“NON POTEVAMO NON AVVELENARE”: ACQUA CONTAMINATA IN ABRUZZO, PARLA IN MANAGER DEL PIZZINO
“TUTTE LE AZIENDE CHIMICHE INQUINANO, IN ITALIA TENERE APERTA UNA FABBRICA E’ DIVENTATO UN CRIMINE”
Per Leonardo Capogrosso, l’uomo che secondo la Procura di Pescara è l’autore del “pizzino” della Montedison con la consegna del silenzio («non dobbiamo spaventare chi non sa» era scritto a penna sul documento ritrovato nel suo ufficio) e che è sotto processo per avvelenamento delle acque e disastro ambientale (insieme a altri 18 imputati), la fabbrica dei veleni di Bussi non esiste. «Mi scusi, ma quante persone sono morte dopo aver bevuto quell’acqua? Glielo dico io, nessuna. Quindi, di quale fabbrica dei veleni stiamo parlando?»
L’ex dirigente che secondo le indagini della Forestale di Pescara è l’autore di quel foglietto che nel marzo del 2001 invitò i tecnici di una ditta (Hpc) incaricata dei rilevamenti sull’inquinamento del polo chimico di Bussi sul Tirino a taroccare i dati, oggi è un pensionato di 75 anni che vive a Spinetta Marengo in provincia di Alessandria a due passi da un altro stabilimento ex Montedison Ausiliare (ora Solvay) e che attende l’esito del processo in primo grado in Corte d’Assise a Chieti.
Ci spiega quel “pizzino”, quel foglietto?
«E che ne so? Chi l’ha visto… Dicono che faccia parte della documentazione sequestrata nei nostri uffici. Sicuramente se è così chiariremo tutto».
Voi avete truccato i dati sull’inquinamento, questo è scritto nelle carte dell’accusa.
«È falso, ma risponderemo nelle sedi opportune. Punto su punto».
E allora le mail, i pizzini? Le pressioni alla ditta incaricata dei rilevamenti per far taroccare i dati? Che scopo avevano?
«Guardi, io alla Montedison Ausiliari lavoravo dodici ore ogni giorno, non certo per occuparmi dei dati dell’inquinamento, ma per mandare avanti la fabbrica ».
Sì, ma adesso avete lasciato lì la più grande discarica d’Europa.
«Veramente ho scoperto l’esistenza di questa discarica il giorno che la Forestale ha fatto scattare i sequestri…».
Lei ha scoperto l’esistenza della discarica da pensionato, dopo oltre 30 anni di lavoro?
«Sì, sono andato in pensione nel 2003 e mi sono accorto di tutto guardando la tv, il giorno dei sigilli».
Nel 2007? Possibile?
«Certo, guardi che a Bussi sui terreni della Montedison non c’era un cartello con la scritta “discarica”… La verità è un’altra ».
E qual è?
«Sui quei terreni sono stati sotterrati rifiuti industriali dal 1950 al 1965. Io sono entrato in azienda, come anche altri 16 imputati di questo processo, dopo il 1970. Quindi non sapevamo proprio nulla della discarica. Ora però siamo tutti sotto processo perchè non potevano non sapere… La qual cosa è folle in quanto non potevamo effettivamente sapere cosa ci fosse sotto quei terreni. Potevamo immaginarlo, forse»
Ora sa cosa c’è lì sotto?
«Certo, ma si tratta di rifiuti, le ripeto, interrati tra gli anni 50 e gli anni 60. Questo è».
Avevate comunque l’obbligo di gestire lo stabilimento chimico senza inquinare.
«E secondo lei è possibile produrre chimica senza inquinare? Tutte le aziende chimiche inquinano. Tutte. La verità è che con le nuove norme non si può tenere aperta una fabbrica di quel tipo, perchè basta un errore, un incidente…»
Non le sembra un’affermazione quantomeno esagerata?
«Posso dirle che in Italia tenere aperta una fabbrica è diventato un crimine».
Però sotto processo ci siete voi, per inquinamento delle acque e disastro ambientale.
«Ma quale avvelenamento… È morto qualcuno? Non mi risulta. Comunque chiariremo in tribunale ».
Il danno ambientale è sotto gli occhi di tutti. L’Istituto superiore di sanità sostiene che è stata messa a rischio la vita di 700mila persone. Lo sa che nel paesino di Bussi oggi c’è una incidenza della diffusione dei tumori supera del 70 per cento la media regionale?
«Ho letto e mi dispiace, ma non ci sono elementi certi per collegare questi dati con la storia del polo chimico di Bussi».
In quel “pizzino”, in quel biglietto c’era scritto “occorre non spaventare chi sa…” che significava?
«Non ne so nulla, non mi ricordo ».
Guseppe Caporale
(da “La Repubblica”)
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