ACQUA INQUINATA, PERICOLO RUBINETTI “MALATI”: DOVE SI RISCHIA
BRESCIA E IL LATTE MATERNO, ROMA E L’ARSENICO, NAPOLI E LE ANALISI TRUCCATE
Brescia, latte materno compromesso e tumori a seno e fegato
Il problema di Brescia sono il cromo e i solventi organoalogenati, sostanze altamente tossiche che risultano presenti nell’acqua potabile.
Che ci fa quella roba nel rubinetto? La falda che serve Brescia ha subìto per decenni l’inquinamento dell’area industriale Caffaro, a pochi passi dalla città .
Le analisi dell’Asl, nel tempo, hanno dato risultati più o meno allarmanti. Lo scorso gennaio due cittadini hanno deciso di far analizzare a proprie spese alcuni campioni: il primo prelievo, fatto in periferia, ha riscontrato una concentrazione di 26,6 microgrammi di cromo per litro d’acqua, dato più di due volte superiore rispetto a quello rilevato dalle analisi Asl tre mesi prima.
Il secondo test, in pieno centro, ha scovato tracce di cromo esavalente per valori poco più bassi ma comunque seri (circa 11,6 microgrammi ogni litro).
L’Asl, solo venti giorni prima, non aveva riscontrato tracce della sostanza e l’acqua delle fontane pubbliche risultava incontaminata.
Da notare che la California nel 2013 ha adottato un limite di 10 microgrammi al litro, mentre quello in vigore in Europa (50 microgrammi per il cromo totale) risale al 1958.
Il gestore dell’acquedotto, A2a, garantisce che tutto è sotto controllo: nel miscelare l’acqua potabile è stata aumentata la dose proveniente dalla fonte (pulita) di Mompiano, e si sta tentando l’abbattimento del cromo versando solfato ferroso nei pozzi sperimentali. Le dosi entrate nel circolo vitale però stanno dove stanno: per esempio nel latte materno, o nelle percentuali anomale di tumori al seno e al fegato.
L’area inquinata è di due milioni di metri quadri, secondo le stime
Roma, l’arsenico scorre nelle tubazioni laziali: 90 Comuni coinvolti
Sono 90 i Comuni del Lazio dove l’acqua non è potabile a causa dell’arsenico, un elemento naturale presente nel sottosuolo per l’origine vulcanica dei terreni, ma che è dannoso per la salute dell’uomo se concentrato in quantità eccessive.
L’area più colpita è quella a nord della Capitale: secondo Legambiente, solo a Viterbo oltre 82 mila persone sono esposte al rischio. Anche a sud, tra Latina e l’area pontina, i Comuni sono alle prese con ordinanze che vietano il consumo dell’acqua, con onerosissimi costi per il servizio autobotti, e l’inevitabile contorno di denunce e polemiche.
Da febbraio il guaio è arrivato anche a Roma, con il divieto emanato dal sindaco Ignazio Marino di utilizzare l’acqua per uso alimentare, igiene personale e ogni altro utilizzo in diverse strade dei Municipi XIV e XV (Primavalle, Labaro e Giustiniana).
I comitati dei cittadini protestano ricordando che da anni hanno segnalato infezioni intestinali e problemi alla pelle. Semplice la sintesi fornita dall’Autorità per l’Energia, che stima per il Lazio una popolazione di 300 mila persone tuttora a rischio nonostante le promesse di soluzioni lampo e un piano regionale allestito dopo i primi allarmi lanciati dall’Unione Europea nel 2004: “I 9 anni di deroghe, scaduti il 31 dicembre 2012, non sono stati sufficienti a rientrare pienamente nei parametri di conformità ”.
Napoli, la camorra e quelle analisi truccate dai laboratori privati
Quando i militari Usa lasciarono le loro case di Casal di Principe, spaventati da quello che c’era nell’acqua (e forse pure nell’aria), la Regione Campania decise misure urgenti e straordinarie per verificare l’entità del pericolo.
Alcune delle società scelte — senza gara — per fare le analisi sono finite all’attenzione del pm della Dda di Napoli, Antonello Ardituro.
Il magistrato scoprì che diversi test sulla potabilità dell’acqua non erano stati eseguiti direttamente dalla Regione, ma da laboratori privati senza alcuna convenzione con la Regione. Una procedura anomala, perchè con una legge del 2001 venne stabilito che solo la Regione Campania può certificare la potabilità dell’acqua.
Così, dall’inchiesta principale sugli affidamenti diretti dei lavori, nacque un’indagine parallela che indaga su alcuni laboratori privati: l’Eurolab srl di Battipaglia, la Scar srl della zona industriale di San Marco Evangelista, la Natura srl di Casoria, il Centro Diagnostico Roselli di Sperone, l’Ultrabios di Nocera Inferiore, la Biopat di Sant’Angelo a Cupolo, Villa Carolina di Torre del Greco, l’Eco Control di Caserta e la Sca srl di Marigliano.
Come ha spiegato Il Mattino, il pentito del clan dei Casalesi, Salvatore Venosa, ha chiuso il cerchio confessando che diversi “imprenditori legati alla camorra hanno lavorato per la Regione nel settore idrico”. In sostanza, il sospetto della procura è che le stesse procedure per stabilire l’inquinamento delle acque siano state artefatte. E che la verità sulle acque campane sia tuttora un mistero.
Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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