BAMBINA “RAPITA” A RAGUSA: IL CENTRODESTRA PRIMA VOTA LO SVUOTACARCERI E ORA STARNAZZA CONTRO I MAGISTRATI
RIDICOLI: HANNO VOTATO LA LIMITAZIONE DELLA CUSTODIA IN CARCERE
Familiari, cittadini e politici si sono scagliati contro i magistrati di Ragusa, colpevoli di aver scarcerato il “mostro”.
In base al racconto della madre, è possibile che i reati siano ritenuti insussistenti: prelevare la bambina in uno spazio aperto (una spiaggia), dunque senza possibilità di nascondersi, senza un mezzo che permetta una veloce fuga, in presenza dei genitori e di altre persone che reagiscono immediatamente, potrebbe essere ritenuta condotta inidonea e dunque penalmente irrilevante.
In ogni modo, Lubyata è stato fermato pochi istanti dopo averla preso in braccio: non vi è stata dunque una concreta privazione della libertà personale (nel che consiste il sequestro di persona) poichè la bambina è rimasta sotto il controllo dei genitori e dei loro amici.
Si tratterebbe dunque di reati tentati, proprio come accadrebbe nel caso di chi, con l’intento di appropriarsene, entri in una vettura parcheggiata ma non riesca ad allontanarsi perchè immediatamente bloccato.
Per questi reati (tentati) il fermo non era consentito.
Articolo 280 comma 2 codice di procedura: la reclusione è prevista solo per reati con pena non inferiore nel massimo a cinque anni.
Il sequestro di persona (consumato) è punito con una pena massima di 12 anni (art. 605 comma 2 codice penale); il tentativo prevede pena diminuita da un terzo a due terzi (art. 56 comma due codice penale), dunque con un massimo di 4 anni.
Il reato di sottrazione di minore prevede pene molto minori. Semplicemente la legge non consente la custodia preventiva.
La mamma della bambina ha ragione: la legge fa vomitare.
I responsabili del vomito sono proprio quelli che oggi additano i magistrati di Ragusa alla pubblica esecrazione.
Legge 9/8/13, emanata allo scopo di “fornire una prima risposta al problema del sovraffollamento penitenziario e a sanare una situazione che espone il nostro Paese alle reiterate condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo”; articolo 1: all’articolo 280, comma 2 la parola “quattro” è sostituita da “cinque”.
Con la legge precedente Lubyata avrebbe potuto finire in galera; oggi no.
D’altra parte lo scopo dichiarato di risolvere il “sovraffollamento penitenziario” senza costruire nuove carceri poteva essere raggiunto solo non incarcerarando i delinquenti. Aggredire i magistrati per aver applicato una legge fatta proprio dagli aggressori è il colmo dell’improntitudine.
Non desta infine stupore, ma indignazione sì, la voglia di linciaggio manifestata da quelli stessi che, in occasione di conclamati rapporti di loro sodali con associazioni criminali, in genere mafiose, si prodigano in ridicole difese paragiuridiche (mancato rispetto dei diritti degli imputati e accanimento processuale).
Difese prontamente dimenticate quando il criminale da tutelare non è uno dei loro e quando il “giustizialismo” applicato al delinquente comune garantisce consenso e voti.
Bruno Tinti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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