Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA GIUDICE LIBERALE SONIA SOTOMAYOR PARLA DI “PARODIA DELLO STATO DI DIRITTO” … “TERRIFICANTE PASSO VERSO L’AUTORITARISMO”
L’America come nazione dal punto di vista della giustizia federale non esiste più. Con
una votazione sullo ius soli di 6 a 3 la Corte suprema, guidata dai conservatori, ha riconosciuto il diritto del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a non
vedere la sua agenda politica bloccata dai giudici federali. Anche quando cancella un principio sacro per gli americani come il diritto di cittadinanza per nascita.
Alla luce della sentenza le corti statali potranno contestare la legittimità degli atti solo a livello locale, non nazionale. Nel caso specifico dello ius soli, ad esempio, poiché ventidue procuratori generali democratici hanno contestato la legittimità dell’abolizione della norma decisa da Trump con un ordine esecutivo, il provvedimento resterà congelato per trenta giorni, mentre negli altri ventotto stati entrerà subito in vigore. La giustizia federale, insomma, diventa locale: un giudice dell’Arizona non potrà sospendere l’efficacia di una norma in tutti gli Stati Uniti. Lo stesso provvedimento potrà essere considerato valido in Texas ma incostituzionale in California, finché la Corte suprema non si pronuncerà sul principio generale.
Viene invece riconosciuto lo strumento alternativo della class action, ma appare una foglia di fico davanti a una decisione storica che accentra nelle mani di Trump ancora più poteri, limitando quello di coloro che, per una parte del Paese, erano considerati “gli ultimi guardiani della legalità”. La svolta riguarda tutti i provvedimenti, non solo lo ius soli, a cominciare dal divieto di ingresso a cittadini di decine di Paesi, le deportazioni e l’abolizione dello status di rifugiati per mezzo milione di persone.
La sentenza firmata dalla conservatrice Amy Coney Barrett, giudice minacciata dalla base Maga per le sue posizioni moderate, riguardava la costituzionalità del decreto esecutivo di
Trump sullo ius soli, il diritto di cittadinanza sancito dal 14° emendamento. La questione di merito è stata aggirata dai legali di Trump, che avevano chiesto solo di valutare il potere delle corti minori.
La decisione nel merito sullo ius soli arriverà più avanti, ma quella di ieri blocca le corti davanti al presidente. Tanto che la giudice liberale Sonia Sotomayor, che con le altre due rappresentanti progressiste si è espressa contro, ha parlato di «parodia dello Stato di diritto». Il leader dem al Senato, Chuck Schumer, di «terrificante passo verso l’autoritarismo». Un euforico Trump ha commentato: «È una vittoria gigantesca che mette fine a un colossale abuso e sancisce la divisione dei poteri. Applicheremo da subito l’abolizione dello ius soli».
La ministra della Giustizia Pam Bondi ha rincarato la dose: «Non avremo più giudici ribelli. I tribunali distrettuali erano diventati una magistratura imperiale».
Non è chiaro neanche come funzionerà nei reparti maternità: all’atto della registrazione, medici e infermieri dovranno trasformarsi in detective per capire se i genitori dei neonati sono in regola? Dovranno farlo solo con quelli con un certo colore della pelle? Quando un giornalista ha chiesto delucidazioni, la ministra Bondi, irritata, ha dribblato la domanda. «I cartelli della droga – ha detto Trump, come un fiume in piena – hanno usato lo ius soli per fare entrare gente molto cattiva negli Stati Uniti». Nessuno gli ha chiesto in che modo. Quando una giovane reporter ha definito la conferenza «rinfrescante per tutti noi», per un attimo anche Trump è rimasto sorpreso da quanto l’America sembra ai suoi piedi
(da Repubblica)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
“ATTIVISTI DEL MOVIMENTO CHE DIFENDE GLI IMMIGRATI COME LUCA CASARINI O PERSINO UN PRETE COME DON MATTIA FERRARI, DIRETTORI DI TESTATA COME ROBERTO D’AGOSTINO O FRANCESCO CANCELLATO E ALTRI SONO STATI SPIATI, INTERCETTATI. CHI LO HA DECISO E PERCHÉ? SERIETÀ VORREBBE CHE QUALCUNO INDAGASSE. PERCHÉ SERIETÀ E DEMOCRAZIA SONO SORELLE
È difficile capire se la guerra tra Israele e Iran sia finita davvero con la bomba «fine di mondo» scagliata dagli Usa sui depositi nucleari del regime di Teheran.
Ma ciò che invece è certo, una volta di più, è cosa è morto, anzi rimorto, in questi pochi giorni: la serietà. Una parola desueta, ammantata da polvere novecentesca, che sta bene, per molti, nei salotti pieni di centrini e ninnoli.
La serietà, nulla di più facile da deridere. La serietà che
comporta il nitore delle parole, la coerenza dei gesti, la profondità del pensiero. Persino il rispetto delle opinioni altrui, spinto fino all’abisso, per lo spirito del tempo contemporaneo, della curiosità intellettuale.
Non si sa da chi cominciare. Partiamo da Rutte, segretario generale della Nato, un altro dei mestieri che sarebbe da aggiungere a chirurgo etc… Dopo aver inviato un messaggio di adulazione di cristallino stile fantozziano a Trump in cui gli si riconosce ogni merito passato, presente e futuro, il capo del sistema di difesa atlantico interrompe, in un incontro con la stampa, il presidente americano che sta descrivendo — normale no? — Iran e Israele come due ragazzini litigiosi e gli dice, con la salivazione azzerata: «Poi interviene il paparino e fa la voce grossa come ogni tanto serve».
Per tutta risposta colui che occupa la sedia di Washington e di Roosevelt risponde sorridendo: «Che volete che vi dica, si vede che Mark mi è davvero affezionato. Sono il suo paparino».Lo stesso Trump che, poche ore prima, si era mostrato nella Situation Room con in testa il cappellino Maga, oggetto di merchandising come telefoni cellulari o altro, aveva poi insultato Israele e Iran con termini coloriti «Fondamentalmente abbiamo due Paesi che combattono da così tanto e così duramente che non sanno più che cazzo stanno facendo». Poi Trump ha usato il suo social personale per insultare una sua oppositrice, Alexandra Ocasio Cortez «Stupida, una delle persone più cretine del congresso», i giornalisti di New York Times e Cnn invece «Andrebbero licenziati subito: cattive persone con intenzioni malvagie
Ma in questo terremoto di follia va inscritta anche la paradossale guerra per gioco, roba da Gianni Rodari, che gli iraniani hanno fatto lanciando missili contro basi americane per far vedere alla loro gente, isolata dal mondo, che, caspita! se avevano reagito, e così convocare tutti in piazza a festeggiare una paradossale vittoria. Telefonare a chi è bombardato per avvertirlo che verrà bombardato è roba da Mel Brooks.
Potrei continuare questo epitaffio della serietà. Ma voglio solo aggiungere che ciò che latita, in questo tripudio di veloce guasconeria, è anche la profondità del pensiero. Sarò figlio di un altro tempo, ma non ricordo recentemente un saggio di un personaggio politico che interpreti questa inedita stagione di caos, le sue cause strutturali, non ricordo un discorso che definisca non una polemica rissosa contro l’avversario, ma un disegno d’insieme, una visione. Tutto è il concitato succedersi di una politica ridotta a coriandolo, a invettiva, costretta in un mondo a parte, come l’astensionismo dimostra. Tweet, non pensieri.
E, nell’epitaffio della serietà, ci metto anche la disinvoltura con la quale tutti sembrano non vedere che forse c’è un Watergate italiano. Che attivisti del movimento che difende gli immigrati come Luca Casarini o persino un prete come don Mattia Ferrari, direttori di testata come Roberto D’Agostino o Francesco Cancellato e altri sono stati spiati, intercettati. Chi lo ha deciso e perché? Non credo fosse un buontempone. Serietà vorrebbe che qualcuno indagasse. Perché serietà e democrazia sono sorelle, come lo sono dittatura e buffoneria. Di cose serie, tragiche, ne esistono e meriterebbero, specie da chi ha il potere, altrettanta
serietà.
Walter Veltroni
per il “Corriere della Sera”
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
LO PSICANALISTA FRANCO DE MASI: “IL CELLULARE SOMMINISTRA LA DOPAMINA DIGITALE. A CAUSA DELL’USO INCONTROLLATO DELLO SMARTPHONE. È IN CRESCITA IL NUMERO DI GIOVANI AFFLITTI DA DEFICIT DEL LINGUAGGIO, DA LIMITATA VELOCITÀ DI ELABORAZIONE CONCETTUALE E DAL CALO DELL’ATTENZIONE”
Sei o non sei un nomofobico? Fai parte della schiera di coloro che usano
compulsivamente lo smartphone, di quelli che sono sempre e continuamente connessi? Sei uno di quelli che non sopravvive se si scarica la batteria? L’attaccamento esasperato al
cellulare e la dipendenza dal web ora sono classificati come una patologia: “nomofobia” da “No Mobile Phobia”. È di qualche giorno fa il caso di un ragazzo finito al pronto soccorso di Torino con convulsioni e crisi da astinenza.
Il cellulare, soprattutto per i giovanissimi, è oggi come un “ago epidermico” che somministra la “dopamina digitale”: così ci chiarisce il professor Franco De Masi, già presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi, nell’approfondita ricerca Non smarthphone. Come proteggere la mente dei bambini e degli adolescenti(Piemme).
È un grido di allarme quello che De Masi lancia con questo saggio in cui verifica la crescita del numero di giovanissimi in difficoltà, afflitti da deficit del linguaggio, da limitata velocità di elaborazione concettuale e dal calo dell’attenzione. All’origine c’è l’uso incontrollato dello smartphone il quale genera un’assuefazione, spiega lo psicoanalista, «più potente di quella provocata da altri media, come la tv».
Anche i casi gravi sono in aumento: in Italia si stima che circa 120 mila adolescenti trascorrano su internet dodici ore al giorno, i cosiddetti, alla maniera giapponese, hikikomori. Vivono in un ritiro psicotico per cui evitano ogni forma di contatto diretto con il mondo esterno, persino con familiari e amici. «Sono fragilissimi, si rifugiano nell’universo irreale del web», osserva il professore, «se non corriamo ai ripari, i ragazzi di oggi saranno adulti dalla personalità debole, conformista. I genitori e gli educatori dovrebbero proporre molti altri stimoli oltre al cellulare, dallo sport alla lettura».
Ma come nasce la subalternità al telefonino? La dopamina è il
neurotrasmettitore del piacere che viene prodotto e rilasciato nel sangue quando abbiamo sensazioni molto gradevoli, per esempio quando ascoltiamo la musica. Nel rapporto intenso con i social media si sviluppa la dopamina digitale, ovvero il nostro stupefacente digitale quotidiano.
L’iperstimolazione nasce non solo dalla connessione ininterrotta ma anche dalla possibilità di accedere a universi altrimenti preclusi, come il cyber sex: «Nell’adolescenza si comincia a conoscere l’altro, il proprio corpo. L’accesso precoce a materiale pornografico online – osserva De Masi, – vuol dire non avere una relazione con gli altri e privarsi di emozioni reali».
Secondo gli ultimissimi dati, il 21 per cento dei ragazzini che consuma il sesso online, matura una visione distorta della sessualità e la fasulla convinzione che a dominare nei rapporti erotici sia la violenza, l’aggressività e soprattutto il disprezzo per le donne. Di recente anche la scuola, con le circolari del ministro Valditara, ha cercato di limitare la schiavitù dal cellulare, vietandolo in classe. Ma la proibizione, però, senza opportuni corsi per docenti e allievi sull’importanza e sull’uso della tecnologia, rischia di apparire una condanna del mezzo tecnologico che tanto piace a grandi e piccini.
A partire da quale età, allora, va concesso il cellulare? Dai 14 anni, consiglia lo psicoanalista, mentre l’accesso ai social dovrebbe essere permesso dai 16 anni in poi. […] Il 12 per cento dei minori tra i 4 e i 10 anni adopera un dispositivo elettronico portatile e il 46 per cento dei bambini e ragazzi tra i 4 e i 17 anni lo utilizza senza alcun controllo. L’Italia registra un dato più alto della media europea quanto all’accesso allo smartphone senza la
supervisione di un adulto. I bambini iperconnessi sono un milione e duecentomila e sono in continuo aumento.
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2025 Riccardo Fucile
“CON ME NON PORTO CHI VUOLE FARSI SELFIE”
Pietro Santucci, fotografo naturalista e guida di montagna, da 15 anni passa le giornate al Parco Nazionale d’Abruzzo. Camuffato da cespuglio. E riesce a catturare così combattimenti tra cervi in amore, giochi di cuccioli di lupo e l’orso marsicano. Tutto è cominciato nel giugno di anni fa: «Rientravo da una giornata di appostamenti. Tornando a valle mi sono quasi scontrato con un orso. È spuntato senza preavviso, dietro una curva del sentiero. Mi ha guardato, sono stati attimi infiniti. Poi è sparito nel bosco».§L’incontro quotidiano
Per lui l’incontro con l’orso adesso è diventato quotidiano: «Ma bisogna conoscere i luoghi e munirsi di pazienza. Per fotografare gli orsi, ma anche i lupi, servono lunghi appostamenti. Capita di dover stare molte ore immobili e in silenzio, anche con il caldo o con il gelo».
In montagna passa «circa 230 l’anno. Accompagno anche escursionisti e altri fotografi naturalisti che vogliono osservare l’orso, al massimo quattro persone in tutto. Seguo delle regole molto rigide». Ovvero: «Per prima cosa non bisogna seguire l’orso. Avvicinarsi troppo può diventare pericoloso. E poi non ci si deve addentrare in posti vietati, come le riserve integrali. Serve rispetto. Per gli animali e per il territorio».
Gli orsi pericolosiAnche secondo il fotografo «l’orso non è un animale aggressivo. E non ci considera una preda. Ma se vede le vie di fuga bloccate, può diventare pericoloso, perché si sente minacciato». La prima regola quindi è stare a distanza: «E non alterare l’ambiente. Sono animali stanziali, sanno riconoscere quando il territorio è cambiato. Quindi, durante gli appostamenti, non bisogna mai alzarsi in piedi. Per loro la nostra sagoma è qualcosa che non dovrebbe esserci, è come vedere un cespuglio in più. Potrebbero allontanarsi e lasciare quella zona. Dunque bisogna rimanere a terra e confondersi con il bosco. Per questo si usano abiti con fogliame e reti per coprirsi».
Animali abitudinari
Per capire dove appostarsi fa riferimento al fatto che gli orsi sono «animali abitudinari, e ormai, dopo 15 anni che faccio questo lavoro, so quali sono i luoghi che preferiscono. Ma ovviamente non posso svelarli. Inoltre sono nato e cresciuto tra questi monti, potrei percorrere i sentieri a occhi chiusi. Abito in un borgo di 300 anime, Civitella Alfedena, in provincia dell’Aquila». A fotografare gli orsi con lui non porta chiunque: «In realtà faccio una selezione. Non tutti sono adatti a questa esperienza. C’è chi, se vede un orso, si avvicina o gli corre dietro, magari per farsi un selfie».
L’incontro sul sentiero
In caso di incontro su un sentiero, dice Santucci, «bisogna fermarsi, tenersi a distanza. E indietreggiare lentamente. In caso di aggressione — ma qui non ne abbiamo mai viste — bisogna rimanere immobili, fingersi morti. Certo, ci vuole sangue freddo». Qualche giorno fa ha fotografato un orso che predava un cerbiatto: «Sì, è stata una scena incredibile, mai vista. È rarissimo che un orso catturi un animale vivo per mangiarlo. Stavolta ha trovato per caso un cucciolo di pochi giorni nascosto tra l’erba. E l’ha preso al volo. Ma di solito sono opportunisti, gli orsi. Si nutrono di carne animale solo se trovano qualche carcassa. E poi amano gli insetti. Ma la loro dieta è prevalentemente vegetale: frutta, bacche, erbe».
(da Open)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE DELLA CPI NAZHAT SHAMEEM KHAN SMONTA PUNTO PER PUNTO GLI APPIGLI LEGALI USATI DA NORDIO PER GIUSTIFICARE IL RIMPATRIO DI ALMASRI… IN UN PAESE NORMALE STASERA NORDIO AVREBBE DOVUTO DIMETTERSI CON DISONORE
Nessuna giustificazione plausibile. La procura della Corte penale internazionale
accusa senza mezzi termini il governo
italiano di «non aver ottemperato ai suoi obblighi» sul caso Almasri e di aver così «impedito alla Corte di esercitare le sue funzioni». Cioè di processare il capo della polizia giudiziaria di Tripoli, accusato di crimini contro l’umanità per le violenze e le torture nei confronti dei migranti detenuti nelle prigioni libiche.
Nelle 14 pagine di «osservazioni» firmate l’altro ieri dal procuratore Nazhat Shameem Khan viene demolita pezzo per pezzo la memoria difensiva inviata da Roma a L’Aja lo scorso 6 maggio, in replica alle accuse di mancata cooperazione formulate il 17 febbraio dalla Cpi.
In particolare, viene contestato l’appiglio giuridico a cui, da ultimo, si è aggrappato il governo per risolvere il pasticcio. Cioè la presunta richiesta di estradizione formulata dalla Libia lo scorso 20 gennaio, due giorni dopo l’arresto di Almasri a Torino in esecuzione di un mandato di cattura internazionale.
Una richiesta, viene sottolineato, resa nota «oltre tre mesi dopo il rilascio di Almasri» e, vale la pena ricordarlo, mai menzionata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, nelle sue informative in Parlamento.
Il fatto è che «la documentazione fornita dall’Italia non include alcun mandato d’arresto presumibilmente emesso dalle autorità libiche». E poi sappiamo che, alla fine, Osama Almasri «non è stato né consegnato alla Corte né è stato estradato (e arrestato) in Libia al suo ritorno – si legge – ma trasferito in piena libertà a Tripoli, dove fu accolto da una folla festante».
Trasferito con un nostro aereo di Stato, con tanto di bandiera italiana ben visibile. Dunque, sottolinea il procuratore de L’Aja, «l’Italia sembra aver ritenuto di poter esercitare discrezionalità
nel determinare se potesse dare priorità alla richiesta di estradizione della Libia rispetto alla richiesta di consegna della Corte», mentre aveva «aveva l’obbligo di consultare la Corte e la sua mancata consultazione costituisce di per sé una grave inadempienza».
In fondo, il principale addebito che arriva da L’Aja è quello di aver agito senza un confronto e uno scambio di informazioni «di fronte a qualsiasi problema percepito che potesse ostacolare l’esecuzione della richiesta di consegna della Corte, ai sensi dell’articolo 97 dello Statuto». Come se a Palazzo Chigi fosse stato già deciso che, in un modo o nell’altro, Almasri dovesse essere riportato in Libia da uomo libero.
C’è poi una parte dedicata proprio al ministro Nordio, che è «l’unico destinatario delle richieste di cooperazione della Corte» e dovrebbe «semplicemente eseguire la richiesta trasmettendola al Procuratore generale».
Senza alcuna facoltà di valutare la congruità dei capi di imputazione. Cosa che invece il Guardasigilli ha fatto, come ha spiegato lui stesso in Parlamento, contestando «un’incertezza assoluta sulla data dei delitti commessi: nel mandato di arresto non si capisce se il reato fosse iniziato nel 2011 o nel 2015», queste le sue parole alla Camera.
Più in generale, si legge nel documento, «la conclusione dell’Italia è giuridicamente e di fatto insostenibile» e le osservazioni inviate a L’Aja «non forniscono alcuna spiegazione praticabile, tantomeno una giustificazione, per la sua incapacità di cooperare». La conseguenza di questa complessiva bocciatura della linea difensiva del nostro governo è inevitabile: la procura della Corte penale internazionale «chiede alla Camera di emettere un accertamento formale di inadempienza nei confronti dell’Italia e di deferire la questione all’Assemblea degli Stati parti e/o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». Il caso Almasri è tutt’altro che chiuso.
(da La Repubblica)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
ARIANNA MELONI, PREOCCUPATA ALL’IDEA DI PERDERE LA REGIONE, HA DECISO DI COMMISSARIARE IL GOVERNATORE MELONIANO FINITO ALL’ULTIMO POSTO NELLA SPECIALE CLASSIFICA DEL “SOLE 24ORE” SUL GRADIMENTO DEI PRESIDENTI DI REGIONE… BOCCHINO E’ L’IDEALE PER ASSESTARGLI IL COLPO DI GRAZIA
La notizia è, diciamo così, sfiziosa assai. E per raccontarvela bisogna andare a Macerata. Sapete come funziona: ogni volta che una regione può diventare decisiva in una tornata elettorale, con scarsa fantasia diciamo che diventa l’Ohio d’Italia. Stavolta, tocca alle Marche. Elly Schlein è infatti convinta di vincere in Puglia, Campania e Toscana. E dà per scontata la sconfitta in Veneto.
La partita marchigiana diventa perciò decisiva per trasformare una possibile vittoria alle regionali, in trionfo (per 4 a 1). Al Nazareno sono, come accade spesso, piuttosto baldanzosi, anche perché il loro candidato è Matteo Ricci, l’ex sindaco di Pesaro, ora a Strasburgo, un tipo considerato sveglio e rampante, appassionato, con il dono dell’empatia, molto mediatico.
E così arriviamo alla notizia: perché il candidato del centrodestra è il governatore uscente Francesco Acquaroli, un fratello d’Italia tra i più cari alle sorelle Meloni. Il fatto che Acquaroli sia finito all’ultimo posto nella speciale classifica del Sole 24ore sul gradimento dei presidenti di regione è considerato un dettaglio (del resto, i partiti, indistintamente tutti i partiti, quasi mai si preoccupano del talento e dei risultati ottenuti dai propri uomini: ciò che conta è la fedeltà).
A preoccupare, e molto, Arianna – comandante in capo del partito – sono piuttosto le modeste (delicato eufemismo) capacità oratorie di Acquaroli, e una sua certa predisposizione all’inciampo (pensate che, nel 2019, partecipò, senza rendersene conto, a una cena organizzata per celebrare l’anniversario della Marcia su Roma).
Se dobbiamo perdere, almeno perdiamo con onore, si sono quindi detti in via della Scrofa. Il nostro candidato va affiancato. Serve un badante (politico). Che conosca il mestiere. E che magari sia pure bravo nell’arte del comunicare. Uno tipo Italo Bocchino, il direttore del Secolo d’Italia. Poche ore dopo, Bocchino era già operativo. Aiuterà Acquaroli? Vedremo. Intanto s’è messo subito a rilasciare interviste (al Foglio). Dico lui, Bocchino. Mica Acquaroli.
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
ZAIA, ANCHE PER SMARCARSI DA SALVINI IN ASSE CON I GOVERNATORI DEL NORD, PENSA A UNA LISTA IN PROPRIO E A UN “SUO” CANDIDATO. UNA IPOTESI CHE FRATELLI D’ITALIA VEDE COME IL FUMO NEGLI OCCHI
Una lista a suo nome, come quando Luca Zaia era il candidato presidente. Cassato
definitivamente il terzo mandato, torna a farsi largo quella ipotesi che a Fratelli d’Italia non era mai andata a genio tanto che, quando il clima in casa centrodestra era più disteso, si era pensato a un piano B, ossia che al simbolo della Lega fosse sostituito «Salvini» con appunto il nome di «Zaia» per contenere una possibile diaspora di preferenze verso una lista scollegata dai tre partiti della coalizione o al nome di correrà davvero per il governo di palazzo Balbi.
Una ritrosia comprensibile, nel 2020 «Zaia presidente» fece incetta di voti: più di 916 mila pari al 44,5%, contro i 348 mila della Lega (16,9%),
I malumori verso Salvini
La disponibilità a fare un passo indietro, appunto sulla lista Zaia, ora viene rimessa in discussione. Nell’arco di nemmeno un mese le cose hanno preso un’altra piega: dopo il quinto stop al terzo mandato anche la speranza di far slittare dall’autunno alla primavera le elezioni sembra avere poco fondamento.
E così, da un mormorio di sottofondo contro le scelte romane, sempre di più anche nei confronti del leader leghista Matteo Salvini, l’entourage veneto starebbe iniziando ad alzare la voce, Zaia compreso, il cui disappunto per come si è chiusa la partita è palpabile per quanto non ancora espresso.
Un malumore verso la coalizione in generale e nei confronti del leader leghista che non avrebbe creduto abbastanza al terzo mandato e nemmeno agito con fermezza in difesa dei suoi governatori del Nord e cioè Zaia, Massimiliano Fedriga (Friuli-Venezia Giulia), Maurizio Fugatti (provincia autonoma di Trento).
L’asse tra i tre si sarebbe rinsaldata e inizierebbe ad allargarsi al lombardo Attilio Fontana: la loro appartenenza alla Lega non è in dubbio ma sarebbe sempre più forte la volontà di cambiare le cose in seno al partito.
L’ipotesi di un nome sostenuto da Zaia
In tal senso, i rumors veneti parlano chiaro: a ottobre potrebbe esserci la lista del presidente, non del candidato che sarà scelto dalle consultazioni romane tra i segretari nazionali bensì dell’uscente. Una lista di centrodestra, ma non è detto che il sostegno andrà a chi sarà nominato a diventare il nuovo governatore. Potrebbe spuntare cioè un altro nome e potrebbe addirittura avere il sostegno dello stesso Zaia. Se si tratti di una
forma di pressing per smuovere le cose a Roma o di uno scenario realistico non è chiaro, ma l’ipotesi di un candidato «autonomo» viene raccontata come una possibilità.
Cosa accadrà, dipenderà dalle decisioni che prenderanno i segretari nazionali Antonio Tajani (FI), Salvini (Lega) e la premier Giorgia Meloni per FdI. Sul piatto però non ci sono solo le regionali venete, vanno rinnovati anche governatori e consigli di Marche, Toscana, Puglia, Valle d’Aosta e Campania.
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
I DELIRI DEL “BIMBOMINKIA” (COPYRIGHT FAZZOLARI) SU UE, NATO, UCRAINA SONO UN OSTACOLO PER IL RIPOSIZIONAMENTO DELLA DUCETTA VERSO L’EURO-CENTRISMO VON DER LEYEN-MERZ, DESTINAZIONE PPE…AL VERTICE DELL’AJA, LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” HA INIZIATO INTANTO A SPUTTANARLO AGLI OCCHI DI TRUMP: SALVINI È COSÌ TRUMPIANO CHE È CONTRARIO AL RIARMO E PROFONDAMENTE OSTILE AI DAZI
Salvate il soldato Salvini! Da qui alle regionali d’autunno, saranno giorni da incubo per il più trumputiniano del Belpaese. Scazzo dopo scazzo, vaffa dopo vaffa, la Ducetta deve asfaltare o ridurre all’impotenza il “Bimbominkia” (copyright Fazzolari).
I deliri del leader della Lega su Ue, Nato, Ucraina sono un ostacolo non solo nella sua opera di concentrazione di potere ma anche per il suo riposizionamento geopolitico verso il centrismo tedesco del cancelliere Merz, destinazione Partito Popolare Europeo (Ppe), un passaggio che i volponi di Bruxelles danno come altamente probabile
Avere al fianco, come vicepremier, un tipino poco fino che becera, come è successo a margine dell’incontro precongressuale della Lega a Padova dello scorso marzo: “La burocrazia di Bruxelles è sicuramente dannosa, sia per noi che per chiunque altro. Se l’Europa è rappresentata dalla Von der Leyen e da Macron è morta, è finita”; beh, è un ostacolo insostenibile per l’ultimo, scaltro camaleontismo della Meloni in modalità Ursula.
Ma depotenziare il Carroccio e ridurre l’ex Truce del Papeete all’irrilevanza politica e staccarlo gradualmente dalla maggioranza di Governo, non è un obiettivo facile visto gli ultimi dati dei sondaggi licenziati da Pagnoncelli. Se si somma il 28,2% di Fratelli d’Italia all’8,4% di Forza Italia, la coalizione non può fare a meno dell’8,8% del Carroccio.
Testona e irriducibile com’è, la “Giorgia dei Due Mondi” si è intanto portata avanti con il lavoro di demolizione, iniziando a sputtanarlo agli occhi di Trump.
Al recente vertice dell’Aja, l’ex compagna di Giambruno ha avuto gioco facilissimo nel far capire al presidente americano che quello che si era autoproclamato il più trumpiano del reame non solo è contrario al riarmo, tanto richiesto e imposto dalla Casa Bianca ai paesi Nato, ma è profondamente ostile, vista la sua base di imprenditori del Nordest, anche al dazismo senza limitismo, tanto caro all’’’America First” e Maga, che King Donald vuole imporre all’imbelle Unione Europea.
Se dalle alleanze internazionali e riposizionamenti tra Aja e Bruxelles, si scende poi alla politica politicante di Roma, il discorso però cambia. La Statista della Garbatella sa bene che
mai come in questo momento Matteo Salvini è in una condizione di massima difficoltà e debolezza: i sondaggi danno l’8,8% della Lega figlio per metà di Zaia e Fedriga e l’altra del post-fascio Vannacci.
Alle Europee, infatti, almeno il 2% di consensi della Lega è arrivato grazie alla stampella del generalissimo della Decima, che ai suoi camerati, attovagliati alcune settimane fa all’Hotel Hyatt di Milano, ha assicurato più strafottente che mai che prenderà più voti della Meloni alle politiche del 2027 (ciao core!).
Ma la Thatcher del Colle Oppio sa altrettanto bene che un animale ferito è un animale pericoloso. Capace di gettare alle ortiche il suo governatore del Veneto, Luca Zaia, affondando la trappola del terzo mandato lanciata come ballon d’essai da Donzelli, preferendo tenersi per altri due anni il potere nella regione più ricca del Belpaese: la Lombardia.
Certo, qualora Zaia trovasse il coraggio di chiamarsi fuori dai giochi politici romani, e convogliasse il suo bacino elettorale su un suo candidato nella Liga Veneta, l’elettorato del centrodestra si spacchetterebbe e l’opposizione potrebbe tentare il tutto per tutto convergendo su un candidato civico, e ripetere il “miracolo” Verona, dove nel 2022 vinse il moderatissimo Damiano Tommasi, in quota dem.
Il big bang tra i duellanti di Palazzo Chigi è dunque rinviato all’esito delle Regionali d’autunno: in caso di una scoppola da 4 a 1 a favore dell’opposizione miracolosamente unita nel fatidico “campo largo”, la situazione potrebbe precipitare (all’orizzonte c’è “Azione” di Carlo Calenda che si sta scaldando per salire sul carro del governo Meloni…).
(da Dagoreport)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
“NON HO MAI SCRITTO NÉ DETTO CHE VADO DA QUALCHE ALTRA PARTE” … A DIVIDERE LE STRADE DEL GIORNALISTA E CAIRO NON C’E’ DI MEZZO IL DIO QUATTRINO, BENSI’ QUESTIONI DI LINEA POLITICA (GIA’ NEL 2004 MENTANA FU PRATICAMENTE “CACCIATO” DAL TG5 DOPO UN VIOLENTISSIMO SCAZZO CON SILVIO BERLUSCONI)
“Viste le reazioni immediate, anche di amici e addetti ai lavori: non ho mai scritto né
detto che vado da qualche altra parte”. Lo scrive il direttore del Tg La7, Enrico Mentana, su Instagram a pochi minuti da un suo precedente post in cui aveva scritto: “Il 2 luglio radunerò nello stesso studio in cui ci conoscemmo 15 anni fa tutti coloro che hanno contribuito a questa lunga cavalcata”, riaccendendo evidentemente, e immediatamente, le supposizioni, circolate da giorni, su un suo addio alla direzione telegiornale della Tv di Urbano Cairo.
Nel primo post, Mentana commentava inoltre “Molti ringraziamenti a tutti quelli che mi hanno scritto qui per dire la loro, in un modo o nell’altro. Non scomparirò!”. Non è chiaro – stando a quest’ultima frase – se Mentana manterrà la direzione del TG di La7 o se ricoprirà un ruolo diverso.
Il direttore aggiunge poi una frecciata rivolta ai leoni da tastiera: “E un saluto speciale a tutti gli odiatori, professionali e dilettanti, e ai calunniatori malvissuti. È un onore e un privilegio sapervi così inutilmente livorosi”.
(da agenzie)
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