Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
LE TESTIMONIANZE AL GIORNALE ISRAELIANO HAARETZ
“Gaza è un campo di sterminio, abbiamo l’ordine di sparare sui civili disarmati in attesa di aiuti, la nostra forma di comunicazione con la popolazione è il fuoco”, con queste parole un soldato dell’esercito israeliano ha raccontato l’orrore quotidiano che vive la popolazione palestinese nella Striscia dopo l’invasione dell’Idf che ha messo a ferro fuoco l’enclave. Il racconto fa parte di una serie di testimonianze che soldati e ufficiali dell’esercito israeliano hanno raccontato, in forma anonima, al quotidiano locale Haaretz confermando che i militari hanno avuto l’ordine di sparare sulla folla inerme in attesa di aiuti.
“Dove ero di stanza, ogni giorno venivano uccise da una a cinque persone. Vengono trattate come una forza ostile: niente misure di controllo della folla, niente gas lacrimogeni, solo fuoco vivo con tutto l’immaginabile: mitragliatrici pesanti, lanciagranate, mortai. Solo quando gli spari cessano sanno di potersi avvicinare. La nostra forma di comunicazione è il fuoco” ha spiegato uno dei testimoni.
“Spari sulla folla hanno fatto oltre 500 morti tra i civili”
Nell’ultimo mese sono diverse le segnalazioni di spari sulla folla in attesa di aiuti con centinaia di morti tra la popolazione civile. Dai racconti dei militari emerge che non si tratta di casi isolati ma vi sarebbe una direttiva precisa dei comandanti che avrebbero ordinato alle truppe di sparare sulla folla per allontanarla, controllarla o disperderla, anche se non rappresenta alcuna minaccia.
Secondo le testimonianze raccolte da Haaretz, le IDF sparano sistematicamente alle persone che arrivano prima dell’orario di apertura dei centri ridistribuzione per impedire loro di avvicinarsi, e anche dopo la chiusura dei centri per disperderle. “Apriamo il fuoco la mattina presto se qualcuno cerca di mettersi in fila da poche centinaia di metri di distanza ma non c’è pericolo per le forze. Non sono a conoscenza di un singolo caso di fuoco di risposta. Non c’è nemico, non ci sono armi” ha raccontato un soldato.
Secondo il Ministero della Salute di Gaza, guidato da Hamas, dal 27 maggio oltre 500 persone sono state uccise vicino ai centri di soccorso e nelle aree in cui i residenti attendevano i camion di cibo delle Nazioni Unite.
“Abbiamo sparato anche con le mitragliatrici dai carri armati e lanciato granate. C’è stato un incidente in cui un gruppo di civili è stato colpito mentre avanzava avvolto nella nebbia. Non è stato intenzionale, ma queste cose succedono” ha rivelato un ufficiale ammettendo che il perimetro di sicurezza delle IDF comprende carri armati, cecchini e mortai.
Un alto ufficiale israeliano il cui nome ricorre ripetutamente nelle testimonianze sulle sparatorie vicino ai siti di distribuzione
degli aiuti a Gaza è il generale di brigata Yehuda Vach, comandante della Divisione 252 delle IDF. “Questa è la politica di Vach ma molti comandanti e soldati l’hanno accettata senza fare domande. I palestinesi non dovrebbero essere lì, quindi l’idea è di assicurarsi che se ne vadano, anche se sono lì solo per procurarsi del cibo” ha rivelato un ufficiale.
“Tecnicamente, dovrebbe essere un fuoco di avvertimento, per respingere la gente o impedirle di avanzare ma ultimamente, sparare proiettili è diventata una pratica standard. Ogni volta che spariamo, ci sono vittime e morti, e quando qualcuno chiede perché sia necessario un proiettile, non c’è mai una risposta convincente. A volte, il solo fatto di porre la domanda infastidisce i comandanti” ha rivelato un altro militare, raccontando: “A volte ci dicono che si stanno ancora nascondendo e che dobbiamo sparare nella loro direzione perché non se ne sono andati. Ma è ovvio che non possono andarsene se, nel momento in cui si alzano e scappano, apriamo il fuoco”.
“Sai che non è giusto. Senti che non è giusto: che i comandanti qui si stanno facendo giustizia da soli. Ma Gaza è un universo parallelo. Questa cosa di uccidere innocenti è stata normalizzata. Ci veniva ripetuto continuamente che non ci sono civili a Gaza, e a quanto pare questo messaggio è stato recepito dalle truppe” ha dichiarato un altro ufficiale della riserva, concludendo: “Parlano di usare l’artiglieria su un incrocio pieno di civili come se fosse normale. L’aspetto morale è praticamente inesistente. Nessuno si ferma a chiedere perché decine di civili in cerca di cibo vengano uccisi ogni giorno”.
(da Fanpage)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
DALLA NORMA CHE AMPLIA L’OPERATIVITÀ DEI SERVIZI SEGRETI CONSENTENDO LORO DI CREARE PERSINO GRUPPI EVERSIVI, AI NUOVI REATI DI RIVOLTA CARCERARIA E RESISTENZA PASSIVA, NON C’È ARTICOLO CHE PER LA CORTE NON RISULTI SCIVOLOSO … LE OPPOSIZIONI ATTACCANO: “MELONI E MANTOVANO INSISTERANNO SULLA STRADA DA SUDAMERICA ANNI ’70?”
Sbagliato nel merito, nel metodo, contraddittorio, a rischio di incostituzionalità. La
plateale bocciatura del decreto sicurezza, provvedimento bandiera del governo Meloni smontato dalla Cassazione in 129 pagine di relazione dell’Ufficio del Massimario, riapre lo scontro fra governo e magistrati.
«Incredulo», si dice il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che fa sapere di aver ordinato di «acquisire la relazione e di conoscerne l’ordinario regime di divulgazione». Parla di «invasione di campo» il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, mentre la Lega con il sottosegretario Andrea Ostellari ricorda: «Quel parere non ha carattere vincolante»
Vero, ma il rischio che metta in discussione il futuro del provvedimento c’è. Per i giudici, le indicazioni contenute nel Massimario sono un imprescindibile punto di riferimento interpretativo. E i rilievi sono numerosi, fanno scricchiolare persino i pilastri su cui il decreto poggia. Per i giudici c’è «un’evidente mancanza» dei presupposti di «necessità e urgenza» che giustificano un provvedimento del genere «e questo ne inficia legittimità costituzionale».
Dalla norma che amplia l’operatività dei servizi segreti e ne decreta la non punibilità, consentendo loro di creare persino gruppi eversivi, ai nuovi reati di rivolta carceraria e resistenza passiva, non c’è articolo che per la Corte non risulti scivoloso. Più di un dubbio è stato sollevato poi in relazione alle nuove norme di criminalizzazione del dissenso, dal nuovo reato di “terrorismo della parola” alle “aggravanti di luogo e di contesto” per proteste e cortei.
Anche lo stop alla vendita della cannabis light è problematico: in assenza di basi scientifiche è solo una violazione della libertà d’impresa. «Un atto d’accusa durissimo» per i 5S, «la conferma di come questa destra stia trasformando la legge penale in propaganda» per il deputato di Avs, Angelo Bonelli. Ma sono tutte le opposizioni a chiedere al governo a tornare in aula. «Così si mette in discussione il senso della nostra democrazia», denuncia il senatore dem Francesco Boccia, mentre il senatore Enrico Borghi gela tutti: «Meloni e Mantovano insisteranno sulla strada da Sudamerica degli anni Settanta?».
Dalla maggioranza, solo voci che assicurano: «Nessun passo indietro».
(da La Repubblica)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL FEDELISSIMO E CONTERRANEO (DI PATERNÒ) DEL PRESIDENTE DEL SENATO LA RUSSA NONCHÉ CANDIDATO ALLA SUCCESSIONE DEL GOVERNATORE SCHIFANI, SI RITROVA INDAGATO PER CORRUZIONE… TIRA UN’ARIA PESANTE PER FDI IN SICILIA: IL PARTITO E’ STATO COMMISSARIATO
Un’organizzatrice di eventi, Marianna Amato, sponsorizzata da un altro esponente di Fratelli d’Italia, gli diceva: «Se trovo associazioni che vogliono fare un evento con l’Ars, magari tu mi dai una mano per un supporto economico finanziario». E si mettevano già d’accordo per un contributo di quindicimila euro.
Poi, parlavano anche di altri eventi da foraggiare. «Non capite l’importanza della cultura», sorrideva la donna e non sospettava di essere intercettata dai finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo. Quella volta, era l’8 luglio del
2024, il presidente la riprese: «L’importanza di cosa? Nascondete il business dietro la parola cultura. Questa è la verità».
Ma Galvagno ha continuato ad elargire finanziamenti agli amici.
E, adesso, il fedelissimo e conterraneo (di Paternò) del presidente La Russa nonché candidato alla successione del governatore Schifani, si ritrova indagato per corruzione dalla procura diretta da Maurizio de Lucia. Insieme all’attivissima Marianna Amato, che nelle intercettazioni veniva indicata come «segnalata» da “Uomo 6”. Chi ci sarà dietro quell’omissis su una persona allo stato non indagata?
Una cosa è certa, questa inchiesta è nata indagando su un altro scandalo siciliano, quello dei fondi milionari per una mostra a Cannes organizzata dell’assessorato al Turismo all’epoca diretto da Manlio Messina, deputato FdI che si è dimesso qualche mese fa dalla carica di vicecapogruppo alla Camera.
Le intercettazioni hanno svelato anche le antipatie all’interno del “cerchio magico” di Galvagno: l’imprenditrice Marcella Cannariato, la moglie di Tommaso Dragotto (il patron di Sicily by car), pure lei indagata per avere incassato tanti finanziamenti, detestava Marianna Amato. Ma Galvagno non voleva sentire ragioni: «Marianna è di “Uomo 6”, non la può fare fuori, perché i soldi glieli sto dando».
Il presidente era perentorio: «Io più di darvi i soldi, cosa devo fare?».
C’era un rapporto forte fra il presidente dell’Ars e la signora Dragotto, animatrice della omonima fondazione. Il 30 novembre 2023, le telecamere piazzate dalla Finanza davanti casa di Galvagno, nel centro di Palermo, registrarono un incontro fra Galvagno e Marcella Cannariato. Alle 8.46 del mattino. Alle 10.46, Cannariato tornò per parlare con Sabrina De Capitani, la portavoce del presidente, pure lei indagata. Parlarono per due minuti, chissà cosa avevano da dirsi di così riservato.
Per certo, Galvagno avrebbe fatto avere nel dicembre 2023 un contributo di 100 mila euro al “Magico Natale” organizzato dalla fondazione Dragotto per i bambini bisognosi di Palermo. Ma di bambini bisognosi non ce n’era neanche uno. «Hanno tutti felpe da 300 euro», dicevano nelle intercettazioni.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, il meccanismo era rodato: Galvagno dava i finanziamenti e gli imprenditori davano incarichi ai suoi collaboratori. La più retribuita era la portavoce di Galvagno, Sabrina De Capitani, che è stata intercettata mentre diceva a Marianna Amato: «Io non mi devo dimenticare che lavoro per il partito e non per il Parlamento». E, poi, ancora: «Noi dobbiamo essere delle lobbiste». Meditavano di fare un “gruppo, una fondazione”. Ma, poi, quando parlava con Galvagno, c’era solo lei, Sabrina De Capitani: «Ho a che fare con la Dragotto, con la Monterosso (l’ex presidente della Fondazione Federico II, ndr), con la Amato… potessero uccidersi… meno male che facciamo anche l’evento sulle donne».
Tira un’aria pesante per Fratelli d’Italia in Sicilia: dopo liti e inchieste è stato inviato un commissario, Luca Sbardella
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
GIOVANI POLIZIOTTI INFILTRATI NEL PARTITO DI SINISTRA IN BASE A QUALE MOTIVO LEGITTIMO? QUESTI SISTEMI LI USANO LE DITTATURE
Erano lì in prima fila di fronte al Teatro dal Verme di Milan per contestare Carlo
Calenda, di fronte all’università Bicocca per urlare contro il ministro Tommaso Foti, in piazza a Bologna a sventolare cartelli e striscioni pro-Pal e contro la presenza della premier Giorgia Meloni. Cinque giovani, vestiti come gli altri e che come gli altri erano entrati a far parte dell’associazione
giovanile Cambiare Rotta e di Potere al Popolo. Cinque ragazzi maggiorenni o poco più che in realtà, come racconta Fanpage in un’inchiesta esclusiva, sarebbero agenti della «antiterrorismo» e farebbero parte di una vera e propria operazione di infiltrazione per sorvegliare dall’interno un partito.
Secondo il giornale online, i cinque giovani agenti – inizialmente ne era stato individuato solo uno – farebbero tutti parte del 223esimo corso allievi della Polizia dello Stato. Poi ognuno è andato per la sua strada: Milano, Bologna, Roma e quella già nota di Napoli, passando prima da una Questura e poi alla Direzione centrale della polizia di prevenzione dal dicembre 2024. Il trasferimento ufficiale, però, avveniva solo uno o due mesi dopo l’inizio della loro operazione di infiltrazione, che partiva dai ranghi – evidentemente più penetrabili – dell’organizzazione Cambiare Rotta.
I casi di Milano e Bologna: «Erano con noi quando denunciavamo il loro collega di Napoli»
Secondo alcune testimonianze raccolte da Fanpage, i primi due si sarebbero inseriti nell’organizzazione giovanile fingendosi studenti dell’Università Statale di Milano. Si dicevano fuorisede, «con a cuore il tema del carovita a Milano» e partecipavano a tutte le contestazioni e manifestazioni. Non dicevano di conoscersi, racconta un attivista di Cambiare Rotta, «ma nei momenti comuni erano molto affiatati, hanno socializzato fin da subito». Uno dei due, descritto come più schivo e meno disposto a farsi fotografare e riprendere, avrebbe addirittura svolto il periodo di prova al Viminale. La storia si ripete identica a Bologna con un altro agente 21enne: carovita,
costo dei biglietti dei trasporti, contestazioni all’interno dell’università. «È stato presente al corteo per la Palestina il 30 novembre scorso a Roma. E partecipa molto attivamente alla campagna elettorale all’università per l’elezione del consiglio nazionale studentesco universitario», ha raccontato il portavoce nazionale di Potere al Popolo, Giuliano Granato. Era lì con loro anche quando, megafono in mano, a fine maggio veniva denunciato in pubblica piazza il caso dell’agente infiltrato a Napoli. Il suo collega.
La Sapienza di Roma e l’infiltrazione fallita
A Roma, invece, il tentativo di infiltrazione è fallito. L’agente in questione, dopo un periodo alla Questura di Cremona, aveva messo nel mirino le diramazioni di Poetere al Popolo che arrivano all’Università della Sapienza. «Si è avvicinato a noi tramite un banchetto informativo elettorale», ha spiegato una giovane attivista. «È spuntato dal nulla, non lo aveva mai visto nessuno, diceva di essere iscritto alla Sapienza dall’anno precedente. Più o meno i volti, facendo politica all’università, li riconoscevo e quindi mi aveva proprio stranito che questa persona non fosse mai comparsa». Tempo due settimane e il presunto agente si era dissolto nel nulla.
(da Open)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
NON SAPENDO CHE LA DUCETTA, CON I NERVI A FIOR DI PELLE, È COSÌ AL NATURALE, I RUSSI VOGLIONO INSINUARE CHE LA MELONI FOSSE “IN STATO DI ALTERAZIONE”
Le smorfie, gli occhi sbarrati, lei che si tocca il naso: un montaggio di tutte le espressioni facciali che in un pugno di minuti Giorgia Meloni assume diventa strumento della propaganda russa per avanzare insinuazioni pesanti. Il filmato, esempio purissimo di manipolazione tipica del regime di Mosca, è stato pubblicato dal profilo social di Russia Today, network, diretta espressione mediatica del Cremlino e bandito dal territorio europeo dopo l’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin.
Il materiale originale, poi riplasmato con perfidia e malizia, sono le dichiarazioni che Meloni ha rilasciato ai giornalisti durante un rapido punto stampa a margine del vertice Nato de L’Aja, mercoledì 25 giugno. La macchina taglia e cuce insieme secondi
diversi, in cui la premier italiana si esibisce nelle classiche “faccette” e movenze esasperate che ormai sono diventate cifra della sua comunicazione politica, riconoscibili, spesso usate in Parlamento, finite una volta addirittura sulla prima pagina del Wall Street Journal. Ma in questo caso i canali di RT vanno oltre. Sopra il video scrivono “Tutto bene Giorgia Meloni? Avete fatto troppa festa con Zelensky a L’Aja?”.
Tanto per essere ancora più espliciti con i pochi che magari non capiscono al volo il sottinteso, i russi fanno rimbalzare su migliaia di altri profili collegati a RT screenshot della leader mentre strabuzza gli occhi di fronte alle telecamere o si tocca il naso, come a lasciar intendere che fosse in stato di alterazione per aver assunto chissà cosa. Metodi non nuovi: la demolizione pubblica del presidente ucraino Volodymyr Zelensky è passata quasi da subito da manipolazioni di questo genere, fino a vere e proprie fake news, come quando in un video apparve un mucchietto di cocaina sulla scrivania, accanto alla sua mano. Strategie di disinformazione di cui la destra e i populisti italiani, compreso il partito della premier Fratelli d’Italia, un tempo tra gli ammiratori della leadership spirituale di Putin, hanno approfittato non troppi anni fa. E che impazzano senza controllo su X, il social di Elon Musk, il magnate amico della premier che, con il suo sostegno, si batte per limitare i vincoli europei contro gli inquinamenti social in nome del free speech.Ma si sbaglierebbe a pensare che si tratti di un fatto isolato e casuale. Non è nessuna delle due cose. La propaganda di Mosca non si muove mai senza una ragione. E Meloni recentemente ha offerto più di un motivo ai putiniani per scatenarsi. Il Cremlino
rimasto certamente deluso dal fatto che la premier, leader della destra sovranista, fan da sempre di Donald Trump e del Movimento Maga, il popolo del Make America Great Again, non abbia seguito la svolta del presidente americano sulla Russia e sulla guerra in Ucraina: quell’approccio più soft e più compiacente verso Putin è una delle pochissime imposizioni di Trump a cui la presidente di FdI non ha ceduto.
Concetto, poi, ripetuto al G7 in Canada e alla Nato in Olanda, dove Meloni ha rivendicato il sostegno a Kiev e la necessità di nuove sanzioni contro Mosca. Non solo. Anche su altre aree di conflitto la premier ha assunto una postura di sfida verso i tentativi di infiltrazione russa. Su tutte, la Libia.Da settimane, dopo riunioni a Palazzo Chigi dedicate a report specifici dei servizi segreti, Meloni mette in guardia gli alleati sulle ambizioni della Russia di ritrovare nel paese del Nord Africa, eternamente sull’orlo della guerra civile, lo sbocco portuale perso in Siria dopo la cacciata di Assad.
Sempre perché le manovre mediatiche russe hanno ben poco di casuale e a proposito di dittatori amici di Putin in Medio Oriente, finiti in disgrazia: una settimana fa non ha avuto grande evidenza la notizia di un altro attacco scagliato da Mosca contro Meloni.
Questa volta ufficiale e più istituzionale. Firmato Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri, da sempre molto attiva a replicare alle voci critiche italiane. Al termine del G7 di Kananaskis, mentre erano in corso i raid israeliani, parlando con gli inviati della stampa italiana, Meloni aveva sostenuto di sognare una sollevazione popolare in Iran che portasse alla
caduta del regime dell’ayatollah Khamenei.
«Ricordo al capo del governo italiano che nel 1965 l’Assemblea generale Onu ha adottato una risoluzione intitolata “Dichiarazione sull’inammissibilità dell’intervento negli affari interni degli Stati e sulla protezione della loro indipendenza e sovranità”».
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
NIENTE LAVORI IL VENERDI PERCHE’ SAREBBE “DIFFICILE GARANTIRE LA PRESENZA DI MINISTRI E SOTTOSEGRETARI”
Interpellare stanca? La notizia saetta da 48 ore nei corridoi di Montecitorio. Al centro
dei conversari, che si propagano a mezza voce, c’è la proposta che il ministro dei Rapporti col
Parlamento, Luca Ciriani, meloniano di ferro, ha scodellato mercoledì durante la riunione dei capigruppo. E che più fonti presenti alla seduta, sia di maggioranza che di opposizione, riportano così: che ne pensate di cancellare le sessioni del venerdì alla Camera, quelle dedicate alle interpellanze dei membri del governo?
Sarebbe il ritorno della «settimana corta», già malignano dall’opposizione, con una punta di rivalsa visto che le proposte sulla riduzione delle giornate lavorative (ma per tutti, non solo per i parlamentari) sono state protocollate da mesi, a volte da anni, senza mai essere vagliate dall’aula.
Va detto che le sedute del venerdì sono già solitamente poco popolate. Salvo decreti o provvedimenti delicati, in genere la scena a cui assiste il cronista dalla tribuna scorre via con lo stesso canovaccio: un paio di sottosegretari sugli scranni del governo, qualche deputato sparso nell’emiciclo perlopiù sgombro.
Al Senato, dove forse sono più pratici, solitamente tutto viene compresso in quattro giorni, insomma si chiude il giovedì. Anche a Montecitorio era così, fino a quando, correva l’anno 2008, Gianfranco Fini da presidente della Camera annunciò: «I parlamentari lavorino di più, dal lunedì al venerdì».
Dunque in coda, prima del weekend, sono state piazzate le interpellanze. Domande e risposte. Niente questioni di fiducia, zero voti, ma l’aula resta aperta.
Ora però il governo vorrebbe darci un taglio. Il motivo? Davanti ai capigruppo, il ministro Ciriani l’avrebbe messa giù in questo modo, a sentire diversi presenti: «Vorrei sottoporre l’ipotesi di
spostare al giovedì le interpellanze, perché è difficile garantire il venerdì la presenza di ministri e sottosegretari». Tranne in casi particolari, ovvio, come l’esame di leggi urgenti.
Tutti d’accordo? Sembra di no. «La questione di spostare le interpellanze dal venerdì mattina al giovedì pomeriggio è stata posta dal ministro Ciriani, ma nessuno dei gruppi si è espresso, se ne riparlerà», conferma a Repubblica Alessandro Battilocchio, delegato d’aula di Forza Italia, che ha partecipato alla riunione. Lo stesso presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, avrebbe rimandato la questione più in là: «Valuteremo in seguito». Quasi certamente dopo le ferie d’agosto.
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
LA DEMOCRAZIA HA FRENI E CONTRAPPESI, UNO DI QUESTI E’ IL POTERE GIUDIZIARIO
Non serviva aspettare la Cassazione per sapere che il decreto Sicurezza era un pasticcio autoritario. Lo avevano detto le opposizioni, lo avevano scritto i giornalisti, lo gridavano da mesi giuristi, avvocati e organizzazioni della società civile.
Ma ora che a mettere nero su bianco le critiche è la Corte Suprema, sebbene in un testo non vincolante, si conferma quello che tutti sapevano e che il governo ha scelto scientemente di ignorare.
Il giudizio della Cassazione non è una “opinione”, ma una relazione dettagliata, tecnica, che smonta pezzo per pezzo il decreto bandiera della maggioranza: nessuna urgenza reale, uso strumentale della decretazione d’urgenza, e soprattutto norme che rischiano di comprimere libertà fondamentali come il diritto al dissenso e alla manifestazione.
La Corte arriva a contestare persino il metodo, rivelando come il governo abbia sottratto al Parlamento il tempo e il ruolo per fare il suo mestiere: legiferare.
La reazione di Meloni e dei suoi? Frignare. Gridare al complotto togato. Sventolare il solito vittimismo contro “le toghe rosse”, come se contestare una legge liberticida fosse un abuso e non un dovere istituzionale. È il solito riflesso di chi confonde il potere con il possesso. Di chi pensa che vincere le elezioni significhi avere mano libera su tutto, diritti inclusi.
Ma governare non è comandare. La democrazia ha dei freni e dei contrappesi. E se uno di questi contrappesi è il potere giudiziario, allora funziona. Il punto non è se la Corte costituzionale cancellerà tutto (potrebbe accadere).
Il punto è che il governo ha scelto di ignorare ogni allarme, ogni audizione, ogni voce dissonante. L’opposizione era “inutile”, la stampa era “ostile”, gli esperti erano “politicizzati”. Ora anche la Cassazione è diventata un covo di nemici?
L’unica urgenza che c’era era quella di Salvini di farsi bello al congresso. E Meloni gliel’ha consegnata in una busta chiusa, firmata decreto. La giustizia, le garanzie, le libertà: sacrificabili. Ma a furia di governare contro la democrazia, prima o poi sarà la democrazia a fare opposizione al governo.
(da lanotiziagiornale.it)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
LA SVELENATA DI CARRARO CONTRO ABODI: “NON È UN POLITICO: ERA UNO CHE FREQUENTAVA COLLE OPPIO DA RAGAZZO, AMICO DI GASPARRI E ROCCA QUELLO DELLA REGIONE, UN MANAGER CHE AL GOVERNO HA RISCOPERTO IL MANGANELLO: MA GLI È ANDATA MALE CON ME” … E DENTRO FDI C’È CHI DICE: “ABODI DOVREBBE DIMETTERSI”
Per un Giovanni Malagò raggiante per il capolavoro portato a casa, c’è un ministro di
Fratelli d’Italia, Andrea Abodi, che dopo aver perso la sfida per la presidenza del Coni si trova a dover fare i conti con i vertici del suo partito.
A dir poco infuriati con lui. Sabato scorso Giovanbattista Fazzolari ha convocato una riunione ristretta con il ministro, proprio sulle elezioni che ieri hanno visto trionfare Luciano Buonfiglio, il braccio destro di Malagò arrivato dalla Canoa.
Con sei persone in collegamento il sottosegretario di Giorgia Meloni ha strigliato Abodi per essersi schierato (con Forza Italia) su Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico, già assessore della giunta Marino (Pd) a Roma, mettendo in imbarazzo il partito, senza gestire la situazione.
Regola numero uno: non ci si inventa kingmaker elettorale. Regola numero due: a contare i voti il migliore è Giovanni Malagò (questa l’ha detta Franco Carraro, che di elezioni se ne intende, e anche ieri ha portato a casa il risultato).
Regola numero tre: al cavaliere nero (alias Malagò) non gli devi rompere… (questa, appena più colorita, la diceva Gigi Proietti).
Il ministro durante la riunione ha assicurato a Fazzolari che Pancalli si sarebbe impegnato a nominare come vicepresidente del Coni Juri Morico (presidente dell’Opes, ente di promozione sportiva vicinissimo a FdI) in caso di vittoria. “Questi impegni valgono come gli ordini del giorno in Parlamento: niente”, ha risposto sprezzante Fazzolari ad Abodi, illuminando una
distanza fra i piani alti di Palazzo Chigi e il ministro nella gestione di questa fatale elezione: il Coni è una realtà associativa che conta 14 milioni di iscritti, seconda solo ai tesserati di tutti i sindacati messi insieme.
Il Coni è da 12 anni l’impero di potere e relazioni, medaglie e Roma nord, di Giovanni Malagò che con l’elezione di Buonfiglio è stato protagonista di una rivincita personale contro il governo (che non gli ha voluto prorogare l’incarico) abbastanza clamorosa.
Buonfiglio ha vinto alla prima votazione 47-34 contro Pancalli. Un pimpante Franco Carraro a sorpresa ma non troppo prima del voto ha annunciato che avrebbe dato libertà di voto verso entrambi i contendenti, tirandosi fuori dalla mischia come candidato, ma mettendo a verbale che giudicava “positiva la gestione di Malagò”.
E quindi niente cambiamento, come invece invocano da settimane Abodi e il capogruppo di Forza Italia alla Camera Paolo Barelli, che è il presidente della Federazione nuoto.
Al Centro di preparazione olimpica “Giulio Onesti” all’Acqua Acetosa è andata in scena l’ostensione del potere malagoniano: trasversale, sinuoso, insinuante. In grado di piegare il governo: Abodi per primo, poi la nuova Forza Italia e anche un pezzo di Lega, se è vero che il ministro Giancarlo Giorgetti aveva strizzato l’occhio a Pancalli, al contrario di Matteo Salvini, il primo a fare i complimenti a Buonfiglio.
Alla fine ha avuto ragione Fazzolari: l’uomo forte di Fratelli d’Italia, Morico, è entrato in giunta ma la vicepresidenza l’ha vista con il binocolo. Perché quella vicaria è andata a Diana Bianchedi, legatissima a Giovannino e l’altra a Marco Di Paola, presidente degli sport equestri, altro amico personale di Megalò (citazione Susanna Agnelli).
Come tutti d’altronde qui, o quasi. Fuori dai campi da calcio
pettinati come panni di biliardo, in un salone refrigerato come si deve gli 81 grandi elettori disposti intorno a un tavolo a ferro di cavallo si sono autodeterminati. Con un notaio d’eccezione – tecnicamente l’addetta alla verifica poteri – Dario Perrotta, responsabile della Ragioneria dello stato.
E’ stata la rivincita di Carraro (85 anni) che parlando male con Giuliano Amato (87 anni) di Abodi gli dice che “il ministro non è un politico: era uno che frequentava Colle Oppio da ragazzo, amico di Gasparri e Rocca quello della Regione, un manager che è stato richiamato al governo e ha riscoperto il manganello: ma gli è andata male con me”. Il Dottor Sottile, tennista provetto come si sa, è stato invitato in quanto presidente del Codice etico.
Sembra divertito: “Sono qui perché è uno dei pochi posti dove ancora si vota”. E’ stata la riscossa di Gianni Petrucci, numero uno del Basket.
Tira un sospiro di sollievo Gabriele Gravina del calcio, che per una volta ha vinto. E’ contento Gianni Letta, nonostante il resto di Forza Italia avesse fatto il tifo per Pancalli. Barelli quando tutto ormai è deciso ha una faccia che ricorda il crollo di una diga: “Nella vita si vince e si perde”.
E il ministro? Non c’è, dentro Fdi c’è chi sussurra senza crederci: “Dovrebbe dimettersi”. Al suo posto segue la situazione il capo della segreteria tecnica Mario Pozzi, astro nascente del tecnomelonismo da tenere sott’occhio. Per una volta sono loro, quelli del partito della nazione, gli sconfitti. La repubblica indipendente del Coni festeggia.
(da Il Foglio)
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Giugno 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL M5S GUIDATO DAL CAMALEONTICO “AVVOCATO DEL PUEBLO” APPROVA IL TERZO MANDATO E CANCELLA L’ULTIMO TOTEM DELL’ERA GRILLO… CONTE HA PRESO UN’ARMATA BRANCALEONE DI IDEALISTI INCOSCIENTI E L’HA CONVERTITA IN UN PARTITO DISCIPLINATO… E SE IL PREZZO DA PAGARE È LA COERENZA, PAZIENZA
C’erano una volta i V -Day. Le piazze infuocate, i cori contro “politici di professione”, gli assegni restituiti come trofei di una rivoluzione etica.
C’erano Grillo e Casaleggio, che con voce reboante giuravano guerra al finanziamento pubblico, alla lottizzazione della Rai, al terzo mandato.
C’era un Movimento che prometteva di essere diverso. Oggi, c’è un partito come tutti gli altri.
La notizia è ufficiale: è caduto anche l’ultimo totem. Il terzo mandato non è più un’eresia. La base grillina o almeno quel che ne resta ha votato online per modificare il codice etico. I big del Movimento possono ricandidarsi. Ancora. E ancora. E ancora.
Taverna, Fico, Crimi, Bonafede: la vecchia guardia torna in campo. C’è chi passerà da un’istituzione all’altra, come Fico verso la Regione Campania, e chi si concederà una pausa di cinque anni prima di rientrare. O, più semplicemente, basterà il via libera del leader. Cioè di Giuseppe Conte.
Già, Conte. Il camaleontico “avvocato del popolo” che ha trasformato la ribellione in routine, il no a tutto in un nì strategico, il verbo di Grillo in pragmatismo da comitato centrale.
Da quando è salito al comando, uno dopo l’altro sono caduti tutti i pilastri fondativi del Movimento. Prima il finanziamento pubblico, una volta “sterco del diavolo” e oggi riabilitato come linfa vitale della macchina partitica.
Poi la lottizzazione della Rai, con i Cinque Stelle improvvisamente entusiasti di sedersi al tavolo delle spartizioni, conquistando direzioni, con duzioni, visibilità. E adesso, il terzo mandato. Quella barriera etica che doveva impedire la degenerazione in casta, oggi abbattuta con un clic.
I Cinque Stelle non fanno più paura, non scuotono, non sorprendono. Sono diventati prevedibili. In politica, forse è una forma di maturità. Ma per un partito nato per spaccare il sistema, è una resa.
Quella che era nata come un’onda anti sistema, oggi si è sistemata. I “portavoce” sono diventati leader navigati, gli attivisti si sono trasformati in funzionari, e il fuoco sacro della partecipazione diretta è stato sostituito da votazioni pilotate. Dove prima c’era indignazione, oggi c’è l’amministrazione.
Dove c’erano barricate, ora ci sono accomodamenti. Anche il linguaggio si è fatto più felpato.
Le invettive sono sparite, sostituite da comunicati ponderati.
L’epopea delle restituzioni è ormai un ricordo sbiadito: pochi ormai controllano se i bonifici arrivano davvero, e ancora meno sembrano curarsene. L’identità rivoluzionaria è stata accantonata con disinvoltura, come una felpa con il logo sbagliato.
Non è solo una trasformazione. È un ribaltamento, una rivoluzione al contrario.
Conte ha preso un’Armata Brancaleone di idealisti incoscienti e l’ha convertita in un partito strutturato, disciplinato, pron-to a tutto pur di restare nella partita. E se w il prezzo da pagare è la coerenza, pazienza. L’importante è restare in corsa. Magari per Palazzo Chigi. Di nuovo, perché no?
(da L’Espresso)
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