda, di fronte all’università Bicocca per urlare contro il ministro Tommaso Foti, in piazza a Bologna a sventolare cartelli e striscioni pro-Pal e contro la presenza della premier Giorgia Meloni. Cinque giovani, vestiti come gli altri e che come gli altri erano entrati a far parte dell’associazione
giovanile Cambiare Rotta e di Potere al Popolo. Cinque ragazzi maggiorenni o poco più che in realtà, come racconta Fanpage in un’inchiesta esclusiva, sarebbero agenti della «antiterrorismo» e farebbero parte di una vera e propria operazione di infiltrazione per sorvegliare dall’interno un partito.
Secondo il giornale online, i cinque giovani agenti – inizialmente ne era stato individuato solo uno – farebbero tutti parte del 223esimo corso allievi della Polizia dello Stato. Poi ognuno è andato per la sua strada: Milano, Bologna, Roma e quella già nota di Napoli, passando prima da una Questura e poi alla Direzione centrale della polizia di prevenzione dal dicembre 2024. Il trasferimento ufficiale, però, avveniva solo uno o due mesi dopo l’inizio della loro operazione di infiltrazione, che partiva dai ranghi – evidentemente più penetrabili – dell’organizzazione Cambiare Rotta.
I casi di Milano e Bologna: «Erano con noi quando denunciavamo il loro collega di Napoli»
Secondo alcune testimonianze raccolte da Fanpage, i primi due si sarebbero inseriti nell’organizzazione giovanile fingendosi studenti dell’Università Statale di Milano. Si dicevano fuorisede, «con a cuore il tema del carovita a Milano» e partecipavano a tutte le contestazioni e manifestazioni. Non dicevano di conoscersi, racconta un attivista di Cambiare Rotta, «ma nei momenti comuni erano molto affiatati, hanno socializzato fin da subito». Uno dei due, descritto come più schivo e meno disposto a farsi fotografare e riprendere, avrebbe addirittura svolto il periodo di prova al Viminale. La storia si ripete identica a Bologna con un altro agente 21enne: carovita,
costo dei biglietti dei trasporti, contestazioni all’interno dell’università. «È stato presente al corteo per la Palestina il 30 novembre scorso a Roma. E partecipa molto attivamente alla campagna elettorale all’università per l’elezione del consiglio nazionale studentesco universitario», ha raccontato il portavoce nazionale di Potere al Popolo, Giuliano Granato. Era lì con loro anche quando, megafono in mano, a fine maggio veniva denunciato in pubblica piazza il caso dell’agente infiltrato a Napoli. Il suo collega.
La Sapienza di Roma e l’infiltrazione fallita
A Roma, invece, il tentativo di infiltrazione è fallito. L’agente in questione, dopo un periodo alla Questura di Cremona, aveva messo nel mirino le diramazioni di Poetere al Popolo che arrivano all’Università della Sapienza. «Si è avvicinato a noi tramite un banchetto informativo elettorale», ha spiegato una giovane attivista. «È spuntato dal nulla, non lo aveva mai visto nessuno, diceva di essere iscritto alla Sapienza dall’anno precedente. Più o meno i volti, facendo politica all’università, li riconoscevo e quindi mi aveva proprio stranito che questa persona non fosse mai comparsa». Tempo due settimane e il presunto agente si era dissolto nel nulla.
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